lunedì 1 ottobre 2012

SIRIA, AGGIORNAMENTI - Un contributo




Di solito inserisco i contributi altrui nella colonna di sinistra nel blog. Stavolta mi affretto, anche per superare l’impasse della polemica con alcuni pacifisti, a far mio il testo qui sotto del compagno  turco-arabo Bahar Kimyongur, pronunciato in occasione di una manifestazione a Bruxelles, davanti all’ambasciata Usa, in difesa della Siria e della verità. Ne pubblico le parti salienti perché ne viene fuori un quadro sintetico, documentato, veritiero, del punto a cui é giunta la cospirazione salafita-Nato e della vera situazione in Siria e nei paesi vicini. Siamo di fronte alla sconfitta militare della Nato, dei dittatori del Golfo, della Turchia e dei  loro mercenari stragisti. La forza degli eventi ha costretto diplomazie e media a sbilanciarsi nell’ammissione del ruolo terroristico degli alqaidisti, fanteria di complemento Nato, dei colossali trasferimenti in Siria di armi, fondi e mercenari rastrellati da tutti gli scenari dove da anni agivano al soldo dei cannibali imperiali. Ne risulta compromesso il nuovo tentativo dell’ONU, attraverso l’emissario Al Brahimi, vecchio arnese di finti negoziati tra carnefici e vittime, di sbilanciare le responsabilità a danno del governo siriano. Sul piano diplomatico-politico il rapporto di forze, al di là degli schiamazzi di Obama, Clinton, Netaniahu, despoti arabi, servitorelli mediatici, è stato sanzionato dal vertice a Tehran di 120 paesi non allineati, concordi contro l’aggressione, e la sedicente “comunità internazionale” dell’Occidente colonialista, che rappresenta meno del 10% dell’umanità.

Lo stesso presidente egiziano Morsi, Fratello musulmano sostituito dai padroni dell’Egitto al vecchio dittatore, sotto la spinta di una volontà di massa che si sospetta non domata, ha partecipato alla conferenza di Tehran e ha costituito con Turchia, Arabia Saudita e l’ostracizzato Iran un gruppo di lavoro per il dialogo e la pace in Siria. Ma l’Egitto è tornato alla ribalta e non pensa che, per avere in capitolo la voce del più grande paese arabo, gli convenga assecondare le frenesie espansionistiche dei fratelli del Golfo. L’Algeria condivide questa posizione e in Libia la gente dà addosso a quelli dei “giovani rivoluzionari” nel nome della Sharìa che ancora non si sono trasferiti a tagliar gole in Siria. Nella Turchia del famelico ottomano Erdogan il PKK curdo, attuando un’offensiva che affianca la resistenza siriana, distoglie le forze armate turche dai compiti Nato in Siria e destabilizza l’intera regione sud-orientale, vitale per la creazione di quella “fascia di sicurezza” oltre il confine siriano, con cui gli aggressori vorrebbero aprirsi la strada verso Damasco. La Clinton corre di qua e di là  e pare un giardiniere cui la rete dell’irrigazione sia impazzita.

All’Assemblea Generale dell’ONU, il mondo non decerebrato dalla pubblicistica colonialista ha potuto confrontare le parole di eguaglianza, pace e rispetto reciproco, di denuncia del cannibalismo interno ed esterno dell’imperialismo, pronunciate da Mahmud Ahmadi Nejad, con il blaterare psicopatico del nazisionista Netanjahu che, esibendo una bombetta da fumetti “iraniana” e nascondendo le oltre 400 testate nucleari in suo possesso, riproponeva la sua fregola di lanciarle sull’Iran. I 120 convenuti a Tehran, tra cui i potenti BRIICS, ne avranno tratto motivo per rafforzare la loro contrarietà al bellicismo occidentale. Del resto molti di loro hanno il conforto, dei propri popoli, democraticamente espresso, con sacrosanti incendi e rovine diplomatiche, quando si sono manifestati in tutto il pianeta contro USraele. Fenomeno derubricato da noi a intolleranza fanatica verso un filmaccio. Forse vorranno proporre all’ONU l’apertura di un carcere psichiatrico per governanti licantropi nei cui cervelli  si verifica un corto circuito di antislamismo, antiarabismo, antilaicismo, antidemocrazia, con il pur deprecato anti-semitismo. Già, se fosse vero che gli ebrei sono tutti semiti, l’armageddon che verrebbe prodotto dallo squilibrato di Tel Aviv, ne risparmierebbe forse i Rothschild, ma pochi altri. Più antisemita di così!

