mercoledì 29 novembre 2017

L'AJA, IL TRIBUNALE ASSASSINO





https://www.youtube.com/watch?v=ll8-VYM5xYU video del suicidio di imputato croato al Tribunale dell'Aja sulla Jugoslavia

https://www.youtube.com/watch?time_continue=53&v=idf_sdeVpO4, video di Mladic con il comandante ONU di Srebrenica


Integro, con questi due drammatici e rivelatori video, il mio precedente articolo sulla scandalosa condanna del generale Radko Mladic da parte del criminale Tribunale dell'Aja sulla Jugoslavia. Sulla coscienza dei giudici e procuratori di questa corte di mercenari USA, coscienza prostituita agli ufficiali pagatori Nato in modo che ne risulti occultato e trasferito sul popolo serbo il genocidio e nazionicidio operato da Washington, Berlino, Bruxellles, Roma, Vaticano, sulla Jugoslavia, pesa un altro morto.


Dopo le decine di migliaia di civili di tutte le repubbliche jugoslave massacrate dai bombardamenti Nato, dalle milizie fasciste croate e islamiste di Tudjman e Izetbegovic, dopo la morte provocata ad arte dell'ultimo grande difensore della verità e giustizia nei Balcani, Slobodan Milosevic, dopo la vigliacca condanna di Karadzic, la morte in carcere di altri prigionieri serbi ingiustamente detenuti, ecco l'ennesimo omicidio da imputare a questo tribunale di servi di regimi gangster. Slobodan Pradjak, uno dei pochissimi non-serbi trascinati davanti alla farsa giudiziaria dell'Aja, comandante di reparti croati che si sono scontrati con le milizie jihadiste di Izetbegovic, collaudate in Bosnia prima di essere impiegate nella distruzione di Libia, Iraq e Siria e negli attentati terroristici in Europa, si è suicidato sul banco degli imputati. Alla maniera di Socrate, dopo la condanna a vent’anni, ha bevuto un veleno al cospetto dei manigoldi in toga a stelle e strisce che lo avevano condannato. Poche ore dopo è morto. Come Mladic prima di lui, con le sue ultime parole ha smascherato il carattere truffaldino e bugiardo del cosiddetto Tribunale detto Penale, bollandolo di "Tribunale Nato".



Nel primo, sconvolgente, video, si vede Pradjak definire i giudici dell'Aja "corte politica e tribunale della Nato" e poi bere la sua "cicuta".

Il secondo, con sottotitoli inglesi, mostra l'incontro a Srebrenica nel 1995 del generale Mladic con il comandante olandese dell'ONU che aveva in custodia l'enclave bosniaca in territorio serbo. L'ufficiale ONU, che non aveva saputo impedire le razzie del criminale bosniaco Naser Oric contro i villaggi serbi della regione, che avevano provocato 3.500 innocenti vittime civili (queste vere, non farlocche come gli "8000" di Srebrenica, ma del tutto ignorate all'Aja e dai media), viene interrogato da Mladic sui motivi che lo avevano spinto a sparare sulle truppe serbe e a distribuire armi ai musulmani bosniaci, lui che doveva garantire la smilitarizzazione e pacificazione dell'enclave. Si notino l'imbarazzo del comandante ONU e, soprattutto, le pressanti preoccupazione di Mladic per la salvaguardia dei civili di Srebrenica,


lunedì 27 novembre 2017

Ratko Mladic, Abdelfatah al Sisi e i Fratelli Musulmani di casa nostra


Siamo tanti pesciolini rossi chiusi in una boccia che vedono il mondo attraverso le distorsioni del vetro concavo. Possiamo anche considerarci imprigionati in un labirinto di specchi deformanti che ci danno un’immagine manipolata di noi stessi, in primis, e di tutto ciò che ci circonda, in secundis. Dopodiché, fidandoci di quel che vediamo di noi stessi, siamo anche convinti che quel tavolino Luigi XVI  sia una qualche orrida formazione tumorale. Ci tengono in una costante condizione lisergica di cui l’espressione cinematografica più riuscita rimane il raccapricciante “Truman’s show”. Con la differenza che, quanto sotto il cielo finto che imprigionaTruman era tutto sorridente, consolatorio, rassicurante, disarmante, oggi quel che ci proiettano specchi e vetri deformanti sono finzioni da incubo, destabilizzanti, terrorizzanti, tanto da ridurre ognuno al suo particolare “si salvi chi può”. Sto parlando dell’ininterrotto assalto cui siamo sottoposti delle varie, ossessive, campagne, ordinate dai padroni ai loro politici e da questi ai media, ormai a edicole e schermi unificati.

Radko Mladic, Patrice Lumumba, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Sacco e Vanzetti, Che Guevara… Un segno di nobiltà in comune: fatti fuori dallo stesso boia.


Un video in onore del comandante delle truppe serbo bosniache: https://www.youtube.com/watch?v=MoVzBmx4Rzo&list=PLLgyWSOGXDeocGxUaJgQrBSqzUXVhBf8-&index=12

Christopher Black è l’avvocato canadese che ha difeso Slobodan Milosevic. Eravamo insieme quando D’Alema, oggi vindice della Sinistra, ieri giustiziere su ordine Nato, al pari  - si parva licet componere magnis – di Al Baghdadi su mandato USraele, bombardava famiglie, ospedali, treni e scuole a Belgrado e dintorni. E lui che mi spiegò la natura meretrice del Tribunale dell’Aja, uguale a quella del Tribunale sul Ruanda, dato che entrambi invertivano carnefici e vittime nell’esclusivo interesse, su comando e con soldi dei padrini dei primi. L’invereconda accolita di mercenari e prostitute mascherati da giudici e procuratori, nel tribunale inventato e pagato dal massimo responsabile del genocidio africano e del nazionicidio jugoslavo, aveva un solo scopo: inventarsi e inchiodare, a dispetto di falsità, prove e testimoni fabbricati nel laboratorio della Cia, colpevoli tra le vittime e innocenti tra i carnefici.

Per Slobo non si è mai riusciti, a dispetto dell’accanimento di una virago da seppellire nell’immondezzaio della storia, a provare la benché minima accusa. Si è fatto in modo che togliesse l’incomodo ed evitasse l’imbarazzo della sacrosanta assoluzione  di questo onesto difensore di tutti gli jugoslavi, facendolo morire in carcere. Giudici e boia insieme. Per Karadzic e Mladic si è dovuto ricorrere a Srebrenica, una roba tanto fraudolenta da fa impallidire il Golfo del Tonchino, i “dirottatori sauditi” dell’11/9, all’esecuzione di Osama, a Obama Nobel della pace. Carla Del Ponte, dall’abisso di vergogna in cui dovrebbe farla dibattere padre Dante, insiste a fare l’untore. Emula di Hillary quando si inebriò del linciaggio di Gheddafi, ha celebrato l’oscenità del verdetto su Mladic auspicandone uno analogo per Assad “e le sue armi chimiche”. Sono donne, le sto molestando, merito la gogna.
Carla del Ponte

Per ridurre in cenere bubbonica l’arpia svizzera dell’Aja rivolgetevi In calce una serie di fonti che demoliscono la False Flag Srebrenica, ordita per tenere in ginocchio in perpetuo i “colpevoli”, tutti i serbi, costringendoli ad accettare il giogo  che li trascinerà a capo chino in Europa e nella Nato.

