mercoledì 21 dicembre 2011

Chi ha ucciso la Primavera?

Cari amici, questa è, in anteprima, l'introduzione al mio libro, di prossima uscita, su Libia, Siria, primavere arabe,  nessi internazionali e ruolo dell'Italia destra e sinistra


C’è ancora una volta una Potenza Civilizzata, con il suo stendardo del Principe della Pace in una mano e il sacco da rapina e il coltello da macellaio nell’altra. Non c’è altra salvezza per noi se non di adottare quella Civiltà e abbassarci al suo livello? (Mark Twain)


Questo libro, in buona parte una raccolta di miei articoli e saggi, non è né una cronaca, né un’analisi, né un reportage, né un rivisitazione storica dei fatti che hanno sconvolto il mondo arabo dall’Atlantico all’Oceano Indiano, a partire dalle insurrezioni disarmate per arrivare alle aggressioni Nato, con corredo di monarchi del Golfo, mercenari e terroristi. Il libro, un diario degli avvenimenti nel loro succedersi, cerca di essere un po’ tutto questo, ma, contro la tattica mistificatrice della separazione e dell’isolamento dei singoli episodi, ne sottolinea l’internità a un quadro geopolitico nel quale gli avvenimenti in Medio Oriente risultano inscindibili da quelli, di analoga matrice e dagli obiettivi strategici non dissimili, vissuti nell’ annus horrendus 2011 (in latino: orribile e meraviglioso) nel nostro emisfero. E’ soprattutto un tentativo di sottrarre le primavere arabe e, principalmente le aggressioni a Libia e Siria, da me in parte direttamente vissute, al faro accecante delle mistificazioni, falsificazioni e diffamazioni, diffuse dalla stessa élite predatrice e distruttrice che, in Italia e in tutto il mondo, ha lanciato un replay del colonialismo di secoli non lontani. Colonialismo di guerra, o di eversione (le “rivoluzioni colorate”), verso l’esterno, guerra coloniale interna a bassa intensità per una dittatura “tecnocratica” sull’ormai conclamato 99% della popolazione umana,  destinata allo sterminio sociale e alla notte post-democratica. Un colonialismo che è riuscito a darsi i connotati dell’inevitabile e del giusto, con l’esportazione dei diritti umani, grazie al concorso suicida di quelle formazioni e individualità che si richiamano alla Sinistra. E che si allineano concettualmente e, spesso, operativamente (Bersani, che lamenta l’insufficiente entusiasmo di Berlusconi per l’annichilimento della Libia), ai necrofori della cupola finanziaria mondialista, in tutte le sue articolazioni politiche, militari, mediatiche, ideologiche.

Quanto alle guerre autenticamente genocide lanciate dalla Cupola neocolonialista nel segno del bushiano Nuovo Ordine Mondiale, in cui il rapporto tra vittime civili e militari ha superato abbondantemente il già agghiacciante 90 a 10 del secondo conflitto mondiale, si tratta di un vero e proprio autodafé. In questo falò di vite e beni altrui, il capitalismo imperialista si è visto costretto, al culmine di una crisi planetaria di efficienza e credibilità politico-economico-culturale, di bruciare anche tutto ciò che costituiva la sua mimesi da distributore di civiltà, sviluppo, democrazia. L’inaudita ferocia con la quale, organizzatosi in Nato e oligopolio finanziario, si va avventando sulle sue prede, l’impunità che impone all’universo mondo per mandanti e sicari, manda all’aria per riflesso anche gli ultimi brandelli della ricostruzione storica di un passato coloniale “responsabile della civilizzazione di popoli selvaggi e del progresso di paesi arretrati”. Una cosmesi delle rapine e dei massacri inflitti ai colonizzati, del resto già rivelata – e, allora, anche da noi recepita – dalle lotte di liberazione di quei popoli, che avrebbe dovuto suggerire maggiore cautela nel risolversi a sorreggere i nuovi vessilli della “democrazia” e dei “diritti umani”, da scambiare con la sovranità e l’autodeterminazione delle nazioni.


Avrebbe dovuto suggerire tale cautela la memoria di tempi in cui alla depredazione dei paesi depositari della massima parte della risorse corrispondeva, sì, un vertiginoso aumento della ricchezza in Europa, ma di una ricchezza concentrata in pochissime mani. Poco ne sgocciolava sulla piccola borghesia, niente sulla maggioranza della popolazione. A casa loro i colonialisti utilizzavano le condizioni delle popolazioni assoggettate per deprimere quelle della propria forza lavoratrice. L’analogia con quanto fatto oggi ai danni di noi autoctoni dalla triplice Marchionni-Monti-Vaticano e da analoghe consorterie in tutto il mondo, sfruttando l’abiezione inflitta ai migranti, divenuti tali grazie ai crimini colonialisti, è impressionante. Anche se, tragicamente, perlopiù non vista da chi da Marx e seguenti aveva ricevuto gli strumenti per capire e superare queste e altre manifestazioni della cospirazione capitalista. Nei milioni di schiavizzati del mondo di allora, potevano rispecchiarsi gli schiavi minorili delle filande di Manchester, o i servi della gleba delle campagne europee; i 20 milioni trucidati da re Leopoldo nel Congo belga erano fratelli delle 146 operaie bruciate nel 1911 a New York e degli 80 fucilati da Bava Beccaris nel 1898 a Milano.


Cosa impedisce di vedere riflesso l’assalto in atto alle nostre residue possibilità di sopravvivenza politico-sociale, alla nostra convivenza libera e civile, ai diritti insanguinati da un secolo di lotta, alla nostra libertà, nelle analoghe scorrerie di Usa, Israele, UE e Nato, contro la pace, il benessere e la sovranità degli altri mondi? L’abusato lemma “siamo tutti nella stessa barca” che, nei tempi delle ultime vacche magre da scuoiare, ci viene sussurrato a mantra nelle orecchie dall’ultima e più estremista progenie di vampiri, gli va sottratto e riempito di validità con la consapevolezza che in quella barca loro non ci stanno, noi sì. Noi, i precari, i cacciati in strada, i privati di istruzione, i cementificati, i bastonati dell’Aquila, i combattenti della Val di Susa, trattati come una qualsiasi tribù del Sud da sloggiare per far posto a una diga, o a un villaggio-vacanze. I vampiri viaggiano su panfili carburati dal sangue, dalle lacrime e dal sudore, di tutti gli altri.


Non siamo soli, ecco il punto di questo libro. Nella stessa barca, stretti a noi, a remare e a tappare falle aperte da missili, ci stanno libici, iracheni, afghani, somali, yemeniti, egiziani, serbi. Ma anche gli honduregni del golpe Usa, i colombiani della repressione e della rivolta, naxaliti indiani, messicani sotto narcodittatura Usa, latinoamericani in rivoluzione, greci, sanspapier… Insomma, hanno detto bene quegli sveglissimi ragazzi di un paese, gli Usa, che pensavamo narcotizzato oltre ogni recupero: noi il 99%, voi l’1%. Non più proletariato contro borghesia, ma tutti contro l’1%. Un salto non da poco. Tanto svegli da aver prodotto in mille città nordamericane una lotta non solo di massa, non solo di mesi, ma, per la prima volta in Occidente, dotata di una chiave di lettura politica da scardinare il sistema: il nemico è la cupola delle banche, delle corporation, del loro apparato militare sempre e comunque di offesa, i signori dai 4 milioni di bonus, i predatori del pianeta perduto, quelli che scambiano gli ospedali per i “derivati”, le scuole per i futures, le pensioni per le stock option. Gli amici, i compagni, siamo noi, tutti. Una partita che, per una volta, si mette bene. Il remake splatter  del lungometraggio “Colonialismo” potrebbe avere davanti a sé un avversario più numeroso e più consapevole.


Questo lavoro vorrebbe, come i miei precedenti, dare un modesto contributo alla presa di conoscenza-coscienza che, in un mondo spedito dal potere nel tritacarne dell’atomizzazione sociale (individualismo, razzismo, particolarismo, eurocentrismo, competitività, vincenti-perdenti, autoctono-alloctono, cristiano-musulmano, democrazia-dittatura, giovane-anziano, uomo-donna) ci aiuti a lottare contro la separazione di fatti, eventi, genti. Isolati si perde, uniti si vince. Sono le connessioni a consentirci di vedere e capire l’insieme. Certo, ci sarebbe poco da sperare in un paese dove, dopo anni di controffensiva padronale a tutte le componenti della società, del lavoro, della cultura, il Grande Sindacato non ha ancora messo in piedi un straccio di strategia che compatti le innumerevoli istanze di resistenza e di alternativa, dai precari ai pensionati, dai franati di Messina agli espropriati di habitat, storia, futuro, della Val di Susa, dagli studenti deprivati agli agricoltori immobiliarizzati, dagli operai ai migranti. Non fosse per la primavera araba.


Altre primavere di popoli hanno scosso il mondo e ne hanno spaventato i reggitori. Nel secolo scorso, da Cuba, dal Vietnam, dall’Algeria, dall’Egitto di Nasser, dalla Libia di Gheddafi, dalle lotte di Africa, Asia, Latinoamerica, giovani generazioni in Occidente hanno tratto ispirazione ed esempio. Ne è fiorita una rivolta che ha fatto fare passi da gigante ai nostri umili, oppressi, esclusi, da Berkeley a Valle Giulia, da Berlino agli studenti del Politecnico ateniese, dalla Parigi del Maggio alla Spagna del riscatto antifranchista. Poi c’è stata una controffensiva. Ci hanno messo vent’anni, ma hanno vinto. 


Avevano vinto, fino a quando non è esplosa la primavera araba, prima in Tunisia, poi con forza travolgente in Egitto, Bahrein, Yemen, Iraq, mentre anche nelle altre tirannie arabe si verificavano sussulti popolari che emergevano, andavano in sonno, riprendevano. I tentativi di normalizzazione, attraverso ricambi di pura apparenza, fallivano. Seguivano sanguinose repressioni che né  contenevano la forza della rivolta, né ne impedivano il contagio, fin addirittura, con Occupy, nel cuore dell’Impero, la “pancia del mostro”. A questi moti di popolo contro despoti vassalli nel Sud e mafio- tecno-regimi nel Nord, gestori di brutali programmi liberomercatisti di trasferimento della ricchezza dal corpo della piramide sociale alla sua ristrettissima vetta, si è risposto con la messa in mora della democrazia rappresentativa al proprio interno, giunta negli Usa fino all’internamento senza processo di cittadini sul mero sospetto, o con assalti militari o macellerie sociali, a seconda dell’avversario da neutralizzare.


