«Prima di tutto vennero a
prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a
prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a
prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi
vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»
Martin Niemöller (1892-1984)
Operazione Coronavirus, scusa un attimo
Sorvolo per il momento sul focolaio di carognavirologi e
carognamediatici e carognapolitici che dovrebbe fare da innesco al dilagare di
un incendio, globale come tutti gli altri crimini contro l’umanità, programmato
per incenerire quanto ci resta di libertà, socialità e vivere collettivo. Siamo
davvero alla più massiccia esercitazione dell’arma fine del mondo mai compiuta,
sia in termini di avvio dello scontro finale con la Cina e la sua Via della
Seta, che poi significa evitare la fatale (nel senso della logica storica,
geografica, culturale e, quindi, del destino) congiunzione eurasiatica, contro
l’insensata, artificiale, forzata e letale aggregazione subalterna
transatlantica.
Ma devo dire due parole su un simbolo dello scontro in atto
tra libertà individuale e collettiva (a 75 anni dalla fine delle dittature
europee siamo a questo punto!) e su come questo simbolo, maestoso, incorrotto, di
un coraggio senza uguali nel mondo cui appartiene, capace di raccogliere il
sostegno, l’indignazione e la commozione di milioni di persone perbene, viene
pugnalato alle spalle da chi si professa dalla parte dei giusti e delle
vittime.
Assange come lo vedono gli umani
Sabato un gruppo neanche poco folto di romani s’è riunito
in Piazza del Popolo per ricordare, onorare, sostenere Julian Assange. Erano
gli “Italiani per Assange”. Lo stesso a Milano, il Comitato per Assange, in
Piazza Liberty, domenica. Nelle stesse giornate a partire da Londra, una grande
marcia è stata dedicata al giornalista vindice della libertà di stampa e di
espressione e rinchiuso per queste colpe in un carcere di massima sicurezza in
attesa di estradizione in una prigione Usa per 175 anni, sotto 17 accuse di spionaggio
e rivelazione di documenti classificati. In tutto il mondo persone custodi
dell’onesta percezione e trasmissione della realtà si sono mosse nello stesso
senso. Persone perbene, impegnate per il bene massimo che rende dignitosa e
vivibile la vita: la verità, il poter vedere e capire la differenza tra male e
bene, giusto e ingiusto, vero e falso. Il poter attribuire responsabilità,
negare l’impunità. Quindi, borghesi, operai, studenti, intellettuali, poeti,
scienziati, comunisti, socialisti, liberali, vagabondi, animalisti, destri,
atei, religiosi…. giornalisti.
Non tutti. In Italia pochi frammenti di un discorso che
infastidisce, reazioni rituali. Come quasi sempre in Europa, in Occidente, nei
media “mainstream” (per dire “di regime”), se non per fortuna qualche
volta nei social, la categoria dei “comunicatori” ha saputo dare il meglio
dell’ignavia, dell’opportunismo, del servilismo, dell’ignoranza. I migliori
erano comunicati secchi, qualcuno con un veloce riferimento all’eventuale
minaccia alla libertà di stampa, sulla prima udienza lunedì in tribunale per il
no o sì (garantito) all’estradizione nelle Guantanamo della belva colpita da
Assange. Da Assange e da chi, ora donna, gli ha fornito gran parte delle
informazioni che la belva l’hanno spogliata delle sue tonache e dei suoi sai:
Chelsea Manning, dopo 7 anni di galera, ora di nuovo incarcerata perché,
eroica, si rifiuta, “fino alla morte” ha giurato, di testimoniare contro
Julian davanti alla schifezza di un Gran Giury segreto. E predeterminato.
Alla
luce della fervida predilezione del “manifesto” e del nume Soros per certe minoranze,
almeno la transgender Chelsea avrebbe dovuto meritarne, se non altro, un po’ di
solidarietà. Ma c’è evidentemente transgender e transgender.