E’ stato istruttivo constatare l’avvenuta omologazione tra voci di regime, di Impero e dei sedicenti oppositori, dall’orrida nuova “Repubblica” di estrema destra  che titola “Mladic, il boia d’Europa – Ergastolo al generale dei massacri nei Balcani “, al “manifesto”  (“Srebrenica, fu genocidio, esultano i familiari delle vittime”), organo prediletto da Soros, letto da gonzi e scritto da faine, insuperato campione di allineamento della “sinistra” alle strategie dell’Impero. Allineamento sui fondamentali geopolitici  mirati alla disgregazione politico-sociale (migranti, russofobia, hillarismo, molestie alle donne, ciberbullismo, False Flags, Fake News, guerre ai dittatori del Sud, neocolonialismo, bergoglismo…). Organo cortigiano, notevole per come in ogni sua pagina riesca a rinnegare  la testatina che porta in prima (ma poi ci sono i fumogeni delle rievocazioni dell’Ottobre…).

Il manifesto: assalti imperialisti? Macche, guerre civili. Resistenze popolari? Ma no,  il dittatore non cede
E’ così che ha accompagnato, chiamandolo venti volte  “guerra civile”, lo squartamento della Jugoslavia per mano Usa, Germania, jihadismo mercenario, Vaticano (e meno male che si celebra un’Europa “che ha garantito 70 anni di pace” la devastazione sedicennale dell’Afghanistan, quella dell’lraq, la disintegrazione della Libia, il martirio della Siria, la lobotomizzazione dei suoi lettori a forza di campagne elaborate nei covi della globalizzazione ipernazista. Nel suo commento all’immonda condanna di Mladic , vista sull’autoassolutorio sfondo delle  “guerre etniche e fratricide”, ovviamente tra barbari e selvaggi nazionalisti, non lo sfiora il dubbio che qualcuno abbia voluto fare a pezzettini inoffensivi e insignificanti un grande e prestigioso paese, socialista, armoniosamente pluriconfessionale, capofila del forte schieramento dei Non Allineati e barriera all’espansionismo verso est della globalizzazione finanzcapitalista.

Il bacio di Giuda

Si tratta forse di abbaglio, di malintesi diritti umani, di disorientamento  causato dall’uragano unipolare della mala informazione borghese a cui i modesti mezzi del giornale non hanno saputo contrapporre dati e fatti alternativi? Dubbio ingenuo alla luce di una clamorosa involuzione, da fiancheggiamento  con però qualche spunto critico, a incondizionata riproposizione di interpretazioni e valutazioni dell’ordine mondialista. Involuzione che è andata in parallelo con la sorprendente uscita del quotidiano dai suoi perenni assilli economici. Dubbi spazzati via anche dal riorientamento in America Latina, dove sul Venezuela condannato a morte dall’imperialismo, si caccia un’analista di sicura competenza e affidabilità, per sostituirla con chi si balocca tra torti e ragioni dell’aggressore e dell’aggredito. Oppure, in termini ancora più drastici, i dubbi diventano certezza, alla vista della penosa captatio benevolentiae nei confronti di Washington, operata con un reportage dalla Bolivia che, facendo leva su un indigenismo etnicista sollecitato dalle note Ong umanitarie, si riduce la Bolivia del resistente Morales, sotto tiro dei revanscisti yankee come Venezuela, Ecuador, Argentina, Brasile, a un pozzo nero di nequizie estrattiviste e, non ci crederete, di narcotraffico (una nuova strada  che non turba più di tanto appena 2000 persone, ma collega l’isolato paese all’Oceano e a un futuro di relazioni, diventa la via boliviana della droga!)

C’è poi, ciliegina sulla torta offerta agli assassini della Jugoslavia e dei suoi patrioti per celebrare l’eliminazione dal mondo e dalla verità di un altro testimone dei propri crimini, un finalino niente male per stile e pregnanza etica. La figlia di Mladic, dopo la morte del suo compagno in combattimento, non ha retto al dolore e si è tolta la vita. Non ha mai manifestato alcun contrasto, o attrito col padre. Ma tale Daniele Archibugi, coronando il suo peana al tribunale farsa e alla sua ex-procuratrice Del Ponte, chiude così: “Oggi la sentenza che ha condannato suo padre ha reso giustizia anche a lei”. Non provate un’ombra di ribrezzo?

Jihadisti macellai in Egitto? Al Sisi se l’è cercata


Passiamo dal capro espiatorio che deve coprire i crimini della Nato, al capro espiatorio che deve coprire i crimini della triade Usa-Israele Saudia. Inevitabilmente i giornaloni, ormai tutti di destra (e più gridano al lupo fascista, più ululano alla Luna per sviare da un fascismo peggiore del fascismo) e il giornalino  che si finge di sinistra per rastrellare i minchioni, hanno dato il meglio di sé. Con la tempesta di bufale su Regeni martire, veniva occultata non solo la vera identità del giovanotto  che in Egitto doveva applicare la lezione di John Negroponte e altri terminator anglosassoni, assembrati dai servizi nella centrale di spionaggio “Oxford Analytica”, ma anche l’orrenda guerra stragista lanciata dai Fratelli Musulmani (FM), sotto copertura Isis, all’Egitto laico e autodeterminato, nato dalla rivolta popolare contro l’integralista Mohamed Morsi, caro proprio a quei circoli in cui si identificava “Oxford Analytica”.

Contro Al Sisi disobbediente, dopo Regeni, i Fratelli Musulmani fattisi Isis
Le chiassate per Regeni, guidate dal menzognificio delle Ong dirittoumaniste, capeggiate da Amnesty International, sostituivano sulla scena egiziana agli orrori terroristici dei Fratelli Musulmani-Isis, con i massacri di civili copti e funzionari delle istituzioni, le presunte “atrocità del dittatore”, sparizioni, esecuzioni, torture, mezza popolazione in carcere, collasso sociale, come al solito documentate senza documenti da Amnesty, ma convalidate dal “manifesto” e da tutti i compari neocolonialisti.
Nota le differenze

 Intollerabile la realtà di un Egitto, sottratto al revanscismo colonialista impersonato dai FM, attestatosi in un ruolo di autonomo attore sulla scena internazionale, interventista in Libia per la salvaguardia dell’unità e della sovranità da strappare al colonialismo Usa-UE e in difesa dall’infiltrazione di bande jihadiste, refrattario alla guerra contro la Siria, solidale con l’Iraq riemerso dalla devastazione Usa-Isis con la liberazione del suo territorio dal mercenariato jihadista e curdo, interlocutore positivo dell’Iran e, soprattutto, aperto a una corposa collaborazione economica e militare con la Russia.

Ed ecco gli oltre 300 civili macellati dai fiduciari del colonialismo  nella moschea Sufi  di Al Rawdah a Bir al Abed, nel Sinai. Nessuna rivendicazione a 48 ore dall’assalto con esplosivi e mitragliatori, chè i FM non possono permettersi di rivendicare certi crimini per non perdere i futuri incarichi di protagonisti delle “soluzioni democratiche” nei paesi recalcitranti ai moduli occidentali. Ma non c’era bisogno di sventolare le bandiere nere dell’Isis perché tutti capissero chi fossero i mandanti.

Mandanti che in Egitto hanno dato il via alla più vasta operazione terroristica nel mondo arabo, dopo quelle di Siria e Iraq, e per gli stessi scopi delle altre: stroncare sul nascere, appena travolto Morsi dalla collera popolare, l’ennesimo tentativo di mantenere in piedi una proposta alle masse arabe, laica, indipendente, unitaria, sovrana.. E in questo caso, hanno lanciato l’attacco più sanguinario nella storia del paese, non solo nella regione, il Sinai, da anni aperta alle infiltrazioni di Hamas, fanteria del Qatar, e di Israele, con il pretesto di impedire la penetrazione di migranti africani  (Israele che quei migranti lì prende a fucilate, ma che da noi i suoi lobbisti auspicano che vengano accolti a milionate), ma anche, significativamente, a due giorni dal rifiuto opposto  al mattocchio saudita con le zanne, Mohamed bin Salman, di concedere i sorvoli per gli attacchi a Libano e Iran.

