venerdì 28 febbraio 2020

Chi controlla la narrazione, controlla il mondo ----- SIRIA, UNA LIBERAZIONE MANIPOLATA IN CATASTROFE UMANITARIA ----- Bergoglio, Di Maio, Amnesty, Nato: vai con Al Qaida



I meglio fichi del bigoncio in soccorso al carnefice
   
Quaquaraquà e uomini

https://twitter.com/i/status/1230448143973732352   Colonna prima di russi e di turchi pattuglia il confine turco-siriano. Notare la differenza tra come la popolazione accoglie i russi e poi i turchi

Una novena per Al Qaida
Che il papa argentino (che in Argentina non mette piede), connivente dei generali dei Desaparecidos e il suo Segretario di Stato Parolin, motore della Chiesa antichavista venezuelana e ospite di Bilderberg, si inserissero, anzi, prendessero la guida morale della campagna contro la Siria e in difesa del terrorismo erdoganian-jihadista, non stupisce. Bergoglio si era già qualificato con i suoi “appelli”, ispirati all’inversione zanotelliana della verità, a denunciare le “violenze”, non del carnefice invasore e terrorista, ma del difensore della pace, della civiltà, del diritto, Bashar el Assad. Niente di sorprendente neanche qui, se si guarda al ruolo di protagonista assoluto che la Chiesa globalizzante di quest’uomo assume nel promuovere lo sradicamento dei popoli dal Sud del mondo, per fornire a lui pecorelle tramite tanto Caritas quanto Ong e, ai suoi affini laici, materiale schiavistico per incrementare gli utili.

Sapendo abbastanza della Chiesa Cattolica, cristiana tutta, e dei suoi 2000 anni di collusione con i più brutali, sanguinari e manipolatori sistemi di dominio sugli umani normali, non è tanto questo allineamento con gli odiatori ontologici di vittime potenziali e effettive che sconvolge. E’quell’omino incolto, disconoscente, di un’ambizione e una pretenziosità pari solo all’incontrollato opportunismo, della cui continua esistenza politica e del cui continuo, disastroso ruolo nel Movimento Cinque Stelle, mi scandalizzo. Avete presente un guscio d’uovo vuoto, su cui qualcuno ha dipinto una faccia? Ecco Di Maio.
Tra Di Maio e Di Battista….
Metto al confronto, che è di una abbagliante evidenza, con la recente vergognosa uscita dell’omino Di Maio, i reportage che Alessandro Di Battista ci ha fatto dall’America Latina, prima e, ora, dall’Iran. Dimostrano studio, osservazione diretta, sensibilità umana, consapevolezza storica, conoscenza dei termini del particolare e del generale, enorme rispetto per i giusti e deboli e capacità di valutare chi è vittima e chi è aggressore, a dispetto delle deformazioni di un sistema politico-mediatico odiosamente prostituito ai distruttori di nazioni e popoli. E questo al netto della sua azione politica a casa che, segnano la maturità politica del popolo 5Stelle, gli ha meritato, a grande maggioranza, il primo posto nei favori del movimento.

Gli sguatteri dei padroni e i pifferai della menzogna si sono precipitati ai ripari di quella che prometteva di essere la liberazione di uno degli ultimi pezzi di terra strappato alla Siria dalla cospirazione militare e terroristica Usa-Nato-Turchia-Golfo, la vera Coalizione del Male che imperversa oggi sul Globo. Spicca tra i meglio fichi sopra nominati questo geopolitico, perfettamente consapevole di chi è oppresso e chi sfruttato, cui una congiunzione astrale nella galassia del Muselide, di quelle che capitano ogni par di milioni d’anni, ha concesso la nomina di ministro degli esteri, non del Lichtenstein, del paese crocevia nel Mediterraneo tra Nord e Sud, Est e Ovest.  ll diversamente anglofono che per virus dice "vairus".

Un appello per Erdogan e Al Qaida

L’appello della vergogna (ingrandire), da assolutamente leggere e provando a non rimettere

Luigi Di Maio, di cui nessuno metterebbe in discussione la potenzialità di ottimo sindaco di Pomigliano, brilluccica addirittura primo nella lista dei 14 ministri degli esteri europei che hanno firmato un appello degno delle loro divinità #MeToo agli Esteri, come Madeleine Albright (“500mila bambini da noi uccisi in Iraq valgono la candela”), o Hillary Clinton (“Gheddafi linciato, Libia massacrata, che ridere!”). L’ominicchio anticasta e antisistema capeggia una fila di maitre del banchetto imperiale che vanno a stracciarsi le vesti di sicari, insanguinate dalle vittime siriane, perché a Idlib ci sarebbero stragi di civili, scuole, ospedali, donne, bambini (ricordate Aleppo alla vigilia della liberazione?), addirittura le ampiamente smentite armi chimiche, tutte ovviamente di Assad. Per cui, spapagallando Pompeo, ci vorranno altre sanzioni a Damasco, se non la smette e si ritira. E ha ragione Erdogan, quando rivendica il suo diritto di capo-tagliagole, a impazzare con soldati e bruti mercenari in casa altrui e far fuori chi gli dice di togliersi dai maroni. Un tempo il M5S chiedeva la fine delle sanzioni e condannava la guerra alla Siria.

L’inversione della colpa
Sull’attacco degli Alleati in Europa, carnefici di guerra vincenti contro carnefici di guerra vinti, ma detto della “liberazione”, chi oserebbe condannare i “liberatori” per le vittime che lo scontro ha comportato? E, anche dopo, in Algeria, Vietnam, Cuba, Cina, si sono addossate ai liberatori dai predatori colonialisti i caduti, i profughi, le distruzioni? Avevamo ancora una minima capacità di individuare colpe e chi ne era colpito. Delle apparenti 500mila vittime del crimine antisiriano, di tutte indistintamente le distruzioni, di ogni atrocità commessa da chiunque, tutta la responsabilità risiede esclusivamente su chi ha aggredito. E’ scientifico.
 