Il meglio di sé l’ha dato un giornale che in ogni pagina,
ogni titolo, ogni riga, rinnega quanto figura nella testata: “quotidiano
comunista”. Sono abituato, per annosa consuetudine, alla lettura di questo organo,
che richiederebbe da chiunque di essere demistificato e sottratto alle
illusioni dei suoi sempre più contaminati lettori, ad affrontare giornalmente
le prove dell’allineamento del “manifesto” con le direttrici (o direttive?)
atlantiche. Neanche solo di Washington, tipo Giovanna Botteri o Vittorio
Zucconi, neanche solo del corrottissimo e guerrafondaio partito obamiano, per
il quale ha a suo tempo condotto una campagna invereconda per la signora del
genocidio libico, Hillary Clinton.
Un po’ equidistante, un po’ né-né, un po’ Soros
No, se cercate divergenze tra quanto sapete dei progetti
della globalizzazione neocon e del loro bancomat George Soros e quanto vedrete
sostenuto da questo giornale in termini di “dittatori”, “diritti umani”,
gender, migrazioni, Russia, Cina, Iran, Nicaragua, regime change e
rivoluzioni colorate, non le troverete. E quindi non troverete nulla che si
avvicini a una protesta perché uno Stato della sorveglianza universale, della
totale mancanza di trasparenza, della successione di guerre sterminatrici e
terrorismi, della manipolazione sistematica e strutturale della verità, si
accinge a spegnere una delle ultime, delle più valide e dirompenti voci che ne
abbiano rivelato la natura.
Dopo una foto qualche tempo fa di Assange col suo gatto,
titolato con avvedutezza “personaggio
controverso” (non riferito al gatto), erano martedì tre quarti di pagina
che, da Londra, Leonardo Clausi dedica ad Assange e che riempie di supponenza
finta-equidistante e sostanziale denigrazione. E la sua rappresentazione di chi
ci ha rivelato gli orrori delle guerre Usa e Nato in Iraq, Afghanistan, la
tortura sistematica alla Abu Ghraib, la complicità di Hillary con i terroristi
jihadisti finanziati dai sauditi, gli intrighi e le cospirazioni ai danni di
governi e popoli per sottometterli a un dominio ricattatorio e totalitario, il
servilismo di politici venduti e complici delle sventure inflitte al proprio
paese, i colpi di Stati diretti o indiretti in serie, le prepotenze economiche,
la libertà di delinquere delle multinazionali, insomma una buona parte della
cicuta che di questi tempi viene amministrata all’umanità. Leggetelo per farvi
un’idea di cos’è oggi da noi il giornalismo “de sinistra”.
Assange come lo vede “il manifesto”: un hacker!
Accennato in dieci righette all’unico episodio che proprio,
delle nefandezze Usa non si potevano nascondere, il mitragliamento
dall’elicottero di 12 innocenti, tra cui due giornalisti Reuters a Baghdad, con
relative celebrazione a bordo, l’autore, davanti a uno scontro epocale sui
fondamentali della società, mantiene un equilibrio da perfetto funambolo tra
carnefice e vittima, citando, senza deviare di un millimetro in un senso o
nell’altro, la posizione degli Stati Uniti e quella dei difensori di Assange:
Usa: “con i “leaks” Assange e Manning avrebbero messo a repentaglio la vita
di centinaia di dissidenti in Iraq e Afghanistan, esponendoli a violenza,
tortura e morte. Per questo il giornalista e hacker (mai hackerato niente,
ma il termine sa di russo e quindi è infamante. Ndr) è da considerarsi un
criminale comune e non un perseguitato politico, come sostiene la difesa”.
