giovedì 28 febbraio 2019

Impressioni, alla Monet ------ CINQUE STELLE – CHE NE E’ STATO, CHE NE E’, CHE NE SARA



https://youtu.be/KoYw0LHEWLM

Ascolto Radio Rai diretta da Luca Mazzà. Luca Mazzà, prima, era stato direttore del Tg3, il telegiornale più virulentemente e goffamente anti-Cinquestelle dell’intero giro delle tv di regime (regime inteso, non come l’attuale governo, ma come regime vero, la consorteria politico-economico-finanziaria al servizio della Cupola). Prima ancora, era mio collega nella redazione Economia-Ambiente dove, mi ricordo, stava seduto a una scrivania davanti alla finestra, la migliore posizione del salone, e non s’è mai capito cosa facesse. Di servizi giornalistici non me ne ricordo neanche uno. Oggi, però, comanda e si irradia della più importante radio del paese. E quale, secondo voi, potrebbe essere stata la sua interpretazione dell’esito, negativo per i 5 Stelle, del voto in Abruzzo e Sardegna? Ma è ovvio: grazie in particolare al rientrante Di Battista, il Movimento avrebbe assunto posizioni troppo “radicali”, imponendo la sua agenda “estremista” al partner di governo, da lui implicitamente giudicato “moderato”, e pagandone il fio nelle urne

Bipolarismo finto e bipolarismo vero
La Cupola ha, anzi, le cupole, viste nel tempo e nello spazio, hanno sempre provato a governare sia la maggioranza  che l’opposizione, dando in pasto alla gente tale vera e propria “combine” come bipolarismo tra opposti e contrari. Tipo l’Isis e le forze Nato che pretendevano di combatterlo. In Italia gli è riuscito, parzialmente, fino alla caduta del muro di Berlino, quando le forze di governo avevano di fronte un PCI  di opposizione, da qualche decennio più nominale che sostanziale: il famigerato consociativismo risoltosi nello sciagurato compromesso storico. Che, poi, in forme alterne, più o meno evidenti, tra bicamerali e larghe, o larghissime, intese, si è andato perpetuando fino a oggi. Questo schema richiede di mantenere in piedi, con il concorso di media del tutto “normalizzati”, divergenze apparenti, ma sostanziali intese. Divergenti solo sull’assegnazione delle prebende. Ma, soprattutto, esige di annientare uniti qualsiasi forza politica terza che metta in discussione il tiro a due del carrozzone, così proficuamente governato nell’interesse dei superpadroni, con ricadute anche per padroni, padroncini e servitori. Il famoso “sgocciolio” dai deschi apparecchiati dalle e per le banche.

Un esempio recente, ma classico, la SPD dei socialdemocratici tedeschi e la CDU dei vari Schroeder, Kohl, Merkel, lievemente in attrito sul sociale e sull’ambientale, totalmente fusi sul geopolitico. Con Liberali e Verdi a fare da nanetti in giardino. Poco prima, sulla stessa linea, il Labour britannico trasformato da Blair in secondo cavallo di razza, dopo quello Tory, del grande capitale bancario britannico. Rothschild, per non fare nomi. Dei due partiti Usam, comprese le appendici minori tipo McCain o Sanders, non mette neanche conto parlare. Che siano diversi ci crede, o finge, solo il “manifesto”. Che non ha letto Gore Vidal.

Tutto questo è andato in crisi in Italia, perenne laboratorio occidentale, come spetta a un paese di cruciale rilievo geopolitico in mezzo al mare dei mari, tra Nord e Sud, Est e Ovest, con l’apparizione, nel 2009, dell’uragano Cinque Stelle. Cosa aveva gonfiato le vele di questa barchetta, fino a farne un vascello intercontinentale, se non la presa di coscienza di  quasi tutta una popolazione che il presunto bipolarismo, la presunta contesa tra le due forze dominanti, era tutta una finta e che s’era andata facendo costantemente a spese sue, della gente? E che tra Berlusconi, Dini, Amato, D’Alema, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e chiunque altro potesse essere rigurgitato dalla cementificatrice capitalista, manovrata da Bruxelles per conto Oltreoceano, le differenze erano quelle tra una zebra a strisce nere e bianche e una zebra a strisce bianche e nere. E’ stata in buona misura l’apparizione degli eversivi 5 Stelle, il famigerato ma epocale “vaffa”, ad aprire la finestra e a sconvolgere l’aria stagnante con forti correnti di fresco grecale. Il bipolarismo era nudo come, davanti al bimbetto dagli occhi puri, il re di Andersen, che costantemente torna di attualità in questio nostri giorni dei disvelamenti.

Come annunciato nell’occhiello del titolo, la metto giù a pennellate. A impressioni. Niente di scientifico. Così ne discutiamo. Qui, cari amucu 5 Stelle, nessuno vuole dare lezioni. E’ solo un pour parler. Con sincerità, seppure, a volte, obnubilati dalla faziosità che coltiviamo con cura.

Il “crollo”. Chi ha spinto? La stampa


Immaginiamo cosa succede se apriamo un’arnia e ci buttiamo dentro un sasso; o se con un bastone smuoviamo un formicaio; o se lasciamo un formaggio sul balcone per una settimana; o se gridiamo in un corteo di “Libera” che i migranti sono vittime della tratta organizzata con le Ong.  Almeno una delle sette piaghe d’Egitto, se non tutte. E faremo fatica a uscirne vivi. Come i 5 Stelle stanno facendo fatica, elettorale, a uscire vivi da cosa gli ha scatenato addosso, in appena 10 mesi di governo, l’intero sistema nazionale, europeo e internazionale di comunicazione, id est di disinformazione. Direi che del cosiddetto “crollo”, festeggiato orgasmaticamente dal  sinistro “manifesto” e con maggiore compostezza dal resto dell’universale destra, debba essere dato merito al 30% (ho detto che non siamo scientifici; del resto la Scienza con la S maiuscola ci considera decerebrati, vedi vaccini) a questa campagna napoleonica dei media. Poi c’è l’intimidazione sistematica delle funeste Moire, o Parche (quelle che ci tengono per i fili) di Bruxelles, terrorizzate dalla comparsa, un po’ dappertutto, ma a incominciare dall’Italia, di un flusso di papaveri capace di aggredire e travolgere l’assetto paesaggistico con tanta cura allestito. Anzi, restaurato dopo il Congresso di Vienna.