Come sempre in sintonia e sincronismo  con gli organi del talmudismo-atlantismo, il “manifesto”, con Chiara Cruciati, una che ti immagini con  brandelli di Al Sisi tra le fauci e sauditi e curdi (femministi, democratici, ecologici e soprattutto amerikkkani) nel medaglione a cuore appeso al collo, si è guadagnato la sua bella giornata di piantone Nato. Mentre giornaloni e televisionone  dovevano riconoscere allo spaventoso bagno di sangue almeno il rilievo della preminenza giornalistica (Il “Fatto Quotidiano” le prime tre pagine), la scala delle priorità sorosiane del “quotidiano comunista” lo collocavano su metà pagina nove, dopo la violenza sulle donne dalla prima alla sesta, lo Jus Soli e la Leopolda nella settima, e tutta l’ottava a “Cuba ricorda Fidel” (Quanto gli fa schifo l’antimperialista Bolivia di Morales, tanto gli è affine la nuova Cuba a stelle e strisce di Raul).

Ma quale colonialismo! Guerra civile, tutta colpa di Al Sisi
Quale è il succo dell’articolessa? Che Al Sisi, bravissimo nella guerra ai propri cittadini, ha fallito nella lotta al terrore di cui, peraltro, è direttamente responsabile, avendo lui causato la giusta collera dei FM. Se dunque i cittadini egiziani del Sinai vengono fatti a pezzi dai jihadisti, la colpa è tutta quanta del Cairo. Ma, d’altra parte, è proprio deprecabile che ora il presidente “golpista” si sia messo in testa di reagire “brutalmente” ai “soldati del Califfo”. Cruciati deve ammettere che le popolazioni del Sinai vengono massacrate anche perché stanno con Al Sisi, ma si libra leggera sulla contraddizione per cui è il cattivo Al Sisi ad alimentare il terrorismo jihadista da quelle parti. Nel suo compiacimento per la botta all’Egitto di questo presidente, la signora non si avvede che o la gente sta con Al Sisi  e contro i terroristi, o diventa terrorista perché sta contro Al Sisi. Tertium non datur.

Di chi abbia generato, coltivato, addestrato e pagato tutto il brigantaggio jihadista e lo abbia scatenato su chiunque non accettasse sul collo il tallone imperialista-reazionario, e quindi sull’Egitto, non v’è cenno. E non se ne fa menzione neppure in un dotto commento di Michele Giorgio che, da superesperto di cose mediorientali (purtroppo non si limita al campo israelo-palestinese, dove va forte), fa rientrare il tutto nello scontro interislamico tra wahabiti-takfiristi ed eretici sufi. La solita “guerra civile” e “religiosa” per niente lanciata da predatori killer neocolonialisti con la complicità di nababbi locali. No, no: il conflitto è tutto interno allo scontro arcaico tra sciti e sunniti, musulmani kosovaro-bosniaci e ortodossi serbi, hutu e tutsi, selvaggi dell’una e dell’altra tribù in Congo, cattolici e protestanti in Irlanda. Mentre la civiltà occidentale, costernata e impotente, sta a guardare.

Per Il Fatto è stato Khamenei
Tuttavia, a volte c’è qualcuno che al “manifesto” sottrae il primato della militanza al seguito delle armate imperialiste. “Il Fatto Quotidiano”, con tale Giampiero Gramaglia, ha corretto una cronaca abbastanza equilibrata del massacro di Bir al Abed, con una scoperta da svergognare quello dell’evoluzione della specie. Ci ha rivelato che chi sostiene i terroristi nel Sinai non è nientemeno che… l’iraniano Al Khameni! Proprio quello che, fino a un attimo prima, avevo speso la sua migliore gioventù a combattere l’Isis (Fratelli Musulmani) in Iraq e Siria. Proprio quello che, un attimo prima, il delfino pazzoide del re saudita aveva definito “l’Hitler del Medio Oriente”. Diavolo di un Khamenei, domani si recide le gonadi per far dispiacere ad Al Sisi. Ma diavolo anche di una stampa italiana, indomita, con la Boldrini alla testa,nella caccia alle Fake News.

Tornando al “manifesto”, che il suo vignettista, Mauro Biani, sia stato da questo clamoroso fatto del giorno distratto dalla sua ossessione monotematica sui migranti? Ma certo: ha celebratoin prima pagina il suo evento del giorno sfilando dalle giornate della moda di Milano una modella strafica, vestita Zara, con una rosa in mano e sopra scritto “25 Novembre”. Tutto torna.

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 Srebrenica, cosa è successo davvero

Srebrenica, la CIA e  le manipolazioni mediatiche.                                                                   Parla R. Baer ex agente CIA nei Balcani

Il genocidio di Srebrenica. Un falso
di Frabrizio Fiorini - 02/11/2009

Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]

The Srebrenica massacre was a gigantic political fraud - exclusive interview


Srebrenica: Have ICTY Figures Any Credibility Left?

1) Srebrenica - ciudad sin Dios (Libro en español par semanarioserbio.com)
2) A. Wilcoxson: ICTY Exaggerates Number of Prisoners Captured by Bosnian-Serbs in Srebrenica Operation
3) S. Karganovic: The Tolimir verdict at ICTY - A question of credibility

SREBRENICA
CIUDAD SIN DIOS

semanario serbio 2012

Libro en español par semanarioserbio.com - 2012 - Descarga gratuita (PDF 1,2MB)




mercoledì 22 novembre 2017

Finalmente qualcosa “dal basso”: la mossa delle giumenta di razza, Giulietto e Antonio


Scricchiolio, brusio, vocio, brulichio, ronzio, cicaleccio, pissi pissi, perfino flatulenze revansciste … Le ultime settimane ci hanno lanciato nella contesa elettorale. Sono quelle in cui i cancelli si aprono e ogni genere di botolo si lancia ringhiando all’inseguimento del coniglio di pezza. Più che il tifo tonitruante di scommettitori e drogati di corse fine a se stesse, sono questi rumorii ad aver fatto vibrare etere, cronaca e storia. Degni di quella che appare come una gara non proprio tra levrieri. (Quei levrieri che consolarono lo zar Nicola II quando, nel 1905 a San Pietroburgo, dovette far abbattere dalla guardia imperiale alcune migliaia di operai e contadini straccioni  che ai suoi levrieri osarono contendere i bocconi. Quegli operai e contadini straccioni che, nella storiografia della Mosca attuale, sono diventati turba di farabutti violenti  che attentavano alla vita di uno zar buono e saggio, finalmente in procinto di essere proclamato santo nel plauso dei nipoti dei servi della gleba dagli zar così amorevolmente curati).

Sto digressando. Torniamo al brulichio. Brulichio per noi, ché per coloro che lo hanno emesso parrebbe avere il volume e la risonanza delle trombe di Gerico. Sembra che oggi basti riempire un teatro, occupare il palco di una conferenza stampa, vedersi in quattro amici al bar, per ricavarne investiture popolari con la stessa naturalezza e automaticità in cui i re erano tali per grazia di dio e volontà del popolo. Se in Ernest Hemingway la campana di Spagna suonava per l’umanità, qui trillano campanelle per ribaltare il destino di qualche circoscrizione.