I paralleli che ci fanno naviganti, auspicabilmente non naufraghi, nella stessa barca sono infiniti. Si eliminano caposaldi dei diritti umani, come l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che riduceva l’arbitrio dei padroni su lavoro e vita, come in Libia si procede alla liquidazione di salvaguardie sociali che a quel paese avevano assegnato il primato continentale dell’Indice di Sviluppo Umano. L’accanimento, pure illegale, per l’acqua privatizzata in merce di profittatori, ha il suo equivalente nella sottrazione, a favore delle solite Suez, Bechtel, Acea e Veolia, dell’immenso patrimonio di acqua potabile e da irrigazione che Gheddafi aveva assicurato al suo popolo tramite un sistema idraulico giudicato l’Ottava meraviglia del mondo. La vendita, da noi, delle terre demaniali e del patrimonio economico e culturale pubblico, ha il suo corrispettivo nell’appropriazione del petrolio libico, o iracheno, da parte degli speculatori delle materie prime, nei ladri di ricchezze archeologiche e nella furibonda corsa a terre del Sud da parte di governi e multinazionali dell’agroindustria a fini di agrocarburanti e cibo da esportazione. Nella violenza di Stato, o di persone e congreghe, contro immigrati, detenuti, “diversi” di ogni tipo, con i ricorrenti pestaggi a morte compiuti da sbirri e loro emuli, c’è il riflesso della virulenza genocida su popoli “diversi”. Per non scordare quello che dovrebbe essere lo strumento chiave per l'illuminazione delle menti e la conseguente azione, l'informazione, abbiamo, non distante dai 106 giornalisti uccisi in guerre antinformazione ad alta intensità del 2011, quasi tutti in paesi a dominio occidentale, 74 in Messico, 18 in Honduras, 280 in Iraq dal 2003, la ministra dell'uccisione del lavoro, Fornero che, a questo e altri fini, conduce una guerra di bassa intensità ai giornalisti nostrani, per quanto già abbondantemente addomesticati: si tagliano i fondi ai giornali liberi, si va dal sindacato a insultare la categoria e a garantirgli l'eliminazione dei privilegi (leggi "diritti", già abbondantemente falcidiati; leggi precariato universale a 400 euro). Per non scordare quello che dovrebbe essere lo strumento chiave per l'illuminazione delle menti e la conseguente azione, l'informazione, abbiamo, non distante dai 106 giornalisti uccisi nel 2011, quasi tutti in paesi a dominio occidentale, 74 in Messico, 18 in Honduras, la ministra dell'uccisione del lavoro, Fornero che, a questo e altri fini, conduce una guerra di bassa intensità ai giornalisti nostrani: si tagliano i fondi ai giornali liberi, si va dal sindacato a insultare la categoria e a garantirgli l'eliminazione dei privilegi (leggi "diritti", già abbondantemente falcidiati).  E i mercati che ci annilichiscono, entità opache e spersonalizzate, da noi assumono la veste di gelidi tagliatori di teste “tecnici”, da loro quella dei droni senza pilota, lanciati al massacro da invisibili consolle in altri continenti.


Con una primavera, innesco arabo e poi incendio ovunque, che ha iniettato nella Cupola lo stesso terrore dei tempi della lotta per la liberazione nazionale nelle colonie e della contigua lotta sociale in casa, nella seconda metà del ‘900, non poteva non essere la Libia, primatista democratica e sociale in Africa e nel Medioriente, il destinatario di un simbolico messaggio di morte a tutte le primavere. A quelle che durano da un anno, come a quella che era fiorita, senza alternarsi di stagioni fredde, da molti decenni in Libia e in Siria. L’osceno trucco dei colonialisti d’assalto del terzo millennio era di far passare terroristi integralisti e mercenari raccattati sul luogo e da altri scenari di destabilizzazione imperialista, da giovani rivoluzionari insorti contro una spietata dittatura. Osceno, perché mentre si metteva questo brigantaggio armato, al servizio della Nato, sullo stesso piano di chi si rivoltava contro fantocci della medesima necroalleanza e la sua globalizzazione della miseria, importata dai famigerati “mercati”, ci si riprometteva, dalla distruzione della Libia e dagli orrori con cui è stata condotta, una lezione risolutrice da impartire ai rivoluzionari arabi veri. Che non si azzardassero a esagerare e a respingere pure la “normalizzazione” operata dall’imperialismo con la carta di ricambio dell’”islamizzazione amica”, se non volevano finire come Gheddafi e il popolo che aveva osato amarlo e sostenerlo. O come gli insorti contro i satrapi filoccidentali in altri paesi della regione, “terminati” da droni e forze speciali Usa e saudite. O come, prima, i serbi, gli afghani, gli iracheni.


In questo inganno si sono tuffati appassionatamente tutti nel Nord del mondo, tranne irriducibili e chiaroveggenti nicchie di verità e coraggio. E quando c’è unanimità, inesorabilmente vince la destra, vincono il padrone, l’imperialismo, le Chiese. Nelle guerre (quanto meno condotte, se non vinte) e nelle lotte di classe. I vari nostrani compromessi storici e le unità nazionali insegnano. Quella che si definisce sinistra, assorbendo i meccanicismi ideologici del profitto che la borghesia chiama valori, ha perso la grande occasione di congiungersi ai popoli delle giuste ragioni e delle sacrosante rivolte, centuplicando la propria forza e quella degli alleati, come succedeva ai tempi del Vietnam. E’ in atto il più grande roll back della storia moderna. Il rullo compressore imperialista a guida Usa punta, attraverso successive desertificazioni, a schiacciare ogni residua sovranità nazionale e diversità di organizzazione socio-economica. Strategie e tattiche vengono da lunga data elaborate nei recessi di organizzazioni segrete, o semi-segrete, come la Bilderberg e la Trilateral, o nei fascinosi e champagnosi attici della Goldman Sachs, dove i più élite della élite occidentale si prefigurano una dittatura mondiale su quel che resterà del 99%.


Nosotros somos tantos, ellos pocos, ho visto scritto sui muri dell’università di Ciudad Juarez, la città martire del femminicidio. Sterminio di donne, nodo del tessuto sociale, che, per il narcoregime Messico-Usa, è lo strumento primo della lotta di classe. Se riuscissimo a buttare nell’immondezzaio della storia i dalla borghesia abusati e rivoltati concetti di “democrazia” e “diritti umani”, tanto affettuosamente recepiti dalla “sinistra”, e unissimo e coordinassimo la nostra lotta per la vera democrazia e per veri diritti umani con quella del Sud del mondo, senza la debilitante supponenza instillataci da due millenni di eurocentrismo culturale, ideologico, religioso, il somos tantos, ellos pocos sarebbe foriero di vittoria certa. Il deserto dal quale, nella sua fortezza nella marca dell'Impero, il tenente Drogo si aspettava l'arrivo del nemico, oggi è pieno di Tartari (*).  C’è tra noi chi sussume lo sprezzante giudizio sul “terzomondismo,  romantico e obsoleto”, giudizio che emana da chi del Sud ambisce il sangue, ma di quei cinque miliardi ha anche una maledetta paura. Mandatelo al diavolo. Consegna i chiodi ai crocifissori.

* Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari.


lunedì 12 dicembre 2011

Connessioni: una faccia, una razza.

Siria, Grecia, Libia, Italia - Chi colpisce, una faccia una razza; chi resiste: una faccia una razza
Bombe a Equitalia, bombe nei mercati pachistani, bombe su Yemen e Somalia: una faccia una razza


Che la borghesia vinca o soccomba nella lotta, essa è condannata a perire dalle contraddizioni interne, che diventano mortali nel corso dello sviluppo. Il problema è solo se perirà di mano propria o per mano del proletariato. La permanenza o la fine di un’evoluzione millenaria dipendono dalla risposta a questa domanda. La storia ignora la cattiva infinità dei gladiatori eternamente in lotta. Il vero politico ragiona a base di scadenze. Se la liquidazione della borghesia non si compie entro un termine quasi esattamente calcolabile dell’evoluzione economica e tecnica [..] tutto è perduto. Prima che la scintilla arrivi alla dinamite bisogna tagliare il filo che brucia [Walter Benjamin, Einbahnstrasse, 1928]

http://justiceinconflict.org/2011/04/28/no-joke-2010-un-review-praised-libyas-human-rights-record/ (sito dove si trova il riconoscimento ONU alla Libia come primo paese africano per Indice di Sviluppo Umano e difesa dei diritti umani)


Quella che una banda di licantropi geronto-sionista-massonico-mafioso-vatican-plutocratici, nelle spire della sua psicopatica frenesia, conduce contro il 99% dell’umanità, è una guerra totale. All’ultimo sangue. Guerra di classe, guerra generazionale, guerra contro le donne, i bambini, i vecchi, guerra di religione, guerra di razza, guerra contro popoli sovrani e fuori dal girone assassino della globalizzazione liberomercatista. Tutte guerre, ricordando l’immortale Nando, di altotti contro bassotti. Scemi, succubi o complici, coloro che non vedono le connessioni. Connessioni che l’insostituibile Maria Montessori ci aveva insegnato essere la chiave per capire i fatti, gli insiemi. Come li hanno capiti gli Occupy in Usa e in giro per un mondo ammanettato dalla globalizzazione e, soprattutto, nella Grecia, che pare quella di Leonida e Filippide e con i suoi ormai due anni di nobilissimi scontri e scioperi generali non cessa di azzannare il tentacolo locale della BCE. Ovunque, nelle piazze, nei cortei, nei cartelli, tra le mazzate e gli scoppi, si mira al bersaglio grosso, a quello giusto: la cupola dei bulimici necrofagi del finanzcapitalismo che spende per distruggere e ammazzare nelle guerre ad altri paesi quanto depreda nelle guerre al proprio. Hanno capito che il colonialismo al tempo di Obama, Merkel, Monti, si è fatto dittatura. Dopo la dittatura catto-soft della DC-Nato (con puntello PCI), quella mafiosa dei topi da formaggio-Nato, la dittatura dichiarata, netta e pura come il suo grembiulino, di Rigor Montis Di Pietà.

Da noi, per contro, si viaggia in spensierata schizofrenia. Ci si arrovella su come una personcina così ammodo come il nostro premier comandato, sobria, profumata e dall’argentina chioma, possa farsi boia e calare la mannaia sul collo di un 99% già rantolante sotto le scudisciate di trent’anni di predecessori, ma si aderisce con fanfare e vessilli al vento a ogni spedizione di “diritti umani” che la medesima cosca allestisce e conduce finanziandosi con la di noi salute, istruzione, pensione, paga, terra, metamorfizzate in 132 cacciabombardieri F35 da 15 miliardi e altre chincaglierie da genocidio. Se Al Qaida è il concreto e simbolico strumento che esegue sul campo le disposizioni della Cupola criminale mondializzata, è simil-Al Qaida lo squadrone della morte sociale nominato a Palazzo Chigi, quanto quello che, effettuata la mattanza della Libia, si è ora trasferito con 600 tagliagole per analogo mandato in Siria. Anche il meccanismo è lo stesso qua e là: ricatto e conseguente senso di colpa, alla cattolica. Hanno la protervia, quelli che ci colpiscono alla giugolare mentre esentano dai nuovi estimi catastali cravattari banche, assicurazioni e Chiesa, di farci piangere su nostre colpe che poi sono tutte i loro delitti: avremmo vissuto a lungo come cicale e quindi la nemesi del "rigore" la dobbiamo addebitare a noi. Lo dicono tagliaborse dall'alto dei loro depositi di Paperone a turbe che da trent'anni, sconfitta la loro rivoluzione, si arabbattono intorno a livelli minimi di decente vivere. Il ricatto è analogo per popoli come la Siria e la Libia, il cui senso di colpa deve essere coltivato sulla complicità con il "dittatore sanguinario", il chiamarsi fuori dalla "comunità internazionale" dei probi e della libertà (intesa come libero mercato dei pirati), per cui la dovuta nemesi sotto forma di liberatori e bombe, oceani di sangue, sui quali, però, poi veleggerà leggiadra la "democrazia".