I gufi UE
Alle nefaste divinità UE attribuirei un 20% dell’arretramento pentastellato. Un buon 10% anche alla convivenza con il solito sbruffone unidimensionale, ma megaloquente che fa pochissimo, ma sbraita molto e in termini facili, tipo fumetto. E che si occupa della tua giornata insidiata dal migrante che si fa mafia e spaccio, o della tua notte penetrata dal ladro assassino. Mentre gli altri, con reddito di cittadinanza, taglio di vitalizi e stipendi d’oro, spazzacorrotti, resistenza sì-no ai cementificatori, no trivelle, dissesto territoriale, via prescrizione, via spot dei biscazzieri, costi e benefici dei megaladrocini, migranti lasciati a casa loro impedendo ai devastatori multinazionali di spossessarli e parecchio altro, agiscono sul tuo mese, anno, decennio, figlio, nipote. La differenza tra il taglio di un grappolo e la messa a dimora di una vite.

L’oggi e il domani
Abbiamo messo insieme il 60%. Rimane da assegnare il 40%, sempre per niente scientifico, impressionistico, tipo papaveri di Monet. Come ho già scritto e detto in giro parecchie volte, confortato da tanti 5 Stelle che, sul territorio, hanno accompagnato le mie battaglie giornalistiche, il voto politico d’opinione, cioè della scelta sui massimi sistemi che, con la Lega si proiettano in un futuro del tutto opaco, premia il MoVimento perché è consapevole che il suo discorso non si limita al blocco di una nave,  al fucile sotto il letto, agli sbirri di guardia ai papaveri rossi. E che quello di tutti gli altri – pensate che roba: Martina, Giacchetti, Zingaretti, Calenda, Bonino, Bersani, Fratoianni, e, naturalmente, l’attuale socio di maggioranza in felpa -  naviganti della melma nella quale stiamo annaspando da mezzo secolo, non sarà mai il discorso nostro. Per questo alle politiche si arriva al 33%. Invece quando si tratta del locale, ecco il tonfo.


Digitali o analogici
Succede, e di questo ho una certezza quasi scientifica, perlomeno storica, quando una forza politica con pretese universali si muove per canali elettronici, telematici, virtuali e non dà ai suoi militanti, simpatizzanti, ai curiosi, al popolo che sta lì, l’occasione per annusarsi, confrontarsi, conversare, litigare, elaborare, ridere, sorridere, fantasticare, cenare, bere, va a finire così. Come la gente sul treno o bus che non ha idea di chi gli siede accanto o di cosa passa fuori dal finestrino, annegato com’è tra gente senza volto nel suo smart phone. Come in Abruzzo e in Sardegna. E magari si può tornare, facendosi pure deprecare come “partito” (che male c’è, dipende da che partito!), ad avere una sede (finche si è in pochi va bene la casa di uno, ma poi…), delle assemblee, dei responsabili che mettano il sale sulla coda ai rappresentanti istituzionali, Di Maio compreso. Che sennò, di delusione in delusione, di piattaforma in blog, finisce che la gente non muove più gambe e mani  neanche per le politiche. Insomma, luoghi, tempi e occasioni per incontrarsi. Magari risuscitando quelle che erano le uniche occasioni territoriali, i Meet-up, anche se era il solito termine inglese, scioccamente “trendy” , o “smart”. Si dice “Incontri”, punto. Vogliamo dare al “tanto Rousseau”, e al poco “vediamoci stasera alle 9 in sede”, a questa ossessione dell’innovazione tecnologica gestita contro il pianeta e contro l’umanità dai veri padroni, un altro 20% delle cause delle dissipazioni elettorali?

Moderati o radicali
Il Movimento 5Stelle è nato, nell’intenzione dei suoi fondatori e della gente che gli è venuta dietro e che lo ha portato avanti, dall’abissale disgusto per l’esistente di una classe dirigente ignorante, incompetente, arraffona, volgare, intrecciata a ogni sorta di malaffare, spicciolo o di grande criminalità. E’ nato per dare il suo agli esclusi, svantaggiati, spernacchiati. Ai dominati. Niente grande teoria di riorganizzazione della società, ma le sue premesse, basate su rifiuti e bisogni. E allora arriva un Luca Mazzà che non si capisce in base a quali meriti comandi la radio pubblica che, mentre mi lavo i denti, mi infligge la castroneria che i 5 Stelle hanno perso perché radicali ed estremisti. Logica ferrea: quando erano davvero radicali ed estremisti (si intende, rispetto all’estremismo dei briganti di passo bancario e marziale), quando uno valeva uno e a tutti gli altri vaffa, quando Di Battista metteva in discussione la Nato, le missioni militari e gli F35, quando non c’erano infiltrati del Colle come Moavero o Tria, quando Di Stefano invitava chi in Siria resisteva alla Nato e ai suoi jihadisti, quando il No alle zozzerie come TAV, Tap, Muos era chiaro e forte, quando Euro e UE erano giustamente visti come chiodi nella nostra bara, quando non era ancora iniziata la corsa a chi arriva prima a Washington, o in Viale dell’Astronomia (Confindustria), il MoVimento tracimava dalle piazze e arrivava al 33% e lo sproloquione al 17. In Parlamento è ancora così. Anche se sembra il contrario.



Tanti voti se ne sono andati in astensione, credetemi, perché Tap, Muos, Terzo Valico, Ilva, sono passati, sul TAV, si continua inconcepibilmente a traccheggiare, sulla fine dell’Italia tramite spezzatino apparecchiato per la Grande Bouffe (vedi Ferreri) del Nord francotedesco, come dire secessionisti dalla nazione alla mercè dei secessionisti dall’Europa, si chiude la bocca a probabilmente un occhio, se non due. E il risultato è quello che ha fatto seccare i papaveri. Rossi o gialli che fossero.

Perché si realizzi l’auspicio di Riccardo III  -  Ormai l'inverno del nostro scontento / s'è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole…” – altro che Luca Mazzà. A estremisti, estremismo, a brigante, brigante e mezzo.. A cominciare dal TAV, a proseguire con il NO al Global Compact che ci farebbe vittime e complici della tratta degli schiavi e dell'assalto all'Africa, e a non perdere neanche un secondo, un voto, a bloccare il crimine delle “autonomie differenziate”.

