mercoledì 20 maggio 2009

GUERRA, QUESTA SCONOSCIUTA




















Nessuno è più schiavo di coloro che falsamente pensano di essere liberi
(Johann Wolfgang von Goethe, 1749-1832)

Educare una persona significa renderla inadatta a essere uno schiavo
(Frederick Douglass, schiavo fuggitivo, abolizionista, giornalista, 1818-1895)

Giovedì 21 maggio, a Roma in Piazza Navona, dalle ore 11 alle ore 20.00 si svolge una giornata di mobilitazione contro la guerra, le basi militari, la Nato, le armi nucleari, lo scudo stellare, gli F35.
C’è da tirare un sospiro di sollievo grande come uno tsunami. Parole (e relativi concetti e relative battaglie) come “guerra”, “Nato”, “basi”, e di conseguenza la sovranità italiana concultata e cancellata in progressione geometrica dal 1945 ad oggi, complici proprio tutti gli attori politici della Repubblica, salvo gli “illuminati” della rivolta 1968-1977, sono svaporate dall’agenda della sedicente sinistra italiana. Insieme a esse si sono dissolte nei teneri effluvi della compatibilità (detta anche “connivenza”) termini come “imperialismo” e “internazionalismo”. E’ solo da qualche nicchia antagonista, benemerita assai, che si sprigionano ancora a volte questi Leitmotiv, che tutto comprendevano, di alcune generazioni in lotta contro quella che era giustamente percepita come la locomotiva della lotta di classe condotta dal capitalismo mondiale contro classi e popoli da subordinare (in proposito merita di essere consigliato l’opuscolo “Resistenza Antimperialista vs Nuovo Grande Medio Oriente”, pubblicato a Milano da Resistenze Metropolitane).

Tranne un fugace accenno nella lista della spesa elettorale del PRC, di guerre non c’è ombra nei programmi e nelle campagne per le europee dei criptodestri del PD, del loro sospensorio svendoliano di “Sinistra e libertà”, della lista unitaria con la falce e il martello. Questa è gente che ha votato con Prodi un 24% di spese militari in più, l’adesione allo scudo stellare, gli stragisti F35 di Novara, la creazione del narcostato Kosovo, il colonialismo ammazzapopoli in Iraq, Afghanistan, Libano. Questa è gente che non ha urlato di sdegno quando Prodi ha spappagallato, su ordine del macellaio Olmert, “Israele è Stato ebraico”, etnicamente pulito. Questa è gente che si è “rinnovata” con un funzionariato di reduci spiegazzati e mettendo a capo del Nord Est per le europee la pacifinta Lidia Menaguerra che ciabattava nel sangue dei bambini afghani blaterando di “riduzione del danno” (lo sconcio di presentare questa maleinvecchiata al fosforo bianco nella circoscrizione del Dal Molin!). La Nato di cui, attizzato dai suoi macelli in Jugoslavia, ci ha fatto ascari d’assalto il barbiere di Gallipoli con i baffetti, il carro bestiame da mattatoio agganciato alla locomotiva imperialista da un Berlinguer che diceva “mi sento più sicuro nella Nato”, Dead man walking Bertinotti che si fa lustrascarpe degli anfibi della Folgore in Libano, l’intero territorio nazionale butterato dal vaiolo Usa, anche nucleare, una classe politica essudata come percolato dalla discarica dei valori nazionali di indipendenza e autodeterminazione, ecco il paesaggio nel quale formicola il verminaio sociale italiano. E c’è qualcuno che si ostina a narcotizzarsi pensando di poter collocare in un simile territorio la riconquista di lavori stabili e salari adeguati, pensioni affidabili e istruzione per uomini liberi, media onesti e prevalenza della vita sul cemento, vittorie di Stato sulla criminalità organizzata (che è poi nient’altro che collisione/collusione della criminalità dei pizzini con la criminalità organizzata dei decreti e dei consigli d’amministrazione), riconoscimento e fratellanza per gli umani costretti a lasciare le loro terre dagli sfracelli e dalle rapine di quelle stesse mafie con la coppola o il maglioncino girocollo, addirittura un diverso rapporto di forze tra le classi.

