“La nostra politica è
quella di fomentare guerre, ma dirigendo conferenze di pace, in modo che
nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici. Le guerre devono essere
dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti sprofondino sempre più nel
loro debito e, quindi, sempre più sotto il nostro potere”. (Amschel, Mayer
Rothschild, 1773)
“Dico con tutta la forza della mia anima che il
nostro paese è realmente un paese che fa parte del quadro occidentale,
appartiene all’Unione Europea, alla NATO e questo non si mette in discussione”. (Alexis
Tsipras)
(False Flag, bandiera
falsa, era quella dei pirati che issavano i corsari di Sua Maestà per ingannare
i galeoni spagnoli da depredare. Il capitalismo anglosassone-israelita nasce e
s’impingua anche così. E continua)
Quella notte in Iraq
Chissà perché, cronisti e poi storici fissarono al 20 marzo
2003 l’inizio dell’invasione Usa-Nato dell’Iraq, illegale perché senza licenza
ONU, dunque, anche per questo aspetto tra i mille, criminale. Ero solo sulla
macchina di un autista, reperito ad Amman, che aveva già fatto, nelle
precedenti 36 ore, due andate e ritorni sui 1000 chilometri tra la capitale
giordana a Baghdad. Non so come riuscisse a tenere gli occhi aperti, nonostante
l’ininterrotto chiacchiericcio con cui cercavo di tenerlo sveglio. Infatti,
quando fummo sbalzati dai nostri sedili per l’urto contro un palo elettrico nel
fosso, gli occhi li aveva tenuti chiusi. Era la notte tra il 17 e il 18 marzo,
ero partito da Roma perché molti segnali indicavano che l’aggressione era
imminente. Il criminale di guerra Blair aveva potenziato le balle di Bush jr. e
del segretario di Stato, Colin Powell, che facevano di Saddam il detentore di
armi di distruzione di massa, di armi chimiche e il compare di Osama bin Laden
nell’attacco alle Torri Gemelle, aggiungendo che nel giro di pochi minuti
Saddam avrebbe potuto portare devastazione e morte su Londra. Fu in quella
notte del 17 marzo che l’aggressione iniziò con il lancio di due missili sull’autostrada
Amman-Baghdad, proprio sul posto di ristoro che avremmo trovato demolito pochi
minuti dopo.
Era qualcosa come la mia quindicesima visita al paese che,
mentre giravo il Medioriente per conto di giornali britannici, avevo scoperto
essere un’oasi di benessere, progresso, giustizia sociale, creatività artistica
e culturale, emancipazione delle donne, dotata di sanità e istruzione pubbliche
degne dei più avanzati paesi industrializzati. E, in più, una nazione unita
nelle sue varie confessioni, etnie, lingue, nella consapevolezza della sua
ultramillennaria civiltà, del suo ruolo di capofila dell’unità araba laica e
socialista e di bastione della resistenza all’imperialismo e al colonialismo
israeliano. Da un capo all’altro, fatta eccezione per le trame separatiste
operate nel Kurdistan iracheno, sotto istigazione e assistenza Usraeliane, da un
paio di capi-dinastia tribali, esperti di sicariato per Cia e Mossad, di
contrabbando e di traffico della droga.
Iniziava il 17 marzo del 2003 quell’operazione divide et impera che, in questi giorni,
gli stessi suoi ideatori stanno tentando di portare a termine con l’invasione
di ISIL (Stato Islamico in Iraq e nel Levante, anche ISIS, Stato islamico in
Iraq e in Siria). La frantumazione della nazione araba in tanti frammenti
etnicamente e confessionalmente divisi, è l’assicurazione sulla vita di Israele.
Il piano l’aveva messo nero su bianco nel 1982 e gli aveva dato il suo nome, il
consigliere militare del governo israeliano, Oded Yinon. Ogni successivo
proposito, intento, intervento, politico o militare, di Israele ha confermato
che il Piano Yinon costituisce il filo rosso della strategia per la Grande
Israele sionista, poi, accettata, o subita, dagli Usa delle onnipotenti lobby
ebraiche che, almeno dai tempi di Reagan, dettano a Washington la politica
estera. Perlopiù a scapito e spese, non solo dei popoli genocidiati, ma della
stessa popolazione nordamericana. Come si vede dal costo in vite, beni e soldi pagato
da quei cittadini (ma non certo dal complesso militar-industrial.finanziario
multinazionale).
Tra quel 17 marzo e l’ingresso dei tank Usa a Baghdad 22
giorni dopo, dalle finestre dell’Hotel Mansur, scarnificato dalle bombe per
trovarsi vicino al ministero dell’Informazione e, poi, da quelle dell’Hotel
Palestine, sfondate dalle cannonate degli invasori per punire giornalisti che
erano rimasti sul posto per vedere l’apocalisse, contro l’ordine di farsi
embedded nelle truppe alleate, vidi sbriciolarsi uno dei più dignitosi e nobili
paesi e popoli del mondo. Non bastava. Nei successivi 8 anni di occupazione
angloamericana, con concorso spionistico e sanitario italiano, si è dispiegato
tutto il potenziale distruttivo e assassino delle potenze che hanno allestito
l’operazione. Di fronte a una, del tutto inaspettata, resistenza del popolo
iracheno, presunto liberato dal “dittatore Saddam”, si ricorse a una nuova
pagina del Piano Yinon: la frantumazione della nazione che, unita, aveva
costruito una storia lunga 4mila anni, tra le sue tre componenti principali,
sunniti e sciti, divisi per interpretazione dell’Islam, sciti e curdi, divisi
per lingua ed etnia.
Il generale Petraeus, poi fulminato dalle intemperanze
sessuali e dall’incompetenza di Capo Cia nella protezione, a Bengasi.
dell’ambasciatore e trafficante di alqaidisti, Stevens, era arrivato alla
raffinata perfidia di scatenare gruppi sunniti assoldati (quelli del cosiddetto
“Risveglio”) contro la resistenza baathista, ora definita, con partecipazione
del coro mediatico, “terroristi di Al Qaida”. Il compenso sarebbe stato la
protezione statunitense dalle persecuzioni inflitte ai sunniti dal regime a
dominio scita da loro stessi installato con la benevola approvazione dell’Iran.
Un attentato stragista e iconoclasta alla moschea di Samarra, sacrario scita, avviò il conflitto
fratricida tra due componenti religiose che, mai in passato, avevano neppure
percepito e vissuto diversità e contrapposizionie nell’ambito della nazione.
Con Nuri Al Maliki collocato sul trono dagli Usa nel 2006, ora al terzo
mandato, l’oppressione e la
discriminazione dei sunniti sugli sciti si fa feroce. Si liquida, con invenzioni
giudiziarie o fisicamente, la componente sunnita del regime e del parlamento.
Alla catastrofe economica, sociale, infrastrutturale, alla spaventosa
corruzione degli strati alti, al saccheggio delle fameliche multinazionali, che
privano l’intero paese, ancora 8 anni dopo la vittoria proclamata da Bush sulla
portaerei, degli elementi basilari per la sopravvivenza, nelle regioni sunnite,
da Anbar a Mossul, si sommano repressione e discriminazioni che paiono
modellate sulla Palestina sotto tacco israeliano.
Dalla resistenza
nazionale alla contaminazione Al Qaida
A partire dal 2012, alla componente militare della
resistenza, in perdita di egemonia rispetto all’innesto artificioso di bande
stragiste alqaidiste, dello stesso tipo spedito contro la Siria, si aggiunge,
nelle zone sunnite, una vera e proprio rivolta di massa contro l’esclusione di
marca apartheid e lo stillicidio di esecuzioni di sunniti innocenti. Le
manifestazioni che si succedono prendono di mira anche il governo iraniano che,
valendosi dei confratelli di fede al potere, era riuscito a soffiare agli Usa
il ruolo di padrino e sponsor del regime. Ma, non trattenuto da Tehran, che
avrebbe potuto assumere un atteggiamento più lungimirante, Al Maliki affoga le
dimostrazioni nel sangue e accentua repressione ed esclusione.