La zattera della Medusa
C’era una volta… un MDP, diranno subito i miei piccoli lettori (piccoli nel senso dei numeri). E anche un Fassina, un Fratoianni, addirittura un Pisapia. No, ragazzi, avete sbagliato (Collodi mi  perdoni). C’era una volta un Brancaccio, con un Montanari e una Falcone, che a quelli sopra citati intendevano fornire il connotato nobile della “società civile”, il marchio DOC e DOP che, come da statuto del politicamente corretto,  provengono solo “dal basso”. E autodissoltasi questa ennesima reincarnazione dei belli, buoni, bravi e politically correct, persi tra i sanpietrini delle piazze e tra le fodere dei teatri di Roma gli ultimi brusii, ronzii, pissi pissi dell’annunciata palingenesi nazionale e continentale dal basso, dal medio e dall’alto, c’è rimasto il vuoto. Ma horror vacui, come ammonisce Aristotele, la natura aborrisce il vuoto e, infatti, subito si è manifestato un fenomeno naturale di proporzioni tali da non solo colmare i vuoticini  dai quali erano fuorusciti quei brusìì e scricchiolii, ma dei vuoti di proporzioni spaziali.


Trascuro qua volutamente un altro suono, un po’ più corposo, almeno in prospettiva, dei mormorii di questi soliti che vengono e, soprattutto, vanno. Il falcone che s’invola, il montanaro che si perde tra picchi rocciosi. Dei Bersani e Pisapia non mette conto seguire le traccia. Trascuro invece al momento il rumore levatosi dal Teatro Italia, sempre in Roma, ma garrulo di inflessioni da Forcella e Torre Annunziata. Dove l’ex Opg je so’ pazzo ha dato un senso, magari meno chic, ma assai concreto e credibile (a dispetto della presenza di alcune mummie revisioniste e trotzkiste), al concetto “dal basso”, con tanto di voci operaie, precarie, disoccupate, militanti con cicatrici di piazza e argomenti come Jobs Act, Buona Scuola, pacchetto Treu, riforma Fornero, guerre imperialiste. Se usciranno dalla morta gora dell’ipocrisia dirittoumanista che mimetizza  la strategia colonialista dell’operazione migranti, da questa  “zattera della Medusa” si potrebbe anche intravvedere un lembo di terra.

Quello che, invece, pinocchiescamente c’era una volta, ma che non ha voluto privare di sè il genere umano, il presente e il futuro della patria, la convivenza tra i popoli e l’equilibrio degli astri, è Giulietto Chiesa. E, con lui, Antonio Ingroia. Da autentici cavalli di razza quale altro motto potevano far cavalcare a una creatura che prometeicamente accenderà il fuoco nei nostri animi e sotto i fondoschiena dei nostri nemici, tinteggiando di futuro purpureo l’orizzonte meglio del sol dell’avvenir, se non “la mossa del cavallo”, che è quella con la quale Bluecher annichilì Napoleone?

Cogliendo fiore da fiore
Non scherziamo. Si tratta di galantuomini di sicuro affidamento, garantito da impeccabile passato. Uno già magistrato, apprezzato PM accanto a Borsellino e Di Matteo nel processo allo Stato mafizzato e, per converso, alla mafia statizzata (gliene restiamo grati). Prezioso ma volatile. Dopo un rapido andata-ritorno tra Palermo e Guatemala per conto ONU, in meno tempo di quanto occorra per farsi Roma-Ostia-Roma, dopo uno scazzo con il CSM, lo si è visto saettare in altrettanto rapido andirivieni tra candidatura politica a capo di Rivoluzione Civile e ritorno in magistratura ad Aosta e nuovo ritorno alla politica come capo della più tranquilla Azione Civile. Ma l’uomo non ha pace, un po’ si avvicina al governatore PD Crocetta, che gli fa continuare il carosello ruotandolo tra capo di “Sicilia Servizi” e commissario della Provincia di Trapani, un po’ lo si vede alle assise del fu PdCI. Intanto fa l’avvocato, a non disdegna di tracciare la penna sul “Fatto Quotidiano” dove a volte perde la brocca e si aggroviglia in questioni che da ex Pm dovrebbe approfondire meglio. Tipo quando s’intruppa con la solita veemenza nelle brigate del “Giulio Regeni Martire”, scordandosi di indagare sui trascorsi del giovanotto alle dipendenze di masskiller e spioni e trascurandone le implicazioni geopolitiche di non limpidissima trama.


L’altro cavallo di razza è il giornalista dal lungo e variato passato professionale Giulietto Chiesa. Riassumo e noterete la linearità del percorso: Federazione PCI di Genova, scazzo con il partito ligure, passaggio all’Unità  di cui è inviato a Mosca per le Olimpiadi del 1980. Da lì in poi brillante carriera di russologo da una sponda all’opposta: La StampaGalateaMegachipMicroMegaIl manifestoLatinoamerica. Importante è stata anche la sua lunga collaborazione con il Tg5. Quella di cui poco ama parlare è stata, ai tempi di Eltsin, la collaborazione a Radio Liberty/Radio Free Europe, l’emittente CIA per i paesi dell’Est europeo. L’attenuante che adduce e che non è possibile provare che ne sia stato compensato. Sempre che attenuante sia il volontariato per simile testata. Scrive un libro e realizza un dvd in cui trasferisce in italiano le validissime riserve, perplessità e controdeduzioni che negli Usa si avanzano nei confronti della vulgata ufficiale sugli attentati dell’’11 settembre. Ma se in quel momento condivide la tesi dell’autoattentato e della demolizione controllata, successivamente recepisce quella, propalata da Washington, del lavoro a guida saudita, con tanto di dirottatori in volo. 



Lo incontro per un viaggio di tre ore tra Roma e Gubbio in cui mi informa, per 120 minuti, della prossima nascita di una sua TV satellitare all-news che sarà la CNN italiana. I fondi stanno arrivando. Dopo un po’ nasce la web-tv Pandora. Di CNN italiana non si parla più. Ma, come in Ingroia, l’uzzolo della politica politicata infetta l’uomo e gli prospetta orizzonti non meno grandiosi della CNN italiana. Con “La mossa del cavallo” siamo al terzo tentativo di imporsi con un partito sulla scena politica nazionale, dopo ”Bene Comune”  e “Alternativa”, il cui esercito di followers a livello nazionale è sempre rimasto quello dei passeggeri di un autobus. Si estingue, purtroppo rapidamente, sotterrato dall’ego eccessivamente misurato del creatore, la positiva iniziativa anti-Nato lanciata con il concorso di alcuni parlamentari fuorusciti dai 5 Stelle, presto defilatisi. Ma ecco ora, finalmente, il fatto palingenetico, appunto la mossa del cavallo, il “partito non partito contro tutti i partiti” (così Ingroia) che si farà partito per le prossime elezioni. Roba da far tremare i polsi e cambiare, capovolgere, riscattare lo scenario politico nazionale, non solo.

Vediamo chi c’è. I dioscuri, ovviamente, Chiesa e Ingroia. Poi l’avvocato Diotallevi, prezioso per eventuali controversie legali,  il generale dei carabinieri Nicolò Gebbia e l’ex-generale dell’esercito Fabio Mini, una doppia garanzia patriottico-securitaria, lo scrittore Nikolai Lilin, la realtà romanzata al potere (“Educazione siberiana”), l’illustre medievalista Franco Cardini, l’attore, scrittore e umorista David Riondino, che aggiunge l’ilare nota comica e riduce di un tantinello un’età media che viaggia verso gli 80, e, incredibile dictu, l’ex-sostenitore di Beppe Grillo e del M5S Aldo Giannuli (Incredibile dictu est quam celeriter Hannibal, apud Zamam a Scipione victus, Hadrumetum pervenerit. Dove Cicerone rimane perplesso della velocità con cui  Annibale sia passato da un posto all’altro). Resta uno dei misteri d’Italia cosa di meglio Giannulli, che nella compagnia spicca luminoso, abbia trovato in questo campioncino di salvatori della patria rispetto ai 5 Stelle di cui è stato per anni saggio amico e puntuale critico.