Chiamare uno che viene da Trilateral, Bilderberg e Goldman Sachs a “salvare l’Italia” è come mettere il capo di Ku Klux Klan, Lega Padana e Bengasi a protezione dei neri. A quattro petali del trifoglio si chiede la fortuna, ai quattro cavalieri dell’apocalisse berlusconiana, Marchionne, Gelmini, Letta e Di Paola, Mario Monti ha sollecitato ispirazione per completare lo sterminio: il carnefice dei lavoratori, la carnefice della cultura, il carnefice dell’onestà, il carnefice di esseri umani. E se il terrorismo ricattatorio dell’estortore viene chiamato “baratro”, o “catastrofe”, i lemmi che da Bersani ad Alfano a Caasini sono utilizzati per tenerci accucciati nel panico, e se l’altro mantra da ipnosi, quello della “responsabilità”, sta per “lasciateci tirar sù ‘sto patibolo”, per Libia e Siria il rovesciamento di senso si chiama, appunto, “democrazia”. Già, proprio quella impersonata da uno tutto liscio, stirato e chic, cui solo mancano sul bavero nero le chiavi del portiere d’albergo tailandese da turismo di stupro. Era volgare, osceno, grottesco, ottuso, protervo, l’inetto predecessore, ma questo, col suo bip-bip al rallentatore, tipo Al di Odissea nello spazio (e, vedrete, si spegnerà come quello, basta copiare i greci), trasuda oscenità, volgarità, protervia e ottusità da Centro Benessere peggio di quello. Passa un simile pacchetto solo perché infiocchettato di nastri rossi e neri. Da Mussolini a Monti non c’è mai fine al peggio, siamo scivolati in discesa.

In Siria le cose sono analoghe, ma ancora più chiare. La vostra intelligenza antidirittoumanista aveva già percepito che, per la Siria, c’era qualcosa di nuovo nell’aria, anzi d’antico, di libico, iracheno, afghano, serbo. Le procedure si assomigliavano come gocce d’acqua di solfatara. Ma ora è arrivata anche la prova Dash: Il CNT di Tripoli, quei valletti che spompinano il principe mentre si fanno le pippe (scusate la nostalgia berlusconiana), fattogli assolvere il compito Nato della pulizia etnica di neri e libici perbene, reso omaggio agli equipollenti del CNS (Consiglio Nazionale Siriano, Londra, M16, Cia e Mossad), ha spedito nel carnaio siriano il comandante militare della capitale. Si chiama Abdelhakim Belhadj, ha fondato il Gruppo Libico Islamico di Combattimento, filiale terroristica Cia, forza d’elite al servizio degli Usa dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Bosnia alla Libia, dalla Cecenia al Kosovo. Con se ha portato un primo contingente di 600 tagliagole di Allah, scelti con cura tra chi aveva bruciato e sezionato neri, chi aveva stuprato ed affettato donne, chi aveva linciato il comandante partigiano Gheddafi. Si aggregano agli squadroni della morte, istruiti da specialisti Nato, spediti da Qatar, Arabia Saudita, Giordania, per riprodurre in Siria il proprio modello di democrazia e rispetto dei diritti umani, dalle masse in disarmata protesta massacrate, alla tirannia assoluta del sovrano, dove l’unico privato, la famiglia reale, è anche l’unico pubblico e voi nun siete ‘n cazzo!

Qualcuno tra noi ha arricciato il naso e sollevato le sopracciglia, magari tastandosi qua e là, alla constatazione che le orrende cose raccontateci su Gheddafi avevano trovato la loro nemesi nell’uccisione di un paese, in atrocità agghiaccianti compiuti da cavernicoli già chiamati “giovani rivoluzionari”, nell’annichilimento di una nazione prospera, giusta e coraggiosa più di ognuno di noi, il tutto epitomizzato dal sacrificio di Muammar Gheddafi e dei suoi figli. Ebbene, se ancora una volta si mantiene in bilico sul ponte tibetano degli ondeggiamenti, tra “brutte bombe Nato” e “bruttissimo Assad”, quando arriverà dall’altra parte avrà dato una mano a scagliare nella forra, non solo Bashar Al Assad, ma di nuovo tutto un popolo. Quel popolo che, con più impegno e assiduità di un figlio che sostiene il padre aggredito da teppisti, a milionate in tutto il paese da mesi si riunisce, invisibile alle tv occidentali, per condividere il destino di resistenza e libertà del presidente. Già, e le oceaniche manifestazioni di protesta relazionate puntigliosamente dai nostri osservatori sotto dittatura di Al Jazira e del suo emiro? Le decine di “martiri” della rivoluzione ogni giorno e per ogni dove? Le torture degli sgherri di Assad? I bambini trucidati? In attesa degli stupri di massa, solitamente cari a Amnesty e HRW, tocca a dirittoumanisti, pacifisti e guerrafondai accontentarsi di queste perle di verità. Di cui non viene fornito uno straccio di prova, o firma, per quanti satelliti spiino dall’alto. “Parlano testimoni”. Proprio come quella psichiatra di Bengasi che, inviati 40mila formulari ad altrettante donne per registrarne la violenza subita dai gheddafiani, poi, chissà com’è, nel trambusto della guerra, li ha tutti smarriti. O quel notabile dei diritti umani a Ginevra che la notizia del bombardamento di Gheddafi su civili – pistola fumante per l’ONU - l’aveva avuta per telefono e, di fronte alla smentita del satellite russo, ha riconosciuto: “non ci sono prove”.

Hanno lo stesso tasso di realtà le panzane del pitbull in smoking di Goldman Sachs sul “baratro” e sulla “catastrofe”, sull’Italia da salvare attraverso il “sacrificio di tutti”, di quelle con cui ci tempesta il fantoccio Al Qaida-Nato, Burhan Ghalioun, capo designato di quel Consiglio Nazionale Siriano, partorito a Parigi sotto l’egida dei colonialisti francesi e installato a Istanbul sotto l’arnese Nato, Erdogan, in rappresentanza di non più di 100mila su 24 milioni di cittadini (se si sommano le manifestazioni di tutte le città). Nessuno dei 4000 mila civili “uccisi dalla repressione” è mai stato verificato. Le fonti, perlopiù anonime, sono i fantasmatici “attivisti”, dirittoumanisti, Coordinamento dei Comitati Locali, meticolosi copioni di quanto sulle “stragi di Gheddafi” ci somministravano i “giovani rivoluzionari” di Bengasi, mentre scuoiavano gheddafiani e neri. Quanto a morti ammazzati veri siamo, a 8 mesi dall’inizio della libizzazione della Siria, a quasi 1.500, tutti poliziotti e soldati impegnati contro cecchini mercenari, poi nobilitati in “Esercito Libero Siriano”all’assalto della sovranità e indipendenza del paese. Ragazzi che, rifiutata la fuga, hanno pagato lo scotto dell’ordine di Assad di non sparare sui civili. Stesso prezzo pagato dai soldati di Gheddafi quando, nell’assalto degli islamisti a caserme e stazioni di polizia di Bengasi, gli era stato comandato di non reagire con armi da fuoco.

In Siria i manifestanti, sistematicamente centuplicati da queste autorevoli fonti, chiedevano la libertà? Macchè, istigati dai predicatori sauditi ed egiziani (quelli che schiavizzano l’Arabia Saudita e si sono mangiati le rivoluzioni di Egitto, Tunisia, Marocco) ospitati da Al Jazira, voce del padrone assoluto e vassallo USA-UK Al Khalifa al Thani, ciò che invocano è l’instaurazione di un regime islamista a disposizione del padrone coloniale. Ne sono capifila esponenti del takfirismo, setta sunnita che accusa Assad, leader di un popolo laico dall’VIII secolo, di eresia e apostasia. Come in Libia, in Iraq, in Jugoslavia, sono le armate fondamentaliste e terroriste di un Occidente che percuote il mondo con il paradosso della “guerra al terrorismo islamico”. Fanno il paio con i barbuti che ovunque abbiano infilato le proprie zanne sulle ossa della Libia hanno proclamato Sharia ed emirato islamico. E non sono neanche tanto lontani da quei nostri crociati interni che, ripetendo un modulo millenario, intessono l’integralismo cattolico con le potenze del dominio, dello sfruttamento e delle guerre Gott mit uns. E’ quando in Occidente hanno iniziato a imporsi, lacerando il complice occultamento delle Ong umanitariste, le rivelazioni sugli squadroni della morte venuti da fuori, sulle imboscate ai militari e l’uccisione di civili, che la Nato e i suoi vassalli del Golfo hanno iniziato a inventarsi un esercito di “disertori che non hanno voluto sparare sui manifestanti”. E’ bastato che qualcuno, non certo una missione ONU o di Stati neutrali, non certo Amnesty o HRW, latitanti come durante il mattatoio Nato-islamista in Libia, visitasse ospedali e obitori per vedere il rapporto tra morti delle forze dell’ordine e civili. I disertori conclamati non sono che poche decine, fuggiti in Turchia e inquadrati da esponenti del clan di Rifaat El Assad, zio del vecchio presidente e noto narcotrafficante inseguito dall’ Interpol, e di Abdelhakim Khaddam, già vicepresidente, fuoruscito coccolato da Sarkozy e formalmente legato alla Cia. La notizia buona, qui, è che tra il fasullone Consiglio Nazionale Siriano e il fasullissimo Esercito della Libera Siria, già sono scoppiati i fisiologici conflitti tra sciacalli attorno alla carcassa. Si danno sulla voce, sparare tanto, sparare poco per non insospettire i pacifinti, questo sarà mio, non tuo, comando io, non tu, la Clinton non ama te, ma me... Finiranno con l'avventarsi gli uni sugli altri, come in Libia.

Il menzognificio colonial-mediatico non poteva esimersi da quel travestimento umanitario che gli ha assicurato la frantumazione di Jugoslavia, Iraq, Somalia. Si sono mimetizzati con la vecchia legittimazione umanitarista dei manutengoli delle guerre giuste, come la carovana dei flagellanti di Sarajevo, i Sofri, i Langer, i Saviano, i Lotti e, oggi, ministri baciapile, integralisti della moneta e della superstizione, infiltrati dal Vaticano, come il criptochierico Riccardi del S. Egidio che, ministro della greppia Cooperazione, fa da sponda umanitaria al “tecnico” Di Paola, ammiraglio, caporione Nato e ministro della Difesa per meriti genocidi in Libia. Si invocano per la Siria urgenti “corridoi umanitari” (tipo quello di Misurata, per teste di cuoio occidentali e armamenti pesanti in soccorso ai lanzichenecchi) e, dunque, l’irrinunciabile No Fly Zone. Ci sarebbero 1,5 milioni di siriani da salvare dalla morte per fame. Particolare trascurato: la Siria è da decenni autosufficiente sul piano alimentare e la produzione agricola non ha subito riduzioni significative. Negli ultimi anni ha registrato una crescita media del 5%. Nonostante le scarse risorse minerarie ha assicurato giustizia sociale, mano pubblica egemone, sanità e istruzione. La sua popolazione sta meglio di quella di tutti i paesi della coalizione petro-capitalista che la vogliono morta, lo stesso valeva per Serbia, Afghanistan, Somalia, Iraq e Libia. Pensate che quadriglia assolutamente sincronizzata: Usraele, UE, Turchia e califfi con gli anfibi che da tempo puntavano su Iraq, Siria, Libano, Algeria, per installarvi una delle loro democratiche monarchie assolute!
Lega Araba in salsa Calzedonia