Per reagire all’onda anomala, che un po’ di istinto di vita sta producendo in giro per il mondo, da Damasco, a Madrid, ad Atene, a Lisbona, a Santiago del Cile, la cabala sion-imperialista, demandata agli sgherri sconfitti sul campo la destabilizzazione terroristica, sta attrezzando quello che spera diventi il nodo scorsoio intorno alla Siria. Installate basi di rifornimento, addestramento, osservazione ai confini turco, giordano, libanese, rimpinzate le bande sconnesse e raccogliticce del mercenariato, in disputa sanguinaria anche tra loro, con ufficiali turchi ed esperti francesi, Usa, britannici, italiani, arruolato anche il tedesco Bundesnachrichtendienst (BND) che, su una nave davanti alle coste libanesi, istruisce le bande sui movimenti delle truppe siriane, approntati a Sigonella, in Qatar e a Gibuti i droni Usa per la serie “assassinii di massa mirati”, si passa al piano B. Quello A, basato su occupazioni, battaglie armate e atrocità terroristiche, non ha prodotto il rovesciamento o collasso dello Stato siriano e della sua leadership. Anzi. Quello B insiste sulla “fascia di sicurezza umanitaria” per profughi, che raccolga il consenso, appunto, degli umanitari, ONG-spie in testa e da cui, previa clamorosa provocazione tipo 11 settembre, e successiva no fliy zone, si possa irrompere verso Damasco con, finalmente, un sufficientemente vasto consenso di regimi e opinione pubblica.

Poi ci sarebbe il Piano C: Assad non se ne va e il caos creativo che deve disintegrare le società neppure. Ad libitum. Intanto si indebolisce l’Iran, si sottrae l’ultimo supporto ai palestinesi, si sfascia un’economia, si frantuma un vivere civile, si vendono armamenti  e si tiene sul chi vive chi si ostina a dire non ci sto. Comunque, siamo a 19 mesi dallo scatenamento del complotto. Cosa ci vuole di più per rendersi conto che il popolo siriano sta con Assad e, più ancora, con la sua patria? Consapevole di essere il cuore della resistenza umana.



Siria: il regalo degli Stati Uniti ad Al Qaida, e vice-versa
Salvacondotti, armi, addestramento e…tappeto rosso fino a Damasco

Discorso di Bahar Kimyongür, portavoce del “Comitato contro l’ingerenza in Siria” (CIS), in occasione di una manifestazione organizzata davanti all’ambasciata degli Stati Uniti a Bruxelles, il  25 settembre 2012, per protestare contro la distruzione programmata della Siria da parte degli USA e dei loro alleati.  


Bahar Kimyongür, nato il 28 aprile 1974 a Berchem-Sainte-Agathe, membro di una famiglia proveniente dalla Turchia, è un attivista politico belga, ed ha militato nel Partito del lavoro del Belgio, una formazione politica marxista-leninista. 
Suo padre, un Turco della minoranza alawita araba, era arrivato in Belgio per lavorare come minatore nelle miniere di carbone di La Louvière, sua madre era una lavoratrice stagionale nelle piantagioni di cotone.
Bahar Kimyongür si è diplomato in archeologia e storia dell’arte presso l’Università libera di Bruxelles.
Bahar Kimyongür è stato oggetto dell’interesse dei mezzi di comunicazione a seguito di un procedimento giudiziario che lo ha visto protagonista, per essere uno dei primi imputati perseguiti secondo la legislazione anti-terrorismo. In buona sostanza, veniva accusato di terrorismo per avere tradotto dal turco in francese dei comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca considerata come terrorista dallo Stato turco ed inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione europea in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre.
Portato in giudizio sulla base della legislazione anti-terrorismo del Belgio, è stato condannato in primo grado di giudizio nel febbraio 2006 e in appello nel novembre 2006, poi assolto nel 2007 e nel 2009 a seguito delle sentenze di Cassazione che hanno annullato le sentenze precedenti.