Al Qaida al lavoro su prigionieri siriani


Un grottesco concentrato d’odio per la Siria, in procinto di ricuperare, a costo di oceani di sangue versato dai suoi eroici figli e dalle sue figlie in armi, o sotto le bombe, una parte della sua terra amputata dalle più orrende orde di subumani che impero abbia mai saputo mettere in campo. Quelli che i mandanti e loro presstitute, e anche qualche testa di minchia “democratica” che si ritiene pacifista, chiamano, strizzando l’occhio, “ribelli”, o (“il manifesto”), “opposizione islamista”. Per Di Maio, che forse, spostando Pinochet dal Cile al Venezuela, non sa di cosa parla, ci sarebbe da ridere. Solo che quella voglia si disintegra a vedere attraverso la lettera, in trasparenza, le centinaia di siriani morti e il grande paese fatto a pezzi. Non gliela perdono, a Giggino.

Due M5S
A parte tutto il resto, come anche i punti di programma ultimamente indicati da Alessandro Di Battista, basterebbe la voragine tra questo Di Maio delle sanzioni a chi difende patria, diritto, civiltà, vita, l’umanità intera, dalla cospirazione USA-NATO, e il Di Battista della penna puntata sui misfatti di questa coppia di moloch, per rendere chiara l’esistenza, ormai, di due movimenti 5Stelle. Quello della resa e dell’inserimento nel sistema e quello della terza via, fuori dall’establishment, dai suoi somari di razza e dalle sue turpitudini. A me paiono inconciliabili e che una scelta si imponga a tutti, pena la fine. Oblio al primo, affogato nelle polverose poltrone, lunga vita al secondo, nelle strade, piazze e case d’Italia. Purchè ci si muova! Si fallirà, si verrà fatti secchi. Ma  si andrà contenti di averci provato. E’ il messaggio che si lascia, che conta.


Libertà come “disastro umanitario”
Da un paio di mesi, l’Esercito Arabo Siriano è alla riconquista e liberazione della provincia di Idlib, a nordovest. Con il nord-est petrolifero occupato dagli americani e dai loro ascari curdi, la zona di Afrin al centronord, invasa dai turchi e una base americana nel Sud, ad al-Tanf, sono gli ultimi territori della Siria che le forze armate del popolo, assistite da russi, Hezbollah e iraniani, dopo vent’anni di guerra d’aggressione da parte di mezzo mondo, con il corredo delle atrocità più terrificanti prodotte dalla manipolazione degli esseri umani, non hanno ancora ricuperate.

 
Aleppo ora in corso di ricostruzione dopo le devastazioni turco-jihadiste


Come al tempo della liberazione di Aleppo, la legittima, sacrosanta, operazione che uno Stato conduce per ricuperare integrità e sovranità e restituire al proprio popolo una società in pace, un cammino di civiltà da riprendere, una ricostruzione da mettere in campo e una vita giusta, libera e serena, dovrebbe suscitare approvazione, gioia, concorso. In Occidente suscita collera e invocazioni a supporto dei carnefici. Sono politici della stazza di Di Maio, guardioni di palazzo come tutti i nostri governanti, o informatori venduti che si abbeverano alle fonti tossiche manovrate dagli aguzzini, i famigerati “Elmetti Bianchi” creati e pagati dai servizi britannici, o tale “Osservatorio dei Diritti Umani” installato dagli stessi servizi e gestito da una spia siriana a Coventry sulla base di telefonate e dispacci di amici.

Indecente, la vittima predestinata resiste


L’allarme è scattato quando l’esercito siriano e le forze aeree russe si sono permesse di reagire a mesate e mesate di attacchi da parte della feccia terroristica rastrellata da Nato, turchi e petrodespoti dal Marocco alla Cecenia alla Bosnia e allo Xinjang. Incessanti bombardamenti e incursioni nelle zone liberate di Aleppo e della stessa Idlib, perfino sulla base aerea russa di Khmeimim. Il sultano che ha eletto il ricatto di tutti a strumento del proprio imperialismo ottomano e fondamentalista, aveva finto di concordare con i russi, a Sochi e ad Astana, la demilitarizzazione di Idlib ed il disarmo e ritiro dei jihadisti di Al Qaida (poi al Nusra e Hayat Tahrir al-Sharm, per mimetizzare la propria identità di crocifiggitori, stupratori, scuoiatori, torturatori ed essere chiamati “opposizione” dai media). Ingolositi dalla prospettiva di creare crepe tra Turchia, Usa e Nato, ovviamente a vantaggio della Siria e del loro ruolo in Medioriente, ma dimentichi di quel loro Sukhoi abbattuto nel 2015, da due F16 turco, a titolo di avvertimento, i russi si sono fidati. E il loro ambasciatore, minacciato e vessato, ne sta facendo le spese adesso.

 
Uno dei 12 presidi armati turchi in Idlib


E questa specie di terminator, il cui scopo è sempre stata l’annessione di larga parte della Siria (a partire dalla zona “di sicurezza” lunga 100 km e larga 35, concessagli in Siria dai russi), e l’abbattimento della repubblica laica di Assad, ne ha approfittato per riarmare, rimpinzare e rafforzare con propri uomini e mezzi militari la provincia in cui la marmaglia Al Qaida e Isis, cacciata dal resto, si era rintanata ed esercitava, insieme alla Sharìa, il regime del terrore sulla popolazione. Da miserabile ladro, s’è portato via anche tutti gli impianti industriali e idraulici dalle aree invase.

Ma è solo ora, quando i combattenti siriani, accolti da popolazioni festanti che nessuno vi fa vedere, ha liberato decine di città e paesi, centinaia di km quadrati e la strada strategica che collega Damasco ad Aleppo, che l’Occidente responsabile di una della più terribili tragedie del nostro tempo, su cui ultimamente taceva nella speranza che Erdogan e tagliagole prevalessero, si sveglia e grida alla “tragedia umanitaria”, alla fuga di “un milione di profughi” (alcune decine di migliaia di bruti psicopatici, con la cui invasione l’energumeno Fratello Musulmano, la genìa cara al “manifesto” e a Soros, ora ricatta gli europei). E berne fa la Grecia a bloccare tutto. Sentirete gli strilli di papa e “manifesto”! Intanto il papa pianta la sua bandiera accanto a quella di Al Qaida  

 

Scontro finale? 
Pompeo, Di Maio, Salvini, Zingaretti, Renzi, Von der Leyen,….Ed è proprio il disastro umanitario, quello vero, quello inflitto agli umani, cui, dopo 10 anni di indicibili sofferenze e sacrifici, i siriani e i loro alleati stanno mettendo fine. Cosa dirà di questa gente e dei loro carnefici la Storia se, stavolta, saranno le gazzelle, e non i leoni, a scriverla?