Ignorando misure alla Turco-Napolitano, alla Caldaroli, o all’Obama della cacciata dagli Usa di un milione e mezzo di immigrati latinos, ha accolto centinaia di migliaia di palestinesi e oltre un milioni di disperati fuggiti alla mattanza Nato-islamista in Iraq. Ebbene, se oggi in Siria c’è chi si dibatte tra difficoltà economiche lo deve al caos provocato dal mercenariato Nato, alle sanzioni inflitte dalla coalizione petrosatrapi-comunità internazionale, all’impossibilità di vendere il proprio petrolio in Europa, al crollo del turismo in uno dei paesi più ricchi di patrimoni culturali e storici, alla disoccupazione indotta dalla chiusura di imprese esportatrici, al blocco delle transazioni e al congelamento dei fondi sovrani. Se in Siria ci fosse davvero un milione e mezzo di malnutriti, potrebbe ringraziare coloro che ora propongono “corridoi umanitari”. Misurata, appunto, e Bengasi, ma prima ancora il Kosovo, ci hanno insegnato a cosa servano i “corridoi umanitari”. Ong che, senza guerre, andrebbero per grilli, riescono ad andare per tordi quando cospargono dello zucchero vanigliato dei diritti umani le manovre di regime change delle jene colonialiste. Foderano di qualche sacchetto di farina e qualche barattolo di latte in polvere i canali attraverso i quali viaggiano armi, mercenari, provocatori, spie. Collateralmente si fanno tramite verso gli utili idioti e gli amici del giaguaro delle fandonie raccattate tra “attivisti” e “comitati dei diritti umani” locali. Ricordate quei farabutti di “Save the Children” che da Misurata raccontavano del viagra fornito da Gheddafi alle sue truppe perché stuprassero bimbetti di 8 anni?
Mercenari Nato dalla Libia alla Siria

L’International Institute for Strategic Studies, autorità mondiale su modi e meccanismi di guerra, riferisce che la cosiddetta “Free Syria Army” non è per niente composta da “disertori”, ma da miliziani reclutati, pagati e armati da Stati Uniti, Israele, Turchia e petromonarchie del Golfo. Armi israeliane sono state ripetutamente sequestrate in Siria, a dispetto di quel fessacchiotto di diplomatico italiano, già ambasciatore in Libano, che l’altra sera, a una presentazione del mio docufilm “Maledetta Primavera”, farneticava di un “Netaniahu che non sogna altro che la permanenza al potere di Assad” e plaudiva alla democrazia portata in Egitto e Tunisia dai “moderati” Fratelli Musulmani”. Tale è la nostra diplomazia. Stupida e proterva quanto le ordalie dei nostri governanti quando ci raffigurano lo sterminio sociale come la via, l’unica possibile e concepibile, per uscire dal gorgo (il famoso “gorgo” nel quale ci collocava quell’altro depistatore di professione, Ingrao; non si sa chi abbia fatto più danno a paese, popolo, lavoratori, intelligenza, tra i due capobastone “opposti” del PCI, Ingrao o Napolitano). Del resto, ben sapendo che ha la facoltà di tirarsi dietro, a forza di ricatti finanziari e “morali”, la macchina da guerra Usa e UE, Israele neanche si preoccupa di smentire e, insieme agli altri armieri e addestratori francesi e britannici, accorsi in Turchia a mettere in piedi questo “Esercito della Libera Siria”, tace e ammicca, puntando sull’effetto intimidazione nei confronti della Siria e sull’impunità totale che, dopo il lontano exploit contro la guerra all’Iraq, gli assicurano pacifinti e democretini.

Del resto, non ci sono tutti i media, in rasserenante unanimità, a spianare eventuali increspature di coscienza? Fate un po’ il confronto tra lo sdegnato clamore riservato alla sacrosanta collera degli indignati di Damasco e Tehran contro le ambasciate di chi non si perita di allestire “rivoluzioni colorate”, magari di sangue, per annichilire popoli, benessere e sovranità (ricordate gli ambasciatori di Francia e Usa che vanno a Hama per istruire la teppaglia eversiva?) e, dall’altro lato, mettiamo, le bastonate date all’ambasciatore russo e ad altri due diplomatici dai doganieri del satrapo del Qatar, Al Thani. Di queste vi hanno riferito? Avete confrontato le cronache e i puntuti argomenti, a destra e sinistra, su quei violenti di Black Block, dalla Val di Susa ad Atene,  da Londra a Lisbona, “a stento contenuti dalle forze dell’ordine”, con lo sdegno, ripetuto a rullo, sulla “brutale repressione” dello “Zar” Putin di chi, fiancheggiato dal pizzaiolo Gorbaciov, denunciava brogli e chiedeva democrazia in Russia? Nelle cui immagini si continuano a vedere poliziotti che, facendo sghignazzare i nostri robocop, si limitano ad allontanare i manifestanti a braccia. Come sempre, quando in un paese non sottomesso si vota, esplode la storia dei brogli. Li conferma quell’organismo sopra le parti che è l’OSCE, nido di spie ed embedded, ben collaudato in Kosovo. E, naturalmente, alle ben istruite e orchestrate fanfare sulle “tante irregolarità” sul “voto rubato”, comprensibilmente corrono appresso i delusi e incazzati che hanno perso: hai visto mai che, con un aiutino occidentale, non possano tornare i bei tempi alla vodka di Eltsin. Ridere o piangere al pensiero che chi allestisce queste caciare (la confessa NED statunitense sempre in prima linea) ha presidenti eletti due volte con brogli eclatanti e colloca, ovunque abbia spianato paesi con le bombe, i golpe e i narcos, fantocci eletti con sistemi da “La stangata”? Honduras, Iraq, Afghanistan, Somalia, Messico, Costa d’Avorio… E aspettate a vedere il can can colorato che nel, 2013, quando Putin stravincerà le presidenziali, schiamazzerà sotto il Cremlino, armato di satellitari Motorola, dollari, sms della NED, e magari qualche “vittima” ammazzata dagli sgherri dello zar” (vedi i “falsi positivi” in Iran o America Latina).
Comunisti, monarchici, zaristi romanoviani, neonazisti, neoliberisti, uniti nella lotta


E’ che la Russia dà molta noia. E ne darà di più quando qualcuno con spina dorsale, magari quello che, alla faccia dell’Occidente e della eltsiniana banda di oligarchi ladroni e assassini alla Kodorkovsky,”martire” in Siberia delle prefiche occidentali, ha miracolosamente resuscitato una Russia a brandelli, sostituirà Medvedev e i suoi giri di valzer. All’orizzonte si profila Putin e già parte la flotta russa per il Mediterraneo e la Siria, violando il feudo Nato-islamista del Mediterraneo. L’Iran si schiera a difesa della Siria azzannata dai brontosauri Usa-UE-tappetari del Golfo. Il governo dell’Iraq, incamerato dall’Iran, ondeggia verso il sostegno a Damasco, mettendo in difficoltà le teste di cuoio angloamericane che, da lì, si infiltrano in Siria. Ce n’è per bastonare l’ambasciatore russo, scatenare le cellule dormienti colorate a Mosca, satanizzare Putin, far saltare per aria impianti industriali e ammazzare scienziati in Iran (avete visto come il Mossad ammiccava e si lisciava i baffi con ancora grumi di sangue iraniano?). Non c’era da perdere tempo per riattivare gli ascari colorati, spedire droni-spia (uno felicemente abbattuto) nei cieli sovrani iraniani, preavviso di droni-missili che sparano distruzione e morte un po’ ovunque si possa far finta che rivolte di popolo siano sconquassi Al Qaida. Israele è coprotagonista lì e anche in Palestina, dove, tra un’apocalisse minacciata all’Iran un giorno sì e l’altro pure, il regime nazisionista trova il tempo per seppellire sotto una cementata di colonie quanto resta della Palestina e per massacrare un po’ di ragazzetti nell’Auschwitz di Gaza. Fosse mai che ai palestinesi ancora in piedi, sapendo anche che centinaia di migliaia di loro fratelli sono da sessant’anni rifugiati in Siria, venisse l’uzzolo di parteggiare per l’unico appoggio e santuario che gli rimane nel mondo!

E qui rammento con pena quel compagno, rappresentante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), che l’altra sera a Genova, durante la presentazione del mio film sulle primavere arabe e sulle aggressioni a Libia e Siria, riecheggiando il coro davvero vile e turpe contro Gheddafi di tutte le organizzazioni palestinesi, borbottò, storcendo la bocca: “Dopotutto, la Siria è uno Stato di polizia…” Ma chi te lo ha fatto dire? Cosa fai, dai lo zuccherino al drago? Ma anche lo fosse, Stato di polizia (comunque sempre meno di quelli Usa e UE), ti sembra il momento di sfrucugliare un paese che ospita da decenni i tuoi fratelli e che da sempre, ormai unico, sostiene la tua lotta e le tue aspirazioni per la libertà e l’indipendenza? La speranza e lotta per un mondo arabo riunito, laico, antimperialista, socialista? Ti sembra la cosa principale e unica da dire dopo aver visto e sentito dell’uccisione della Libia, vostra amica, da parte degli assassini del tuo popolo e dell’identica operazione in atto in Siria? Ma chi è il tuo nemico principale? Uno Stato assediato da ogni lato, da quando ha intrapreso il cammino dell’indipendenza e la costruzione di uno Stato sociale: guerre, squadroni della morte, persecuzioni giudiziarie ONU (con l’accusa alla Siria dell’uccisione del tycoon libanese Rafiq Hariri, attentato classico del Mossad), bombardamenti, provocazioni, assassinii mirati, con uno strangolamento economico decretato dalle sanzioni di chi, insieme al midollo della propria società, vuole succhiare anche la polpa delle altre? A parte che vedo più poliziotti e, ora, militari armati per picchiare e sparare, in una cittadina come Pistoia che agenti in tutta la Siria, come fa un paese in quelle condizioni ad aprire porte e finestre, a presentare partiti e media ai forzieri dell’imperialismo? Cosa gli offri, una democrazia che sembra un tappeto divorato dalle tarme e che ora fa da scendiletto a despoti inguainati Armani che, ottuse e tracotanti marionette attaccate ai fili dei Pantagrueli finanziari, hanno fatto tracimare la Prima della Scala di più impudica volgarità di quanto non abbiano mai potuto rigurgitare l’inadeguato ciarlatano burino e la sua compagnia di giro.

Terroristi, una faccia, una razza. Mentre in Siria squadracce di ossessi religiosi, bulimici di libero mercato alla Monti, e miliziani rastrellati dai vari scenari della destabilizzazione, sparano su folle e custodi della sovranità della Nazione, con perfetta specularità riparte in Italia la logora tiritera del terrorismo ante portas. Un terrorismo che, dalla sua prima apparizione, è USraeliano e serve a giustificare guerre di conquista, come pure quella al proprio popolo. Non vi ricordano, le buste esplosive "anarcoinsurrezionaliste" all’usuraio-capo di Equitalia, come a suoi compari in altri posti, le bombe “anarchiche” del ’69 e seguenti e quelle del ’92-’93? Finalizzate, le prime, a contenere una messa in crisi rivoluzionaria del sistema, le seconde ad avviare, dopo la bonifica di Mani Pulite, l’avvento diretto della criminalità organizzata al potere e, queste ultime, a intimidire e reprimere ogni sussulto di vita nella camera della morte in cui questi tonnaroli Bilderberg stanno cacciando il 99% del paese. Siccome, ottusi e rapaci, ci trombano con la minchiata che “non c’è alternativa”, ottusi e monotoni cercano di trombarci anche con l’ennesima riproposizione del terrorismo. E se non spunta qualche cazzone a piazzare ordigni, i provocatori pronti all’uso in questo paese e nei suoi servizi non sono mai mancati. Il parallelo è costante: da noi qualche finto brigatista, o qualche infiltrato nero (“opposti estremismi”), in Siria il detrito Al Qaida che ha finito il soldo per i lavoretti in Libia o Cecenia. O in Pakistan. Già, lì droni Cia ne violano ogni giorno la sovranità e spazzano via villaggi e villici del Waziristan e, ultimamente, ben 24 soldati “alleati”. E se i militari, dove alligna un residuo di dignità nazionale, finiscono con lo scocciarsi e cacciano gli Usa dalla loro base aera di Shamsi in Beluchistan, ecco che, botta e risposta, saltano per aria mercati e moschee affollate nella principali città. Terroristi pachistani? Forse. Ma scudiscio manovrato, come da noi e in Siria, dagli stessi mandanti di Monti. La barca è sempre quella. Ci siamo dentro tutti. Una faccia una razza, dall’una e dall’altra parte della barricata. A saperlo si diventa più forti.