E’ negli ultimi due anni che l’Iraq torna ad essere quel
mattatoio che era stato negli anni della più forte resistenza baathista.
Sfruttando risentimento e disperazione delle genti di Anbar, Falluja, Ramadi,
Diyala, Tikrit, Niniveh, Mossul, arrivano dalla confinante Siria, dove si sono
assicurati una zona franca nel nord-est petrolifero, ai confini turchi e
iracheni, i primi squadroni della morte dell’ISIL. Li spediscono i sultani del
Golfo, sauditi in testa, li addestrano gli Usa in Giordania e Qatar. Si tratta
di liquidare la prospettiva del poderoso asse scita facente capo a Tehran e che
suscita consensi e rivolte nelle stesse petromonarchie. Gli 8000 morti del 2013, un conto che verrà
superato nel 2014, sono il bottino di guerra dei jihadisti, raccolto quasi
esclusivamente nei mercati, quartieri,
moschee e pellegrinaggi in area scita, da Baghdad a Basra.
Se è facile dire da dove vengono, visto il loro imperversare
in Siria, in verità a questo punto più contro rivali jihadisti e alqaidisti di
diversa ascendenza che contro Assad, viste le direttrici seguite
dall’invasione, visti anche i depistaggi dei media imperiali, più problematico
appare far sapere chi li manda. Vista la malapartita in Siria, sia per le
mattanze tra sette jihadiste, sia per la continua avanzata delle truppe
nazionali, sia per la volontà della stragrande maggioranza dei siriani
espressasi nel trionfo di Assad in inconfutabili elezioni presidenziali, per
ISIL e i suoi mandanti occidentali e nel Golfo la sirizzazione dell’Iraq, oltre
a corrispondere al disegno del califfato tra Arabia Saudita e Iran, offre un
retroterra strategico per la ripresa dell’attacco a Damasco.
Ma è sui mandanti di una impresa talmente efficace e bene
equipaggiata, che va posta attenzione per prevedere l’esito finale. Non è
credibile che una banda di fanatici, raccattati qua e là, fin qui dotati di
miseri mezzi, ormai asserragliati in una strisca del Nord-Est siriano, avesse
le capacità militari e logistiche per un’ operazione che in una settimana si è
appropriata di quasi tutto l’Iraq tra confine turco e Baghdad. Bande di
famelici tagliagole che, a sorpresa, maneggiano in modo magistrale, oltre allo
strumento militare, i media sociali, tanto da proiettare istantaneamente in
tutto il mondo le proprie comunicazioni, hanno alle spalle qualcosa di più dei
despoti del Golfo. Su questo punto non
c’è nessun mezzo di informazione, nel coeso blocco dell’apparato della
comunicazione occidentale, che, o perché utile idiota, o perché ancella del
giaguaro, abbia puntato nella direzione giusta. Eppure bastava ricordare il
piano Yinon.
“L’eccezionalità
americana”, ribadita recentemente da Obama, “con tutte le mie fibre”, a
West Point e che rende giusta e
democratica ogni mattanza, in passato eseguita di persona (Balcani, Iraq,
Afghanistan, Libia), nella nuova strategia viene sempre più affidata (per
convenienza di bilancio e di opinione pubblica) ad armate di ventura dalle cui
nefandezze ci si può astrarre, ma i cui risultati si possono incamerare. La
tripartizione dell’Iraq coloro che volevano rivoltare il mondo arabo come un
calzino, l’avevano dunque programmata e via via realizzata, di guerra in
guerra, di rivoluzione colorata in rivoluzione colorata, col surrogato Al Qaida
dappertutto, in Somalia, Yemen, Libia, Sudan. Ma anche in Mali, Centrafrica,
Ruanda, Nigeria, Costa d’Avorio. L’hanno fallita in Algeria, insistono a
tentarla in Siria. In Iraq sarebbe dovuto bastare il feldmaresciallo Petraeus,
ma le cose erano rimaste in sospeso fino a quando Maliki non è passato
dall’obbedienza a Tehran con presidente l’ostinato Ahmadi Nejad a quella con
l’accomodante chierico Hassan Ruhani. Che ha offerto il lasciapassare
all’operazione di smantellamento dell’asse scita antimperialista
Damasco-Beirut-Tehran, sottoponendosi al diktat US-UE-Israele del blocco della
sua industria nucleare, senza, peraltro, che i suoi nemici attenuassero
minimamente le sanzioni, anzi.
L’Iran del dopo-Ahmadi
Nejad
Sono state finora insufficienti le proteste contro l’arrendevolezza
di Ruhani, nel nome della politica antimperialista e di alta qualità sociale
del precedente presidente, di un settore, detto in Occidente “conservatore”, o
“radicale”, ma in effetti nerbo
dell’indipendenza e della resistenza iraniane. Un settore che ha visto
nell’elezione dell’ex-negoziatore nucleare Ruhani (a suo tempo, da negoziatore
con l’Occidente, aveva già sospeso l’arricchimento dell’uranio, poi ripreso da
Ahmadi Nejad) l’avanzata di quegli strati della società iraniana che dagli Usa
si fecero convincere alla “rivoluzione verde” del 2009. La borghesia, ridotta a
più miti consigli dal trasferimento della ricchezza nazionale agli strati fin
lì deprivati, ma pur sempre ansiosa di partecipare ai fasti della
globalizzazione neoliberista, aveva poi subito nei suoi affari gli effetti
micidiali delle sanzioni Usa e UE. Esponente di questi strati, già
rappresentati da Rafsanjani e Khatami, ai negoziati di Ginevra con i cinque del
Consiglio di Sicurezza più la Germania, Ruhani ha ceduto quanto poteva cedere.
L’annientamento dell’industria nucleare nazionale, costata
al popolo 40 miliardi di dollari, attraverso la riduzione dell’arricchimento
dell’uranio dal 20 al 5%. Cioè al mero mantenimento in vita delle centrali nucleari
per l’elettricità. Israele, già con il coltello puntato alla gola dell’Iran,
sospende i vituperi. Per la presunta atomica iraniana ci vorrebbe un
arricchimento del 90%, mai tentato. Per gli isotopi in medicina e per
l’energia, bastava il 20%. Con questa rinuncia a un’industria essenziale, al
progresso tecnologico, a una fetta di sovranità, l’Iran, così indebolito,
doveva essere disponibile a lasciar fare
in Iraq. Anche a dispetto della formazione di un grande arco nemico dal
Mediterraneo dei Fratelli musulmani alla
coalizione petromonarchica del Golfo, fino al nuovo califfato wahabita dell’ISIL
che darebbe alla regione un assetto geopolitico del tutto inedito, in linea con
le mire israeliane e degli Usa.
Area sotto controllo ISIL
Troppo “iraniano”, Al
Maliki, e troppo filo-Assad
Al Maliki non aveva aspettato l’irruzione degli addestratissimi
e attrezzattisimi jihadisti di ISIL per denunciare che la grandinata di
attentati contro civili sciti faceva parte del cappio stretto dai tentacoli
della piovra saudita. Peggio, aveva sostenuto con volontari la lotta di
liberazione di Assad. Gli americani, la Nato, si ragionava a corte nel Golfo,
non se la sentono di radere al suolo la Siria e stanno rischiando di far vincere
l’odiato eretico alauita, nazionalista laico arabo, con il suo insidioso
modello sociale che sta alla tirannia feudale saudita come la moschea degli Omayyadi dell’VIII secolo, a Damasco, sta
a un ecomostro di Dubai? Ebbene, ci pensiamo noi. Loro ci saranno grati e ci
copriranno E’ il piano Yinon che deve essere portato avanti. Disintegrare
l’unità i vari Stati nazionali arabi va benissimo. Noi, che allo Stato non ci
crediamo, andiamo per la Umma e, intanto, instauriamo nel cuore della mezzaluna
scita un califfato islamico, affine al nostro, che comprenda larga parte di Siria,
Libano e l’Iraq, dal confine saudita a Baghdad. Che se la vedrà con gli
apostati dell’Iran.