Avete imperdonabilmente contribuito acchè la gente non ne sapesse, non ne parlasse e  quindi non combattesse questo insulto. Già fate discutere poco in basso, ma se non mettete questa cosa in mano al popolo, nel cuore del presente e del futuro, è come se non ci foste mai stati. O impedite che quattro cialtroni, vocati alla regressione tribale, ci facciano da soli quello che altri necrofori hanno fatto alla Jugoslavia, o alla Libia, agli indiani d’America, ai palestinesi, eseguendo ordini di servizio di coloro che sui papaveri di Monet, rossi o gialli che siano, butterebbero glifosato Monsanto, o siete morti. O siamo morti.

lunedì 25 febbraio 2019

Cosa ci dicono di Venezuela, Ong, agenzie di rating, P2, Assange….... NAZIONE CORROTTA, STAMPA INFETTA



L’Espresso di allora e i media di oggi



Il meme “Capitale corrotta, nazione infetta”, formulato nel 1955 da un “L’Espresso” del tutto eterodosso rispetto a quello ortodossissimo di oggi di Debenedetti, titolava una drammatica inchiesta di Manlio Cancogni sull’orrore della speculazione edilizia iniziatasi allora a imperversare su Roma. Espressione felice e inchiesta agghiacciante, che non impedì allo scandalo della devastazione di dilagare in tutto il paese e di raggiungere le vette parossistiche (vedi TAV, TAP, sottopassi, varianti, passanti vari) che sperimentiamo sulla pelle. Ora più che mai, in vista del passaggio dei poteri dello Stato unitario ai governatori  di quelle regioni che tanta buona prova hanno fornito in difesa di suolo, ambiente, sanità, istruzione, diritti sociali, onestà, legalità, parsimonia dei governanti.

Ho parafrasato quel meme quando mi sono chiesto in virtù di quale annebbiamento mentale si potesse credere anche a una sola parola (quando non fosse strumentale) di quanto pubblicato dai media, quando questi appartengono, o rispondono, a quegli stessi potentati alle cui successive e sempre più incontrollate e proterve generazioni  e loro imprese dobbiamo questa Roma e questa Italia. Per la prima volta, da pochi mesi, una forza politica ha messo sul piatto, in particolare con un ministro della Giustizia e uno dell’Ambiente, il proposito, subito sgambettato dal partner di governo, di invertire la marcia che ha portato alla bancarotta fraudolenta dell’impresa “Belpaese, SpA”. La cosa, del tutto incompatibile con i tempi che corrono ha suscitato bad vibrations, onde sismiche e maremoti, da un capo all’altro del paese, dell’Europa e fin dell’Occidente. E i padroni dei media, oggi un cartello atlantico, si sono mossi alla grande.

Arresto dei Renzi? Ci vuole il Piano di Rinascita.
Le reazioni UE non si sono fatte attendere e ce le troviamo sul gobbo. Quelle dello schieramento storico, prodotto dalle temperie catto-capitaliste postbelliche e strettosi come cappio al collo d’Italia fin dai tempi di quel “L’Espresso” eterodosso, ha reagito in vari modi. L’ultima essendo quella che recupera, da parte di tutti loro, opposizione e metà governo, l’insegnamento del maestro Licio Gelli: Piano di Rinascita.  Stimolata dallo sconcerto e dall’indignazione perché si è osato mettere i ceppi (domestici) ai genitori di un ex-premier di quel calibro, ne ha rilanciato, unanime da Martina a Salvini agli scontati Radicali, l’idea della separazione pubblici ministeri- giudici, conditio sine qua non per mettere le briglia a quella magistratura che non si era ancora spontaneamente legata al carro. Piano di Rinascita ora perfezionato con le “autonomie differenziate”  dove ogni cosa è di più facile controllo e gestione. E quale Stato, col ministro Costa e col ministro Bonafede, gli potrebbe dire più niente quando a decidere cosa fare e cosa non fare saranno governatori e consiglieri  di regioni in cui il controllo del territorio viene esercitato, lo dicono le recenti inchieste giudiziarie in Veneto, Lombardia ed Emilia, da ‘ndrangheta e camorra?

Sono i Reporter Senza Frontiere, bellezza!


Abbiamo sotto gli occhi un paginone del “manifesto” firmato da Guido Caldiron, che ricordiamo “pasionario” di tante belle rivoluzioni colorate, in particolare  di quella fallita, ma cara ai suoi correligionari, del Libano nel 2005 (scriveva su “Liberazione”). L’oggetto è l’esaltazione di un rapporto delle associazioni e cosiddette Ong che animano la Piattaforma per la Protezione e Salvaguardia del Giornalismo, organismo che serve a dire come stanno le cose nei media al Consiglio d’Europa. Comprende federazioni e sindacati, ma tra tutti, ai fili del consesso dei capi UE, pendono i Reporters Sans Frontieres (RSF). Quelli che si premurano di spiegare a Trum, Macron, al colto e all'inclita tutte le verità sui mascalzoni Putin, Assad, Rouhani, Kim Jong Un.  A loro, non ridete, Caldiron attribuisce il monitoraggio e la denuncia dello stato della libertà di Stampa.

Il 13 febbraio 2019, il “manifesto”  accredita una relazione di RSF, bocca della verità, sulla condizione dei media italiani. Il 2 gennaio del 2016  allo stesso giornale era sfuggita una svista. Sul suo supplemento “Le Monde Diplomatique” il fondatore e padre nobile di RSF, Robert Ménard, era stato bollato di stipendiato della Cia e lui e la sua organizzazione di estrema destra. Un faux pas per il giornaletto che non si perde una campagna di Soros e della fazione Hillary del Partito Democratico, dunque dello Stato Profondo Usa. Forse inevitabile, dato che non solo autorità del giornalismo come Gianni Minà o Reseau Voltaire, ma la totale identificazione di RSF con tutte le cause care al Dipartimento di Stato e alla base dei macelli libico, iracheno, siriano, afghano, africano, migrantesco, avevano solidamente corroborato tale assunto.

Mafie? Golpe? Gorilla? Maddechè.
Cosa denuncia, dunque, quel rapporto sulla guerra atomica alla libertà di stampa in Italia? Un report destinato all’indignazione e, necessariamente, ai conseguenti provvedimenti dei notabili UE. Che, mettiamo, il “manifesto”, prodigo di ogni informazione anche sul minimo malumore causato al “rifugiato” dalla xenofobia razzista, fascista e antisemita del manigoldo italiano, ci riferisca anche dello scandalo del Cara di Mineo, da cui si estendono su tutta l’Italia i tentacoli della quarta mafia, quella nigeriana? Che, come  prefetture, commissariati, carabinieri,  tribunali, inchieste ci rivelano, in Italia lo spaccio di cocaina e della rediviva eroina, il business della prostituzione, il controllo di larghe fette di territorio, sono ormai quasi monopolio dei nigeriani (arrivati con le Ong, come se no?)? Che è ora di smetterla di piangere sui “salvati” nel mare e schiavizzati dai caporali e attaccare a fondo sia la Grande Distribuzione che campano sulla loro schiavitù e le multinazionali che li sradicano dai loro paesi?