Da noi c’è, accanto al presidente che ha firmato tutte le porcate del guitto mannaro e padrineggiato il golpe Monti, il “con-viva-e-vibrante-commozione” rifilatoci dagli Usa mezzo secolo fa, sempre a disposizione di chi ci vuole male, santo-subito per gli auspici di alcuni milioni di decerebrati, l’altro capo di Stato. Quello incistato da millenni nel cuore del nostro paese, che, esentato dall’ICI, munito di greppie scolastiche e imprenditoriali, conferma la sua vocazione a benedire chiunque faccia transitare armate di cammelli per la cuna dell’ago, bambinelli per la psicoterapia alla “Chi volò sul nido del cuculo”, morituri per i trattamenti della strega cattiva di Calcutta. Paradossale, ma neanche tanto, che, mentre le chiese cristiane, liberamente e rigogliosamente presenti in Siria (come lo erano in Libia), si svociano a denunciare la nemesi Nato-islamista programmata per uno Stato laico, tollerante e progressista, il Papa si limiti a deplorare le “violenze” (e intende quelle che gli racconta Hillary Clinton) e unge di olio sacro il terminale domestico della cosca colonialista che di tutte le violenze, di ogni terrorismo, è prima ed esclusiva fucina.
Esportare primavere. O comprarle.


Tout se tien, tra Libia, Siria, Iran, Russia e le nostre faccenduole nazionali. E’ in atto, come dice James Petras, il più grande roll-back (riavvolgimento del tappeto) delle conquiste di popoli, nazioni, lavoratori, donne, dai tempi della Compagnia delle Indie, o del macellaio santo del Sacro Romano Impero. Mai ci vorrebbe come oggi un Marx che tornasse a spiegarci cos’è e come opera e cospira il Capitale e come si dovrebbe fare per riprendersi libertà e plusvalore. Ma mai, come nell’attuale proliferare di gruppi, sottogruppi, conventicole e torri d’avorio dalla falce e martello, c’è stata mancanza di comunismo. Visto che senza internazionalismo e senza antimperialismo, checché ne dicesse quell’altro fiore del revisionismo, Bertinotti, comunisti non si è. Come non lo si è quando, da “marxisti-leninisti” palestinesi, ci si taglia le palle sbertucciando Gheddafi o Assad. A questo punto meglio il Baath, la Jamahirija, il Myanmar (non dell’amerikana San Suu Kyi!), Cristina Kirchner... Di fronte a una Jamahirija, a una Siria baathista, a un Iran da sessant’anni sotto schiaffo dell’Occidente, a un qualsiasi paese che non si metta carponi davanti ai belluini appetiti di mercanti di cannoni e trafficanti di narcotici chimici e psicologici, visto che, autosterilizzata, non ce la sa fare a schierarsi dalla parte giusta, questa “sinistra” almeno si batta il petto. Fino a sfondarlo e farne uscire tutto il suo pus cerchiobottista. La discriminante oggi è diventata la dignità. Di operai e popoli.
Myanmar. L’Idra e un’altra delle sue teste


Per l’oftalmologo divenuto, per fortuna dei Siriani, presidente al posto dello zio Rifaat, amerikano e narcotrafficante, massacratore dei rivoltosi di Hama nel 1982, c’è un Barbablù, Premio Nobel della pace, nero, conclamato mandante di killer, che gli augura “la stessa fine di Gheddafi”. E, presto, si attiverà anche il Tribunale Penale Internazionale con la ferula dei “crimini contro l’umanità”. E’ selettivo, questo super partes giudiziario: mentre gironzolavano con la mannaia tra milioni di cadaveri tipi come Blair, D’Alema, Napolitano, Bush, Obama, Sarkozy, Cameron, i reggitori di Abu Ghraib, Guantanamo e di mille carceri segrete della tortura, ha incriminato esclusivamente “delinquenti” del Sud, prima di Gheddafi tutti neri. Ultimo, quel Laurent Gbagbo che, per il Comitato Nazionale Elettorale e la Corte Costituzionale aveva vinto le elezioni in Costa d’Avorio, ma per la Francia che, sterminando un po’ di renitenti, gli ha preferito l’ennesimo virgulto del FMI, per l’ONU e per il TPI, no. Ricordate che il TPI aveva anche ordinato l’arresto di Gheddafi, proprio mentre i crimini contro l’umanità e di guerra li perpetravano alla grande i bombardieri Nato e il loro mercenariato di terra? E’ di ieri la notizia che “il caso è stato archiviato”. Operazione riuscita, paziente morto. Di coloro che hanno ordinato e di quelli che hanno eseguito lo squartamento del combattente patriota Gheddafi, il procuratore Moreno Ocampo non ha neanche sentito parlare. La sua polizia giudiziaria a stelle e strisce nulla gli ha riferito. Il pigolìo di Amnesty e HRW era troppo basso. E così, sulle orme del predecessore manichino di Upim, il montiano neo-ministro degli esteri, un carneade di nome Giulio Terzi di Sant’Agata (ex-rappresentante italiano a Nato, Onu e Israele: qualifiche perfette), ha potuto, con pieno plauso UE-USA, farsi bello inchinandosi  al compare del Consiglio Nazionale Siriano, omologo del comparuzzo del Consiglio Nazionale di Transizione libico, ai cui piedi si era gettato di corsa Frattini. Siamo grandi trasvolatori bombaroli, ha promesso al farabutto dal ginocchiatoio della Farnesina, e grandi elemosinanti di briciole.

Mamma, li turchi! Chiudo con una notizia che nessuno ha smentito. Nella base navale turca di Iskanderun i servizi segreti britannici e francesi hanno stabilito un centro terrorista di addestramento per mercenari arabi da lanciare contro la Repubblica Araba di Siria. Sarkozy e Erdogan hanno stretto un patto: in cambio del pieno appoggio logistico e operativo alla campagna terroristica dei servizi anglofrancesi e della Nato contro la Siria, Parigi faciliterà l’ingresso sollecito della Turchia nell’agognata Europa di Draghi e della Lagarde (FMI), Oli Rehn e Barroso, di Marchionne e campi rom bruciati. La UE non sarà da meno. Come non lo è stata l’altro giorno con la Croazia, nata dalla distruzione della Jugoslavia sovrana, dalla secessione del post-ustascià,Tudjman, e dalla benedizione di Karol e Marco Pannella in mimetica, è accolta a braccia aperte nell’Unione degli Zombie. Non così, buon pro le faccia, la Serbia che, a dispetto della svendita di Karadzic, Mladic, patrioti vari e di tutta l’industria serba da marchionnizzare, con qualcosa anche per la ‘ndrangheta, a dispetto del disponibile valvassore Boris Tadic, presidente, si è vista richiedere “altri passi”. Magari ora quello della soppressione violenta, in sinergia con la KFOR e con il brigantaggio di Stato di Pristina, degli ultimi dei serbi che resistono al genocidio. Quelli dei centomila sopravvissuti alla pulizia etnica vera in Kosovo che, in questi mesi, agli sgherri Nato hanno impedito con barricate, pietre e fucili da caccia, di creare un artificiale confine tra la Serbia di Belgrado e la Serbia del Kosovo Metohjia. Chi comandava gli sgherri Kfor che sparacchiavano, intossicavano e menavano? Herr Majorgeneral Erhard Buehler, il successore in Serbia di coloro che, per la Germania nazista, avevano massacrato la Serbia. I serbi sono stati gli unici che, da soli, li cacciarono. La vendetta si serve fredda.

A volte c’è chi mi rimprovera che, in questi pezzi, faccio digressioni che allontanano dal tema, che salto di palo in frasca, che faccio perdere il filo. E’ così? Gli è che il filo è quello di Arianna e che l’altro capo lo tiene nella zampa il Minotauro divoratore di vergini. Questo filo si arrovella attorno a mille siepi, il che rende difficile a Teseo la scoperta e l’eliminazione del mostro. Pensi di aver imbroccato nel labirinto il sentiero giusto, ma sbatti contro una siepe, viri a destra e, se non deviava a sinistra, finivi in un cul de sac. Invece sbatti il grugno contro una statua di Monti. A volte ti tocca addirittura districarti tra fitti cespugli per evitare l’ennesimo fine corsa. Io lascerei a cronisti di nera e bianca, agli storici di guerra, ai criminologi il racconto del sacro “tema”, dall’a alla z. “Contano le connessioni”, insisteva la maestra di tutte le nostre maestre, e avevano anticipato Marx e Lenin. Lavoratori di tutti i popoli unitevi! Oggi siamo al “99% dell’umanità uniamoci!” E non vogliamo sapere cosa succede di qua e di là e scoprire le connessioni e anche i giri per arrivare a incontrarci? Dite voi.
Anche chi sta visionando il mio libro su Primavere arabe e guerre Nato - penso di titolarlo "Chi ha ucciso la primavera?" (che dite?) - suggerisce di “stare al tema”, di non divagare, o Libia, o Pakistan, o Italia, o Siria, o Monti o Gheddafi, o bombe o manovre finanziarie… Ma, dico, le connessioni? Tra quelli e noi, tra quelli e quelli, tra noi e noi?
Modello Wall Mart-Wall Street

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Campagna: Syria no war. Siria: no alla guerra, sì ai diritti umani
Promossa da: PeaceLink
ENDORSED BY: Albassociazione;U.S. Citizens for Peace & Justice–Rome;Associazione nazionale di amicizia Italia Cuba - Circolo di Roma;Rete No War Roma; Contropiano;Associazione U.V.A;associazione Liberigoj;associazione Un Ponte per;Associazione Yakaar;Italia Senegal; Rete romana di solidarietà con la Palestina; Ecoistituto del Veneto Alex Langer; Rete Disarmiamoli; Comitato con la Palestina nel cuore;Associazione Culturale Chico Mendes;Associazione per la Pace.