Ogni tanto, a un pubblico che strabuzza gli occhi a sentir parlare di sovranità (l’ho imparata eminentemente giracchiando per il Sud del mondo, dove la sanno più lunga assai) racconto di quella famigliola che si dibatteva inutilmente nell’incendio della propria casa, visto che la società immobiliare aveva negato al capofabbricato le bombole antincendio e gli aveva invece riempito le tasche di fiammiferi. Hai voglia a manifestare contro le fiamme, se non interrompi prima il flusso dei fiammiferi e sottrai ai magazzini dell’immobiliarista gli estintori. Si chiama antimperialismo. In Venezuela, per dire, la rivoluzione bolivariana poco spazio di manovra avrebbe conquistato se non avesse tagliato le unghie alla piovra imperialista, cacciando a pedate i suoi tentacoli DEA, ALCA, spie, provocatori, istruttori militari, vampiri multinazionali, FMI, terroristi Cia-Mossad e spalloni di dollari per i proconsoli locali. In tutti questi paesi, messi neanche tanto peggio di noi in fatto di subordinazione al megapadrone, due aspirazioni vengono prima di ogni altra, come avevano priorità assoluta, rovesciando l’assunto di tanti partiti comunisti di obbedienza Yalta, anche tra i popoli della lotta al colonialismo della seconda metà del secolo scorso: l’istruzione e la sovranità. Conoscere per lottare contro l’imperialismo, lottare contro l’imperialismo per conoscere. E’ nella sconfitta dell’imperialismo che si aprono i varchi per la liberazione di classe. E’ l’imperialismo che garantisce ai suoi maestri di casa, da Mubaraq a Netaniahu, da Karzai a Al Maliki, da Prodi a Berlusconi, strumenti e metodi, cultura e armamentari comunicativi, per il dominio sulla marca. E se oggi, da Reagan a Obama, lo strumento per l’assoggettamento o l’annichilimento è la “guerra al terrorismo”, sifonata dagli autoattentati dell’11 settembre 2001, da noi i servizi segreti a conduzione Cia e Mossad hanno represso l’insurrezione di classe, ieri, con le operazioni da Piazza Fontana a Moro e, in questi giorni, con le sceneggiate del terrorismo islamico, le invenzioni dell’anarcoinsurrezionalismo, fino alle evocazioni di rigurgiti brigatisti dal parapiglia attorno al palco di Gianni Rinaldini a Torino. Un parapiglia mistificato in aggressione da parte dei sindacati di base cui energumeni Cgil volevano negare la parola, già accordata. Tutti d’accordo nella criminalizzazione dei contestatori, dalla Marcegaglia allo sputafuoco Calderoli, dall’ovvio caporale di riserva Bertinotti a un “manifesto” che per la Cgil nutre la malsana passione del signor Masoch.

Non sarà anche perché è in quegli ambiti sindacali che vivono ancora tracce di antagonismo vero, come tra gli studenti che, diversamente da quanto apprezza lo svendoliano “manifesto”, non si accontentano di clowneggiare altermondialisticamente con arieti di cartapesta attorno alle inaccettabili zone rosse del G8, nelle quali gli accademici dell’impero programmano l’ottundamento dei loro cervelli? C’è lì, infatti, un profumo di antimperialismo ormai dismesso e divenuto intollerabile a olfatti trinariciuti e che però aleggia da Atene a Parigi, da Torino a Madrid, da Gaza a Caracas, da Kabul a Mogadiscio. E sono ormai da anni solo quei portatori di lucidità strategiche non contaminate da pragmatismi riformisti che, Cobas in testa, insistono a incidere il grumo centrale della metastasi imperialista di dominio e di guerra.