O pensate che il rapporto di RSF e affini ci parli della libertà di stampa manomessa e compromessa da 99 giornali e canali su 100 che, messo l’orecchio a Trump, Bolton e a quello dei genocidi nel Centroamerica, Elliott Abrams, danno a Maduro del dittatore e affamatore del suo popolo, senza dire mai una sola parola sulle sanzioni sociocide degli Usa? O sulla ricomparsa degli stessi arnesi del golpe 2002, sul retroterra terroristico di Guaidò, su vent’anni in cui Chavez e Maduro hanno fatto uscire più popolo dall’indigenza e dall’ignoranza di qualunque altro paese latinoamericano, Cuba inclusa? O  esaltando  le 300 tonnellate di aiuti dell’agenzia Cia USAID, al confine con la Colombia, da qualche gazzettiere volenteroso pompate a 600, e occultando le 1000 tonnellate che ogni giorno il governo di Maduro distribuisce alla popolazione?

Lamenta forse, il rapporto, che nessun mezzo d’informazione abbia avuto quel minimo di deontologia da richiamare alla memoria dei lettori la storia dei colpi di Stato Usa in America Latina e nel mondo, con successiva immancabile installazione di dittatori e ladroni, quelli sì, dall’Argentina al Brasile al Cile al Perù al Venezuela al Nicaragua all’Honduras al Guatemala ad Haiti a Cuba al Messico dei narcopresidenti, fino all’Ucraina dei corpi speciali nazisti, a metà Africa in combutta con Parigi…?


Forse il rapporto si risente della mancanza di una qualche ricerca in profondità che ci spieghi come chiunque abbia toccato il dollaro, tipo il Venezuela col petro, la Libia con la moneta panafricana, Saddam con l’euro, o abbia un bel po’ di petrolio sotto i piedi da suscitare l’interesse tonitruante degli Usa? Per cui lasciare a distanza di schioppo, anziché di oceani e mari, la più vasta riserva di idrocarburi del mondo (più coltan, oro, acqua), non rientrerebbe nella vicenda dell’eccezionalismo statunitense?  Che il rapporto trovi sconcertante che la rivelazione di uno dei più grandi e autorevoli editori americani, la McClatchy (29 quotidiani in 14 Stati, centinaia di siti web, agenzie di notizie), sui 40 voli segreti  in due settimane della compagnia privata Usa, “21 AIR LCC”, di cui gran parte sono stati scoperti dalle autorità venezuelane pieni di armi leggere e pesanti destinati all’opposizione?

Non credete che sicuramente il rapporto per il Consiglio d’Europa abbia rilevato quanti occultamenti, travisamenti, depistaggi, distrazioni di massa, manipolazioni, autentiche balle, squalifichino ogni credibilità della stampa italiana, senza dubbio, per quanto riguarda deontologia e grammatica democratica, la più penosa del continente? Stampa  mainstream” la chiamano in inglese, “flusso principale”. Da noi sarebbe “stampa di regime”. Mica nel senso di governo, che di stampa ne ha pochina. Di regime, quello vero. Non, no, per RSF che, avendo la faccia  come il clown Grock, sono i 5 Stelle responsabili  del 46° posto nel mondo che l’Italia avrebbe per libertà di stampa.

Pagliuzze e travi
Tipo il vindice della correttezza mediatica, Il Fatto Quotidiano, cui, togliendogli una t, spetta il fato quotidiano di scoprire la pagliuzza nell’occhio altrui, con tanto di trave nel proprio. Non che le pagliuzze non ci siano e non siano grosse come covoni, ma che dimensione si può dare a una trave che denuncia (fonte l’immancabile Ong dei “diritti umani”) il dilagare in Germania di spie siriane, reduci dall’aver torturato 2000 prigionieri politici (Amnesty!), talpe russe, sabotatori iraniani? Mentre parrebbe ancora vivo lo stupore di Frau Merkel per essere stata spiata, insieme alla Rousseff e a qualche miliardo di umani, dalla NSA statunitense. Agenzia che, insieme a Cia, Mossad, MI6, BND tedesco, DGSE francese, secondo RSF, si preoccupa unicamente della nostra sicurezza e privacy.

E che trave è quella, condivisa con il “manifesto” e con tutti gli altri sodali della “guerra al terrorismo”, che nasconde dietro a Giulio Regeni il tentativo delle 7 Sorelle di fottere all’Italia gli idrocarburi al largo dell’Egitto? Per cui l’Egitto va rappresentato come il mattatoio del solito “dittatore”, mentre si tace sul terrorismo vero dei cari Fratelli Musulmani che, con le loro milizie Isis, lo assale da tutti lati, assassinando giudici, massacrando poliziotti e civili, incendiando chiese copte, situazione di guerra civile in cui parrebbe difficile tenere in piedi un’immacolata democrazia. Terrorismo considerato dai nostri informatori alla stregua di un’opposizione un po’ vivace. Ovviamente al dittatore.

Illusione, dolce chimera sei tu (https://www.youtube.com/watch?v=rFauAo457nE)
Che però alla fin fine il rapporto di questi segugi delle manchevolezze della nostra informazione abbia scoperto che c’è stata trattativa Stato-mafia e che perciò Borsellino è stato ammazzato, che tra mafia e certo Stato sotto Cia si faceva a chi faceva i migliori attentati; che quello che si diceva di Gheddafi, Assad, Maduro è lo stesso di quanto s’inventava sulle armi di distruzione di massa di Saddam, o sulle buone ragioni di un plusvalore di 7 miliardi ai clienti appaltatori del Buco in Valsusa; che dal corridoio 5 Lisbona-Kiev si sono ritirati tutti sghignazzando, salvo il Chiamparino del pezzetto Torino-Lione; che le agenzie di rating che pretendono di infilarci in paradisi, purgatori o inferni, non sono altro che i terminati delle più scellerate banche d’affari che, con la crisi, hanno moltiplicato per 2000 la ricchezza dei ricchi e per due miliardi la povertà dei poveri. E che al concerto pro-Guaidò del miliardario da bassifondi  di Wall Street (trionfo:18mila sfigati al posto del milione atteso) a un gigante come Miguel Bosè s’è contrapposto un terza fila pro-Venezuela come Roger Waters dei Pink Floyd.


Ce ne sarebbe, ma concludiamo esprimendo la certezza che il rapporto, così come l’Associazione dei Giornalisti Investigativi Europei, avrà buttato un occhio sul fenomeno dell’antisemitismo dilagante in tutta Europa e in Francia soprattutto. Svastiche, aumento del 74% degli episodi, Gilet Gialli che danno del sionista al sionista Fienkelkraut, apparso come per incanto in mezzo a loro. Come ci hanno inzuppato Repubblica, Corriere, Stampa e seguito! E sicuramente avranno concluso che è una ben misera stampa investigativa quella che non sospetta di cronisti secondo cui è stato detto “sporco ebreo”, mentre poi l’audio del fatto riporta solo “sporco sionista”.  Che magari non è educato, ma non è neanche antisemita (ancora per poco). E che magari toccava ai colleghi anche riflettere suil fatto che, se quattro mesi di mazzate e pallottole ai Gilet non sono stati sufficienti a spazzarli dalla scena, forse l’accusa di antisemitismo, missile a testata nucleare, sarebbe servito alla bisogna.