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NO ALLA GUERRA IN SIRIA
SI' AI DIRITTI UMANI E ALLA LEGALITA’

Le sottoscritte organizzazioni non governative umanitarie e a difesa dei diritti umani chiedono con forza alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di agire immediatamente per fermare ogni tentativo di intervento militare straniero contro la Siria e di favorire una vera mediazione svolta in buona fede. Questa imperdonabile negligenza non può continuare.
Com’è noto, nei mesi scorsi c’è stata una crescente campagna mediatica internazionale sugli eventi in Siria, spesso basata su resoconti parziali e non verificabili, com’è già successo nel caso della Libia.
Quello che si sa è che sono in corso violenti scontri fra truppe governative e le truppe di insorti dell'autoproclamato Esercito di Liberazione della Siria, con basi in Turchia al confine con la Siria, e che questo crescendo di violenze ha già provocato enormi perdite anche di civili. I civili innocenti sono le prime vittime di ogni guerra. Entrambe le parti armate hanno dunque responsabilità.
Ma l'intervento militare esterna non è assolutamente il modo per proteggere i civili e i diritti umani.
AFFERMIAMO CON FORZA CHE:
1) Il cosiddetto “intervento militare umanitario” è la soluzione peggiore possibile e non può ritenersi legittimo in nessun modo; la protezione dei diritti umani non viene raggiunta dagli interventi armati;
2) al contrario le guerre portano, come inevitabili conseguenze, ad imponenti violazioni dei diritti umani (come si è visto nel caso della “guerra umanitaria” in Libia);
3) l'introduzione di armi dall’estero non fa che alimentare la “guerra civile” e pertanto dev'essere fermato;
4) non è tollerabile che si ripeta in Siria lo scenario libico, dove una “no-fly zone” si è trasformata in intervento militare diretto, con massacri di civili e violazioni dei diritti umani.
VI CHIEDIAMO CON FORZA DI FAVORIRE:
1) una mediazione neutrale tra le parti e un cessate il fuoco: ricordiamo che la proposta avanzata da alcuni paesi latinoamericani del gruppo Alba è gradita anche all’opposizione non armata;
2) un’azione per fermare l’interferenza militare e politica straniera, volta a destabilizzare il paese;
3) il reintegro della Siria nel Blocco Regionale;
4) lo stop a tutte le sanzioni che attualmente minacciano il benessere dei civili;
5) una missione d’indagine internazionale parallela da parte di paesi neutrali per accertare la verità;
6) l'invio di osservatori internazionali che verifichino fatti e notizie che circolano attualmente privi di verifiche e di verificabilità.
PROMOSSO DA
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Adesioni dal 26 novembre 2011: 138 persone , 17 associazioni
Stati Uniti - Il più grande inquinatore del mondo è l’esercito degli Stati Uniti d’America che produce ogni anno almeno 750.000 tonnellate di residui tossici. È un inquinamento a livello globale dal momento che gli USA possiedono basi in decine di Paesi. Solo in Italia sono installate 113 basi americane e NATO.

Stati Uniti - L’esercito americano e la NATO non solo rilasciano materiale tossico nell’aria e nell’acqua, ma avvelenano la terra e il mare: anche delle comunità confinanti, provocando un aumento dell’incidenza di tumori, patologie renali, malformazioni congenite, neonati sotto peso e aborti spontanei.

Stati Uniti - Il Pentagono gestisce basi militari anche fuori degli Stati Uniti come “riserve federali” non sottoposte alla sovranità degli Stati ospitanti, tale situazione è stata denunziata con una petizione presentata a Camera e Senato ai sensi dell’art 50 della Costituzione e rubricata presso le rispettive commissioni parlamentari competenti.

Stati Uniti - Il Pentagono ha ottenuto anche, dagli Stati servili come l’Italia, deroghe alle leggi che tutelano chi denuncia reati, laddove siano coinvolti militari statunitensi. Vedi il clamoroso caso del Cermis. Molti sono stati i tentativi nei vari Paesi per tentare di obbligare le forze armate americane e NATO al rispetto delle leggi nazionali per la tutela ambientale, ma senza esito.

Stati Uniti - Nonostante le proteste contro la guerra stiano crescendo in tutto il mondo, la “guerra alla Terra” da parte del Pentagono continua. Gli Stati Uniti sono guidati da una oligarchia criminale che non porta rispetto allo stesso territorio americano come pure non tiene conto della salute dei propri militari che, al ritorno dalle varie “guerre umanitarie”, spesso finiscono in centri di igiene mentale o ospedali per malattie tumorali.

Stati Uniti - Un rapporto dedicato all’Iraq, dell ’Unità di Valutazione Postbellica del Programma Ambientale
delle Nazioni Unite, ha rivelato che i pesanti bombardamenti USA e i movimenti di un gran numero di veicoli militari, hanno fortemente degradato l’ecosistema naturale e agricolo. L’intenso uso di proiettili all’uranio impoverito ha fatto rilevare livelli di contaminazione radioattiva pericolosi per la salute, per l’acqua e per l’ambiente.

Stati Uniti -Le centinaia di migliaia di proiettili all’uranio impoverito utilizzati nella guerra di aggressione
all’Iraq, hanno lasciato sul terreno ben 75 tonnellate di materiale tossico. Stessa situazione in Serbia, in una guerra che
ha visto l’intervento diretto anche dell’Italia, complice il governo di sinistra di D’Alema. “Questo e quello per me pari sono”, non lo dimentichiamo !

Afghanistan – Gli Usa in Afghanistan stanno ancora utilizzando materiale bellico altamente tossico con conseguenze
devastanti per l’ecosistema naturale e per la salute degli abitanti, e degli stessi militari (compresi gli italiani) fortemente colpiti da malattie tumorali.

Afghanistan - Nonostante quanto rilevato dagli organismi internazionali, le forze anglo-americane e NATO continuano ad utilizzare munizioni all’uranio impoverito facendosi beffe di una specifica risoluzione O.N.U. che classifica tali proiettili come armi illegali di distruzione di massa. Lo stesso tipo di armi che l’entità sionista che occupa la Palestina ha usato durante l’ultima invasione del Libano.

Usa - Le minuscole particelle radioattive che si sprigionano quando un proiettile all’uranio impoverito colpisce l’obiettivo, vengono facilmente inalate anche attraverso le maschere antigas a Circa 10.000 veterani della“Guerra del golfo” sono morti per malattie tumorali.

Stati Uniti - Una ex infermiera dell’esercito americano, Carol Picon, ha raccolto un’estesa documentazione sulle malformazioni congenite riscontrate nella popolazione irachena e sui figli dei veterani statunitensi.

Stati Uniti - In “The Hidden Killers” è stato messo insieme un originale rapporto dall’Iraq e dalla Bosnia con le interviste ai veterani dell’esercito statunitense malati di tumore; un numero elevato di civili iracheni e bosniaci esposti all’uranio impoverito, hanno presentato gli stessi tipi di tumore dei veterani americani della “Guerra del golfo”.
Stati Uniti – Il governo statunitense si dovrebbe vergognare di questi crimini contro l’umanità, come pure
si dovrebbero vergognare anche i mezzi d’informazione italiani e stranieri che, pur essendo a conoscenza di quanto sta accadendo, censurano le notizie e continuano a sostenere le cosiddette “guerre umanitarie”.
Ipocriti, sepolcri imbiancati, come gli stessi governanti italiani di tutti i colori che mandano i nostri ragazzi a seminare morte e devastazione in paesi che non ci sono ostili, insieme ai criminali statunitensi e per gli interessi di quella cupola demo plutocratica giudaica-massonica che sta devastando e impoverendo i popoli e le nazioni
(Agenzia d’Informazione Islamica)

giovedì 24 novembre 2011

Democrazia per tutti: Siria, Libia, Egitto, Italia...

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L’arma più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso. (Steve Biko, rivoluzionario sudafricano)
Lo Stato può darti libertà e te la può togliere. Ci sei nato, come con i tuoi occhi, le tue orecchie. La libertà è qualcosa che dai per scontato, poi aspetti qualcuno che te la porti via. La misura con cui resisti è la misura di quanto sei libero. (Utah Phillips)
Commisera la nazione che deve impedire ai suoi scrittori di dire ciò che pensano… Commisera la nazione che incarcera coloro che chiedono giustizia, mentre assassini di massa, killer professionisti, speculatori multinazionali, saccheggiatori, stupratori e quelli che depredano i più poveri dei poveri, spaziano liberi. (Arundhati Roy)
Nessuno fa un errore più grande di colui che non fece niente perché poteva fare solo poco. (Edmund Burke)
La nostra razza è la razza padrona. Noi siamo gli unici semi-dei con qualità divine di questo pianeta. Noi siamo tanto diversi da tutte le altre razze inferiori quanto loro lo sono dagli insetti. (Menachem Begin, terrorista e primo ministro israeliano)
Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra. (George Romero, regista)

Va subito detto che la ripresa dei moti rivoluzionari in Egitto, una volta scremati dall’inquinante e strumentale presenza dei Fratelli Musulmani, dà la baia a tutti gli scemi o imbroglioni che, gufando a più non posso, avevano attribuito all’insurrezione di massa del 25 gennaio 2011 una regia statunitense. Salvo poi attribuire alle compagnie di ventura islamiste, scatenate dal coacervo petromonarchie-Nato, la qualifica di “giovani rivoluzionari” avidi di democrazia e diritti umani. Rientra nel processo di inversione della realtà praticato, come s’è visto girando lo sguardo da destra a sinistra, con straordinario successo da tutti i media padroneggiati, o intimiditi, dagli organizzatori di colpi di Stato e delle successive dittature mercatisto-confessionali. Quelle affidate a fantocci tipo Mustapha Al Jalil in Libia, la giunta militare del Cairo, i vari Karzai e Maliki in Afghanistan e Iraq, coloro che la petrolcosca satrapi-Nato vorrebbe installare nell’ancora libera e sovrana Siria. Colpi di Stato per Stati di polizia inflitti anche a noi, miserabili periferie imperiali dette sardonicamente PIIGS, tramite banchieri, preti, generali (anche ammiragli) e “tecnici” specializzati nella spoliazione del famoso 99%, nelle bastonate al cane che affoga. E lo Zeitgeist di un Ottocento finalmente recuperato nella sua originalità classista. Schiavista. L’approdo finale, se lo sono scritti Marchionne, Monti e Draghi nei loro pizzini (altro che il pizzino del valletto Enrico Letta al nuovo capo cui leccare gli stivaletti chiodati): l’Arabia Felix, quella della famiglia reale saudita, con diritto di vita e di morte su plebi informi.
C’è, tuttavia, una differenza decisiva tra quanto il complotto planetario massonico-finanziar-militar-plutocratico-cattogiudioislamista riesce a realizzare qui, nelle decrepite società del subire per sopravvivere, dove tutto gli va liscio come un trampolino da sci, e tra le energie giovani ed esplosive del “Terzo Mondo” (che sia Nord, Occupy Wall Street, Piazza Syntagma, Valdisusa, o Sud arabo-islamico-lationamericano), dove tutto promette di andargli di traverso. La differenza sta certamente anche nell’età media, da noi 45, da loro 20, e nel luogo dove si posa il culo: da noi pur sempre almeno su una sedia di rafia, da loro, se va bene, su un sasso. Che poi risulta facile alla mano, più di una sedia. Ma sta soprattutto nel fatto che da noi maestri venerandi di ogni denominazione politico-culturale ci hanno condotto, con guinzagli etico-ideologico-chiesastici, allo “sradicamento” della violenza, specie nella gioventù dove meglio fiorisce per giuste cause. Sradicare, insieme alla violenza, il suo agente. E lo si “sradica” meglio, quando lo si criminalizza da teppista o tifoso, lo si banna dalla sua comunità generazionale inchiodandolo davanti a videogiochi, lo si induce fin da bambino a entrare nel mondo cattolico dell’ipocrisia e del raggiro, a deidentificarsi, a prostituirsi, con i genitori per ruffiani, negli spot commerciali delle tv, o negli applausi al presidente-gaglioffo che passa.

E’ il metodo Bilderberg, dell’atomizzazione della collettività sociale ( solo quella del 99%, naturalmente) per arrivare all’agognato governo mondiale dell’1%. E’ quello di Oded Yinon, il consulente militare israeliano, inventore nel 1982 della strategia della frantumazione dei popoli della regione lungo linee confessionali, etniche, tribali per arrivare al dominio, da parte dell’1% nazisionista, sui 400 milioni di abitanti dell’area (e oltre). Meno sei collettivo, meno stai in comunità, più sei solo e più facile risulterà sradicarti quella maledetta violenza che nei millenni ha visto susseguirsi rivoluzioni e liberazioni. E così devi annegare nell’ideale sciropposo, “politicamente corretto”, di una nonviolenza, dichiarata apoditticamente inerente ai rapporti umani naturali, beneducata, in cui ci crogioliamo e di cui la logorrea della voce mediatica del padrone ama intrattenere la patologica illusione, come dice René Sherér sulla scia di Genet e Fourier. Questo disarmo unilaterale, grazie al quale i vecchi con culo al caldo dell’aria condizionata abbattono o omologano il “nemico infanzia e adolescenza”, è passato su di noi alla grande, ma non ha attecchito più a sud, dove la violenza sacrosanta dei giovani, nell’affrontare la brutalità di regimi a noi amici, si vede sempre più affiancata dai “maturi” e dagli anziani.