Si può davvero concepire che l’Arabia Saudita con i suoi
partners minori, massima potenza e fornitrice petrolifera mondiale, possa agire
in assenza del consenso della massima potenza militare, con la quale i Saud
sono intrecciati e si garantiscono a vicenda fin dall’origine della satrapia?
Tanto più che è manifestamente condiviso, tra Occidente e sultani, il progetto
di impadronirsi di quella sterminata fascia di idrocarburi, allargando il
dominio dei monarchi e delle multinazionali dall’oceano petrolifero saudita ai
giacimenti nell’Est della Siria e nel Nord iracheno. Un nuovo califfato, sia per
rafforzare il fronte anti-iraniano, sia per serrare il controllo sul rubinetto
che alimenta di energia Europa, India, Giappone.
Tehran, non si sa se per astuzia o dabbenaggine, contro
l’invasione wahabita-Al Qaida ha offerto a Washington un’operazione congiunta.
Subito respinta da chi sa di avere l’asso nella manica. Poteva essere una “captatio benevolentiae”, sul tipo di
quella che ricordo degli ufficiali vietnamiti spediti alle scuole ufficiali
dell’Esercito Usa. Fu l’inizio della fine per il Vietnam di Ho Ci Minh. Oppure,
nell’ipotesi dell’astuzia, poteva puntare a stanare Obama, che depreca gli
orrori commessi in Iraq dalle bande di forsennati islamisti (i prigionieri
giustiziati in massa, i cristiani cacciati, mezzo milione in fuga da Mosul, i
1.700 ufficiali iracheni giustiziati nelle prime 36 ore, gli esercizi pubblici di musica
e alcolici bruciati, le donne intabarrate), ma non muove un dito per fermarle
e, anzi, distribuisce le sue rampogne equamente tra i cavernicoli invasori e il
premier “inetto e corrotto” Al Maliki.
Irrompono gli
ausiliari del terrorismo occidentale
Intanto, dilagando all’inizio sullo sfacelo dell’esercito
governativo e occupando provincia dopo provincia (lasciando ai compari curdi il
controllo della regione fino alla non-curda Kirkuk), ma ora apparentemente
contrastati a Samarra, alle porte di Baghdad e anche più a nord, grazie
all’arrivo di migliaia di volontari sciti, ISIL pubblicizza su tutti i social network
le atrocità che compie, gli assassinii di massa, le fosse comuni, le sevizie
alla popolazione. Perché lo fa, visto che costringe i padrini USraeliani ad
arricciare il naso e di sconcertare l’opinione pubblica internazionale? Lo fa
perché il mandato assegnatogli è quello di terrorizzare la popolazione scita,
provocarla alla reazione con efferatezze speculari e, così, ravvivare in
perpetuo il “caos creativo” della guerra civile. Guerra civile che può anche
durare e non arrivare a una formale soluzione istituzionale, come nella ex-Jugoslavia dei 7 nuovi statarelli, ma che
deve vanificare ogni ritorno allo Stato unitario iracheno attraverso una
tripartizione sostanziale sul campo, che del resto è in atto: Kurdistan (con OK
della Turchia che dal petrolio del Kurdistan, sottratto al governo centrale, si
aspetta ricche forniture), Sunnistan inglobato nel Califfato sub-saudita, e
Scitistan a consolazione di un Iran addomesticato.
Sono il coerente proseguimento del Piano Yinon, i propositi
dichiarati dalle stesse potenze al momento dell’aggressione, le linee guide di
consiglieri della Casa Bianca come Brzezinski e i Neocon, i cui programmi
bellici sono stati fatti, dal burattino Obama, ampliare e moltiplicare, a fare
di una gragnuola di indizi il macigno di una prova. Come da noi l’evoluzione
del piduismo da Gelli a Renzi. Al Qaida e i suoi affiliati sono serviti da
sicari, o da copertura degli Usa e soci in tutti gli episodi di “guerra al
terrorismo” – leggasi “guerra del
terrorismo” – dagli attentati del 1996 alle ambasciate Usa, in Kenia e
Tanzania, a Bosnia, Kosovo, Libia, Siria, Yemen, Somalia. Si tratta della
truppa di terra dell’alleanza atlantica, sempre più in auge, man mano che
l’estensione imperialista viene affidata a mercenari assistiti da Forze
Speciali e tecnologie avanzate (droni, comunicazioni). Come serve agli
israeliani del Mossad mimetizzarsi da membri di bande terroriste per colpire
soggetti e gruppi da liquidare (si pensi al recente rapimento dei tre ortodossi
a Hebron, volto a confermare l’odiosità di Hamas e fare in Cisgiordania, in
combutta con il rinnegato Abu Mazen, quel ripulisti dei non collaborativi Hamas
che il terrorismo di Stato si propone da sempre). Un riconoscimento agli ascari
alqaidisti sono anche il loro ricovero e cura in cliniche israeliane sul Golan,
quando giungono feriti dalle battaglie in Siria.
Come quelli delle altre conventicole di tagliagole, Fronte
Islamico, Al Nusrah, i “moderati” dell’Esercito Libero Siriano, anche i
combattenti di ISIL hanno avuto addestramento, all’evidenza efficiente, in
campi sotto controllo Nato.. Le immagini in rete mostrano battaglioni in
formazione che avanzano, dotati di lunghe colonne di pick-up Toyota nuovissimi,
le famose “meccaniche” con mitragliatrice pesante dei tempi somali,
di armamenti anti-carro e anti-aereo, di divise stirate, nuove di pacca. Avranno
di fronte anche un esercito sbrindellato, demotivato, diviso per confessioni
anche lui, guidato da generali felloni, ma, contro mezzo milione di soldati e
relativa forza aerea, meno di 10mila guerriglieri hanno fatto piazza pulita in
tre giorni. Neanche i blitz di Rommel. Quell’armamentario tra i briganti
straccioni in Siria non s’era mai visto. Soldi, armi e mezzi, qualunque
satellite potrebbe confermarlo, provengono da Arabia Saudita e appendici del
Golfo. Ci saranno sfumature sul ruolo regionale tra i sovrani di Riad e la
cupola di Wall Street-Washington, ma non indicano differenze strategiche, piuttosto
la ripartizione di interessi ed egemonie.
26 “dissidenti” dell’insofferenza scita in Arabia Saudita,
inclusi alcuni prestigiosi chierici, sono stati condannati a morte giorni fa “per aver fatto discorsi critici della
famiglia regnante e per aver partecipato a proteste”. La sintonia con Stati
che si autorizzano a schiacciare le proprie proteste interne e cancellare dalla
faccia della Terra interi paesi, è evidente. Nessun sospiro viene emesso dalle Grandi
Democrazie per denunciare che concetto e
che pratica abbiano dei diritti umani le dittature monarchiche. Poi ci sono le
nuove “armi letali” promesse dalla consigliera Susan Rice e confermate da Obama
alla “componente moderata” dell’opposizione militare. Sarebbe “L’esercito
libero siriano” della Coalizione Nazionale che, sul terreno, non conta più
niente, spazzato via dall’esercito nazionale e dalle brigate islamiste, resta
solo sulla carta. Dunque a chi sono andate queste “nuove armi letali”?