Pesi e misure

Avete cercato tutto questo nel report circonciso da Calderon sotto il titolo “Roma minaccia la libertà di stampa”. Roma sta per 5 Stelle. Ma non lo avete trovato, neanche l’ombra. Invece  avete trovato che la libertà dei media è a rischio, intanto per gli omicidi  e le minacce di morte nei paesi cattivi: Russia, Bulgaria, Slovacchia, Turchia, Ungheria (mica in Honduras dove, dopo il golpe Obama-Hillary, li fanno fuori prima ancora che il dito raggiunga la tastiera, mica nell’ultraliberale Saudia). Ma, soprattutto, per le violenze e la repressione verso la stampa indipendente (“Che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun  lo sa”, Metastasio). Che poi, secondo il “manifesto”, sarebbe esso stesso, il Foglio e l’Avvenire, indipendenti grazie allo Stato che ne compensa l’assenza di audience, a Soros, alla Cia e ai vescovi. E, naturalmente, “la maggior parte degli allarmi registrati nel 2018 sono stati inviati dopo l’insediamento del nuovo governo di coalizione il 1.giugno”. Il giorno in cui da Palazzo Chigi è sceso il nuovo Goebbels. Che, a parte dare degli sciacalli e delle puttane a qualche scriba, ha commesso il peccato mortale di voler togliere i regali di Stato a chi non viene comprato nelle edicole. Assassinio della stampa “indipendente”.

E quando, a fianco, in senso letterale e figurato, sempre sul “manifesto” un altro vindice della libertà di stampa titola “Stampa sotto attacco perché ostacola il potere”, pensate che qui si parli delle nostre eccellenze che hanno bombardato la Serbia e disfatto la Jugoslavia socialista e democratica, dell’Ucraina dove le redazioni antigovernative vanno a fuoco, di Facebook e Google che fanno fuori (da internet) chi pubblica critiche al tiro al piccione praticato su Gaza (198 vittime, di cui 40 bambini, 3000 feriti e mutilati, tutti disarmati)? Errore. Si piagnucola sul dato che, dal 2008, le vendite di giornali siano calate del 20% e se ne dà la colpa al web. Non alle balle. Si ringrazia un congresso della Federazione della Stampa (FNSI), quella che trovate accanto (in senso figurato e letterario) a ogni piazzata di Anpi e Arci per cause sbagliate, per aver denunciato la “forte ostilità” manifestata dal governo alla stampa. Mica il contrario, per carità. Trovatemene uno, tra giornali, riviste, tg e talkshow che non spari a palle incatenate sui 5 Stelle. Meschinelli, che non hanno neanche una fanzina. E si rende merito a Mattarella, Casellati e Fico per aver sottolineato l’importanza di deontologia ed etica nella professione. Lo scrivono senza ridere.

Julian Assange? Mai coverto...


Del resto non è la FNSI, assieme all’Ordine dei Giornalisti,  quella che, diversamente dai sindacati giornalistici di mezzo mondo (non Nato), non ha mai speso una sola parola in difesa della condanna a morte strisciante praticata nei confronti di Julian Assange. Il fondatore di Wikileaks che ha rivelato al mondo, con documenti ufficiali, più crimini commessi dagli Usa assieme agli alleati di qualsiasi gola profonda della Storia, da 7 anni è chiuso nell’ambasciata dell’Ecuador dove gli aveva assicurato asilo l’ex-presidente Correa e in cui ora è privato di qualsiasi contatto con l’esterno, anche elettronico, dal nuovo presidente voltagabbana, Moreno. Simbolo e martire della libertà di stampa, è a rischio di condanna a morte se estradato negli Usa, ma dal “manifesto” è stato vilipeso come “stella appannata”. Giudizio che alla FNSI basta per starne alla larga. Deontologia ed etica.

La tv, invece…
Non mi dilungo anche sulle televisioni. Della deontologia e obiettività di Mediaset non fa conto parlare. Evitiamo Lapalisse. Di La7, a seguirne i talkshow dei vari Capitan America anti-5Stelle: Lilli-Bilderberg-Gruber (“la magnifica ossessione” della tirolese mette in campo sistematicamente tre contro uno, più il suo ghigno, quando si tratta di crocefiggere Di Maio & Co.), Zoro, Giletti, Formigli, si impone l’urgenza di una disintossicazione. Della RAI so meno, non seguo che il TG3, per antica consuetudine e perverso masochismo. Quando ero al dignitoso Telekabul, curavo con Giuseppina Paterniti una rubrica di delitti eco- e sociologici. Cattolica e grande tifosa della Caritas, Paterniti è ora direttrice del TG3. Un TG3 che, dismesso da tempo il berretto frigio, s’è messo la tonaca con tanto di zucchetto porpora. Si apre con l’ordine di servizio atlantico, si passa in Vaticano, si prosegue con i migranti bistrattati, si sfotte un po’ il governo, ci si eleva con Mattarella e si chiude con il prete misericordioso.

E qui arriva il due dell’uno-due appoppiato a chi offende l’etica e la deontologia del giornalismo italiano. Ce lo molla l’Agcom, l’Autorità per le Comunicazioni, nella persona di Angelo Cardani, già della Bocconi e del gabinetto di Mario Monti all’UE. E’ nella forma di monito che si esprime Cardani, alla maniera di Napolitano quando dettava la politica ai sottoposti. Mentre noi, accecati dalla faziosità, avevamo l’impressione che, nei vari TG, alle epifanie dei governativi succedesse, col triplo del tempo, la moltitudinaria opposizione nelle sue infinite articolazioni di partito e di corrente, Agcom ci istruisce sul dato agghiacciante che il governo si prende il…90% del tempo! “Inedita sovra-rappresentazione del governo e sistematicamente sotto-rappresentazione delle opposizioni”.