Anche la Nato, fin lì in speranzosa attesa che Erdogan rientrasse a pieno titolo nell’alveo (da cui aveva solo fatto finta di uscire, benedetti russi!), ha colto l’occasione. Se Assad, se un popolo che ha voluto restare libero, vincono anche qui, cambia qualcosa nella direzione del mondo. E forse anche nella sua regia. E allora, visto che un paese Nato attaccato (sic!”), seppure da liberatori della terra che ha occupato, comporta che la Nato accorra in sua difesa, assisteremo a qualcosa che altro che “disastro umanitario”. Sarà interessante, forse drammatico, vedere cosa succede dopo le promesse di Pompeo di “soccorrere” il compare co-sbranatore di Siria e Libia. Erdogan pensa di sapere su quale lato della sua fetta di pane sia spalmato il burro. Quella di sempre. Quella di gente come lui. E Putin lo sa?

Il corollario paradigmatico che forniscono alla nostra, così rinnovata, valutazione del bene e del male le invocazioni a interventi “umanitari” contro la “tragedia umanitaria”, fatte dal papa e dai vari nanetti da giardino imperiale, significa una cosa enorme. Che umani sono solo quelli cari al papa e ai nanetti, anche se tagliano gole, o violentano nel nome di un dio pervertito nel suo contrario. Implicitamente, disumani, anzi, non umani, sono gli altri. Nella fattispecie, i siriani e i loro difensori. Un giochino già fatto 75 anni fa, a Norimberga. Ce la sentiamo di vivere in un mondo in cui il monopolio dell’umano ce l’hanno gli assassini?

 
Donne dalla parte giusta. Asma, moglie del presidente Assad, con combattenti siriane


Ne vedremo delle belle. Qui, a casa, la più bella sarebbe il ritorno di Di Maio al San Paolo, lavoro degnissimo, senza rischi di ignominia. Prima che quanto resta del MoVimento muoia. E che 14 ministri degli Esteri, sfregiati dalla benedizione del papa, vadano a chiedere scusa a 17 milioni di siriani.

E ai quattro milioni e mezzo che non ci sono più, ammazzati, o in fuga da coloro per i quali hanno scritto l’appello più schifoso dai tempi dell’editto di Costantino, o, se mi volete al passo, dalle leggi razziali del ‘38).

mercoledì 26 febbraio 2020

Alto Tradimento (e non solo da Coronavirus) ---- UNA CLASSE POLITICO-MEDIATICA AL SERVIZIO DEI NOSTRI NEMICI



"La politica è l'arte di impedire alla gente di immischiarsi in quello che la riguarda" (Paul Valery) 

Prima di addentrarci nel groviglio tossico della virusfobia programmata, dal titoletto qui sopra, che ne indica i facilitatori, traiamo un campione esemplare. Premetto, a scanso di equivoci, che non ho nessuna simpatia per i petrolieri e che anzi combatto i loro effetti nefasti da una vita. Ma qui non c’entra. Come dicono gli inglesi sovranisti? “Right or wrong, my country”.

Sul “Fatto Quotidiano”, specie negli Esteri, impera Stefano Feltri, illustre esponente della nota schiatta e Comunità. Da anni, tra frustrazioni e contraccolpi, il vicedirettore del quotidiano si accanisce contro l’ente nazionale idrocarburi, ENI, che tuttora, come ai tempi del compianto Mattei, eccelle nella sua categoria e infastidisce tutti i suoi concorrenti a Ovest. Due sono le linee d’attacco, strettamente intrecciate

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I proxies di Rockefeller nella guerra all’Italia
Primo, le presunte tangenti che l’ENI (come, semmai, tutti i suoi “competitors”) avrebbe versato ad Algeria e Nigeria per assicurarsi giacimenti e condotti. Sull’Algeria, Descalzi e Scarone, i due manager, sono stati assolti; sulla Nigeria è in corso il processo. Smerdarli sarebbe prematuro e illegittimo. Ma il Feltri di Bilderberg non ha di questi scrupoli. L’accanimento è tanto parossistico, quanto strumentale. Il secondo dante causa è Giulio Regeni, presunta e mai dimostrata – anzi! -  vittima del regime “criminale del dittatore Al Sisi”, ora duplicato nel presunto – e smentito – torturato Patrick Zaki. Di dimostrato, e però accuratamente occultato, c’è invece il dato che il giovane Regeni frequentava ambienti spionistici e per una delle più grosse multinazionali dello spionaggio industriale, la Oxford Analytica, retta dal criminale degli squadroni della morte, Negroponte,  ha lavorato prima di essere mandato in Egitto a contattare oppositori. A uno dei quali, agente egiziano sotto copertura, come da video, aveva offerto “progetti”. Bruciato, da chi può essere stato eliminato nel momento in cui il governo italiano e l’ENI stringevano accordi per miliardi con il Cairo?

Con Regeni e Zaki contro l’ENI
 
ENI in Egitto e Libia


Il bersaglio vero e ultimo della spasmodica ENI-fobia di Feltri è la partnership ENI-Egitto che controlla, a beneficio dello sviluppo dell’Egitto e dei rifornimenti energetici dell’Italia, ahinoi fossili, ZHOR, il più grande giacimento di idrocarburi del Mediterraneo. Una ricchezza che fa ombra alle risorse turche e israeliane e, grazie al sanguinario dittatore Al Sisi, che ogni giorno si mangia tre Fratelli musulmani bambini, è stata sottratta alle compagnie serie da questi pidocchiosi italiani. Come ai tempi di Mattei. Ma come, l’Italia non avrebbe dovuto dipendere dalla nostra disponibilità grazie al TAP, quello degli Stati Uniti dall’Aberzaijan al Salento? O, grazie all’Eastmed, quello da Israele sempre al Salento? O, meglio ancora, dalle scisti statunitensi da fracking? Scandalo.

P2, sempre al servizio dello straniero


Vale, a proposito, mettere in primo piano il personaggetto sulle cui accuse si basa gran parte della campagna di Feltri e del FQ. Si chiama Luigi Bisignani, un ragazzo d’oro, un campione del nostro capitalismo imprenditoriale. Un “amerikano” condannato nel ’93, da Mani Pulite, a 2 anni e 6 mesi, per violazione della legge sul finanziamento dei partiti, radiato dall’Ordine dei Giornalisti, ricondannato a 19 mesi, definito “faccendiere”, ma anche “uno degli uomini più potenti d’Italia”. Una fonte illibata, dunque, credibile e affidabile fino in fondo. Uno che voleva, lui, diventare capo dell’ENI, nel cui Consiglio d’Amministrazione s’era infilato e c’era rimasto male e avvelenato per non esserci riuscito. Grave ingiustizia per il FQ, Nonostante la sua militanza massonica, tanto conclamata quanto negata, dalla P2 alla P4 e fino al patteggiamento per il rotto della cuffia di un’altra condanna a quasi due anni.