La dottrina
Rothschild
Seguendo la dottrina enunciata da Rothschild nel 1773 e mai
rinnegata dai governi Usa, Washington ora arma entrambi i contendenti perché si
dissanguino a vicenda. Lo teorizzò anche Kissinger all’atto della guerra
Iraq-Iran. Ai cattivoni dell’ISIL tutto l’apparato per l’invasione; droni e,
forse, qualche bomba al regime. L’avevamo già visto fare nella vicina Macedonia,
al tempo delle guerre balcaniche, quando gli Usa, per destabilizzare anche
questo residuo pezzo di Jugoslavia, istigavano e armavano entrambi gli
avversari: sia il governo unitario legittimo, sia la minoranza musulmana
albanese separatista, rafforzata da unità dell’UCK. Pare, Washington, anche
chiudere un occhio sulla riferita partecipazione alla resistenza anti-sunnita
di volontari iraniani, serviranno al massimo a preservare lo spezzone scita del
paese squartato. La guerra la pagano i sauditi, allestiscono le armate, sotto
guida Nato, i turchi, qatarioti, giordani, guadagnano i produttori di materiali
bellici Usa e Nato. In mezzo, l’ennesima carneficina e spoliazione di decine di
migliaia di iracheni.
Tra l’incudine e il martello si muove qui quella che non deve
essere una del tutto inconsistente componente degli sconvolgimenti in corso. E
la resistenza baathista che, fino al dilagare di un Al Qaida inviata dagli ufficiali
pagatori occidentali, nel 2007, era il nerbo e la direzione politica della
lotta contro occupanti e Quisling. Ora è lo stesso Izzaat Ibrahim al Duri, che
guida questa formazione ed era il vice di Saddam, a validare la partecipazione
all’operazione dei suoi militanti locali e delle tribù rimaste fedeli al
passato governo. E l’informazione del regime Al Maliki riconosce di aver avuto
di fronte, in vari scontri, le forze saddamiste del Baath. E’ una situazione
imbarazzante e anche un po’ penosa, se si pensa all’abisso che divide le
visione del mondo dell’Iraq libero da quella degli oscurantisti sub-imperiali
wahabiti. Chiamiamolo tattica, o pragmatismo. Il nemico primo è l’Iran e il
nemico del mio nemico è mio amico. Tra nazionalisti laici e progressisti
iracheni e la coalizione integralismo–imperialismo, tra i sunniti che si
affidano al Baath e quelli che contano su Golfo e Occidente, la partita è
problematica.
Concludendo, non c’è guerra degli ultimi trent’anni, fatta,
voluta, o auspicata, che non abbia visto Israele e la sua lobby soffiare sul
fuoco a pieni polmoni, anzi, prima ancora, a soffiare sulla brace, a metterci la “Diavolina”. Che si trattasse di
pretesi antisemitismo, minaccia islamica, terrorismo, Israele non cessa di
suonare campane a stormo per ricompattare una popolazione impoverita,
paranoidizzata da truffaldine minacce di olocausto, e rilanciare la foglia di
fico del vittimismo per la cospirazione globale contro gli ebrei. La lobby
mobilita destre, sinistre, GLBTQ, conflitti di genere interpretati da
caricature del femminismo come le
creature Mossad-Cia “Femen” (ancora l’altro giorno esaltate in un paginone
della lobby “manifesto”), diritti umani, Ong e la potenza nucleare dei media. Cosa
c’è di diverso tra Osama bin Laden, messo al fianco dei musulmani balcanici
contro la Serbia, o il presunto Mohamed Atta e i suoi Boeing dell’11/9, o i
tagliateste lanciati contro Libia e Siria, e gli altrettanto barbuti miliziani
della primula rossa che si presenta come Abu Bakr Al Baghdadi? Quanto ci
metterebbe una squadra del Mossad, quanto un drone di Sigonella, a fulminare il
comandante in capo?
C’era una volta l’Iraq
Quando, in Iraq, dopo la prima aggressione nel 1991, girai
“Genocidio nell’Eden” non immaginavo quali dimensioni il genocidio avrebbe assunto.
Era l’Iraq del primo dopoguerra, privato di una generazione immolatasi contro
la Envencible Armada Usa e anche
contro qualche ascaro italiano. Si stavano ricostruendo in tempi straordinari i
quartieri distrutti, la rete delle comunicazioni, tutta la rete delle riserve
alimentari e idriche, colpite con particolare accanimento. Erano i giorni in
cui le donne iniziavano a partorire creature deformi: uranio 538, sparato dagli
aerei al ritmo di 2000 colpi al minuto. E un oncologo a Basra mi mostrò la
decuplicazione dei tumori da radiazioni. Un’altra novità della boutique
d’eccellenza dei fabbricanti di armi era la “bomba all’ossigeno” che brucia
l’aria e la svuota di ossigeno. La provarono sui cento chilometri di una
colonna militare irachena in ritirata
dopo l’armistizio. Non si sono mai voluti contare i soldati asfissiati e
carbonizzati. Erano migliaia.
Ci ritrovammo a Baghdad, con gruppi di solidarietà che
tentavano di sostenere, almeno moralmente, dandone notizia, la resistenza degli
iracheni alle sanzioni. Feroci, accompagnate sotto Clinton da micidiali
bombardamenti estemporanei, mirate a uccidere per fame, sete, epidemie. La
falcidie di vite, soprattutto giovani, provocata da questo tipo di guerra
d’annientamento, causarono lo scandalo e le dimissioni di due successivi
rappresentanti dell’ONU in Iraq: l’irlandese Denis Haliday, un nostro
sostenitore, quando venimmo a fare gli “scudi umani” e il tedesco Hans von
Sponeck, da allora irriducibili accusatori dei crimini angloamericani. Non
servivamo a niente, piazzati con la pettorina ai punti strategici della
capitale. I necrofori se ne facevano beffe, ma gli iracheni ne apparivano
rasserenati. Morivano come le mosche. Un embargo più mortale di quello a Cuba,
ma contro il quale non si vide mai la
mobilitazione giustamente promossa per l’Isola. Eppure in Iraq le scuole, gli
ospedali, il lavoro, la condizione femminile, la distribuzione della ricchezza,
assomigliavano molto a quelli di Cuba.
E’ che non c’era un partito denominato “comunista”
(qualunque cosa facesse). Imperdonabile mancanza. Che Saddam se la vedesse da
solo. Quando tornai, dopo l’apocalisse, prestigiosi compagni intellettuali
insistevano a rampognarmi per il mio sostegno all’Iraq e a chi lo guidava. Direi
che ci tocca assumere una parte della responsabilità per l’ 1,5 milione di
morti da embargo, di cui 500mila bambini. Oggi, tra guerre e sanzioni, siamo
arrivati ai 3 milioni di iracheni in meno su 25. E a quattro milioni, oggi
raggiunti dalle centinaia di migliaia in fuga da ISIL, di sradicati in patria o
fuori. Il tutto completato dal fosforo bianco su Fallujah e da un aumento
esponenziale di neonati morti o malformati e di neoplasie. Lo rileviamo al
netto dell’ecatombe cronica che il popolo iracheno subisce per la catastrofe
sociale e infrastrutturale di un quarto di secolo e che l’operazione USraeliano-saudita
si ripromette ora di moltiplicare.
(Per la verità un Partito Comunista Iracheno c’era, solo che
si è spappolato quando la sua dirigenza preferì la rivoluzione islamica a
quella baathista e, nella guerra, si schierò con l’Iran. Rientrato sui
parafanghi statunitensi, si è schierato a favore del regime fabbricato da
Washington e contro la resistenza armata. Oggi è un soggetto da “Chi l’ha
visto”).
Chi vivrà…Iraq!