È stato fatto oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Turchia.
All’affare DHKP-C e al caso Kimyongür è stato dedicato il film “Résister n'est pas un crime – Resistere non è un crimine”, un documentario di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, che ha conseguito il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo (FIFDH) 2009 di Parigi.

Bibliografia:
Bahar Kimyongür, “Turquie, terre de diaspora et d’exil. Histoire des migrations politiques de Turquie”, Éditions Couleur livres, 2008, ISBN 978-2-87003-509-2
(tradotto da Bahar Kimyongür), “Le Livre noir de la "démocratie" militariste en Turquie”, Info-Türk, 2010, ISBN 978-2-9601014-0-9
Bahar Kimyongür, “Syriana. La conquête continue”, Éditions Couleur livres (Coédition Investig'Action) 2011.

Il documento qui presentato è stato messo in diffusione da Giuseppe Zambon, il 26 settembre 2012
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Numerosi sono gli amici che ci hanno chiesto perché abbiamo scelto di riunirci davanti all’ambasciata degli Stati Uniti per difendere la pace in Siria.
Per fornire loro una risposta, cominciamo con la constatazione schiacciante, anzi con un rimprovero all’indirizzo di tutti noi, per la nostra sorprendente amnesia e la nostra cecità complice di fronte all’onnipresenza multiforme e al bellicismo degli Stati Uniti in Siria.
Davvero, siamo così condizionati dalla propaganda delle nostre élites che ci dimentichiamo chi in realtà incarni il male principale del genere umano, e del popolo siriano in particolare.
Perciò, non mancheremo di sottolineare a questi nostri amici le precedenti guerre d’aggressione che l’Impero statunitense ha scatenato, come iperpotenza colpevole pluri-recidivante di genocidi.
Con le sue 761 installazioni militari distribuite sui cinque continenti (vedi Chris Hedges, L’empire de l’illusion, Ed. Lux, 2012), questo Impero esercita una dittatura globale, senza la quale il mondo starebbe tanto meglio!
Non mancheremo di passare in rassegna l’inventario dei crimini commessi dagli Stati Uniti, a Hiroshima, a Mai Lai durante la guerra del Vietnam, a Falloujah in Iraq, a Gaza in Palestina, nella Sirte in Libia.
Denunciamo il loro uso del napalm, dell’“Agente Orange”, dei loro droni Predator, i loro tappeti di bombe riversati dai loro B-52 su intere città, l’avere finanziato e armato i “contras” e “contractors” in Afghanistan, in Guatemala, in Nicaragua, i loro golpe militari, le loro minacce, le loro sanzioni, i loro ricatti, la loro politica di corruzione degli oppositori ai regimi giudicati ostili.
Attualmente, a forza di ingozzarci di immagini tutte orientate a dimostrare a tutti i costi la barbarie dell’esercito siriano, i nostri media sono abilmente pervenuti a renderci assuefatti ai crimini degli Stati Uniti, eternamente impuniti, la cui barbarie è proporzionale ai mezzi impiegati.
Ogni giorno siamo allo stesso tempo complici e vittime, fisiche e morali, di un Impero che nel 2010 ha impiegato da solo il 43% dei bilanci militari mondiali, vale a dire quattro volte più della Cina e della Russia messe insieme.
Noi siamo a tal punto condizionati dalle immagini che ci pervengono dalla Siria, che ci mostrano le atrocità in modo assolutamente unilaterale, e dai discorsi contro la Russia, contro la Cina e contro l’Iran, che non teniamo più presenti tutte la basi navali e aeree statunitensi, i sistemi radar degli Stati Uniti, gli agenti della CIA, che operano per la distruzione programmata della Siria.