Vediamo ora in che scenario si colloca questa campagna del Fatto Quotidiano, giornale notoriamente e fieramente atlanto-sionista, linea peraltro portata avanti in modo giornalisticamente rozzo e scadente, che copre i suoi allineamenti facendo un po’ di pulci a qualche segmento della classe politica italiana, ma è un accanito sostenitore della formula, salvifica per il PD e letale per il M5S, Conte-Zingaretti-Di Maio.

Quanto più Greta, tanto più petrolio
Al di là e a dispetto delle apparizioni di Greta Thunberg ai suoi chierici e al suo gregge e  finalizzate, come il Coronavirus, a farci rintanare nei nostri singoli loculi, terrorizzati dalla presunta apocalissi climatica incombente, ma depistati da inquinamento chimico di aria, cibo, acqua, farmaci, tutta l’economia capitalista è tuttora alla frenetica caccia di nuove risorse fossili, effettivamente in continua scoperta. Con l’ENI e i russi in stretta collaborazione, da una parte, e i giganti occidentali degli idrocarburi e delle relative infrastrutture dall’altra, BP, Shell, Exxon, Total, Mobil, Aramco, Chevron, i fronti sono definiti. Proprio come al tempo in cui il nano Enrico Matteri sottraeva ai giganti, con accordi alla pari del 50-50, anzichè del 75-25 pro compagnie occidentali, gran parte del bottino. Lui commerciava con il democratico premier iraniano Mossadeqh che Usa e UK rovesciarono con un colpo di Stato per reimporre il despota Pahlevi.

Bilderberg: a chi il petrolio? A noi!

La Storia si ripete e Feltri, come del resto molti altri suoi colleghi, a partire dalla mosca cocchiera sorosiana, “il manifesto”, pare compiacersene. Emulo di Lilli Gruber, nota abituè del consesso Bilderberg, quello fondato da Rockefeller (Exxon), strategizzato da Kissinger e padroneggiato da un’accolita di supermiliardari nella luce dei Rothschild e dei Warburg, che di anno in anno decide di come debba andare il mondo, soprattutto accentuandone le diseguaglianze, Stefano Feltri ne è stato ospite di gran riguardo all’edizione 2019.

 
 Italiani al Bilderberg



Edizione in cui, si mormora, molto si è parlato di petrolio (Rockefeller oblige), ma anche di piattaforme digitali, clima, Brexit, altre mangiatoie capitaliste,di Medioriente, Russia, e soprattutto di Cina, definita, come da ripetuti ammonimenti del Dipartimento di Stato, massima minaccia mondiale (e avrete notate come nei locali portavoce, tipo “il manifesto” e, appunto, il FQ, o “Repubblica”, all’ormai ancestrale russofobia, che data dalla radiazione dei “compagni” 50 anni fa, si vada “escalando” una formidabile sinofobia (pensierino al Coronavirus di cui tratteremo prossimamente).

Bene. Perché non farsi ospitare nei privatissimi e discretissimi convivi di Bilderberg, tanto più che avvengono nei più lussuosi hotel del mondo e darsi di gomito con illustrissimi come Soros (quello che sussurrava all’orecchio di Obama e Hillary), Bloomberg, Elkan, Slim e tutta la crème de la crème finanziaria globale? Nonché con un paggetto rimediato da Firenze, tanto per garantirsi il protettorato anglosassone sul capoluogo mediceo, visto che a Matteo Renzi quello sul paese pare sfuggito per sempre. Feltri spiega che lui è giornalista e di conseguenza curioso, e perciò interessato a vedere, a capire. Non a riferire, però. Del resto, che importa. A Montreux cosa volete che facessero, a parte decidere colore e trama del cappio che dovrà strangolarci?



Giornalista, muto devi stare!
Voi fiduciosi lettori del foglio di Travaglio che bastona quelli a piano terra e va ai cocktail di quelli nell’attico, massimo celebrante alla messa dove il M5S è l’ostia e il PD fa la Comunione, avete letto una sola riga di Feltri su quanto di strategico, di operativo, di epocale, è stato discusso e deciso nel lungo fine-settimana nella Svizzera dei meglio e più nefandi segreti custoditi del mondo? Da giornalista con il compito di raccontare alla gente quello che si va facendo, specie nelle oscure stanze, a ospite di quelle stanze, la cui oscurità è protetta dai curiosi, dagli interessati, dai giornalisti, con non meno di tre cinture di sicurezza armate, cecchini compresi. La Linea Maginot non gli fa un baffo.

Dal Bilderberg al 41bis?


Al giornale “indipendente” Fatto Quotidiano, come al politicuzzo che voleva la riforma costituzionale alla Bilderberg, come alla signorina Gruber che, da membro del Comitato Direttivo di Bilderberg, manifesta fastidio per tutto ciò che dà fastidio ai multimiliardari in capo al mondo, come alle Maggioni, ai Monti, ai Caracciolo, ai Prodi, ai Draghi, ai Parolin segretario di Stato (!), a tutti gli scherani e gli sguatteri di quell’accolita, andrebbe riservato il 41bis. Ogni cura, per carità, il prof. Burioni contro eventuali virus, bella veduta sul paesaggio, l’occasionale aragosta, tutte le serie di Don Matteo. Ma rigorosamente niente contatti col pubblico. Al Bilderberg ne hanno perso la facoltà.

Anche perché, tornati a casa, di ciò che Bilderberg vuole, al pubblico nulla hanno mai detto, ma tutto hanno fatto. E a chi s'è fatto delle domande, hanno dato del complottista. A finire oggi con il Coronavirus, di cui ci occuperemo prossimamente. Andrebbero tutti radiati. 