Ero amico, a Baghdad, della famiglia di un medico. In un
quartiere popolare lungo il Tigri aveva messo su un ambulatorio popolare,
gratuito. Cercava di rimediare un po’ alle carenze del sistema sanitario, già
il più avanzato del Terzo mondo, strangolato dalle sanzioni. Aprile 2003, gli
angloamericani combattevano per l’aeroporto di Baghdad, l’ultima grande
battaglia contro un esercito a brandelli, con armi sovietiche preistoriche. Lì,
festeggiato dalla gente e dai soldati, Saddam aveva fatto la sua ultima
comparsa. Riyad, il medico, aveva due figli adolescenti, entrambi armati,
ausiliari dell’esercito. La moglie mi giurò che se gli americani fossero
entrati, li avrebbe combattuti con il coltello da cucina. Sono certo che l’avrà
fatto. Mentre si sentivano rimbombare lontani i
tuoni di guerra, mentre all’altro orizzonte, verso il centro dei
ministeri, dei musei, dei grandi eleganti viali in stile neo-abasside, della
massima concentrazione abitativa, si levavano vampate di fuoco e di fumo, non
c’era sarto, kebabista, fornaio, oste, barbiere, ambulante, adolescente da
“struscio”, casalinga con la spesa, venditore d’acqua, scopino, che avesse chiuso, si
fosse rifugiato da qualche parte. La mia telecamera riprendeva viali e stradine
piene di luci e di vita. Come niente fosse. Perché nell’animo niente di brutto
fosse. In Iraq sotto attacco ho trovato il più straordinario perseguimento
della “normalità”. Vuol dire coraggio. Vuol dire negare al nemico il premio
della propria paura. Questo è un patrimonio che, tra tutti gli altri
obliterati, ci fa ancora credere che “Chi vivrà…Iraq!”
La sera prima di incrociare, col taxi per Amman, la mattina
del 9 aprile, le varie postazioni e colonne dell’invasore, avevo consumato su
grandi tavolate lungo il fiume, sotto le stelle e al fruscio delle acque, la
mia ultima cena in Iraq, con la famiglia allargata di Riyad, una ventina di
persone. Agli eucalipti che si stendevano sui tavoli avevano appeso lampioncini
colorati illuminati. Ci si fece beffe dell’aggressore e si mangiarono
gigantesche carpe appena sottratte al Tigri (ancora non reso semiarido per i
taglieggiamenti turchi e del tutto tossico per i rifiuti sversati dall’esercito
occupante e le migliaia di cadaveri fattivi finire). Quella Baghdad diede molto
filo da torcere negli anni successivi all’occupante. Dovevo rientrare
all’albergo, c’era il coprifuoco, non si trovava un taxi. Schianti dappertutto.
Riyad tira fuori la sua macchina e mi affida alla figlia e a una sua amica.
Rischiano sette chilometri tra i botti e la nebbia da macerie, ma mi riportano
al “Palestine”.
Fu l’ultimo giorno in cui si poteva uscire da Baghdad prima
che l’invasore l’avesse controllata tutta. Mi capitò di viaggiare a lungo
dietro a un pullmino con targa d Stato. All’unico posto di ristoro tra Baghdad
e il confine giordano, che all’andata avevo visto collassato sotto le bombe, ma
che era già risorto a forza di assi e plastica, incontrai i due passeggeri del
pulmino. Due ragazzi sui trent’anni che viaggiavano per conto di un Ministero
degli Affari Palestinesi che non c’era più. Ma loro eseguivano l’ultima
missione ordinata: portare in Palestina quei ricorrenti 20mila dollari che
l’Iraq offriva a tutte le famiglie la cui casa fosse stata distrutta dagli
israeliani, o che avessero avuto un martire. Me lo dissero sopra l’ultima tazza
di tè iracheno che abbia bevuto. In questi giorni, Israele sta consumando,
contro quell’Iraq, la vendetta finale. Agli Usa, esitanti perché malfermi, Wall
Street reitera l’ordine della piovra con stella di Davide. Obama obbedisce e
cerca di cavarne qualcosa. Sinistre del né-né, copritevi il capo di cenere.
I quattro docufilm in dvd, di cui avete visto le copertine, sono tutti ancora disponibili scrivendo a visionando@virgilio.it
Caro Fulvio, forse il più bello, il più lucido e il più toccante tra tutti i pezzi tuoi che io abbia mai letto. Difficile aggiungere un commento che non sia un semplice grazie. Sono certo che venti milioni di iracheni direbbero lo stesso. E lorsignori, alla fine, perderanno, e perderanno malamente anche se oggi sembra tutto irrecuperabile.
RispondiEliminaSaluti,
Stefano
Grazie, Stefano, ma non esageriamo...
RispondiEliminaDavvero, senza adulazioni, quando parli di Iraq ti si illumina la scrittura. Shukran!
RispondiEliminaGrande articolo Fulvio, che ho provveduto a pubblicizzare sul blog del Fatto Quotidiano.
RispondiEliminaSinceramente non pensavo che Tsipras arrivasse a tanto: credevo fosse una persona onesta con la quale si erano imbucati i venduti italiani come Vendola. E pensare che l'ho pure consigliato agli indecisi che non volevano saperne del M5S!
Grazie, Mauro. Già, Tsipras, con Syriza, aveva alle spalle tre anni di formidabili lotte e risultati. Ma la combinazione della triade Bilderberg-massoneria-Sel puzzava dall'inizio. Ovvia la lista di disturbo contro i Cinque Stelle. Le False Flag sono ormai una pratica generale. Vedi Renzi, peraltro più scoperto.
RispondiEliminaGrazie, Mauro. Già, Tsipras, con Syriza, aveva alle spalle tre anni di formidabili lotte e risultati. Ma la combinazione della triade Bilderberg-massoneria-Sel puzzava dall'inizio. Ovvia la lista di disturbo contro i Cinque Stelle. Le False Flag sono ormai una pratica generale. Vedi Renzi, peraltro più scoperto.
RispondiEliminaLa posizione di al-Douri mi colpisce molto. In tutta questa storia, è la convergenza baath-ISIS a stupirmi più di ogni altra cosa.
RispondiEliminaL'altra questione è che al-Maliki e gli sciiti iracheni hanno aiutato molto Assad, soprattutto nell'ultimo anno, quando la provincia di Anbar era stato teatro appunto di una sollevazione "anti-sciita" e da Bagdag sono arrivati uomini e mezzi di rinforzo. Secondo me al-Maliki oggi paga soprattutto questo "aiuto". Inoltre proprio il passo indietro compiuto dai ribelli siriani negli ultimi mesi e lo "sconfinamento" di ISIS in Iraq, dimostra quanto la situazione di Iraq e Siria sia strettamente connessa e quanto nella Mezzaluna fertile si giochi il "great game" del terzo millennio.
Ciao Fulvio,
RispondiEliminaottimo servizio, riesce a far rivivere quelle esperienze di giornalista sul campo come fossero recenti. Risulta evidente la tua passione nella descrizione di un eperienza drammatica, ma che rende giustizia ad un popolo che contrariamente al senso comune diffuso subdolamente da molti media nostrani, non ha avuto per decenni conflitti etnici e religiosi, dimostrando una grande dignita' e maturita'. Una resistenza piegata solo dai bombardamenti al fosforo e dalle distruzioni ("vi riporteremo al medio evo" minaccio' uno degli esportatori di democrazia, James Baker, nel 1991) di un paese moderno ed avanzato, nel quale vivevano scienziati ed ingegneri preparati. Destino simile a quello della Yugoslavia, smantellata dopo 10 anni di embarghi e tre guerre, con buona parte della sua classe dirigente eliminata fisicamente od imprigionata nelle carceri.
Non so perchè, ma è saltato un commento che affermava che, sull'immigrazione, Casa Pound avrebbe capito tutto. Nel senso che, come io credo, l'immigrazione è una manovra Usa, oltrechè contro i popoli da liquidare e il capitalismo anti-lavoratori da potenziare, specificamente contro l'Europa. Ma c'è una differenza di fondo. Casa Pound è fascista e perciò non anticapitalista e permeata del razzismo dell'uomo bianco e della sua superiore civiltà.