Se siete ancora scettici sulla questione del ruolo centrale degli Stati Uniti nel caos siriano, vi invitiamo a gettare uno sguardo più attento sulle operazioni in corso sul fronte nord-occidentale della Siria.
  • Nella provincia turca di Hatay, cioè ai piedi della roccaforte siriana, gli jihadisti di Al Qaida o dell’Esercito siriano di Liberazione ASL, operano a stretto contatto con i soldati dell’esercito turco di  Erdogan e con le truppe statunitensi.
  • A qualche chilometro dalla frontiera siriana, esiste una base radar della NATO, quella di Kisecik, situata sulla sommità della catena montuosa dell’Amanus. Gli abitanti del paese di Antiochia denominano questo sito come “il radar”.
  • Al punto 0 della frontiera siriana, sulla cima del Djebel El Aqra’ (il monte Cassius), la NATO è impegnata a costruire una nuova base osservatorio (fonte: Antakya Gazetesi, 28 agosto 2012). Situato sopra il villaggio siriano di Kassab, sui 1700 m. di altitudine, questo sito, da cui ad occhio nudo si possono percepire le coste cipriote, è altamente strategico. Questa installazione militare dominerà la provincia siriana di Lattaia, il che consentirà il controllo di tutta la Siria, per cielo, terra e mare.  
  • Situata a meno di 150 km dalla frontiera siriana in linea d’aria, la base militare d’Incirlik, da cui transitano gli armamenti provenienti dalla Libia con destinazione gli insorti siriani, è una delle più grandi basi aeree e di sorveglianza statunitensi di tutto il mondo.
  • Nel Golfo di Alessandretta, a meno di un miglio marino dalle coste siriane, naviglio da guerra della NATO fornisce agli insorgenti siriani informazioni e rilevamenti di natura militare.
  • Nella medesima provincia di Hatay e nella provincia vicina di Adana, la CIA dispone di centri di formazione militare riservate agli insorgenti siriani.

Se dubitate di tutto questo, vi invitiamo ad andare a leggere l’intervista concessa alla BBC da Thwaiba Kanafani, una spia che lavora per conto dell’Esercito siriano di Liberazione ASL (cf. reportage di Richard Galpin, BBC, 4 agosto 2012).

I veterani dell’Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Iraq, Libia, gli jihadisti provenienti dal Tagikistan e dallo Yemen, dalla Francia o dal Maghreb arrivano con mezzi vari, con bus e con aerei stracolmi, secondo corridoi di trasporto stradale ed aereo internazionali.   
Se dubitate di questa nuova crociata jihadista scatenata da Al Qaida, vi invitiamo ad andare a leggere l’illuminante reportage di Ghaith Abdoul-Ahad per conto del Guardian, pubblicato questa domenica (The Guardian, Syria: the foreign fighters joining the war against Bashar al-Assad,
23 septembre 2012 – The Guardian, Siria: combattenti stranieri partecipano al conflitto contro Bashar al-Assad, 23 settembre 2012).

La popolazione cosmopolita di Hatay, che mai aveva visto una sola barba salafita nella regione, assiste tutti i giorni allo sbarco di uomini all’apparenza poco pacifisti e talvolta perfino armati.
È impossibile che dei battaglioni di Al Qaida possano arrivare in modo così massiccio senza attirare l’attenzione delle truppe statunitensi o turche, che controllano palmo a palmo tutta la regione.
In ogni caso, gli Stati Uniti, che sono tanto pronti a bombardare quando notano il minimo movimento sospetto nel deserto dello Yemen o nelle montagne del Pakistan, non hanno veramente l’aria di preoccuparsi per questo afflusso di jihadisti.
Quanto all’esercito turco, non arretra davanti ad alcuna difficoltà pur di aiutare i terroristi nel saccheggiare la Siria.  
D’altronde, le catene televisive turche diffondono in diretta gli scontri militari frontalieri fra le truppe governative siriane e i ribelli, che vanno e vengono fra i campi profughi situati fra il territorio della Turchia e quello della Siria.
Al posto di raffreddare i conflitti, di impedire questo terrorismo che agisce a cavallo dei confini, l’esercito turco punta i cannoni dei suoi blindati e i suoi lancia-missili contro l’esercito della Siria.