Julian Assange, invece, di cui s’è detto in precedenza e che, riconoscendosi giornalista e ospite di nessuno, di quelli che sono i derivati, gli annessi e connessi di Bilderberg, tutto ci ha raccontato. Al 41bis ce lo stanno mandando lui.


martedì 25 febbraio 2020

“IL MANIFESTO” SU Julian Assange ----- QUANDO UN GIORNALE (ANTI)COMUNISTA SI MISURA CON UN GIORNALISTA VERO E CON IL CARCERE ALLA LIBERTA’ DI STAMPA





«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»
Martin Niemöller (1892-1984)
Operazione Coronavirus, scusa un attimo
Sorvolo per il momento sul focolaio di carognavirologi e carognamediatici e carognapolitici che dovrebbe fare da innesco al dilagare di un incendio, globale come tutti gli altri crimini contro l’umanità, programmato per incenerire quanto ci resta di libertà, socialità e vivere collettivo. Siamo davvero alla più massiccia esercitazione dell’arma fine del mondo mai compiuta, sia in termini di avvio dello scontro finale con la Cina e la sua Via della Seta, che poi significa evitare la fatale (nel senso della logica storica, geografica, culturale e, quindi, del destino) congiunzione eurasiatica, contro l’insensata, artificiale, forzata e letale aggregazione subalterna transatlantica.

Ma devo dire due parole su un simbolo dello scontro in atto tra libertà individuale e collettiva (a 75 anni dalla fine delle dittature europee siamo a questo punto!) e su come questo simbolo, maestoso, incorrotto, di un coraggio senza uguali nel mondo cui appartiene, capace di raccogliere il sostegno, l’indignazione e la commozione di milioni di persone perbene, viene pugnalato alle spalle da chi si professa dalla parte dei giusti e delle vittime.


Assange come lo vedono gli umani
Sabato un gruppo neanche poco folto di romani s’è riunito in Piazza del Popolo per ricordare, onorare, sostenere Julian Assange. Erano gli “Italiani per Assange”. Lo stesso a Milano, il Comitato per Assange, in Piazza Liberty, domenica. Nelle stesse giornate a partire da Londra, una grande marcia è stata dedicata al giornalista vindice della libertà di stampa e di espressione e rinchiuso per queste colpe in un carcere di massima sicurezza in attesa di estradizione in una prigione Usa per 175 anni, sotto 17 accuse di spionaggio e rivelazione di documenti classificati. In tutto il mondo persone custodi dell’onesta percezione e trasmissione della realtà si sono mosse nello stesso senso. Persone perbene, impegnate per il bene massimo che rende dignitosa e vivibile la vita: la verità, il poter vedere e capire la differenza tra male e bene, giusto e ingiusto, vero e falso. Il poter attribuire responsabilità, negare l’impunità. Quindi, borghesi, operai, studenti, intellettuali, poeti, scienziati, comunisti, socialisti, liberali, vagabondi, animalisti, destri, atei, religiosi…. giornalisti.

Non tutti. In Italia pochi frammenti di un discorso che infastidisce, reazioni rituali. Come quasi sempre in Europa, in Occidente, nei media “mainstream” (per dire “di regime”), se non per fortuna qualche volta nei social, la categoria dei “comunicatori” ha saputo dare il meglio dell’ignavia, dell’opportunismo, del servilismo, dell’ignoranza. I migliori erano comunicati secchi, qualcuno con un veloce riferimento all’eventuale minaccia alla libertà di stampa, sulla prima udienza lunedì in tribunale per il no o sì (garantito) all’estradizione nelle Guantanamo della belva colpita da Assange. Da Assange e da chi, ora donna, gli ha fornito gran parte delle informazioni che la belva l’hanno spogliata delle sue tonache e dei suoi sai: Chelsea Manning, dopo 7 anni di galera, ora di nuovo incarcerata perché, eroica, si rifiuta, “fino alla morte” ha giurato, di testimoniare contro Julian davanti alla schifezza di un Gran Giury segreto. E predeterminato. 

Alla luce della fervida predilezione del “manifesto” e del nume Soros per certe minoranze, almeno la transgender Chelsea avrebbe dovuto meritarne, se non altro, un po’ di solidarietà. Ma c’è evidentemente transgender e transgender.


Il meglio di sé l’ha dato un giornale che in ogni pagina, ogni titolo, ogni riga, rinnega quanto figura nella testata: “quotidiano comunista”. Sono abituato, per annosa consuetudine, alla lettura di questo organo, che richiederebbe da chiunque di essere demistificato e sottratto alle illusioni dei suoi sempre più contaminati lettori, ad affrontare giornalmente le prove dell’allineamento del “manifesto” con le direttrici (o direttive?) atlantiche. Neanche solo di Washington, tipo Giovanna Botteri o Vittorio Zucconi, neanche solo del corrottissimo e guerrafondaio partito obamiano, per il quale ha a suo tempo condotto una campagna invereconda per la signora del genocidio libico, Hillary Clinton.

Un po’ equidistante, un po’ né-né, un po’ Soros
No, se cercate divergenze tra quanto sapete dei progetti della globalizzazione neocon e del loro bancomat George Soros e quanto vedrete sostenuto da questo giornale in termini di “dittatori”, “diritti umani”, gender, migrazioni, Russia, Cina, Iran, Nicaragua, regime change e rivoluzioni colorate, non le troverete. E quindi non troverete nulla che si avvicini a una protesta perché uno Stato della sorveglianza universale, della totale mancanza di trasparenza, della successione di guerre sterminatrici e terrorismi, della manipolazione sistematica e strutturale della verità, si accinge a spegnere una delle ultime, delle più valide e dirompenti voci che ne abbiano rivelato la natura.

 
Dopo una foto qualche tempo fa di Assange col suo gatto, titolato con avvedutezza  personaggio controverso” (non riferito al gatto), erano martedì tre quarti di pagina che, da Londra, Leonardo Clausi dedica ad Assange e che riempie di supponenza finta-equidistante e sostanziale denigrazione. E la sua rappresentazione di chi ci ha rivelato gli orrori delle guerre Usa e Nato in Iraq, Afghanistan, la tortura sistematica alla Abu Ghraib, la complicità di Hillary con i terroristi jihadisti finanziati dai sauditi, gli intrighi e le cospirazioni ai danni di governi e popoli per sottometterli a un dominio ricattatorio e totalitario, il servilismo di politici venduti e complici delle sventure inflitte al proprio paese, i colpi di Stati diretti o indiretti in serie, le prepotenze economiche, la libertà di delinquere delle multinazionali, insomma una buona parte della cicuta che di questi tempi viene amministrata all’umanità. Leggetelo per farvi un’idea di cos’è oggi da noi il giornalismo “de sinistra”.