Tutti, quindi, a Piazza Navona, contro la guerra, le basi, la Nato, l’imperialismo. E mi auguro di non trovarci quei sagrestani dei diritti umani che sono tornati a suonare le campane a stormo per la martire Aung San Suu Kyi. La signora, i cui apostoli hanno l’ufficio centrale all’ombra della Casa Bianca, come quelli del Darfur ce l’hanno lì e a Tel Aviv, ha violato il dispositivo dei suoi arresti domiciliari ospitando per due giorni e due notti un clandestino statunitense, arrivato nella villa a nuoto e di conseguenza è finita in carcere. Lo sapeva. Subito strilli e strepiti per l’offesa all’eroina dei diritti umani, perfino premio Nobel. Come se il Nobel fosse un certificato di santità: pensiamo a Kissinger, Peres, Begin, Sadat… Ce n’è di delinquenti tra i laureati dai dinamitardi di Stoccolma. Il “manifesto” ha sciolto le briglia a “Lettera 22”, un manipolo di corrispondenti più compatibili che moderati, implacabilmente antislamici, cui ha praticamente appaltato l’Asia. Prima ancora che il processo alla signora iniziasse, lo stigmatizzavano “a porte chiuse”. Li ha dovuto correggere nientemeno che il tg: il processo è aperto a chiunque, anche ai giornalisti esteri. Proviamo a essere maligni e a pensar male: sono imminenti le elezioni generali in Myanmar e per una nuova costituzione che trasferisce il potere dai militari ai civili. Nell’ipotesi che le votazioni dessero ragione all’attuale governo e non ai “democratici” da libero mercato e globalizzazione capitalista (è il programma di A.S.S.K.), quale marchingegno migliore che far violare a qualche provocatore le regole imposte alla signora, farla processare per questo, onde tornare a denunciarne la persecuzione e la vittoria elettorale che sarebbe stata sicura, ma viene negata dall’arresto? E’ un’ipotesi. Che però riceve un certo credito sia dagli stretti legami che il Myanmar intrattiene con la Cina, grande investitrice e acquirente del suo gas a dispetto delle multinazionali occidentali, come anche dal formidabile appoggio (solo politico?) dato da Washington a certe tribù secessioniste armate, proprio ai confini della Cina, cui si potrebbe dare il compito di riattivare l’industria degli stupefacenti stroncato dalla giunta militare? C’è puzza di Darfur, di Dalai Lama, grande sodale di Suu Kyi. Miasmi alimentati dalle immancabili flatulenze pannelliane e ora, in qualità nientemeno che di “inviato speciale dell’Unione Europea per Birmania/Myanmar”, da quel Fassino accreditatosi alla “comunità internazionale” (Washington) con la “Sinistra per Israele” e, più recentemente, con l’applauso ai respingimenti maroniani di un’umanità in eccesso. Non ci dica ora qualche misirizzi che facciamo il tifo per Myanmar o per la Cina. Nessuna simpatia per i governanti di Myanmar, ma anche, nella nostra ignoranza incartata negli stereotipi di una interessatissima propaganda, nessun giudizio apodittico. Stesso discorso per la Cina. Degli amici e della cause dei radicali, di Fassino e dell’imperialismo, comunque, non c’è da fidarsi. Mai. Come c’è da sentire puzza di bruciato quando su qualcosa che è caro ai padroni di ogni risma si forma un’unanimità generale, sinistra inclusa. Quasi sempre, forse sempre, si tratta di carro guidato dall’omino di burro verso il paese dei somari, con sopra, festanti, i grulli della sinistra. L’unanimità va a beneficio dei padroni, da Gesù al grande consorzio dei diritti umani. Ricordate le voci bianche della “sinistra” nel coro che, sulla tomba della Jugoslavia assassinata dalla Nato, celebrava “la primavera di Belgrado”?

Questa sinistra accondiscendente tracima di un eurocentrismo spocchioso, sciocco e ignorante. I suoi dogmi viaggiano su binari diversi,ma in parallelo con quelli del capitale. L’arroganza unita alla stupidità o alla scaltrezza (che sono entrambe nemiche dell’intelligere) genera mostri. Vedi Berlusconi, vedi D’Alema, vedi il Dead man walking in cachmere. Nel mondo chi si è liberato da padroni interni o coloniali lo ha fatto quasi sempre adottando paradigmi e percorsi diversi dai nostri. Anzi, coloro che laggiù insistevano ad applicare quelli nostri di solito finivano con il mettere bastoni tra le ruote alla liberazione, quando non arrivavano addirittura a puntellare dittatori come in Argentina, Bolivia, o nemici del proprio paese come, anche oggi, in Iraq e in Italia.

C’è da chiedersi con che faccia noi ce ne andiamo in giro, osceni nelle nostre brache calate, a insegnare e redarguire. La bambina Zenab, 13 anni, ma la maturità di chi ha guardato nel buco nero dell’universo e ha tenuto gli occhi aperti, l’ho conosciuta nella sua casa di Gaza, occupata, devastata e imbrattata di merda e ingiurie dai beccai israeliani che a Zenab hanno ucciso 29 parenti, padre, madre e fratelli compresi, Prima con le granate in casa, poi a mitragliate contro chi fuggiva con le bandiere bianche. Zenab, tra quattro mura crepate in un oceano di macerie, racconta tutto nel mio dvd “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza” . Alla fine Zenab è esplosa in domande che erano atti d’accusa come scorrono nel sangue di ogni palestinese: “Ci hanno cacciati nel 1948 e ci hanno preso le nostre terre, hanno distrutto i nostri villaggi, hanno separato i figli dai genitori… e noi dovremmo dirgli grazie? Ci hanno fatto una guerra dopo l’altra, ci hanno comprati e venduti, ci hanno presentati al mondo come fossimo selvaggi e terroristi per isolarci da tutti… e noi dovremmo dirgli grazie? Ora su quel che rimane sono passati sopra come una tempesta di sabbia, cercando di seppellirci per sempre… e gli dovremmo dire grazie? Quando muore un bambino israeliano si commuove e protesta il mondo, da noi ne hanno ammazzato a centinaia e non si muove nessuno. E dovremmo dirgli grazie? Noi abbiamo un prigioniero, Shalit, loro ne tengono in carcere 11mila, anche bambini e donne. Uno contro 11mila! Ma noi non torturiamo Shalit. Noi siamo palestinesi, siamo umani".