Come si può già intuire, questo mazzetto di virgulti, devoti al moto di Mao “che mezza dozzina di fiori fiorisca”, non si cura di obsoleti requisiti, tipo omogeneità ideologica , affinità culturale, sintonia politica. Abbiamo due cattolici, conservatori fino all’integralismo, come Cardini e Diotallevi. Si fondono un eversore dell’establishment come Giannuli, con un avventuriero  della penna e dello spionaggio occidentale come il sedicente siberiano Lilin, dalla biografia fantasmagorica tra combattente in Cecenia, migrante siberiano di stirpe Urca, testa di cuoio in Iraq (un critico l’ha definito “la bufala che venne dal freddo”). Poi uno scavezzacollo della satira come Riondino e due generali: un carabiniere che spara a zero sui massoni e l’altro che ha il merito indiscusso di pettinare contropelo le strategie della NATO, però lisciando il pelo alla visione del mondo sancita nelle sacre scritture della civiltà occidentale come intesa alla Nunziatella..  

Fondi, fondi e vedrai che scappa fuori l’oro
Tra i microrganismi  del paleolitico che stanno proliferando in luoghi che ci si ostina a definire di sinistra, questo mi affascina più degli altri. Compensa una inesistente e probabilmente ormai obsoleta omogeneità politico-culturale e di vita vissuta con una fantasiosa varietà di efflorescenze (come auspicato da Mao) ed esperienze che, nell’abraccio dell’immenso ego di Giulietto Chiesa, troveranno sicuramente una felice composizione. Alle quattro severe stellette dei generali in marcia fanno da controcanto le acrobatiche e spigliate invenzioni di un narratore di ambienti ed eventi equivoci, peraltro più volte sbugiardato, per quanto invece accreditato dal noto Roberto Saviano, forse in cambio di qualche tatuaggio siberiano. Stessa fantasmagorica diversità tra i puntuti sberleffi dell’umorista Riondino  e le solenni liturgie del trappista Cardini (vedi un suo testo sacro in calce). E che dire dei fuochi d’artificio che esplodono nell’incontro tra un magistrato capace di saltabeccare di mestiere in mestiere, per un totale di mezza dozzina in un battere d’anni e un giornalista che sa muoversi con grazia e perizia tra testate di opposte fedi politiche, tipo L’Unità e Radio Liberty e che nasce nella Federazione del PCI e finisce candidato al governo d’Europa in Lituania.



Il mondo è bello perché vario, ma il tasso di varietà che a questa  armonia di difformi  porta l’avvocato Alessandro Diotallevi rasenta il sublime: incontro tra un sax e un’ocarina in un concerto di Coltrane. Chi è Alessandro Diotallevi ?E’ tantissime cose.Tutte indispensabili a caratterizzare in modo incisivo, al limite del lapidario, l’intero drappello in marcia verso quella che a buona ragione si potrà prevedere una Terza Repubblica. Intanto è un italiano libero e forte, a dispetto dell’età e dei 17 anni trascorsi come consigliere alla Camera dei deputati, in quanto presidente del Comitato Tecnico Scientifico degli “Italiani Liberi e Forti” (ILEF). Al “cavallo della mossa” ne verranno forza e anelito di libertà.

Poi è socio fondatore di DEconflict, un organismo che “si propone di contribuire alla crescita della cultura della pacificazione”, cultura  che, viste le diversità che s’incontrano nel nuovo movimento, non potrà che fargli del bene. E siccome la pacificazione, seppure nel fuoco della palingenesi annunciata, deve essere un pranzo di gala (e qui la rivoluzione ingroian-giulettiana rinnega Mao) ecco che risulta determinante che Diotallevi sia socio anche dell’Accademia del Cerimoniale, alto consesso dei capi del Cerimoniale del Quirinale e di Palazzo Chigi. In quanto a protocollo nazionale, comunitario e diplomatico, qualsiasi altra formazione politica farà la figura del bifolco a fronte della mossa di un cavallo addestrato da Monsignor della Casa.

Non finisce qui. Diotallevi è un vaso di Pandora. Accanto al generale Repetto (qui le stellette sono una galassia) nel CLM, Comitato di Liberazione Municipale, lo sostenne nella corsa al Campidoglio contro Virginia Raggi. Corsa che neanche i radar ci dissero mai dove fosse finita. L’elenco non finisce qui, l’uomo una ne fa e cento ne pensa. Chiudiamo con la sua partecipazione a “Persona è Futuro”, titolo criptico solo per chi non è addentro alle cose di Giulietto e Antonio, perché di politica qui si tratta, tale da investire di sé l’intero cavallo e la sua mossa.

“Persona è Futuro” è un consesso che ci tiene a questa UE, per quanto Giulietto, alla conferenza stampa ci abbia fatto sapere che l’Europa va rifatta da capo a coda. Ma sono contraddizioni interne al popolo. Come lo sono il principio di PèF secondo cui “i cardini della democrazia europea sono i partiti, perché contribuiscono a formare la coscienza politica europea e a esprimere la volontà dei cittadini”, a fronte del proclama di Ingroia: “Non siamo un partito, non saremo mai un partito, siamo contro tutti i partiti”. Se poi poniamo la celebrata russofilia giuliettiana accanto alla diotalleviana analisi geopolitica sulla deprecabile “assertività di Putin in politica estera, la sua presidenza muscolare”, o sull’altrettanto deprecabile “disimpegno dalla regione di Obama” di fronte alle “ambizioni imperiali della Russia in Medioriente”, memori “dell’alto valore ideale che dalla Prima Guerra Mondiale accompagna l’interventismo americano nei teatri di conflitto (sic! sic! sic!), abbiamo capito tutto. O niente.

La capacità di comporre gli opposti in un unico canto mette in ombra quanto i democristiani, classe politica che, sotto varie denominazioni, ha tenuto in mano e per mano il paese dalla sua fondazione (salvo per un intervallo di vent’anni), hanno saputo raggiungere in termini di convergenze parallele. Chi dovesse adontarsene è solo un meschino dall’ego modesto, invidioso di autentici titani di una dialettica in cui tesi e antitesi raggiungono una sintesi di fronte alla quale a Hegel non rimarrebbe che dire chapeau!

Qualcuno, alla luce delle sue variazioni sui temi, di Giulietto ha detto che non si sa mai con chi sta. Ma anche se stesse con qualcuno, nessuno se ne accorgerebbe.
Comunque continuate a guardare PandoraTV: qualcosa di buono ne esce.