Alcuni potrebbero obiettare che gli insorti ricevono ben scarsi armamenti dall’Occidente.
Tuttavia, su decine di fotogrammi che ci arrivano dal fronte siriano, è possibile riconoscere, branditi dai ribelli, fucili di precisione M24 statunitensi, lancia-razzi RPG russi in dotazione all’ex esercito libico introdotti via mare dalla NATO, fucili AUG Steyr austriaci, MANPADS statunitensi (MANPADS è l’acronimo di Man-portable air-defense systems ed indica un sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla) inviati dal Qatar e dall’Arabia Saudita e consegnati proditoriamente dall’esercito turco. (Fonte : Reuters, 31 luglio 2012).
La stampa svizzera informa che migliaia di granate svizzere vendute agli Emirati Arabi Uniti sono pervenute nelle mani dei ribelli siriani dopo essere state offerte ai militari della Giordania. (RTS Info, 21 settembre 2012).
Non occorre essere grandi esperti per capire come gli Stati Uniti siano presenti in tutto questo, ma in modo molto discreto, così come si sono comportati durante la guerra di Libia.

Un breve richiamo allo scenario libico dovrebbe consentire di comprendere meglio la strategia che gli Stati Uniti stanno osservando in Siria. 
Atto 1: due giorni dopo l’adozione della Risoluzione che autorizzava la creazione di una zona di esclusione aerea (no-fly-zone), una pioggia di missili da crociera statunitensi Tomahawk distruggeva le linee di difesa dell’esercito libico.
Atto 2: aerei francesi, belgi, spagnoli e britannici entravano in azione.
Atto 3: i mercenari e gli jihadisti terminavano il lavoro.
Possiamo constatare che, come in Libia, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali preferiscono tenere un basso profilo anche in Siria.
Per il momento, costoro si accontentano di far pervenire il materiale bellico, e di regolamentarne i traffici, ai ribelli siriani, materiale militare dei loro vassalli arabi del Golfo, ben inteso di fabbricazione usamericana.
Per sbarazzarsi e vendere questi armamenti ai petro-monarchi del Golfo, il protettore e fornitore usamericano non manca di agitare il fantasma di un’aggressione da parte dell’Iran. Non ci vuole molto perché gli sceicchi del Qatar e dell’Arabia Saudita si piscino addosso dal terrore lordando le loro belle tuniche da maschi (dichdacha).

Altra constatazione: grazie ai loro sistemi spionistici, gli Stati Uniti hanno aperto brecce nella fortezza siriana attraverso cui i ribelli siriani possono stabilmente installarsi nel paese sotto assedio.
Attualmente, più che un sentiero di Ho Chi Minh, è un largo viale che i servizi segreti dell’esercito turco e statunitensi hanno offerto ai ribelli.
E se gli osservatori stranieri che percorrono la zona vedono nelle mani dei ribelli solamente armamenti rudimentali o in disuso, senza dubbio è perché in quel momento l’esercito siriano sta bombardando in modo efficace le vie di approvvigionamento della ribellione, che collegano la Turchia al fronte di Idlib e di Aleppo.
Il risultato di questo attivismo statunitense, occidentale e dei paesi del Golfo sta nel fatto che i bambini della Siria vengono esposti ad un conflitto mortale, da cui nessuno potrà uscirne vincitore.
Il gigante del Nord America, che sognava di vedere un mondo arabo soggetto e diviso, mai avrebbe sperato in uno scenario migliore ad un costo così basso.