Avevamo visto male. Ci dovremmo mettere gli occhiali. Quelli di Carpenter in “Essi vivono”. Ci renderemo conto di quanto RFS e Agcom accoratamente e rabbiosamente denunciano. E la libertà di stampa sarà salva.







giovedì 21 febbraio 2019

A proposito di autonomie: La Lega chiama Radetzky, i 5 Stelle si arrendono?---------- QUI SI FA L’ITALIA O SI MUORE - PATRIA O MUERTE




E’ di nuovo molto lungo, ma riguarda tutti noi, oggi più di tutto il resto. Mi aspetto reazioni dall’indispettito al feroce. Ben vengano.

https://www.youtube.com/watch?v=WPOwVzwnaj4&t=89s  Musica di sottofondo per questo testo

Ragazzi dell’800 e del 900
La prima frase la  disse a Nino Bixio Giuseppe Garibaldi a Calatafimi, il 15 maggio 1860,  e promise alla Camicie Rosse la conquista di Roma e la fine del potere temporale del papa. La seconda fu la conclusione di Ernesto Che Guevara al più memorabile discorso mai pronunciato alle Nazioni unite, l’11 dicembre 1964. Qualcuno, oggi come oggi, giudicherà questi motti retorici, ma a me vanno bene. In questo caso, la retorica esprime il massimo di determinazione della parte più nobile di un popolo. In altri casi è demagogia nutrita di ipocrisia.

Nel caso di Garibaldi e del Che, davano voce alla volontà di masse in Europa e in altri continenti  di avviare un processo  che abolisse forme di dominio imposte da fuori, tiranniche e predatorie, e raggiungesse l’unità, repubblicana, laica, democratica. Volontà generata da un immaginario collettivo, nato da aspirazioni antiche, lingua, comunanza di storia, territorio, forza, progetto, sconfitte e vittorie. Tutte cose oggi, inusitatamente, stupefacentemente, dissennatamente, messe a repentaglio da una dinamica regressiva che sembra invocare gli ectoplasmi dei Gonzaga, Sforza, Medici, D’Este, Borboni, dogi.

Scrive Massimo Villone, in un’ennesima denuncia della tragedia che inconsapevoli e delinquenti stanno approntando: “Può un paese dare di matto? Si, e nessuno può imporre un trattamento sanitario obbligatorio. Il solo medico abilitato a somministrare il trattamento risolutivo è il popolo sovrano”. Quando dice “paese”, Villone chiaramente si riferisce ai suoi dirigenti e a chi, nell’ombra, li manovra perché spingano il paese verso la sega circolare. Che farà il popolo sovrano, dopo aver faticato e sofferto per comporre arti separati in organismo vivente, alla vista della sua dispersione in particelle senz’anima e senza nome? Vorrà accettare, stella o pianeta, di frantumarsi in pulviscolo cosmico?

Matteo Renzi, noto per l’assoluta trasparenza delle intenzioni e l’onestà dell’eloquio, da eterno emulo del padre della patria di Arcore, attribuisce ai giudici che hanno pizzicato papà e mamma l’intento di sviare dallo scempio morale dei pentastellati che si sono opposti al processo Salvini. A me pare che, intenzione o non intenzione, sia la rivelazione delle malefatte della sacra famiglia di Rignano, sia lo scomposto baccano intorno al voto pro-Salvini (schiamazzi di iene che si sono sempre premurate di salvare dal giudizio ladroni, pendagli da forca, manutengoli di boss), abbiano prodotto di peggio: la scomparsa dalla scena della tragedia dell’Italia col cappio al collo e la pira sotto ai piedi.



Fiducia nelle magistrature? Ma decchè!
Non mi appassiona per niente il melodramma che i nemici della componente 5 Stelle nel governo stanno, con toni da giudizio universale, mettendo in scena per demonizzare “il tradimento” della loro identità anti-privilegi, pro-legge uguale per tutti. D’un tratto, chi aveva inveito contro la faziosità dei giudici, di una parte o dell’altra a seconda di chi inveiva, assegna alla magistratura una sacralità profetica. Quelli di Catania che, contro l’archiviazione di due istanze precedenti, hanno voluto processare Salvini, meritano la massima fiducia. Mica come quei venduti che ti arrestano i genitori dell’ex-premier, o ti condannano la mummia di Arcore per un oceano di corruzione! Io, su quelli di Catania, la fiducia  me la riservo e anche su tanti altri. Penso ai così benevoli atteggiamenti della Procura di Roma verso il sindaco di Roma. Per me Salvini andrebbe scagliato in qualche girone dantesco per moltissimi motivi, ma non per aver evidenziato il bluff degli eurocrati e i ricatti dei trafficanti della tratta. Chi ha, sul discutibile blog Rousseau, ha votato no al processo non era il popolo bue che non conosce le carte, come sentenziano duchi e contesse. Forse non voleva mandare a sbattere un governo che, venissero gli altri, sarebbe da rimpiangere. Ma ha capito che non necessariamente quelli di Catania e della Aquarius avevano più ragione di Salvini. E io lo rispetto. Anche se, comunque, avrei votato sì. L’immunità tolta ai parlamentari sarebbe sacrosanta se avessimo un sistema giudiziario a prova di Borsellino.


Quando una lingua battezza un paese
Per quanto gliene può importare, se non perché sono segni d’amore, dedico questo pezzo a chi per la prima volta, dicendo Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”, nel 960 testimoniò, in un processo a Capua, in lingua italiana, aprendo la via a padre Dante, Petrarca, Leonardo, Giordano Bruno,  Leopardi, Manzoni, al Guicciardini che, per primo, dando forma a una visione comune, scrisse una “Storia d’Italia”. Tanto da confondere chi insiste a dire che questo paese non è che “l’espressione geografica”   servita a fare succedere torme di invasori e invasi, un artifizio retorico fantasticato, nel Risorgimento, da pochi esaltati, antipapisti e, quindi, già antiglobalisti persi. La frase esatta del cancelliere di Cecco Peppe, von Metternich, fu: La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.  Per cui ci mandò il maresciallo Radetzki a far capire alla Giovane Italia di Garibaldi e Mazzini, ma anche del Leopardi che di un unico popolo aveva delineato caratteri e usanze,  che non esistendo un’Italia politica, e nemmeno storica, la globalizzazione imperiale ne faceva provincia di imperi e regni vari. Dal che si vede che mica l’hanno inventata adesso, l’intento di globalizzare il dominio: è nella natura dei sovrani – ieri principi, tutti imparentati, oggi banchieri, tutti associati – di provarci.



Da Dante e dalla sua commedia divinamente umana a Giuseppe Fenoglio, da me amatissimo combattente e narratore partigiano, da Giotto ai futuristi, da Monteverdi a Verdi, un flusso ininterrotto di maestri dell’umanità, italiani prima che umbri, toscani, emiliani, o siciliani, un flusso possente quanto nessun altro di contributi alla bellezza e all’intelligenza umana. L’Italia l’hanno fatta loro, come quelli della Repubblica Romana, più che i sabaudi che speravano di inserirsi nell’ancien regime e,  non tanto di Italia sapevano, quanto di un grande Piemonte. Quando, in questo contesto parlo di Garibaldi, dall’America Latina alla Comune di Parigi impegnato per popoli e libertà, c’è sempre quel Pierino che salta su a glorificare la civiltà borbonica, quelli della “prima ferrovia”, a denunciare il “tradimento di Teano”, la massoneria (altra cosa allora) e a richiamare le sofferenze inflitte dai garibaldini e poi piemontesi alle genti del Sud. Vero, ma…..