Spunto ideologico della Mossa del cavallo

« La nuova primavera coranica, alla quale stiamo assistendo in questi anni, è una benedizione per il mondo: anche, e soprattutto, per le altre due fedi abramiche. La Modernità occidentale ha provocato un dilagare dell’agnosticismo e dell’ateismo che peraltro ha messo in crisi la fede in Dio, ma non ha affatto debellato forme di paganesimo che sono risorte (…) I credenti nel Dio di Abramo di tutto il mondo non possono che salutare nel rinascimento musulmano -al di là dei fenomeni politici che lo accompagnano ma che restano solo equivocamente collegati a esso- una riscossa della fede che solo alcuni lustri or sono era insperabile. (…) I fedeli non possono che guardare con speranza e fiducia a ogni luogo nel quale si adori e si preghi Iddio onnipotente, Creatore del Cielo e della Terra, e si rinsaldi giorno per giorno il patto che Egli ha stipulato con Abramo e al quale è rimasto fedele. Il Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù e di Muhammad. » (Franco Cardini)

mercoledì 15 novembre 2017

O LA TROIKA O LA VITA- Epicentro Sud “Non si uccidono così anche i paesi?”



 
A questo link si trova il Trailer del docufilm di Fulvio Grimaldi e Sandra Paganini. In allegato la copertina e la serigrafia del dvd
 
O LA TROIKA O LA VITA- Epicentro Sud
“Non si uccidono così anche i paesi?”
 
“O la Troika o la vita” (90’) è stato girato nei mesi scorsi in Grecia, Puglia, Adriatico, territori terremotati e Bassa Padana. Può essere richiesto all’indirizzo visionando@virgilio.it  Per presentazioni pubbliche rivolgersi allo stesso indirizzo email.
 
Il film è un atto d’accusa, del tutto fuori dal coro, nei confronti di chi ha stabilito il destino funesto dei paesi del Sud del mondo, compresi quelli del Sud Europa. Illustra gli effetti sull’area mediterranea, mediorientale e africana, della globalizzazione neoliberista, con le sue conseguenze antidemocratiche, imposta dai superpoteri del finanzcapitalismo attraverso espressioni statuali e transnazionali: Usa, UE, Nato, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea.
 
La Grecia devastata e mutilata nel corpo e nell’anima, Medioriente e Africa aggrediti e saccheggiati con strumenti militari ed economici. Paesi depredati, ridotti in miseria da rapine e manipolazioni delle multinazionali, da accordi di scambio capestro, dai crimini climatici dell’Occidente, da terrorismi e conflitti civili innescati dal neocolonialismo allo scopo di annullarne la voce e il ruolo nel contesto internazionale. Intere popolazioni, soprattutto le generazioni giovani che dovrebbero costruirne il futuro, sradicate e costrette alla migrazione per diventare nel Sud Europa alienata massa di manovra per sfruttamento e destabilizzazioni. Operazione di ingegneria geopolitica colonialista, coperta da altisonanti campagne di mistificazione nel segno di presunti diritti umani, presunta solidarietà,  presunta integrazione, ma che occultano gli obiettivi veri: un
a successione di nazionicidi.
 
Il t
erritorio nazionale abbandonato da governi inetti e corrotti a un dissesto progressivo, con conseguenze micidiali per salute e ambiente, sul quale imperversano, nella complicità di una politica totalmente prona alle lobby degli interessi particolari, nazionali e internazionali, le multinazionali dell’energia fossile, con sempre più pesanti ed accelerati effetti necrogeni su tutte le forme di vita.
 
Di ogni disastro detto naturale si scopre inesorabilmente la correità dei responsabili della cosa pubblica. Ogni terremoto è come se fosse il primo mai successo. Prevenzione ignorata, speculazione edilizia, abusiva o legale, lasciata all’arbitrio dei poteri economici, abbandono, incompetenza, disgregazione sociale,
segnano il destino dei terremotati. 
 


Contro l’Idra pluricefala che si nutre e prospera in proporzione alle vittime che riesce a seminare, il documentario scopre con
sapevolezze, solidarietà vere, resistenze. Il confronto tra dominanti e dominati è aperto a qualsiasi esito. Dipende dalla conoscenza. Questo lavoro cerca di far emergere, dal mare di fake news in cui vorrebbero annegarci, elementi di conoscenza perchè i dominati possano servirsene.

martedì 14 novembre 2017

Venerdì 17 novembre, alle 21, a Roma, Garbatella,Via Pullino 1 (Metro B), circolo Arci, presento il docufilm “ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL’AFRICA”.


 
 
E’ il racconto attualissimo di un paese che, conseguita l’indipendenza con una lotta di liberazione di trent’anni, difende gli obiettivi di quella lotta contro i tentativi di ritorno di colonialismo e imperialismo. Unico paese africano, dopo la caduta della Libia di Gheddafi,  a rifiutare  presenze militari Usa-Nato e condizionamenti e interferenze del FMI e della Banca Mondiale, l’Eritrea paga la sua autodeterminazione e il suo modello sociale fondato sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale con una violenta campagna di diffamazioni da parte dei governi e media occidentali e con la costante pressione bellica del potente vicino etiopico, regime cliente di Usa, UE e Israele.

Il documentario ristabilisce la verità sulla nostra ex-colonia ed esamina il quadro generale  che vede una forsennata corsa militare ed economiche degli Usa e delle ex-potenze coloniali europee ad accaparrarsi, con le buone o con le cattive, le ricche risorse del Continente. Aspetto collaterale di questa predazione è lo svuotamento dei paesi africani delle proprie popolazioni, con gli strumenti della guerra, delle rapine delle multinazionali, dei disastri climatici e dei ricatti di libero scambio. Sradicamento di milioni di africani che da noi si traduce nell’arrivo di masse di migranti che si vogliono accogliere senza se e senza ma, evitando accuratamente di denunciare cause e obiettivi di questa gigantesca operazione di ingegneria politica e sociale contro l’Africa (e il Medioriente) e contro il Sud Europa.
Fulvio Grimaldi

giovedì 9 novembre 2017

Stavolta davvero verso un’altra guerra - MEDIORIENTE, QUEL CHE SI VORREBBE E QUEL CHE PURTROPPO E’


Partiamo con una notizia esaltante. Liberata Abu Kamal, città al confine siro-iracheno, dalla vittoria congiunta dell'Esercito Libero Siriano e dalle truppe irachene, esercito e Forze di Mobilitazione Popolare. Una vittoria di altissimo valore simbolico, che vede uniti due paesi che l'imperialismo-sionismo, insieme ai clienti satrapi del Golfo, avevano tentato di distruggere. Un nuovo inizio di unità nazionale araba con il concorso della Russia, dell'Iran e delle forze antimperialiste libanesi. Che questa, per oggi, ci paia l'unica notizia buona non diminuisce la nostra gioia e gratitudine.

Trump e Mohamed bin Salman: verso l'abisso













E’ un antico vezzo di intellettuali, tra cui carissimi amici di notevole livello teorico, attenti alle profondità degli eventi e, come insegnava Montessori, ai dettagli e alle connessioni (vedere gli alberi nel bosco), quello di cucire un vestito e metterlo addosso al soggetto di cui trattano, convinti che gli stia bene, benché una manica sia corta e le spalle caschino.  Succede in particolare da chi scatta dagli stessi blocchi di partenza, anche quando sono cambiati, anche quando non ci sono proprio. Tipo Stati Uniti democrazia liberatrice, o URSS comunque dalla parte di classi e nazioni oppresse. Ruolo che qualcuno poi trasferisce alla successiva Federazione russa. A volte adottando la sineddoche dove la parte per il tutto è la salvezza della Siria dalla disintegrazione programmata dai suoi nemici e il tutto (discutibile) è il ruolo salvifico di Mosca ovunque si aprano contraddizioni e pericoli.