Grazie all’Esercito siriano di Liberazione ASL e ad Al Qaida, gli Stati Uniti non devono proprio impegnare le loro truppe sul fronte siriano.
Quando l’ASL moltiplica le sue angherie e i suoi crimini di guerra, alcuni si interrogano in modo legittimo sul perché gli Stati Uniti evitino di inserire questa formazione all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche, dato che in questo elenco figurano altre organizzazioni molto meno crudeli. 
È necessario ricordare che il marchio di terrorista viene imposto dagli Stati Uniti a seconda che il ribelle sia utile o danneggi gli interessi usamericani.
Prova ne sia che, su richiesta espressa della lobby sionista statunitense, Hillary Clinton si appresta a radiare dalla lista statunitense delle organizzazioni terroristiche il Mujahedin-e Khalq (MEK).
La motivazione? L’organizzazione iraniana dissidente ha aiutato Israele nella raccolta di informazioni sulle installazioni nucleari del governo di Teheran (De Standaard, 24 settembre 2012).

[N.d.tr.: Mojahedin-e Khalq (combattenti del popolo iraniano) è la denominazione di un movimento politico iraniano  tra i più attivi nell’opposizione al regime teocratico che ha preso il potere in Iran successivamente alla rivoluzione del 1979. In Iran è fuori legge.
È stato considerato per molti anni dall’Unione Europea un’organizzazione terroristica;  infatti sebbene la Corte di Giustizia Europea abbia rigettato questa definizione esprimendosi per ben tre volte contro la permanenza dell’organizzazione nella lista nera delle formazioni terroristiche, solo nel gennaio 2009 i 27 Paesi, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di cancellare i Mujaheddin del popolo, dalla lista.
Nonostante questo, ancora oggi il MEK è classificata come organizzazione terroristica da Stati Uniti e Canada, a causa della passata vicinanza puramente tattica di questi Mujahedin con Saddam Hussein, in quanto maggior avversario nella regione del regime iraniano.
Il MEK ha compiuto attentati in Iran, utilizzati dalla propaganda del governo iraniano per screditare il movimento agli occhi del popolo.
Secondo alcuni, i Mujaheddin sarebbero sostenuti ufficiosamente anche da Israele e dagli stessi Stati Uniti, che ufficialmente li considerano ancora terroristi.
Molti politici statunitensi di entrambi i partiti maggioritari, tra cui il presidente Barack Obama, si sono espressi a favore della cancellazione dei Mujaheddin dalla lista delle organizzazioni terroristiche, parlando favorevolmente del loro partito.]

A leggere i comunicati incendiari dell’Esercito siriano di Liberazione ASL a proposito di depositi di armi chimiche o della disposizione di missili balistici dell’Esercito siriano, si può pensare che gli Stati Uniti, l’Europa ed Israele abbiano incaricato l’ASL della stessa missione che hanno addossato ai Mujahedin-e Khalq iraniani.
In ogni caso, per quanto nobili siano le sue intenzioni, le sue collusioni con i “falsi amici della Siria”, le sue aspettative rispetto ad un improbabile intervento con pretesti di liberazione, il suo zelo nel volersi accattivare l’Occidente e il suo oscuro programma politico che converge con l’agenda degli Stati Uniti e dell’Europa nella regione, fanno dell’ASL una banda di mercenari allo stesso titolo dei Mujahidin e-Khalq iraniani.

Passiamo ora al nostro obiettivo determinante, vale a dire quello di contribuire alla lotta per la pace e la riconciliazione in Siria.
Noi crediamo che sia impossibile fermare lo spargimento di sangue e salvare la vita di Siriani innocenti che si trovano in entrambi i campi del conflitto fin tanto che l’Occidente non ostenterà una posizione neutra nei confronti del conflitto.
Se, come pretendono, gli Imperi occidentali sostenessero la pace in Siria, loro che non fanno altro che seminare zizzania in questa regione del mondo, sarebbero obbligati di rispettare i tentativi messi in atto dalla Russia, Cina, Iran, Venezuela, e perfino dall’Egitto.
Per il momento, è un dato di fatto che coloro che sostengono il governo siriano siano anche le forze principali che forniscono proposte concrete e realistiche.
Infatti, solo grazie alla Russia, alla Cina e agli altri paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che una missione di osservatori dell’ONU ha potuto insediarsi, che sono stati nominati mediatori internazionali, che in Siria ha potuto essere creato un  ministero per la riconciliazione, ministero alla cui direzione si trova Ali Haydar, un oppositore storico del governo di Bachar El-Assad.
Per merito di questo ministero, che fa appello a tutte le buone volontà locali espresse dal clero, dalla popolazione civile, dalla ribellione o dall’esercito, numerosi ostaggi hanno potuto essere restituiti alle loro famiglie nel quadro dell’iniziativa denominata “Moussalaha”, la riconciliazione.