Ne è prova convincente la capacità del movimento rivoluzionario delle masse egiziane, preparate – contro la vulgata maligna della “spontaneità senza capi e senza ideologie” – da anni di scioperi, lotte proletarie e studentesche, dal fermento antisionista, antimperialista, antiglobalizzazione nei giovani, donne in testa come in Latinoamerica, di tornare protagonisti e vincenti dopo 10 mesi di mobilitazione di massa, scontri, infiltrazioni (Fratelli Musulmani, rivoluzionari colorati e di velluto), repressioni, carneficine, raggiri e imposture. Vedevo ieri sera in diretta Tahrir di nuovo trasformata in assemblea nazionale e presidio rivoluzionario, con ospedali da campo e medici volontari a fare turni ininterrotti da cinque giorni per curare le migliaia di feriti e ricuperare le decine di ammazzati, sbattuti dagli sgherri di regime sulla spazzatura- Vedevo nelle strade adiacenti i ragazzi contrastare con i mezzi della creatività l’avanzata degli sbirri e dei teppisti mubaraqiani. Fantastico, tutti con mascherine e maschere antigas per neutralizzare l’arma decisiva dell’ordine dei potenti, i gas (ovunque i probiti nervini e CS (passati da Genova alle piazze del martirio palestinese): edema polmonare, convulsioni anche mortali, asfissia, lesioni cerebrali e al DNA), nelle retrovie riserve di liquidi antinfiammatori, ondate di attaccanti che ripiegano dopo aver scagliato i propri proietti, sostituite, come in un esercizio ginnico, da ondate che sincroniche spuntavano dai vicoli. E gli ascari dei generali golpisti costretti al ritiro. Quando impareremo?

Sanno di rischiare la vita – il massimo della non-violenza autentica – per tenere il punto e la piazza. La stanno spendendo a centinaia. Difendono, con la forza del numero, dei sassi, delle mazze e delle barricate, laddove alle schiere dei brutalizzatori in divisa noi ci avviciniamo con le mani alzate. E, per la seconda volta s’impongono, vincono un’altra delle battaglie che conducono alla fine della guerra, per quanto lontana, ma come dimostrano Iraq, Afghanistan, Somalia, e ora Egitto, Siria, Libia, Yemen, (e hanno da veni’ gli altri), invincibile per il nemico. Ai quasi mille caduti nella prima fase, culminata con la cacciata del tiranno Mubaraq, se ne sono aggiunti in questi giorni altri 90. Migliaia i feriti. Ma tutti questi martiri sono rivissuti nel milione e mezzo che si è ripreso Piazza Tahrir, il simbolo della combattiva indignazione che incendia il terreno sotto gli anfibi della Cupola. A dimostrazione che certe morti servono. A nulla è valsa la terrificante intimidazione del feldmaresciallo Tantawi, sodale numero uno del despota cacciato, dei 12mila manifestanti sequestrati e processati da tribunali militari. Il governo fantoccio, appeso ai fili dei generali di Mubaraq, a loro volta installati dal burattinaio a stelle e strisce, ha dovuto dimettersi. Non è bastato. Venerdì a Tahrir ci saranno due milioni, e altri nelle Tahrir di Suez, Ismailia, Alessandria, ovunque. I generali, padroni del 50% dell’economia egiziana e del più potente armamentario militare del mondo arabo-africano, lancinati dalla paura, si rifugiano nel solito “governo di salvezza nazionale”, la maestosa inculata di riserva là dove le armi non bastano, o non ci si può permetterle. Copioni delle truffe alla Berlusconi-Bersani-Monti, o alla Papandreu-Papademos in Grecia. Vedremo come va a finire. Intanto in questo Egitto eroico, modello dei nostri sogni, non è passata l’involuzione tunisina da moto rivoluzionario in pseudoriformismo sotto la ferula dei finto-moderati Fratelli Musulmani, vincitori delle elezioni, coccolati da tutto l’Occidente perché affini al fido Erdogan, carta di ricambio Usa. Fratelli Musulmani, copia carbone di quelli in Libia e in Siria, che, con tutto il loro impegno, non sono ancora riusciti a egemonizzare e pervertire in direzione islamocapitalista la collera e gli obiettivi del moto del 25 gennaio. Qualche esempio incoraggiante già c’è. Fu con questa fantastica tenuta di popolo in lotta, durata anche lì mesi e anni, con tanto di candelotti dei minatori, barricate e pietre dei ragazzi, che la Bolivia e l’Ecuador abbatterono despoti filo-yankee, borghesie compradore e vampiresche, apparati militari da sociocidio e che il Venezuela difese la sua rivoluzione bolivariana, il suo leader, il suo ruolo di avanguardia antimperialista continentale. E’ questo il passo della rivoluzione oggi.

Lo stesso discorso vale per la Libia, la Siria, altri paesi sotto attacco da destabilizzazioni, eversione, infiltrazione armata, droni, compresa la Somalia, ora nuovamente invasa dalle truppe di Stati mercenari dell’Occidente, Uganda ed Etiopia, e massacrata dai droni Usa, contro un’irriducibile volontà di popolo di sottrarsi al destino dello Stato-caos, pattumiera del mondo, esempio a tutti coloro che mettono in discussione il ruolo di colonia e presidio geopolitico e geoeconomico assegnatogli dalla guerra infinita imperiale. Dalla Siria, ultimo baluardo regionale della resistenza nazionale, rilanciati dai tamburi di tutti i media, l’ONU, Hillary Clinton, Sarkozy, Erdogan, satrapi del Golfo e del deserto, l’UE, Lega Araba, Amnesty International, Human Rights Watch, Moreno Ocampo, ci alluvionano con storie di atrocità del regime, al solito, dittatoriale. Senza esserci mai stati. Senza sognarsi di porre un frammento di orecchio a quello che invece dice un “regime” che, ogni due per tre, vede nelle piazze di tutto il paese milionate di suoi sostenitori e che diffonde immagini e confessioni di innumerevoli “ribelli” catturati e confessi, spediti da Libano, Turchia, Giordania a far casino sparando su manifestanti inermi e sulle forze di sicurezza. Immagini e documenti trattati dai media come le ragioni di Montezuma alle prese con i ratti cristiani spagnoli. I 1.350 poliziotti e soldati uccisi da questi emuli dei briganti bengasiani, tutti con nome e cognome (e famiglia), pesano, nella bilancia redazionale, un bello zero rispetto al quintale dei “3.500 massacrati dal regime, 280 bambini” (fino a ieri, ma in 24 ore, secondo le affidabili fonti degli “attivisti” e dei loro quartieri generali a Londra e Washington, balzati a 4.500). “20 vittime a Homs, 72 a Hama, 14 a Deraa, 47 ad Aleppo…”, si snocciola un rosario le cui salmodie avevamo già udito: 10mila morti in 36 ore in Libia, 50mila feriti, 300 morti a Ras Lanuf, 2.700 a Misurata… Confortati tutti dall’anonimato, quando non serva il puntello del nome di qualche morto vero, come a suo tempo le 40mila famiglie intervistate dalla famosa psichiatra di Bengasi, con altrettanti formulari spediti per posta in pieno marasma bellico, con qualche centinaio di risposte positive sugli stupri di massa dei soldati di Gheddafi, di cui la meticolosa dottoressa aveva però smarrito schede e recapiti.

Che importa, è la prima notizia che conta, non la smentita del reporter rompicoglioni. E così, pari pari, HRW, Amnesty, Ban Ki-moon, Cameron, qualche Abdallah incoronato, ora rimettono il disco del Rais che stermina la propria gente, delle torture, degli stupri, delle fosse comuni. Un deja vue, talmente pedissequamente ripetitivo e grossolano, da riuscire ancora ad abbagliarci solo grazie allo tsunami di sostegno dei media. Un disco, peraltro, di buona qualità, se è riuscito a non far smozzicare la sua puntina nonostante l’estenuante abuso che se ne è fatto nei concerti per la Serbia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia. I cosiddetti ribelli dell’"Esercito della libera Siria", le solite truppe di terra Nato infiltrate travestitesi da disertori delle forze armate siriane, sono la stessa marmaglia che ha consegnata una Libia maciullata ai cannibali occidentali e che manovra in Egitto per sabotare la rivoluzione e sostituire i generali negli appartamenti della servitù degli Usa. Le masse che insistono da 10 mesi a schierarsi in difesa di governo, patria, indipendenza, proprie scelte di organizzazione politica, geopolitica e sociale, sono la versione siriana della sollevazione delle pietre in Egitto e della nascente resistenza libica. E così lo sono i giovani e meno giovani della comunità siriana a Roma che, in Piazza SS Apostoli, hanno allestito, con gigantesca bandiera, pari alla loro lealtà, una bella manifestazione contro i nemici del loro paese. E sono sulla stessa lunghezza d’onda dei giovani, dei disoccupati, degli esclusi, delle donne, che in Bahrein e Yemen, anche loro con una capacità di tenuta meravigliosa, contrastano la conferma delle tirannie filo-Usa. In Yemen, dopo 10 mesi di risposta armata e civile ai pretoriani del dittatore Ali Saleh, con migliaia di morti, gli insorti hanno conseguito la sua liquidazione.