Se qualcuno non fa quel che dice Mosca, allora gli Usa fanno bene a sgretolarlo
Ricordo, a proposito, come si infilarono nella trappola delle mistificazioni propagandistiche imperialiste quelli di Rifondazione quando, alla mia difesa dell’Iraq di Saddam maciullato, ripetevano a pappagallo la balla secondo cui il leader iracheno era stato per anni “l’uomo degli americani”, da loro armato, per cui ben gli stava (dagli Usa i dati e le immagini confermarono che in Iraq non era mai arrivato niente che non fosse vecchio armamentario sovietico e cecoslovacco). A questa balla occidentale sommarono quella sovietica, secondo cui Saddam non meritava nessuna solidarietà poiché aveva rotto la coalizione di governo con comunisti e curdi e di comunisti ne aveva poi uccisi 5000 (Il PC iracheno, all’atto dell’aggressione iraniana del 1980, su ordine di Mosca si schierò con Tehran. Nell’emergenza bellica, Saddam sciolse la coalizione a tre e impose ai comunisti la scelta tra entrare nel Baath, o andare in esilio in Siria. La maggioranza si schierò con il Baath e con la difesa della patria. Alcuni dirigenti, credo 150, che erano andati a combattere con gli iraniani, furono catturati, processati e giustiziati per alto tradimento). Essendo per i compagni l’URSS buona, Saddam era cattivo e gli Usa avevano ragione. Dove si vede l’eterogenesi dei fini degli schemi preordinati in cui incastrare la realtà.

Siria, Iraq: sembrava fatta. Una cippa.
In Medioriente sta succedendo un ambaradan che fa di Casamicciola  una festa di capodanno e rischia di dare ai sette anni di indicibile sconvolgimento siro-iracheno la qualifica di prodromo di qualcosa di peggio.
Ho tutta la stima per Putin e per il suo ruolo decisivo nel contrasto all’espansionismo necroforo degli psicopatici agli ordini dell’élite occidentale. Per i sacrifici che i militari russi hanno subito nell’impedire che la Siria fosse cancellata dalla faccia della Terra. Questo, a dispetto del fatto che certi mezzi di comunicazione dell’establishment russo, ci parlino di un Lenin “psicopatico sifilitico”, “terrorista e traditore”, di una Chiesa Ortodossa pilastro centrale ed eterno di tutte le Russie e di una “rivoluzione bolshevica che ha spazzato via l’illuminato e umano regime zarista e costituito per la Russia la più grande catastrofe di tutti i tempi”. Roba che fa leggermente barcollare e che ci fa capire che ogni questione morale o ideologica è ormai completamente esclusa dai rapporti internazionali.

Mohamed bin Salman: colpo di Stato e apertura delle porte dell’inferno
Hariri-re Salman

Sapete quel che è successo. Su ordine dei suoi padrini sauditi, si è dimesso un manigoldo di primo ministro libanese, Saad Hariri, cittadino libanese ma anche saudita e, come il padre Rafik, grande farabutto palazzinaro e speculatore, ammazzato da Cia e Mossad nel 2005. Come lui, infeudato ai petromonarchi di Ryad e fiduciario di Israele e Usa per la destabilizzazione del Libano.  Dimissioni fattegli dare vergognosamente a Riyad, abbinando alla mossa l’insulto al paese che governava. Le ha giustificate accusando Hezbollah, partner di governo, di rovinare il paese per conto di un Iran che si propone di divorare l’intero Medioriente ingabbiandolo nell’ “Arco scita”. Lo ha dichiarato da fantoccio del ventriloquo Mohamed Bin Salman, figlio del re in carica, ma in effetti nuovo uomo forte della satrapia. Mohamed lo aveva richiamato in “patria”, appena compiuto quel colpo di Stato con il quale aveva rimosso qualche dozzina di principi della casa reale, ministri, parlamentari, tycoon miliardari ed eventuali rivali nella successione. MBS è anche colui che ha fortissimamente voluto il genocidio yemenita, realizzato con il concorso di Usa e Nato (decisivo per uno Stato militarmente tanto armato quanto inetto come la Saudia); che ha ostracizzato il Qatar, l’ex-compare di sterminio, tramite mercenari jihadisti, di siriani e libici, perché troppo tenero con  l’Iran. E’ colui che ha annunciato  la “modernizzazione dell’Arabia Saudita e dell’Islam”, non tanto mediante attenuazione della dittatura delle decapitazioni, quanto con miliardi da investire in orrende espansioni  urbanistiche e tecnologiche, ovviamente gradite alle multinazionali Usa e occidentali in genere.

Tutto bene, madama la marchesa?
Tutto questo, nell’analisi di taluni, non inficerebbe minimamente “il visibile avvicinamento tra Arabia Saudita e Russia”. Rapprochement che “getterebbe scompiglio” nel fronte che include Usa, Nato, Turchia, Saudia, Qatar, Israele, UE. E prezzemoli vari. Scompiglio, ovviamente, per via diplomatica, ché l’alternativa sarebbero bombe su tutto e tutti e, inesorabile, l’olocausto nucleare. Tutto questo sarebbe favorito da quell’”avvicinamento” tra Ryad e Mosca. Non solo, ma addirittura dai “rapporti di odio-amore (sic) tra russi e israeliani”. Sarà pure scocciante che, a ogni tentativo di fermare il Golem che si avventa su ogni cosa, ci si debba appendere alle volatili armi diplomatiche perché sennò scatta il ricatto nucleare.
Sarebbe bello...


Sarebbe bello che gli asini volassero…
Alla base c’è una considerazione un po’ apodittica, un po’ frutto di grandissimo ottimismo della volontà: “Il tempo è contro l’Impero statunitense e Russa e Cina devono guadagnare tempo. Così diventerà impossibile, anche per i più folli, pensare a una guerra totale”. Direi un pio auspicio. I folli mica pensano. Mentre Russia e Cina guadagnano tempo, quegli altri militarizzano l’Africa, l’Oceano Pacifico, preparano qualcosa di brutto alla Corea del Nord, svuotano l’Africa dei suoi abitanti per riversarli, via Ong, su di noi, si radicano militarmente in Siria chiamando le loro basi Kurdistan, strappano al mappamondo lo Yemen…..

Stesso ottimismo della volontà afferma il “Progetto Isis in frantumi”. No, semplicemente sospeso o rivestito di altri panni.In frantumi lo sarà in Siria e in Iraq dove, sputtanato oltre ogni misura dalle sue pratiche orripilanti che dovevano servire a terrorizzare ogni resistenza fino alla resa e militarmente sconfitto  da forze ben altrimenti motivate e capaci, siriane, russe, Hezbollah, iraniane, l’Isis è stato sostituito dai “democratici, laici, ecologici e femministi” curdi. Curdi capaci di entusiasmare di più le vivandiere “sinistre” dell’imperialismo, in quanto aguzzini di siriani e nemici di Assad, dei troppo bigotti jihadisti. Si parla compiaciuti di “rimasugli dell’Isis”. Rimasugli?  Aspettiamo a vedere come verranno utilizzati in Libano, ma più probabilmente in  Afghanistan, Cecenia altre repubbliche ex-sovietiche. Questi mica si sono fatti l'11 settembre e inventati la guerra mondiale al terrorismo per piantarla lì tra Tigri ed Eufrate.