Ben inteso, i nostri mezzi di informazione non parlano mai di tutto questo, …per non dare la sensazione di aderire alla “propaganda di regime”.
In questo fine settimana, ha potuto tenersi a Damasco una conferenza impensabile fino a qualche settimana fa: degli oppositori del Comitato delle Forze per un Cambiamento Nazionale Democratico (CCCND) di Haytham Manna si sono riuniti in un hôtel della capitale siriana in presenza di diplomatici russi, iraniani, egiziani, algerini e cinesi.
Eppure, il CCCND di Haytham Manna è un’organizzazione accanitamente ostile a Bachar El-Assad ed esige da questo l’abbandono del potere.
Questi cambiamenti possono sembrare spesso solo di facciata o simbolici, ma è chiaro che siamo in presenza di cedimenti  nondimeno formali  da parte del governo al potere.
Anche il presidente siriano ha lasciato la porta aperta al dialogo con la ribellione (cf. Al Ahram Al Arabi, 21 settembre 2012).
Non è possibile affermare altrettanto per l’opposizione radicale, la cui unica mira è il rovesciamento violento del potere.
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Per giustificare la distruzione della Siria, i nostri dirigenti arrivano a manipolare le disgrazie dei profughi siriani. Ci parlano sempre dei 250.000 profughi rifugiati nei paesi vicini. Ma le sorti dei profughi all’interno della Siria, che sono almeno dieci volte di più, non interessano assolutamente. La ragione principale di ciò consiste nel fatto che questi profughi dell’interno sono stati per la maggior parte evacuati dall’esercito e dai servizi di protezione civile mobilitati dal governo di Damasco.
Fra il maggio e il settembre del 2007, l’esercito libanese aveva messo in atto la medesima strategia d’isolamento della guerriglia jihadista, all’epoca dell’occupazione e della ripresa del campo palestinese di Nahr al-Bared.

[N.d.tr.: Il campo profughi palestinese di Nahr al-Bared si trova a nord del Libano. È stato distrutto dall’esercito libanese nel 2007 dopo che al suo interno si erano insediate le milizie di Fath Al Islam, estranee al campo.
Fath Al Islam è un movimento armato fondamentalista islamico salafita, insediatosi in Libano, essenzialmente nel campo-profughi di Nahr al-Bared e in Siria, qui comparso nel novembre del 2006. Il movimento sarebbe finanziato con fondi sauditi e, in parte, da fondi statunitensi, al fine di contrastare il partito guerrigliero sciita libanese di Hezbollah.
Attualmente il campo è sotto controllo dell’esercito libanese. Solo una parte dei profughi sono potuti ritornare e vivono all’interno di container allestiti dall’UNRWA.]

A Homs, Damasco e nei quartieri sicuri di Aleppo, decine di migliaia di profughi, fuggiti dal terrore dei ribelli, sono stati alloggiati in scuole, centri sportivi, chiese e moschee. Tutte queste famiglie sinistrate beneficiano di sussidi alimentari. Quando un quartiere è messo in sicurezza dall’esercito, queste famiglie possono ritornare alle loro case.
Cosa sappiamo noi precisamente di questa realtà? Nulla, perché i nostri mezzi di informazione non ne parlano. Paura di mostrare che milioni di Siriani amano il loro esercito e confidano in esso! È pur vero che …qualche migliaio di Siriani ama e sostiene i ribelli.
Ma quando i nostri media non mostrano altro che il sostegno popolare di cui gode la ribellione, evitando di parlare dei milioni di Siriani che difendono corpo ed anima l’esercito governativo (costituito da militari di leva, coscritti, dunque figli del popolo) e che lo accolgono con abbracci, distribuzione di dolci e di mazzi di fiori dopo aver cacciato i ribelli dai loro quartieri, questi media cadono in una propaganda antigovernativa, che è ben lontana dal rendere un buon servizio al popolo siriano.