Garibaldi o Radetzky? Risorgimento o feudalesimo?
Si renda conto che se annulla il Risorgimento, si torna al feudalesimo, ai servi della gleba  e ai poteri assoluti. Se togli di mezzo Garibaldi, arriva il maresciallo Radetzky che, non parlando l’italiano, con te comunica come nella battaglia di Curtatone, dove massacrò centinaia di studenti toscani venuti a combattere per l'indipendenza, come quando vinse per fame e colera la Repubblica veneziana del 1849 e, Governatore generale del Lombardo Veneto, fece eseguire mille condanne a morte di patrioti e diede l'ordine di bastonare in pubblico e di saccheggiare le case di chi era sospettato di aver simpatizzato con i primi moti del Risorgimento.  



Sofferenze vere, ma non si passa per la famosa cruna dell’ago senza scorticarsi e la rivoluzione non può essere un pranzo di gala. La storia, una volontà espressa da un’immensità di uomini e che ha fatto saltare le incrostazioni del dominio dispotico e abusivo di secoli, dai risorgimenti nazionali  alle guerre di liberazione anticoloniali ancora in corso, questo ha voluto. E a chi mi obietta che l’Italia unita, indifferente alle masse che non leggevano Leopardi, interessava solo a un pugno di congiurati borghesi, rispondo con la grande antropologa Margaret Mead: “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini pensanti e impegnati possano cambiare il mondo. In effetti è così che è sempre
successo”. Erano borghesi come i capi di tutte le rivoluzioni e, se non altro, siamogli grati per aver costruito la nazione che è il quadro nel quale si è potuta sviluppare la lotta di classe, formarsi una classe operaia, organizzarsi un proletariato, spazio di manovra imprescindibile anche oggi per la lotta dei dominati ai dominanti. Non certo la UE.

Con riferimento a un mio articolo che parlava degli esuli giuliani e ne compiangeva la tragedia, che fosse determinata da anticomunismo, o solo da patriottismo, un cretino è arrivato a prendersela con l’Italia intera: “Questo paese è veramente una fogna, è inutile che vi fate belli con i "bei tempi che furono", da Dante a D'Annunzio. Dunque chi si muove e commuove per il suo paese “si fa inutilmente bello con…” Il che implica che con Dante e D’Annunzio non ci si fa belli, dunque brutti. Il che coincide con un paese che “è veramente una fogna”.

Gramsci, i Mille e Marinetti
Poi ci sono, perlopiù  nella sinistra che si ritiene ortodossa  e rigorosamente transnazionale, per la quale la sola parola “nazione” è matrice di disgusti e orrori al fondo dei quali non c’è più distinzione tra patriottismo e fascismo, sinistri il cui sport preferito è di abbattere qualsiasi figura che nell’immaginario collettivo abbia assunto la forma di modello, cioè di eccellenza della creatività collettiva, ma non risponda ai propri schemini. Si parte da Garibaldi, si passa per Pirandello e si finisce, per esempio, al futurista Marinetti. La risposta gliela facciamo dare, grazie al suggerimento di un amico, da uno dei nostri patrioti più grandi:

“A Mosca, durante il II Congresso, il compagno Lunaciarsky ha detto, in un suo discorso ai delegati italiani…. che in Italia esiste un intellettuale rivoluzionario e che egli è Filippo Tommaso Marinetti. I filistei del movimento operaio sono oltremodo scandalizzati; è certo ormai che alle ingiurie di: «bergsoniani, volontaristi, pragmatisti, spiritualisti», si aggiungerà l’ingiuria piú sanguinosa di «futuristi! Marinettiani»!
Poiché una tale sorte ci attende, vediamo di elevarci fino all’autocoscienza di questa nuova nostra posizione intellettuale”. (Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 5 gennaio 1921, I, n. 5.

Gramsci, peraltro, con la cui interpretazione della Spedizione dei Mille come “rivoluzione-restaurazione”, fenomeno gattopardesco, si può anche concordare, se se ne osserva l’esito imposto dai sabaudi e anche certe impure complicità  siciliane ed esterne durante la “dittatura” di Garibaldi. Ombre robuste che hanno lasciato il segno nella memoria e nella diffidenza di quelle genti, ma che devono rispondere al quesito: si sarebbe arrivati altrimenti a un’Italia unita e, infine, repubblicana? Sarebbe stato meglio di no? Forse il quesito è lezioso. La Storia ha già risposto. E anche Gramsci, consideratosi patriota dell’Italia. Collaborare a ricostruire il mondo economicamente in modo unitario è nella tradizione del popolo italiano e della storia italiana, non per dominarlo egemonicamente e per appropriarsi il frutto del lavoro altrui, ma per esistere e svilupparsi appunto come popolo italiano: si può dimostrare che Cesare è all’origine di questa tradizione. (Antonio Gramsci, Quaderno 19(X)

La conquista dell’identità. Una parentesi personale.
Ci tengo all’Italia e odio i cialtroni che, ignorandone le radici e quindi il maestoso tronco ferito e fiorito, non hanno idea di chi sono, da dove vengono e si affidano ad altri per dove andare. Vivono, come detta lo spirito del mercato, in un presente perpetuo che della vita non ha né la nascita né la morte, quindi non il passato, quindi non il futuro. Sarà perché, cresciuto in dimensioni  e luoghi multicromatici, grazie a una formazione bilingue, a genitori e un Dna in cui si mescolano Campania, Piemonte, Savoia (quando era Piemonte), Westfalia, Ile de France, che abbarbicarsi a una precisa identità mi è costato molto e mi ha fatto “molto italiano”

Scherzi dei movimenti tellurici della prima metà del secolo scorso mi hanno fatto coincidere con i tempi di Pirandello e Mussolini, ma anche di Thomas Mann e Adolf Hitler. Quattro anni di guerra, quattro dall’infanzia verso l’adolescenza, li ho  dovuti passare forzatamente in Germania, condividendo fame, bombe e subendo disprezzo perché italiano. I compagni di scuola, dopo l’8 settembre 1943, mi urlavano dietro “Badoglio”, io reagivo e si finiva a botte. Di solito le prendevo perché, due anni avanti nelle medie, ero più piccolo (italianità offesa). Nel 1946 ci hanno rimpatriato. E a scuola, dato che venivo da lì e avevo assunto un accento tedesco, mi irridevano come “nazi” o “tedesco” (italianità negata). Storia patetica? Storia di una schizofrenia indotta? Forse, ma anche storia di solitudini che dovevano incontrare una collettività. La scelta era, prima ancora che tra “barbari” e latini, tra bipolarismo cosmopolità e identità. A quel punto cercata con accanimento: l’Italia. E per misteriose vie che si può arrivare a sposarsi con il proprio paese.