Assange come lo vede “il manifesto”: un hacker!
Accennato in dieci righette all’unico episodio che proprio, delle nefandezze Usa non si potevano nascondere, il mitragliamento dall’elicottero di 12 innocenti, tra cui due giornalisti Reuters a Baghdad, con relative celebrazione a bordo, l’autore, davanti a uno scontro epocale sui fondamentali della società, mantiene un equilibrio da perfetto funambolo tra carnefice e vittima, citando, senza deviare di un millimetro in un senso o nell’altro, la posizione degli Stati Uniti e quella dei difensori di Assange: Usa: “con i “leaks” Assange e Manning avrebbero messo a repentaglio la vita di centinaia di dissidenti in Iraq e Afghanistan, esponendoli a violenza, tortura e morte. Per questo il giornalista e hacker (mai hackerato niente, ma il termine sa di russo e quindi è infamante. Ndr) è da considerarsi un criminale comune e non un perseguitato politico, come sostiene la difesa”.

La Difesa. “L’estradizione non va concessa per la natura politica delle accuse rivolte e perché si sarebbe limitato a divulgare quanto ricevuto dalla stessa Manning e da altri”. Punto. Che chi fa di mestiere il narratore e analista di quanto succede nel mondo perchè i cittadini sappiano sempre tutto, soprattutto le malefatte dei pochissimi che li gestiscono e comandano e per questo, incredibilmente ancora rischia l’intera sua professione, libertà, salute, vita, è una cosa che per il cronista da Londra non vale un battito sulla tastiera. Potrebbe mai balenare a questi nipotini di Hillary che quanto Assange ha fatto avremmo dovuto farlo tutti noi? Per lui il trattamento, per ormai 9 anni, di una persona rinchiusa in una stanza, senza luce del sole, spiata, vessata, chiusa in isolamento in carcere per oltre 50 settimane, ridotta a una larva che, in aula non sa capire il procedimento, fa fatica a declinare le sue generalità, è solo una “persona depressa che rischia di suicidarsi”.
E così sia

Infamia! 
Assange è stato strappato a forza dall’ambasciata dell’Ecuador e, dal cellulare, ha salutato con il segno della vittoria. Che, nonostante le sue condizioni, ha ripetuto in aula. Mai manifestato propositi suicidi. Quelli sono la traslitterazione del “manifesto” di quanto dichiarato ripetutamente dal Relatore dell’ONU contro la Tortura e per i Diritti Umani, Nils Melzer: “Il trattamento di Julian Assange corrisponde a tortura e rischia di farlo morire”.Ma quale suicidio! Forse per esonerare i carcerieri di Londra o quelli futuri di Washington?

Altro vanto deontologico di Clausi è la breve nota su come tutto è iniziato. Su sollecitazione della Cia, in Svezia Assange viene fermato con l’accusa di aver stuprato una donna. La persona in questione nega di essere stata stuprata, ma che voleva solo sapere se ad Assange poteva essere richiesto un test per l’HIV, dato che il rapporto è avvenuto senza protezione. La polizia modifica la deposizione e insiste sullo stupro. La donna protesta pubblicamente e si ritira dal caso. Nel 2011 la Procura di Stoccolma si accinge a chiudere, ma da Londra, dove Assange è chiuso nell’ambasciata, le viene chiesto di mantenerlo aperto. Data la sua totale inconsistenza, alla fine Stoccolma archivia comunque tutto. Non c’è mai stata violenza. Clausi, raccontato il fatto pruriginoso, non riferisce niente delle manipolazioni accertate e si limita a rilevare che “lo Stato svedese ha lasciato cadere le accuse” (per pura generosità?).

 
Berlino: statue di Snowden, Assange e Manning

Pensate che questo giornaletto sovvenzionato da noti e ignoti, che tanto si agita quando una corretta interpretazione della parità di condizioni di concorrenza gli toglierebbe le decine di milioni che riceve da noi per non essere da noi comprato, e tanto strepita contro l’attacco alla libertà di stampa, avrebbe anche solo lievemente accennato alla minaccia alla libertà, non solo di stampa, implicita nella condanna di un giornalista a cui,  tra tante cose che dovremmo riconoscergli, è di essere, nel nostro tempo, colui

Che, temprando lo scettro a’ regnatori,
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue
”.

Stiamo con Roger Waters, Brian Eno, Vivienne Westwood e Yanis Varoufakis che a Londra stavano sul palco per Julian Assange e Chelsea Manning. E per quanto ancora ci rimane tra le mani di diritto di dire e di sapere. Stringiamolo nel pugno. “Il manifesto” c’è servito per starnutirci il nostro coronavirus.



sabato 22 febbraio 2020

Odiatori di Sistema scatenati ----- A CHI GIOVA LA STRAGE DI TURCHI IN GERMANIA (e di tutti gli altri terrorismi)? ----- Germania, un passato che deve tornare sempre. Quello degli altri, mai.




Compaiono lupi, scompaiono agnelli
Scompare la Merkel, scompaiono Schaeuble, Steinmeier, l’euro-impero franco tedesco, il massacro della Grecia, il cappio che l’economia tedesca stringe sui paesi meridionali, il protagonismo tedesco sullo squartamento della Jugoslavia, la partecipazione della Bundeswehr a quasi tutte le carneficine provocate dalle aggressioni Nato, il rinnovato colonialismo in Africa, gli scandali della Deutsche Bank. La santa Rackete che sperona navi italiane per imporre la tramutazione di popoli in schiavi.

E appare il mostro. Appaiono le cellule neonaziste nella polizia e nell’esercito, i razzisti, xenofobi, i partiti di ultradestra, inesorabilmente neonazisti, l’AFD che ruba elettori ai grandi partiti istituzionali democratici e moderati. E, naturalmente, con l’aiuto di tutti i media europei di cui ci parla Ulfkotte (“Giornalisti Venduti”, editore Zambon), tutte le belle cose istituzionali e democratiche di cui sopra e di cui questi partitoni, compreso anche lo sgabello “verde”, alle cui smanie guerrafondaie Greta ha aggiustato la gamba zoppa, vantano la paternità.
E riappare immancabilmente, doverosamente, utilmente, enorme, sull’orizzonte pangermanico, con tentacoli in tutta Europa, il fantasma del PASSATO. Quello di cui la Germania non vuole, non può (o non deve?) mai liberarsi. C’è stata un’epurazione che ha di fatto tolto di scena mezza generazione, quando le altre le aveva eliminate la guerra. Molti dei 7,3 milioni di tedeschi, su 80, che, spesso nolenti o a forza, erano iscritti al Partito nazionalsocialista, furono processati, condannati, spesso ostracizzati, salvo alcuni bonzi che si ritenne utile cooptare nei nuovi poteri. E tutti quelli che erano sopravvissuti degli 80 milioni diventarono a loro insaputa “nazisti”.