Noi tutti, qui presenti, sosteniamo la fine delle violenze e il rispetto totale dell’integrità fisica e del diritto alla vita di tutti i Siriani (e dei non Siriani), civili o militari, terroristi o ribelli, bambini o adulti.
Ma siamo realisti, l’esercito non può fermarsi e cessare di battersi. Se l’esercito arrestasse i combattimenti, sarebbe condannato alla disfatta, al suo scioglimento e alle rappresaglie.
Nessun esercito accetterebbe queste condizioni. Noi abbiamo visto che quando cessa di attaccare, le sue postazioni vengono annientate da agguati e le popolazioni sotto la sua protezione massacrate dai ribelli. Per quanto paradossale e cinico possa apparire, l’esercito siriano colpisce una parte del popolo per proteggere un’altra parte.
Sarebbe riduttivo considerare che solo il clan di Assad, la comunità alawita e le sue relazioni clientelari sostengono Assad. Per quanto scioccante possa sembrare, molti Siriani che non hanno legami con il potere, pensano che Assad sia ancora troppo molle nei confronti dei terroristi.
Allora, che fare? Ammazzare i milioni di partigiani del regime per consentire che i suoi oppositori conquistino il potere, oppure raccomandare la riconciliazione?
Alimentare il conflitto in nome di una rivoluzione da tanto tempo confiscata dai suoi finanziatori corrotti, o patrocinare la pace dei coraggiosi?
Distruggere la Siria o aiutare questo paese a rimarginare le sue ferite e a dissipare l’incubo?
È bello e coraggioso difendere la democrazia in Siria.
Ancora, è necessario potersi assegnare mezzi e modi che siano moralmente e materialmente all’altezza di questo obiettivo lodevole. Se potessimo cominciare a fermare il massacro, sarebbe già un buon passo in avanti.
Nell’attesa di giorni migliori, in Siria e in altre parti del mondo, “all we are saying is give peace a chance”, tutto quello che vogliamo affermare è dare una possibilità alla pace.
Grazie ancora della vostra presenza e della vostra pazienza.

 Tél: 0485/37 35 32


2 commenti:

  1. Caro Fulvio,

    innanzitutto potevi farcelo sapere che eri uno di sangue blu e potevi procurarmi un po' di gnocca d'alto bordo dato che sono stanco di stare con la mia compagna che è una povera proletaria come me in giro su un untilitaria scassata. Ma si sa che la gente come te è egoista e tutte le sue gioie se le tiene per se... tralaltro una volta mi è parso vederti paparazzato su vanity fair mentre ti baciavi con una modella israeliana a Monaco seduto sul retro di una Jaguar... eri davvero tu?


    Parlando di cose serie comincio a pensare che la strategia sionista-imperialista sia di lungo termine, a meno che dopo le elezioni yankee ci sia qualche improvviso acceleramento dell'attacco alla siria. Loro sanno che sconfiggere l'esercito siriano è impossibile da parte dei loro mammelucchi, anche se è più difficile la situazione in siria che in libia (nonostante le dimensioni e l'addestramento dell'esercito siriano siano notevolmente a suo favore) perchè il combattiento si svolge prevalentemente in zone urbane e non sempre l'esercito siriano può utilizzare la propria potenza di fuoco appieno. Ma non credo che questa situazione possa andare avanti dato che ormai i ribelli sono ridotti ad effettuare piccole imboscate ed attacchi bomba.... cosa staranno fagocitando i nostri eroi a washington?

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  2. Finalmente di nuovo un articolo coi cazzi!

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