RispondiEliminaArticolo da fare leggere in tutte le scuole e università italiane. Quello che mi risulta difficile da capire è il motivo (al di là del divide et impera imperialista) che ha impedito dei rapporti normali fra l'iraq di Saddam e l'iran rivoluzionario. A mio parere, se non ci fosse stata la guerra, i due paesi avrebbero potuto costituire un asse antimperialista e, insieme alla Siria e ad un Libano con un forte Hezbollah, dare un forte sostegno congiunto al popolo palestinese, che avrebbe evitato di rivolgersi a fratelli musulmani e paesi del golfo. Tutto ciò soprattutto dopo la morte di Khomeini e l'avanzata di leader più pragmatici in Iran.
RispondiEliminaAscoltiamo parliamo bla bla bla ma che facciamo? Stiamo in vacanza a Guantanamo! Sole a strisce e manganellate stellate! Neanche hanno bisogno di venire sulle coste a razziarci coi "barconi" al prezzo di tremila euro dollari! Siamo qui belli e pronti per essere mangiati dai cannibali. Ma finché mangiamo noi, facciamoci mangiare. In italia non c'è neanche bisogno che scatenino una guerra "civile". Già ci possiedono dal 13 agosto del 1943. Allmeno adolfo non ci ha bombardato.
RispondiEliminaTTIP e TISA e vai collu$A! SI.AI.EI!
Collo spirito e col corpo li aborrrrrrrrrrro!
morgana
non ci sono cazzi di sorta difronte allo sfacelo imperialista(alias globalizzazione ,alias democrazia) i comunisti non possono riprendersi dall'oblio senza una rilettura positiva dello stalinismo,ha sempre avuto ragione a lasciamo fare al capitalismo e si distruggerà da solo, la consapevolezza comunista riprenderà vigore spontaneamente,perciò i fasci e i finti sinistri si arrogano le nostre prerogative,hanno paura.
RispondiEliminaSe Casa Protetta ha capito il problema ha capito anche che la soluzione è il comunismo,non ci sono cazzi di sorta
rossoallosso@
RispondiElimina"Lasciamo fare al capitalismo, si distruggerà da solo"???
E' la posizione che ci ha rovinato.
A parte il fatto che se dovesse pure riuscire, dopo generazioni e generazioni di vittime, a distruggersi, insieme a se avrebbe distrutto il mondo.
O la tua era una facezia?
non credo di aver scritto una castroneria ho riportato una verità storica detta da Stalin quando l'URSS doveva essere la Nazione guida del comunismo non per niente lo sfacelo è iniziato col revisionismo e la demonizzazione Kruscioviana accettata da tutti i partiti comunisti europei,solo Hoxa e il KKE mantennero la linea.Visto che il comunismo non lo si può esportare con le bombe non ha colpa Stalin se i figli rinnegano il padre perciò dico che se ci si vuole riappropriare delle nostre istanze non si può farlo senza una rilettura positiva e propositiva dello stalinismo lasciando ai fasci e ai "sinistri" la vulgata del "dittatore sanguinario"
RispondiEliminaL'immigrazione incontrollata e illegale ma voluta da Obama si sta svolgendo anche negli USA dove torme di centro-americani entrano e vengono accolti (rifocillati) in Texas, Arizona e New Mexico.
RispondiEliminaDall'inizio dell'anno ben 60 mila minorenni sono entrati negli USA da Guatemala, Salvador, Honduras senza accompagnatori. Ci sono autobus che li prelevano dai villaggi d'origine alcuni dei quali sono quasi del tutto svuotati e li riversano a ridosso del confine americano. Gli stessi americani sono sconcertati anche perchè già s'accorgono che questi alieni hanno più diritti degli autoctoni.
Forse che questa è la futura carne da cannone da addestrare per la guerra alla Russia, cui viene promesso in compenso (come fece il nostro ministro della Difesa Mauro) la cittadinanza ? Una simile ciurma di mercenari allogeni in armi costituisce pericolo per l'esistenza degli autoctoni ormai rammolliti e inservibili.
Rossoallosso@ Ho qualche dubbio sull'incondizionata approvazione di Stalin, facendo salvi i suoi meriti. Ma credo che qualche problema nell'URSS sia iniziato prima di Krusciov, con i processi ai grandi protagonisti, con Lenin, della rivoluzione. E i comunisti nel mondo sono rimasti fregati dalla dottrina del socialismo in un solo paese. Pensa alla Grecia, alla Spagna, all'Italia in mano ai partigiani. La maggioranza dei partiti stalinisti nel mondo hanno poi dato pessima prova di sè. Dal Cile, all'Argentina, dall'Egitto all'Iraq e all'Italia. E semmai da Lenin che bisognerebbe ripartire
RispondiEliminaAggiungo poi che gravissima è stata Yalta, con la ripartizione del mondo in sfere di influenza. Noi e tanti altri siamo rimasti abbandonati e traditi.
RispondiEliminaLasciare fare al capitalismo (ormai degenerate in imperialismo)...una frase che fa venire I brividi proprio a pochi giorni dal centenario dell'inizio della prima Guerra mondiale, dove per la prima volta nella storia milioni di operai e contadini dei paesi piu' "civili" hanno ricevuto una cartolina e mandate a spararsi fra di loro. Un tetro presagio mi venne quando nel 2011 a cento anni esatti dalla Guerra di aggressione alla Libia l'imperialismo ha replicato la Guerra di conquista a danno dello stesso paese, questa volta progredito economicamente e socialmente in controtendenza con quello che succede sull'altra sponda del mediterraneo. A proposito, avete sentito la propaganda Rai a favore di un Unione Europea "Che non ha un vero esercito" edulcorando la pillola parlando dell"inno alla gioia" come inno di questo "gioiosissimo" Stato Europeo? Da voltastomaco ma molto inquietante...
RispondiEliminaPs. condivido le osservazioni di Fulvio riguardo alla dottrina in un solo paese. Se da una parte e' vero che l'Urss doveva pensare a sopravvivere, bisogna anche dire che la pace di Yalta era valida solo per l'Europa, mentre in Asia gia' nel 1950 la Guerra indiretta contro l'Urss riprendeva in Corea. I risultati dei partiti stalinisti nei paesi citati sono evidenti. Partiti e patrimoni di lotta e di organizzazione sociale distrutti in pochi anni dopo l'1989.
RispondiElimina"Profonda sintonia" con Alex1. E anche con Federico.
RispondiEliminaE' sparito il commento di Federico L.
RispondiEliminaMe lo rimandi?
Ma io non ho affermato di sostituire Lenin con Stalin,è un'idiozia.Sostengo semplicemente che in un momento storico come questo in cui il capitalismo sta mostrando la sua faccia più feroce i conservatori usano lo Stalin propagandato dai trotzkisti per togliere consenso al comunismo e qui si dovrebbe accettare una critica seria sullo stalinismo evidenziando sia gli errori che gli onori riportando il tutto nel contesto storico in cui è avvenuto.
RispondiEliminaSul concetto di comunismo in un solo paese mi viene in mente la Cuba di Castro dove non ha certo necessitato di "purghe" e per ciò che rigurda l'italia non ha colpa stalin se "il migliore" ha ordinato di deporre le armi o doveva forse prendersi il mondo sulle spalle come fanno gli americani?Come si può sostenere una rivoluzione socialista dove i 3/4 della popolazione è fascista,con tutti i problemi irrisolti che aveva a casa sua. Più che esser stati abbandonati siamo che noi che abbiamo abbandonato,basta guardarsi intorno.