La Difesa. “L’estradizione non va concessa per la natura
politica delle accuse rivolte e perché si sarebbe limitato a divulgare quanto
ricevuto dalla stessa Manning e da altri”. Punto. Che chi fa di mestiere il
narratore e analista di quanto succede nel mondo perchè i cittadini sappiano
sempre tutto, soprattutto le malefatte dei pochissimi che li gestiscono e
comandano e per questo, incredibilmente ancora rischia l’intera sua
professione, libertà, salute, vita, è una cosa che per il cronista da Londra
non vale un battito sulla tastiera. Potrebbe mai balenare a questi nipotini di
Hillary che quanto Assange ha fatto avremmo dovuto farlo tutti noi? Per lui il
trattamento, per ormai 9 anni, di una persona rinchiusa in una stanza, senza
luce del sole, spiata, vessata, chiusa in isolamento in carcere per oltre 50
settimane, ridotta a una larva che, in aula non sa capire il procedimento, fa
fatica a declinare le sue generalità, è solo una “persona depressa che rischia
di suicidarsi”.
Infamia!
Assange è stato strappato a forza dall’ambasciata dell’Ecuador e, dal cellulare, ha salutato con il segno della vittoria. Che, nonostante le sue condizioni, ha ripetuto in aula. Mai manifestato propositi suicidi. Quelli sono la traslitterazione del “manifesto” di quanto dichiarato ripetutamente dal Relatore dell’ONU contro la Tortura e per i Diritti Umani, Nils Melzer: “Il trattamento di Julian Assange corrisponde a tortura e rischia di farlo morire”.Ma quale suicidio! Forse per esonerare i carcerieri di Londra o quelli futuri di Washington?
Assange è stato strappato a forza dall’ambasciata dell’Ecuador e, dal cellulare, ha salutato con il segno della vittoria. Che, nonostante le sue condizioni, ha ripetuto in aula. Mai manifestato propositi suicidi. Quelli sono la traslitterazione del “manifesto” di quanto dichiarato ripetutamente dal Relatore dell’ONU contro la Tortura e per i Diritti Umani, Nils Melzer: “Il trattamento di Julian Assange corrisponde a tortura e rischia di farlo morire”.Ma quale suicidio! Forse per esonerare i carcerieri di Londra o quelli futuri di Washington?
Altro vanto deontologico di Clausi è la breve nota su come
tutto è iniziato. Su sollecitazione della Cia, in Svezia Assange viene fermato
con l’accusa di aver stuprato una donna. La persona in questione nega di essere
stata stuprata, ma che voleva solo sapere se ad Assange poteva essere richiesto
un test per l’HIV, dato che il rapporto è avvenuto senza protezione. La polizia
modifica la deposizione e insiste sullo stupro. La donna protesta pubblicamente
e si ritira dal caso. Nel 2011 la Procura di Stoccolma si accinge a chiudere,
ma da Londra, dove Assange è chiuso nell’ambasciata, le viene chiesto di
mantenerlo aperto. Data la sua totale inconsistenza, alla fine Stoccolma
archivia comunque tutto. Non c’è mai stata violenza. Clausi, raccontato il
fatto pruriginoso, non riferisce niente delle manipolazioni accertate e si
limita a rilevare che “lo Stato svedese ha lasciato cadere le accuse”
(per pura generosità?).
Pensate che questo giornaletto sovvenzionato da noti e
ignoti, che tanto si agita quando una corretta interpretazione della parità di
condizioni di concorrenza gli toglierebbe le decine di milioni che riceve da
noi per non essere da noi comprato, e tanto strepita contro l’attacco alla
libertà di stampa, avrebbe anche solo lievemente accennato alla minaccia alla
libertà, non solo di stampa, implicita nella condanna di un giornalista a cui, tra tante cose che dovremmo riconoscergli, è
di essere, nel nostro tempo, colui
“Che,
temprando lo scettro a’ regnatori,
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue”.
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue”.
Stiamo con Roger Waters,
Brian Eno, Vivienne Westwood e Yanis Varoufakis che a Londra stavano sul palco per
Julian Assange e Chelsea Manning. E per quanto ancora ci rimane tra le mani di
diritto di dire e di sapere. Stringiamolo nel pugno. “Il manifesto” c’è servito
per starnutirci il nostro coronavirus.
siamo tutti spettatori distratti, ignoranti, egoisti, ipocriti, miopi, indegni di essere classificati come animali sociali. Ci dovrà essere tanto spazio nel girone degli ignavi
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