Le colpe non ricadono sui figli. Dipende dalla nazionalità dei figli
Comunque, è stato ed è, grazie alla nota teoria dell’intelletto collettivo capitalista e alla scaltrezza di certi eterni “creditori”, per cui le colpe dei padri ricadono sui figli, nipoti, pronipoti, che la parola “tedesco£ divenne sinonimo di nazista”. E c’è chi più li definiva tutti nazisti e più si sentiva antifascista e comunista. Qualche rara testa d’uovo azzardava di escludere Goethe, Schiller, Marlene Dietrich, Einstein e Marx. Perfino un Kurt Waldheim, unico segretario dell’ONU, insieme all’egiziano Boutros Ghali, che non si è fatto portalettere degli Usa e di Israele, venne politicamente e moralmente decapitato per essere stato richiamato nella Wehrmacht a vent’anni.


“Il passato che torna”
E dunque può bastare uno psicopatico come Tobias Rathjen, che si arma di una delle sue quattro pistole e di un fucile liberamente acquistati e va in giro per locali Shisha di Hanau ad ammazzare turchi e poi la madre e se stesso, per far gridare al “passato che torna”, che non muore mai, che cova in tutti i tedeschi e che ora si manifesta in tutti coloro, razzisti, xenofobi, populisti, sovranisti, ovviamente nazifascisti, che vengono visti come fuori dal politicamente corretto come definito da Popper e Soros.

Sono i miscredenti che detestano quell’apparato, tipo Vergine di Norimberga, dove quattro giustizieri UE, senza legittimazione democratica, decidono vita e morte di popoli; che non condividono che la Germania sia sotto scacco per 80 basi militari americane (da noi 90), con 40.000 effettivi, sul proprio suolo; che la Nato ne determini la politica estera, che quando ci si accorda per un gasdotto dalla Russia, Usa e Nato le impongono di toglierlo; che 11 milioni di migranti, strappati dalle multinazionali e dalle loro guerre ai propri paesi, sono troppi, che non vanno votati all’Est coloro che quella parte della “patria” l’hanno depredata, impoverita e diffamata, ma che anche il resto della Germania è stata condotta dai partiti “democratici” all’orlo di una stagnazione che arricchisce i rami in cima e fa seccare quelli sotto.

AFD, sconosciuto, ma mostro.
Non posso dire niente di più, rispetto a questi o altri punti del programma e dell’anima dell’AFD. Un giorno andrò a documentarmi. Immagino che ci sia dentro di tutto, un po’ di Lega, qualche M5S, dei crani rasati, molto SED (il partito socialista della DDR), cittadini comuni senza particolare ideologia, patrioti, tantissima ragione per protestare,  e, soprattutto, guardando all’Est stuprato e ora anche all’Ovest profittatore, c’è tantissimo disagio, rabbia. L’odio, invece, come da noi, è quello che li teme e disprezza. Vanno ostracizzati e dannati, senza neanche provare a capire.

La Turingia o il diavolo
Il problema non è mica il completamente pazzo, così dichiarato dai sanitari, ma ciononostante lasciato libero di detenere un arsenale e di sparare deliri in rete. Il problema è la crisi di una Germania in cui la fine della Merkel coincide con la fine degli anni grassi, in prima linea per i ceti subalterni, in primissima linea per i rapinati dall’annessione colonialista nell’Est. E il problema più grosso è che in un Land dell’ex-DDR, la Turingia, a seguito di altre sostanziose crescite in tutto l’Est (è già il secondo partito in Sassonia e Brandenburgo), l’AFD ha sbaragliato i partiti grossi, CDU e SPD, responsabili dello sconquasso, assieme ai portatori d’acqua Verdi. Con l’AFD al 24% e la Linke (Sinistra) prima al 31%, CDU e liberali dell’FDP si sono acconciati a condividere il governo con i “fasciopopulisti” o “neonazisti”, come li chiama il ”manifesto”, foglio abusivamente sovvenzionato dai soldi di chi non lo compra e promotore virulento di tutte le campagne sui cui ombreggiano George Soros e il Deep State.  

E’ successo il finimondo. Il neopresidente Kemmerlich, FDP, ha dovuto mollare e si prevedono nuove elezioni. Dove quel quarto di elettorato AFD rischia di crescere ancora e, in democrazia (?) non si può togliere di mezzo. Ma si può diffamare e destabilizzare, anche con l’utilizzo dell’attentato di un fuoritesta. Pensate, siccome l’AFD ha dichiarato, diversamente di tutti i media tedeschi, più o meno del livello dei nostri, e per i quali si tratta dell’ennesima prova del “ritorno del passato” e dell’orda hitleriana dentro le porte, che  sia impossibile negare che Tobia sia pazzo da legare (e mai legato dai servizi, come tanti altri), ecco che “AFD” cerca di coprire il suo emissario a Hanau!!! La malafede diventa ancora più evidente tenendo conto che il fattaccio dei Shisha è avvenuto 48 ore prima delle elezioni nella città-Stato di Amburgo. Non solo, nel momento in cui AFD, sembra a buona ragione, ha chiesto il riesame dell’assegnazione dei seggi, proprio nella regione di Hanau, l’Assia, con buona probabilità che dei cinque in ballo qualcuno vada agli Alternativi per la Germania.

Merkel buona, Merkel no buona

Ma, ditemi, si può??? 

Stamane, RadioRai 1, al pari di tutti i media di regime, dedicava metà del giornale radio e tutti gli approfondimenti a voci accorate, indignate, tutte con il dito puntato sulla Germania che non riesce a liberarsi del noto fantasma in camicia bruna, spettro nero che, via via, torna a dotarsi di ossa, vene, sangue, fisionomia visibile e rischia di infettare noi e tutta l’Europa. Ieri, dell’eurosovrana Merkel si acclamava il fatto che aveva condotta il paese “a fare i conti col passato”, visto che era la privilegiata alleata di una Potenza che non fa che copiare e migliorare quanto caricato su Hitler, misurandosi con la sua immagine nello sfoltimento dell’umanità e dei suoi beni. Oggi, con le vesti dell’imperatrice stracciate, non è altro che un’inetta che non ha saputo tener testa ai rigurgiti neonazisti e, anzi, col suo partito CDU, con questi in Turingia ha pure fatto comunella.