Dunque, per riprendere un commento precedente, ad Agosto di quest'anno 2014 ci aspetta la replica della drole de guerre del '14. C'è da dire che gli attori ci sono tutti e si stanno preparando per tempo: per il gran finale, intendo...saremo noi che ne faremo le spese, perchè le tasse che stiamo pagando servono solo ed esclusivamente a questo: alla guerra prossima ventura.
RispondiEliminaCaro Fulvio, grazie davvero per il tuo reportage dall'Irak: il calore umano che hai testimoniato è lo stesso che ho avuto anche io con amici libanesi ed egiziani che andai a trovare ad Alessandria e prima a Beirut e che mi ha fatto vergognare di essere occidentale e cittadino di un paese così laido e dedito al meretricio politico come l'Italia e sopratutto privo di una società, una vera societas humana: solo danè e odio e viltà. Un abbraccio.
Rossoallosso@ Per chiudere questa discussione, che vede di fronte opinioni piuttosto consolidate, ricordo solo che Togliatti, diversamente da Gramsci, fece esattamente quanto Stalin gli ordinava alla luce dell'assegnazione dell'Italia alla sfera di dominio occidentale. Quanto ai trequarti di italiani fascisti che avrebbero reso impossibile la rivoluzione, mi pare una spiegazione di comodo, visto che le forze di sinistra, grazie ai partigiani, avevano in mano il paese, non fosse stato per una classe dirigente serva degli americani e per un PCI consociativo fin d'allora. Ricordare i freni del PCI quando l'Italia migliore insorse in massa dopo l'attentato a Togliatti e al momento del tentativo autoritario di Tambroni. Non c'è niente da salvare di quel partito, se non le ottime masse che ci credevano. Gli attuali eredi del PD, nuovo partito di massa del capitalimperialismo, sono stati covati in quel nido.
RispondiEliminaInteressante la situazione in Irak dove il leader del paese per anni con il consenso degli americani cerca di coinvolgere "le alter etnie". Sarebbe bene ricordare che la classe dirigente di etnia sunnita, ma che riusciva bene o male a tenere l'unita' del paese e' stata in buona parte uccisa dal boia, eliminata in attenntati, o "sepolta" nelle carceri. Mi viene in mente Tareq Aziz, processato tre volte con tre diverse imputazioni ed una condanna a morte ancora sulla sua testa.
RispondiEliminaIo sto con rossoallosso
RispondiEliminaNon perdiamoci in ciance. “Sperare” che il capitalismo, cioè i “conduttori” della Terra, che abbiamo lasciato liberi di distruggere Tutti e Tutto, Obanana, Merdel, $trenzi e kapòcolleghi, cambi è PURA FOLLÌA. L'arma, l'unica, è la MONDIALIZZAZIONE DEL RIFIUTO LAVORO SUBORDINATO. Solo UN Con cetto da tenere a vista nella mente. Tutto il resto è TROJA.
Intruglioni contro Coglioni. Vincono gli intruglioni, of course. Obanana, Merdel, Strenzi e suCIA & Co.Kapò.
Abu Mazen: chi ha fatto fuori Arafat col polonio? Polonia?
Il colmo dei colmi: polizia palestinese gudata dal prode collaborazionista, contro il Civili Palestinesi per un autorapimento! Tutto il mondo è il paese delle mele marce o degli avocados avariati!
SONO MOOOOOLTO ARRABBIAAAAAATA!
morgana
Personalmente non mi stupisco dell'alleanza Al-Douri-ISIL. Perché credete che quell'uomo sia ancora vivo dopo 11 anni di clandestinità? I suoi compagni del governo baathista sono tutti morti o in prigione. Quelli sì che erano veri patrioti fedeli all'ideale della rivoluzione panaraba. Al-Douri si è venduto agli americani, questa è la verità. Smettiamo di considerarlo l'erede di Saddam. Ciò non toglie che la minaccia iraniana non è un'invenzione americana o sionista. L'espansionismo persiano dura dai tempi di Ciro il Grande passando per i Safavidi fino a Khomeini. Il popolo iracheno si trova a dover combattere su due fronti: difendere la propria indipendenza dall'imperialismo occidentale e difendere la propria identità dalla "persianizzazione" ad opera dei collaborazionisti sciiti. Non è facile. Molti hanno finito per schierarsi da una parte o dall'altra, per interesse, per strategia, per disperazione. Ma la via giusta è quella indicata da Saddam, né con gli americani contro l'Iran né con l'Iran contro gli americani, ma per se stessi contro ogni oppressore.
RispondiElimina"Raid" Israeliano contro la Siria. Come al solito sconfitti gli islamisti sunniti che adesso si riversano in Iraq entrano in scena direttamente I mandanti.
RispondiEliminagrazie Morgana per il
RispondiEliminasostegno ma meglio lasciar perdere non c'è trippa
Sono i Gatti che mancano, la trippa c'è!
RispondiEliminaComunque,
Proposta a Fulvio Grimaldi o a Incognito.
Docu su:
come la raccontano loro
come la raccontiamo Noi
le prove a loro discapito
Foibe, Katyna, Timisoara, ecc. ecc. ecc.
La loro mossa è sempre la stessa. Fabbricano un falso accadimento accusando il nemico di turno del misfatto prodotto dagli accusatori per bombardare ammazzando i civili di una nazione sovrana. Ultimo virus prodotto: la guerra civile di religione o di nazi-fascismo, di cui sono i degni eredi. In fin dei conti applicano il Keynesismo, Bellezze!
morgana
Putin mostra il suo vero volto? La rinuncia all'intervento militare in Ucraina con la scusa di una escalation nucleare è chiaramente una bufala,il suo intervento in Crimea lo dimostra,la verità è che la Crimea è irrinunciabile in una visione di spartizione imperialista mentre non lo è il Donbass con i suoi partigiani dalle bandiere troppo rosse. Cambierà idea quando dovrà affrontare la "rivoluzione Maidan " a Mosca ma sarà troppo tardi
RispondiElimina@Morgana,
concordo in tutto
Morgana@
RispondiEliminaIo purtroppo non concordo in niente e resto attonito davanti a tale assist alle Pussy Riot e ai necrofori imperialisti. Si auspica una visione un po' più complessiva e meno manifestaiola.
Morgana@
RispondiEliminaLa rivoluzione Maidan a Mosca l'hanno già tentata, ma gli è andata buca. I russi la sanno più lunga. Comunque interessante, a "sinistra", una tale rivalutazione del complotto nazi-imperialista di Kiev.
non mi sono spiegata...io non sto dalla parte delle pussy, tantomeno sono manifestaiola. Vorrei ci fosse una documentazione che ovviamente io non sono all'altezza di fare sulle bugie secolari dei carnefici capitalisti seguaci di quel M'Io dal triplice ignome. E' proprio legge do Fulvio Grimaldi che ho appreso le Verità su Katyn, timisoara, ecc. ecc. e mi piacerebbe che sapesse anche chi non sa...
RispondiEliminaari morgana
Condivido il pensiero su Putin: grande statista, grande patriota, ma la determinazione nella lotta dei popoli nel Donbass troppo "rossi" o comunque troppo autonomi evidentemente spaventa la borghesia russa che vuole, almeno per il momento i negoziati per il gas con l'UE ed avere il pagamento da parte degli arretrati. Sappiamo dalla storia che pochi mesi prima dello scoppio dei due conflitti mondiali, Germania ed Inghilterra ancora commerciavano fra di loro senza problemi.
RispondiElimina@Fulvio
RispondiEliminaSe ben ricordo anche gli "arancioni " già hanno tentato,fallendo,in Ucraina,poi si sono vestiti di nero e ce l'hanno fatta grazie all'immobilismo(tradimento?) del Presidente dismesso seppur vincente in regolari elezioni.