Al passo dell’oca nelle retrovie del nuovo colonialismo obamian-europeo, la Lega Araba, addomesticata da paesi, anzi da dinastie, il cui PIL e le cui armate, tutti intrecciati alla globalizzazione imperialista, sono il centuplo rispetto al resto, ha equanimemente decretato che il governo siriano cessi i bagni di sangue degli oppositori e, con Obama e affini, che Bashar Al Assad si tolga dai piedi. Provoca capogiri la fantastica richiesta di uscita di scena di Assad avanzata da principi sauditi il cui paese sta alla Siria come un nostro CIE sta a un villaggio vacanze. Quella che lì deve instaurarsi è qualcosa del tipo Qatar: una simpatica famiglia, magari coronata, che possiede la totalità del paese, usa il popolo come strofinaccio di cucina, si dà di gomito con Israele e ospita basi statunitensi. A questo scopo, la Lega, più saudita che araba, che non si è sognata di sollevare un ciglio sui massacri egiziani e che ha ormai la credibilità del quisling Abu Mazen, ha proposto quel “piano di pace” fondato sulla fine delle violenze… del regime. Non un borbottio su una rivolta divenuta subito, come in Libia, armata e dichiaratasi tale quando la fola dei “protestatari non violenti” non reggeva più neanche sul “manifesto” e barbuti armati spediti dal gaglioffo libanese Saad Harini, dal re travicello giordano e dall’ avamposto Nato turco, sacralizzati in rivoluzionari da Al Jazira, sparavano sulla gente e massacravano i difensori della Siria libera. Il piano era palese: Assad avrebbe - e ha - accettato le condizioni – ritiro dei presidi militari dai luoghi della rivolta, dialogo, elezioni, riforma costituzionale, liberazione dei prigionieri, osservatori stranieri -, ma sarebbero bastati due vigili urbani siriani che si opponessero alla prima sparatoria dei “ribelli”, ovviamente non stigmatizzata, per dichiarare il governo siriano colpevole di uccidere i propri cittadini e meritevole di ultimatum, sanzioni, aggressione. In tre giorni la Siria avrebbe dovuto soddisfare tutte le richieste. Come se le sue fatiche, Ercole, le avesse dovuto compiere tra prima colazione e cena. Intanto i “giovani rivoluzionari” avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco un altro po’ di Siria, fornendo a Amnesty e Onu altre vittime da caricare sul conto di Assad. E propiziando lampi di guerra turchi, per garantire “zone cuscinetto” di 30 km quadrati oltre il confine, dentro la Siria. Zone cuscinetto ove insediare quel coacervo coloniale made in Libya, di invasati integralisti, “legione Al Qaida della Nato”, Consiglio Nazionale Siriano, Coordinamento dei Comitati dei Diritti civili e le spie nutrite a biscotti Cia e NED a Londra, Washington, Ginevra. Si proclamerà un governo di transizione e si avrà tutto il diritto, e tutta la simpatia destra-sinistra, di invocare forze speciali Nato e droni Usa. Nella carneficina araba che dovrebbe seguire, i paesi della Coalizione dei Volenterosi non perderanno di nuovo neanche un uomo. E Obama, carico di tali trionfi, potrà volare alla rielezione, prima che anche la Siria si riveli quel pantano in cui finiscono con lo sprofondare tutte le voracità e ferocie imperialiste, impegnate nell’estremo tentativo di dissanguare popoli e classi e risolvere per un altro po’ i propri problemi di accumulazione. A ottundere la nostra percezione del programmino USraeliano-UE, arrivano gli assordanti clamori dell’imminente guerra all’Iran. Balle, per ora. Sarebbe come voler conquistare un castello, prima di averne abbattuto le mura di cinta. Eppoi, una guerra non si preannuncia per anni, al nemico da abbattere si salta addosso all’improvviso. Per il Giorno D si pubblicizza Calais, ma si sbarca in Normandia.

Intanto l’’assemblea generale dell’ONU, con 122 paesi su 192, vota una risoluzione modellata sulla spudorata infingardaggine della Lega dei satrapi. Come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza del marzo scorso che diede il via all’uccisione della Libia, anche questa è basata unicamente sulle affermazioni dei media (unanimemente guerrafondai), che a loro volta avallano le sparate, esagerate fino al grottesco, dei terminali locali delle centrali golpiste. Non un ispettore ONU sul posto, non un ambiguone di Amnesty, ma la Lega satrapista pretendeva di mandare 500 “osservatori” del tipo di quelli OSCE capeggiati dal criminale britannico William Walker in Kosovo e incaricati di avallare le menzogne UCK sulla “pulizia etnica”. E l’universo dei pacifisti, diritti umanisti, democraticisti, si è adombrato perché il governo siriano aveva chiesto l’esclusione di certe ONG, note per il loro ruolo nelle rivoluzioni colorate alla Otpor. Di Assad e del suo governo si potranno lamentare molte cose, difficilmente di più di quelle che subirebbero i siriani se prevalessero Nato e i suoi ratti, difficilmente di più di quelle inflitteci da Berlusconi e ora nei programmi della cupola della soluzione finale. Si può deplorare la severità con cui concedono visti ai giornalisti che dovrebbero raccontare la verità vista e vissuta. Ma se penso a miei colleghi che, in piena guerra, ammessi in Serbia come stormi di cornacchie, segnalavano ad Aviano gli obiettivi da centrare, o a quegli altri che a Baghdad ridicolizzavano i bollettini, veritieri, del governo, e spandevano stronzate Nato, indifferenti alla mattanza intorno a loro, o ancora a quelli che rintanati nell’Hotel Rixos di Tripoli vedevano inesistenti attacchi di Gheddafi alla sua gente e restavano ciechi e muti davanti alle stragi Nato di civili, se penso a questo corteo di olgettine di regime, capisco la prudenza di Damasco.

Dietro al fumo dell’attacco all’Iran si cela una Siria da infilare nel forno crematorio. Washington, mentre prepara la nuova No fly zone, da affidare all’aviazione turca e petrolaraba “in difesa dei civili”, invita tutti i suoi cittadini a lasciare la Siria “immediatamente”. Cameron, il bulldog inglese al guinzaglio del gestore dei combattimenti, sollecita i leader mondiali a collaborare con i gruppi dell’opposizione siriana. Sarkozy riconosce il Consiglio Nazione Siriano, stanziale a Istanbul ed eterodiretto da Londra, Parigi e Washington, come legittimo (sic!) rappresentante del popolo siriano e propone di creare in Siria, in collaborazione con rinnegati arabi e complici europei, “corridoi umanitari”. Ci si ricordi di quelli voluti da Napolitano per la Libia e realizzati a Misurata da forze speciali Nato, con la musica d'accompagnamento di Save the Children (quelli del Viagra di Gheddafi ai suoi soldati perchè stuprassero "bambini di 8 anni"), con lo sterminio della popolazione residente. E allora, viva la flotta russa arrivata a Latakia, viva Putin, presto bentornato, alla faccia di un altro trombettiere Nato nel “manifesto” che da anni ci impesta con le sue russofobia e slavofobia, l’albanese Astrit Dakli, ruotino di scorta dello scudo missilistico d’attacco Usa ai confini della Russia. Speriamo che, nei mesi che gli restano, il “morbido” Medvedev, presidente dai giri di valzer con l’Occidente, non comprometta un equilibrio che salverebbe la Siria e chissà quanti altri. E innalziamo preci anche alla Cina, qualunque cosa essa sia, comunista in chiave turbo capitalista, ma contrappeso agli Usa.

Nel gigantesco trasferimento forzato di ricchezza dal 99% all’1% non tutto è guerra, ma tutto è destabilizzazione. Vuoi con mercenari armati e teste di cuoio nostre, vuoi con rivoluzioni colorate, vuoi con le grisaglie fresche di Armani e le facce, da Centro Benessere, lisce e ottuse, dei Monti, Draghi, Barroso, Bertone e famigli di rango. Tre sono le cose che piacciono a me ha fatto enfaticamente sapere, in perfetta continuità con i predecessori pasticcioni e burini, ma eletti, lo zombie burocratico installato dal golpismo BCE-Napolitano-Vaticano: Marchionne, Gelmini, Letta Gianni. Come dire, i missili all’uranio sulla classe operaia, sulla formazione critica del nemico giovani, sulla legalità. I tre laureati dal “governo tecnico”, un governo dal conflitto di interessi collettivo rispetto al quale quello di Berlusconi è un inghippetto delle tre carti, se ne sono subito fatti una ragione: per passare dai contratti di lavoro tra le parti allo schiavismo unilaterale, per vedere sana e salva la controriforma dell’istruzione che punta ad avallare pecore e pitbull da combattimento sociale, per sapersi salvaguardato dalle conseguenze dei suoi traffici tra P4, Bisignani, Finmeccanica e tutta una vita da maggiordomo di malviventi.

Ero a Kyoto nel novembre 1997 per il TG3, a raccontare la conferenza di 169 paesi cannoneggiati dal cambiamento climatico e avviati sulla strada della soluzione finale per il pianeta. Un accettabile ministro dell’ambiente, Edo Ronchi, apparve solo sul finale, per la firma. Nei 10 giorni di dibattito, proposte e sabotaggi, di questi ultimi fu nostro coriaceo attivista, contro il benintenzionato sottosegretario Calzolaio, l’allora direttore generale del ministero Corrado Clini. Il suo boicottaggio di un qualsiasi esito che promettesse un soprassalto di ragionevolezza ecologica veniva alla fine sacralizzato dall’intervento annichilatore del vice di Clinton, Al Gore, poi riciclatosi al servizio della redditizia Green economy e delle multinazionali che se ne fanno profitto e scudo alla devastazione perseguita. Una vita, quella di Clini, da infiltrato. Si meritava il ministero. E lo ha subito onorato riproponendo, contro il referendum trionfante, il nucleare e, visto che c’era, gli OGM. Possiamo rassicurarci: sotto di lui la guerra al dissesto idrogeologico e alla nostra salute sarà come quella per la salvezza del paese di Vittorio Emanuele III. Poi, nel governo di Supermario, ci sono comunità religiose dai grandiosi traffici internazionali e nazionali, S. Egidio (quello che aiuta a sobillare nel Darfur) e la  CL dal monopolio sussidiario, cattointegralisti della manipolazione degli intelletti, rettori che al posto di Cicerone e Dante collocano Marchionne e Ichino e varie espressioni della criminalità bancaria incaricate di portare a compimento, con il consenso unanime dei purosangue della democrazia rappresentativa in versione golpista, l’esproprio inziato da Adam Smith nel ‘700. Eseguiranno alla lettera il dettato, dettato agli eletti dal popolo della BCE, di Bruxelles e di Wall Street, dalla cosca mondialista dei Drakula, pronti a siringarci l’ultima goccia di sangue. Pensioni, salari, diritti, salute, casa, ambiente, scuola, tutto privato, tutto a ramengo. A garantirlo, professionisti militari in ordine pubblico, mazzate, gas tossici, carcere e, se non basta, come in Egitto, fucilate. Lo spirito santo che su tutto aleggia lo forniscono i cardinali Bertone e Bagnasco, grandi estimatori, sponsor, co-pronubi, di questa “bella squadra”. Restano nel solco tracciato nei millenni.

Come siamo arrivati a tutto questo? Alla stessa maniera e grazie agli stessi meccanismi che ci hanno resi passivi e complici nella distruzione della Libia. Qui, lo psico-terrorismo del baratro che sta per inghiottirci “tutti” (e che vedete intensificarsi, nonostante il fiduciario della cupola a Palazzo Chigi: proseguirà fino a saccheggio compiuto) e che ci costringe appecorinati per la grande abbuffata sodomitica dei “tecnici”. Lì, la psico-guerra con l'arma di distrazione di massa del dittatore pazzo, dei civili da salvare dalla sua ferocia e riscattare alla democrazia. Ogni dubbio viene disintegrato dai media, come un ciclone spazza gli alberi dell'Alabama. Ne ho visto una esemplificazione perfetta nel programma del “liberal” sionista Gad Lerner. “L’Infedele” ad ogni regola deontologica, aveva assemblato il fior fiore del collaborazionismo domestico e del ciarpame fuoruscito da Siria e da altri paesi da consegnare alla democrazia dei califfi. Vogliamo toglierci dalla testa che questa gramigna sedicente di sinistra, i Lerner, i Fazio, i Saviano (ora spedito a Zuccotti Park per depistare la collera contro la Cupola verso la Camorra, causa della crisi), i sodali del “manifesto”, Bersani, Vendola, il Revelli pronto a “baciare il rospo” che ci resterà nella strozza, tutti coloro che festanti celebrano il funerale di Berlusconi, non avvedendosi che da quella bara è riuscito, pulito, stirato, profumato, candido di bianca chioma, dotato di bon ton e di borborigmi, stavolta espressi non in triviali barzellette, ma in elegante fuffa.

L’Italia, in questi giorni di nuovo sepolta dal fango e sospesa sul vuoto, trova la sua metafora in tempi antichi, quelli così tenacemente perseguiti dai nostri potenti. In quella gabbia appesa dai magistrati del principe alle mura della cittadella, con dentro gli eretici, i sediziosi e i briganti, da estinguere per fame, sete, freddo o canicola, con il concorso finale di avvoltoi per quel che ne resta. Al di là si estende il deserto. E noi aspettiamo i tartari.