Il preavviso “ignorato”

“Il manifesto”

Prima di sparare a “popoli da eliminare”, questo principio lo stragista di Hanau l’aveva esplicitato in ben 24 pagine su Internet, perché tutti ne potessero essere istruiti, compresi la polizia di Hanau, i servizi segreti, il controspionaggio, gli organi di sorveglianza del Land Assia e di tutta la Bundesrepublik. Ma, guai a buttarci un occhio e imporre a Tobias un minimo di controllo. Almeno quello che si riserva ai pazzi furiosi e violenti che si propagandano pubblicamente. Cos’era, violazione della privacy di uno che promette di far fuori popoli interi (tra cui, abbastanza incoerentemente, Turchia, Israele e Stati latinoamericani)? Oppure, nei deliri di Rathjen, c’è forse, per noi altri fetidi complottisti che non ci accontentiamo del “manifesto”, del Fatto”, della “Repubblica”, di Gruber, Zoro e Formigli, da fare una riflessioncina su quel testo messo su Internet quando dice che “i nostri paesi sono infettati da società segrete, o sotterranee, e che esiste, nello specifico, un’organizzazione segreta  che pratica lettura del pensiero, o perlomeno sa condizionarlo e che gli altera e ruba le riflessioni”. Cose da pazzi? Mica tanto.  Non c’è servizio segreto che non abbia esperti impegnati sul tema.

Un pazzo incontrollato?

Per gli odiatori seriali dell’Establishment oggi è una giornata campale

Deliri di un pazzo. Incontrollato, però. O controllato? Diretto? Per gli odiatori di palazzo e redazione che vanno in crisi di astinenza se non scoprono in continuazione “odiatori”, è un neonazista punto e basta, prodotto da un’atmosfera sempre più pervasa da veleni di un passato che non passa mai. Come quegli altri, di Halle, dove l’attentatore si sarebbe scagliato contro la sinagoga che, però non ha nemmeno sfiorato, quando ha sparato per strada e ucciso due non ebrei. O come l’assassino del politico CDU Luebcke, ovviamente neonazista perché anti-migranti, sempre nell’Est. Poi ci sono stati quelli della strage di Duisburg, ‘Ndrangheta, o di Monaco, iraniano, e i tanti d Francia, Belgio e Inghilterra, presunti ISIS. Senza parlare dei killeraggi seriali di massa nelle scuole statunitensi, inesorabilmente matti, o suprematisti bianchi. O, da noi primattori dello sragismo, Piazza Fontana fino a Via D’Amelio e oltre, esclusivamente  di fascisti e mafiosi (i servizi, la Cia e i massoni “deviati” passavano di lì per caso).

Terrorismo neonazista, mafioso, islamista, fascista, razzista. Schiamazzi insensati e ingiustificati di fronte a epifenomeni risivi, o ad autentiche alternative politico-sociali al degrado malavitoso e totalitario che ci assedia? Non hanno dato ampiamente dei populisti, razzisti, sovranisti e, dunque, fascisti, per anni e tuttora ai 5Stelle? Quale migliore difesa per un establishment che preserva e estremizza il suo carattere criminale e antipopolare  che  rovesciare il proprio nero e bruno su chiunque esca dal seminato. “Il manifesto” ne è la più “manifesta” e volenterosa “manifestazione”. Ara un terreno, direi un’aiuola, fertile: quella degli allocchi che lo ritengono di sinistra.  Qualsiasi occhiuto teorico della cospirazione capisce che in nove casi su dieci (calcolo riduttivo) trattasi di terrorismo di stabilizzazione dell’esistente. Come nel ’69. Con correttivi: qualche telecamera, qualche colonna infame, qualche ceppo, alcune manette, qualche spione in casa, qualche bavaglio in più. E, soprattutto, con tutto questo rigurgito di nazismo di massa, non sono che da ringraziare E questo risponde all’interrogativo nel mio titolo.

 
“il manifesto”


Beato quel paese che non ha passati che ritornano
Com’è che né in Francia, né nel Regno Unito, né in Belgio, né negli Usa si parla mai di “passato che non muore”, delle “radici del male che continuano a produrre i loro perfidi frutti”. Eppure, tra questi Stati non c’è chi ha tagliato più teste e sterminato più ugonotti, chi spolpava e spolpa colonie e in Algeria ha compiuto genocidi e inventati i più orridi sistemi di tortura? Non c’è chi ha arricchito la sua classe dirigente e i suoi monarchi facendo killeraggi di massa e depredando paesi e continenti per secoli e, con Cromwell, protagonista sugli irlandesi del primo genocidio? E non ci dovrebbe essere quel paesuccolo artificiale, mezzo Olanda e mezzo Francia, ma che nonostante le sue dimensioni ha saputo far fuori 20 milioni in Congo e tuttora ne facilita, a scopo di estrazione, le sue rapine e le sue carneficine?

E non ci manca forse quel grande paese, oggi delle sette guerre di sterminio, ieri del Vietnam dai 4 milioni di uccisi, dell’Iraq dei 3 milioni di morti da due aggressioni, delle colorate destabilizzazioni di Stato dopo Stato con sanzioni e golpe, dei ricatti all’universo mondo, di Guantanamo e Abu Ghraib? Quel grande paese di cui le due parti si fecero vicendevolmente a pezzi, gli uni per difendere lo schiavismo, gli altri per imporre il capitalismo?  Non sono questi i frutti sempre maturi delle radici mai recise, tra le quali si aggirano le anime di 20 milioni di nativi eliminati dalla faccia della Terra?
Macchè, i paesi del Pensiero Unico non hanno nessun passato che risorge, nessuna bonifica morale, spirituale o materiale da compiere, nessuna colpa antica dei padri ricaduta sui figli e nipoti. Non sono tedeschi. E neppure italiani, e neppure greci, o arabi, o iraniani, o cinesi, che un passato ce l’hanno. Da evocare quando serve e, guardando a Dresda o a Palmira o al Coronavirus, da distruggere quando serve.