Esprimo stupore per la fiducia di alcuni nelle mosse diplomatiche della Russia che si spinge  fino a considerare che lo scapriciatiello al fulmicotone che ha liquidato metà della tribù del nonno fondatore, si sarebbe scavato la fossa perchè¸ pur di avvicinarsi a Mosca avrebbe fatto incollerire la Cia, Trump, il proprio esercito, Israele, e sarebbe dunque a un centimetro dalla fossa. Il resto del paese, invece, veleggerebbe sereno verso i lidi del Gruppo di Shanghai  (Russia, Cina, altri minori, da cui, peraltro, si va staccando un’India sempre più amerikana). E qui diventa clamorosa una contraddizione: ma se l’erede al trono si è alienato Cia, esercito, tre quarti dell’establishment reale, è lui, o sono quelli che ha voluto far fuori a “slittare verso Mosca, Shanghai, Eurasia”? Il bandolo della matassa sta nel conflitto tra Cia e Trump? Con  Mohamed filorusso che, per il suo golpe, avrebbe addirittura ricevuto una qualche copertura aerea da Mosca!!! A me parrebbe il contrario. Golpe amerikano contro il partito della moderazione e del dialogo. MBS sarà una testa calda, ma non si mette contro il mondo senza copertura, aerea o altra. Ma quella di Washington.

Torniamo al pessimismo della ragione e, ahinoi,  ai mostri della guerra
Vado in visibilio. Da giornalista di strada, spesso obnubilato dai fumi delle battaglie, sono spesso in soggezione davanti alla preparazione teorica e alla capacità di analisi dei miei interlocutori amici. Ma da mezzo secolo sul campo del Medioriente e dello scontro imperialismo-altri, sono anche abbastanza attrezzato a vedere le fratture tra quel che si vede dal tavolino e quel che succede nel quadrante. E mi sembra che ci sia perfetta  e lineare continuità nelle nuove vicende innescate dall’ “avventuriero” di Ryad.  Al suo assalto allo Yemen in rivolta scita gli americani hanno fornito supporto logistico, militare, di sorveglianza, di blocco aereonavale. All’operazione dimissioni di Saad Hariri, con annessa accusa a Libano-Hezbollah-Iran di aver dichiarato guerra ai sauditi avendo, loro, lanciato un missile nei cieli di Riad, Trump non può non aver dato il proprio avallo, dato che pochi giorni prima era lì a firmare con Mohamed bin Salman accordi economici e militari per miliardi. Un Trump che, dopo aver riassunto in pieno, sotto ricatto Russiagate, impeachment e peggio, gli obiettivi e i modi da Armageddon dei neocon hillariani, sarebbe ora tornato sui suoi passi concilianti e multipolari? Ma dove? Ma come? E sarebbe felice di vedere la fine dello storico legame tra i massimi fornitori e massimi consumatori di idrocarburi e di armi del mondo? Sogno o son desto?

 
Mohamed bin Salman e amici


Dunque, la nuova direzione saudita, vistasi con il presidente Usa, potenzia il suo sbranamento dello Yemen, alleato dell’Iran e di tutto l’Arco scita, ribadisce che Assad se ne deve andare, vistasi sorvolare da un razzo promette distruzione e lutto a Libano e Iran e allo scopo defenestra il premier libanese. Tutto questo d’intesa, non solo con un Trump totalmente alla mercè dello Stato Profondo Usa, ma con Israele, da tempo strettissimo alleato, in perfetta sintonia. Da tempo né Usa, né Israele, sapendo il valore dei propri soldati (buoni più che altro per Abu Ghraib, o per il fosforo su Falluja) e le ricadute delle bare imbandierate che rientrano, non attaccano nemici potenti e non rischiano le proprie truppe.

Che l’Idra a tre teste Saudia-Usa-Israele attacchi direttamente l’Iran è fuori discussione ed è improbabile che assalga il Libano in prima persona. Lo farà assalire. Siamo nel tempo dei “proxy”, delle deleghe, dei surrogati. I sauditi e subalterni manderanno denari, gli Usa forze speciali e droni, Israele insegnerà ai suoi ascari libanesi come si fanno attentati e stragi.
In Siria l'Idra non ha perso, ma non ha neanche raggiunto l’obiettivo prefissato della distruzione del paese, del suo sminuzzamento, della cacciata di Assad. In compenso gli Usa si sono insediati nel Nordest dove costruiscono basi  dopo basi per non andarsene più, come in Kosovo con Bondsteel. Ai riabilitati Al Qaida-Al Nusra, battezzati “moderati”, hanno condiviso che venissero assicurate ampie enclavi di autogoverno.(per future guerre civili). I turchi, alleati Nato che fanno giri di valzer con i russi, si sono assicurati una bella fetta del Nordovest siriano con la scusa di frenare i curdi, ma con l’effetto di essersi mangiati un pezzo di Siria. I curdi, il più fetido mercenariato USraeliano, sono usciti dalla loro ridotta e si sono fatti pulitori etnici e proconsoli degli Usa nel Nordest. La Siria non è stata rasa al suolo, non è stata squartata, ma è stata ridotta a pelle di leopardo e Mosca, sperando di irretire i curdi a stelle e strisce e con stella di David, sostiene un futuro assetto federale (premessa per ogni nequizia secessionista o spartitoria). Chi ha vinto? Con 300mila siriani morti e 4 milioni sradicati? Una cosa certamente non è vera, per quanto detta da un generale russo, quella che l’85% della Siria è stata liberata. E lo sarà, ora che Mosca ha annunciato il suo disimpegno militare?


 Ma non è contento neanche il branco degli aggressori. Sentono il peso di uno stallo che può tornare utile solo se si riprende l’iniziativa. E fatto togliere di mezzo al principe con le zanne i dubbiosi ed esitanti di fronte all’accelerazione, sfasciata la convivenza nel governo di coalizione libanese tra Hezbollah e destra filo imperialista e filoisraeliana (“Futuro” di Hariri,  falangisti di Geagea), invocata la santa alleanza contro Iran e Hezbollah, Usa, Israele e Sauditi riprendono l’iniziativa persa in Iraq e menomata in Siria, per asserirsi dominatori del Medioriente, delle sue fonti e condotte energetiche a spese di Russia, Iran, Qatar, Iraq, Libano.

Questo mi sembra lo stato delle cose. Ho lasciato fuori dalle considerazioni la Turchia, troppo inaffidabile e, dunque, imprevedibile. Non certo un elemento che correrà in soccorso al Libano, o che contrasterà la presa militare Usa su buona parte della Siria,  per quanto in combutta con gli odiati curdi,  o che si compiacerà a veder  ricostituirsi un forte Iraq, seppure a spese dei meno odiati curdi iracheni. Tra i due poteri che, con rispettivi alleati, si contendono l’egemonia sul Medioriente, Iran e Saudia, uno con mezzi pacifici, l’altro, debole e inetto, con le armi altrui, la Turchia fa la parte del terzo incomodo. Si deve barcamenare. Non gli affiderei neanche la mia pianta di Ficus.

Previsioni non ne faccio di solito. Ma a me pare che la buona intenzione dei russi, di seminare subbuglio nell’alleanza Usa-Israele-Saudia, sia svaporata di fronte al cordone ombelicale che unisce in un fronte necessitato geopoliticamente e geoeconomicamente queste tre teste dell’Idra assassina. Possibile che, molto presto, se la prendano con l’anello più debole, il Libano. La defenestrazione di Hariri prefigura un ritorno alla guerra civile che impegnerà gli Hezbollah su un nuovo fronte (indebolendo lo schieramento patriottico siriano), rifarà entrare in funzione l’Isis, potrà richiedere, nel caso che le cose non vadano per il verso giusto, l’intervento di Israele. E qui diventa difficile che non si muova anche l’Iran. La Russia insisterà con il tram ammaccato della diplomazia? Tutto può succedere.


In Libano mi son fatto la guerra civile, la prima e la seconda invasione israeliana e, nel 2006, la vittoria di Hezbollah sugli aggressori israeliani. Mi dispiace che stavolta non sarò in condizione di esserci.