E qui sta il punto,con la democrazia non si va da nessuna parte contro chi la usa o la dismette a suo piacimento,si perde sempre e la merda aumenta ,Putin inevitabilmente se la ritroverà in casa.Unico baluardo difensivo i comunisti ,quelli veri,quelli che non esitano ad imbracciare le armi e se Putin se la vuole cavare credo sia obbligato a coccolarsi questi anche se gli fanno schifo.
Ad ogni modo aldilà della fondatezza o meno delle mie impressioni oltre alle invettive portresti proporre una tua lettura oggettiva dei fatti perlomeno farmi capire l'utilità di simile strategia per me misteriosa
rossoallosso e morgana@ Veramente di "invettive" non ne ho viste, lette o scritte in questi commenti. Le uniche invettive mi sono sembrate quelle contro Putin, inerenti all'isteria russofoba che unisce in coro imperialista sinistri e destri. Conta che Putin , per come ha rimesso in piedi la Russia dopo la svendita di Eltsin, gode di un consenso popolare come nessuno prima di lui e dopo Stalin. L'idea che temerebbe di incorporare i russi del Donbass perchè troppo rossi è davvero bislacca, un processo alle intenzioni. Senza Putin, la Siria non esisterebbe più. Ditemi di un altro ostacolo all'avanzata del nazi-imperialismo, con tutte le sinistre comuniste del mondo sderenate o consociative.
RispondiEliminarossoallosso e morgana@ Veramente di "invettive" non ne ho viste, lette o scritte in questi commenti. Le uniche invettive mi sono sembrate quelle contro Putin, inerenti all'isteria russofoba che unisce in coro imperialista sinistri e destri. Conta che Putin , per come ha rimesso in piedi la Russia dopo la svendita di Eltsin, gode di un consenso popolare come nessuno prima di lui e dopo Stalin. L'idea che temerebbe di incorporare i russi del Donbass perchè troppo rossi è davvero bislacca, un processo alle intenzioni. Senza Putin, la Siria non esisterebbe più. Ditemi di un altro ostacolo all'avanzata del nazi-imperialismo, con tutte le sinistre comuniste del mondo sderenate o consociative.
RispondiEliminarossoallosso e morgana@ Veramente di "invettive" non ne ho viste, lette o scritte in questi commenti. Le uniche invettive mi sono sembrate quelle contro Putin, inerenti all'isteria russofoba che unisce in coro imperialista sinistri e destri. Conta che Putin , per come ha rimesso in piedi la Russia dopo la svendita di Eltsin, gode di un consenso popolare come nessuno prima di lui e dopo Stalin. L'idea che temerebbe di incorporare i russi del Donbass perchè troppo rossi è davvero bislacca, un processo alle intenzioni. Senza Putin, la Siria non esisterebbe più. Ditemi di un altro ostacolo all'avanzata del nazi-imperialismo, con tutte le sinistre comuniste del mondo sderenate o consociative.
RispondiEliminaMah! Bisognerebbe chiederlo ai Partigiani ucraini che ne pensano dell'idea bislacca,stanno morendo come mosche e più si prolunga il "cessate il fuoco" più ne muoiono, vera pulizia politica,non ne lascieranno vivo uno che sia uno,se va bene qualche profugo,stranieri in patria.
RispondiEliminaPer me è la fine delle illusioni,non si può sconfiggere il capitale con le armi del capitale,elezioni,referendum,tutte stronzate e ciò vale anche per Grillo,abbiamo di che lamentarci di brogli e porcate varie ma il risultato è quello che abbiamo visto.Il Governo della Repubblica di Moldova ha appena ratificato l'adesione all'UE evitando accuratamente il refendum popolare sapendo di uscirne sconfitto.Putin governa la Russia è vero ma lo stanno circondando e se lui è il baluardo è un baluardo che fa acqua da tutte le parti.Stalin ha assunto decisioni antidemocratiche sbattendosene della "comunità internazioale", quello che si dice un decisionista,qualcuno si offende se definisco Putin " Ragionier Tentenna"?
Cosa dite della manifestazione di Amnesty, CGIL, salam ragazzi dell'olivo e compari (5 luglio a Vicenza) con tanto di digiuno apparentemente a sostegno dello sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi che richiede "l'immediata liberazione dei tre ragazzi di Hebron" in cambio della liberazione o quanto meno di (udite udite!) un "giusto processo" ai 200 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane? Non sa di opportunismo e di democratically correct, andando di fatto a sostenere la legittimita' dell[occupazione militare israeliana con la costruzione di muri e lo smantellamento, lento ma inesorabile, dei villaggi palestinesi, ma solo denuncandone casomai "gli eccessi" dell'azione repressiva preventive dell' "unica democrazia" del Medio Oriente, come se una prigionia a carico di migliaia di giovani palestinesi fosse un evento naturale ed comunque accettabile se sancita da un tribunale israeliano? Incoraggio tutti a denunciare e boicottare tali organizzazioni, pacifiste nei confronti delle vittime, ma pronte a ringhiare contro I "paesi dittatoriali" presi di mira dalle potenze imperialiste. Piu' onesta sembra invece una manifestazione a favore degli ucraini del Donbas a Verona il 1 luglio, con tanto di partecipazione di esponenti del partito comunista ucraino al centro Tommasoli. Scusate se faccio un po' di pubblicita'.
RispondiEliminaAlex1@
RispondiEliminaNon si poteva dire meglio
Rossoallosso@
Il problema è che bisogna confrontarsi con la realtà, non con un mondo di sogno, sennò si finisce col menar il can per l'aia. Come successo ai duri e puri dell'emme-elle. E' una lezione di Marx e pure di Lenin. Studiamoli piuttosto che trovare il pelo nel l'uovo dell'esistente. Marx stava perfino con i feudatari indiani che si ribellavano al colonialismo britannico e Trotzky sosteneva l'imperatore del Brasile contro il Portogallo.
Fulvio permettimi un'ultima replica solo per spiegare il motivo per cui,con tutto il rispetto,questa volta non ti comprendo.Non credo si tratti di purezza e nemmeno di pelo nell'uovo è semplicemente la constatazione della realtà,non conosciamo i veri motivi per cui Putin ha abbandonato il Donbass ma ne possiamo trarre le dovute conseguenze che sono di un segno di debolezza che scatenerà un effetto domino.Chi avrà più il coraggio di ribellarsi?
RispondiEliminaMi spiace ma proprio non comprendo
Rossoallosso@
RispondiEliminaChiudo anch'io l'argomento che mi pare intorno al sesso degli angeli.
Sto mettendo nel blog un nuovo pezzo su Ucraina, Iraq, mondo, in cui si tratta il tema Putin.
Ma soprattutto, chi ti da la certezza che Putin abbia abbandonato il Donbass? Non credi che se quelli resistono sia anche perchè ricevono sostanziosi aiuti dalla Russia, come parecchie fonti affermano? Non c'è mica bisogno che Putin proclami ai quattro venti di intervenire. Fornirebbe solo benzina alla russofobia.
Ancora un "pong" al "ping" di rossoallosso. Quando parlo di realismo, penso al fatto che la Russia spende il 7% per la difesa di quanto la Nato spende per l'offesa. Putin ha dovuto dedicare la massima parte delle risorse del paese alla ricostruzione della Russia devastata da Eltsin e al miglioramento delle condizioni di vita di un popolo depredato. In queste condizioni dovrebbe rischiare una deflagrazione mondiale?
RispondiEliminaAncora un "pong" al "ping" di rossoallosso. Quando parlo di realismo, penso al fatto che la Russia spende il 7% per la difesa di quanto la Nato spende per l'offesa. Putin ha dovuto dedicare la massima parte delle risorse del paese alla ricostruzione della Russia devastata da Eltsin e al miglioramento delle condizioni di vita di un popolo depredato. In queste condizioni dovrebbe rischiare una deflagrazione mondiale?
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