Della liberazione di questo paese tengo appeso un dipinto di Carlo Adamollo: la breccia di Porta Pia, 20 settembre 1970, quando i bersaglieri sfondarono le mura e posero fine allo Stato della Chiesa e, in quelle temperie felicemente anticlericali, alla tirannia della religione del papa. Non fu la fine della dittatura monoteista e la restaurazione della pluralità classica. Ma fu una rivincita, dopo un millennio e mezzo, di quanto negli italiani, etruschi, campani, liguri, siculi, restava di pagano, di immaginifico, di pluralista, di tollerante. Molto, al di là delle formule e dentro i riti. Uno stop, anche se sfortunatamente temporaneo, a una storia orribilmente cruenta di dogmi assoluti a cui piegare ogni pensiero e sentimento, a rischio altrimenti di finire esiliato, torturato, ucciso, i libri proibiti bruciati trionfalmente nei roghi, ogni pensiero che incrinasse la dittatura della superstizione bollato di eresia. Una catastrofe, un crimine contro  l’umanità: dalla luce alle tenebre. Pensiero unico che, anche oggi, torna a essere lo strumento del dominio. Fosse solo anche per la breccia, ci sarebbe da essere fieri di appartenere a quella storia.

E le (cinque) stelle stanno a guardare
Si rendono conto i 5 Stelle che, ora, questo mio paese di nascita ed elezione lo vogliono fare a pezzi, come si squarta un bue. Filetto, controfiletto e costata ai signori del Nord, lombata, girello e fesa al Centro, coratella e frattaglie al resto. Alle regioni dei Formigoni, Maroni, Fontana, Galan, Zaia Bresso, Cota, Chiamparino, Bonaccini, Bersani (quello delle liberalizzazioni), Errani, (quello del terremoto), del TAV, Mose, di Seveso e del Po-fogna, dei capannoni come stecchi Shanghai, del concentrato di perforazioni e depositi di gas in terre sismo-genetiche, della sanità privata in gloria e di quella pubblica a ramengo, della ’ndrangheta padrona di territorio e affari, dell’oscena Citylife milanese, dei sindaci che vanno in processione a Cutrò, capitale dei boss, di tutto un personale politico attinto da angiporti e sottoboschi affaristici …. a queste regioni toccherà l’educazione dei nostri figli.

Si immaginano i parlamentari 5 Stelle cosa questi comitati d’affari faranno col cemento e con i mattoni al nostro suolo? Cosa rimarrà di pubblico tra questi crociati delle privatizzazioni, predatrici di beni comuni, dei diritti dei lavoratori tra questi sodali della Confindustria, del nostro ecosistema tra questi ossessi del fossile e delle trivelle e del business dei rifiuti, di cui hanno governato, insieme a ogni sorta di malavita, l’intossicazione delle terre proprie e altrui, dell’equità solidaristica contro le sperequazioni che deturpano la nazione? Si fanno un idea, i 5Stelle, di cosa sarà una nostra politica estera che amoreggia con i rapinatori di terre ed eliminazione di popoli in Medioriente e corre ad abbracciare golpisti servi di guerrafondai? E, alla resa di tutti i conti, cosa ne sarà delle stelle che facevano risplendere le colonne portanti del progetto 5Stelle: uguaglianza, sovranità, autodeterminazione, ambiente, beni comuni, acqua, democrazia diretta

Assisteranno passivi a una spaventosa regressione nel tribalismo esclusivo e parossisticamente egoistico, giustamente chiamato la “secessione dei ricchi”, definitivo spegnimento della luce di quelle stelle? Si affideranno a un  altro feldmaresciallo Radetzky, gendarme del nuovo sacro impero, neanche più nominalmente romano, ma franco-germanico, che utilizzi la marca dell’Italia settentrionale per imperversare sul Sud e su altri meridioni, a cui sottrarre forza lavoro, risorse umane e materiali, e su cui affidare il controllo di territori alla maniera di ‘ndrangheta e mafia nigeriana?



Avvinta come l’edera (pianta che soffoca gli alberi)

La mala pianta che si è attorcigliata intorno al sano tronco cresciuto alla luce di 5 stelle non è che l’ultimo atto. A frantumare questa madre, insieme alla Grecia e agli arabi, della civiltà ci avevano provato assolutismi imperiali ed ecclesiastici, gli Usa con Salvatore Giuliano e Cosa Nostra, gli inventori a Ventotene di un’Europa immune dalle volontà popolari, i tal Barroso, Juncker,  Moscovici, con tattiche di stroncamento del welfare, dei diritti sociali, di ogni autosufficienza produttiva, industriale e agricola, di ogni libera scelta nel dialogo con altri membri della Famiglia Umana.

Il paradosso è che qui abbiamo un volgare demagogo che non ha combinato nulla,  solo chiacchiere e distintivo, come si dice. E che, però, è riuscito ad oscurare quel poco e molto che i soci di governo hanno invece concretamente fatto, pur tra omissioni, ritardi e cedimenti. Non c’è da illudersi di qualche scudisciata mediatica impartita a Salvini. Gli arriva in quanto socio dei 5 Stelle. Per il resto, lo sanno, è uno dei loro: Tav, Tap, trivelle, Guaidò, Netaniahu, Grandi Opere, prescrizione, discorsi a vanvera. E ha il grandissimo merito di mangiarsi, boccone dopo boccone, la più grande forza antisistema apparsa nel nostro paese dopo quella che era stata, o era sembrata, il PCI e poi il ’68.

Praterie
Destra e sinistra sono termini desueti, più che altro perché il primo è stato privato di senso dai suoi portatori. Ma destra e sinistra  continuano a dividersi la società, da quando si è formata. Si rendono conto che in quella che si definisce la parte dei padroni, appunto la destra, ci stanno proprio tutti? Tutti con l’UE, tutti atlantici, tutti con il neoliberismo, tutti a sparare cazzate su tutti i media, tutti però anche in agonia o catalessi: PD, FI, FdI, LEU, +Europa, il neopartito dei vescovi, più gli inani borbottoni nella sedicente sinistra delle pippe. Quella che non è riuscita nemmeno a mettere in piedi un flash mob in difesa del Venezuela. E allora come fanno a non capire che lo spazio aperto è dall’altra parte, chiamatela come volete, anche sinistra. E che lì  si estendono praterie sconfinate? Del resto, è dal sole che le stelle hanno ricevuto la luce. Che tornino a brillare su un paese unito.
 Ma il coraggio di vivere, quello, ancora non c'è. 
DATEVELO !