C’è qualcuno ancora in questo paese che ponga domande simili in relazione alla Nato? Questa Nato del KOMBINAT eurostatunitense da braccio della morte che maramaldeggia sulla nostra politica e spadroneggia sul nostro territorio. Che ci mette alla mercè di criminali escatologici come lo sono tutti i presidenti scaturiti dalla bulimia delle élites statunitensi, l’illusionista per farlocconi Obama in testa. Questa Nato che ha mandato per il mondo nostri cittadini, marmorizzati dai neuroni agli ormoni, ad ammazzare innocenti e giusti a migliaia e a morire da fessi a decine, che corrompendo, sventrando, schiavizzando popolo dopo popolo nostro amico, ci ha tagliato il cordone ombelicale con il resto del genere umano. Questa Nato che della nostra casa ha fatto un postribolo di lenoni e zoccole. Questa Nato che si gonfia ogni giorno di più succhiando la nostra sanità, istruzione, natura, sicurezza. E il cielo – o piuttosto la reazione degli esseri umani - voglia che finisca come la rana che voleva farsi bue. Un mio amico, grande poeta cubano, Victor Hugo Lores Pares, direttore dell’entusiasmante Museo della Marcia del popolo combattente all’Avana, mi ha così definito la Nato: “ E’ la forca dell’umanità ”. E noi le dobbiamo dire grazie?

Sull’affondamento in mare o nel deserto dei fuggiaschi dai disastri seminati nel mondo dall’Occidente si è innescata una bella gara tra il ministro di polizia, il ministro dell’Offesa e qualche consanguineo del PD, per chi difende con maggiore ferocia le mura della fortezza imperiale e delle sue casamatte più esposte. Si tratta di competere per il voto alle europee. Ancora una volta il modello è Israele, dove il laburista Barak e i kadimisti Olmert e Livni si contendevano il primato di chi incitava con maggiore entusiasmo Tsahal allo sterminio dei palestinesi, di chi schiacciava con più cemento e coloni fascisti le terre e vite di coloro che hanno il torto di essere arrivati prima, ma di non essere ebrei. Tanto bene gli è andata che poi hanno vinto dei nazisti dichiarati, neanche più mimetizzati dalla farsa dei Due Stati. Da noi, più a destra dei due gaglioffi razzisti citati non c’è che Dart Fener e la Morte Nera.

Termino con una breve risposta a un gentile lettore (vedi commenti al post “Modello Israele”) che mi chiede alcune opinioni. Premettendo che non sono la Sibilla cumana, preciso che: 1) sulla vicenda Rinaldini ho già detto la modesta mia nel contesto qui sopra, ma ritengo che la versione dello Slai Cobas valga almeno gli schiamazzi dei compatibili. Io poi sono io che ha goduto come una lucertola per la cacciata di Lama dall’Università; 2) sulla vicenda Calabresi e sull’idea dell’opinionista da autoscontro Mughini secondo cui Adriano Sofri era “informato dei fatti”, non posso e non voglio esprimermi, se non per dire che questo Sofri, trombettiere di tutte le guerra, filosionista sparato e intellettuale da altalena, ha imbrattato la grande storia di Lotta Continua e, dunque, anche la mia e rappresenta il peggio del trasformismo italiota; 3) alla richiesta di chi voterò per l’onanistico parlamento di un’Europa natoizzata non ho ancora pronta la risposta. La croce su falce e martello potrebbe prolungare la vita al simbolo (che non sempre è stato alla propria altezza), ma fa anche il lifting a una serie di personaggi ammuffiti come abiti in naftalina. Ciao.

giovedì 14 maggio 2009

MODELLO ISRAELE: UNA RAZZA, UNA CLASSE, UN PAPI





















La saggezza nasce quando le cose si chiamano con il loro nome
(Proverbio cinese)

Il titolo è la parafrasi del giorno di “Ein Volk ein Reich, ein Fuehrer.
Autocitazione: Sia nel libro “Di resistenza si vince” (malatempora editrice), sia nel docufilm “Araba fenice, il tuo nome è Gaza” (visionando@virgilio.it) avevo espresso l’apparentemente temerario concetto che le atrocità terroristiche e razziste che Israele va compiendo tra Giordano e Mediterraneo e in giro per il mondo fossero seguite con compiacimento dallo zoo imperialista perché modello e manuale d’istruzioni ideologico e operativo per la soluzione finale. Soluzione che i ricchi (il 20% con l’80% delle ricchezze planetarie) vorrebbero riservare a poveri (l’80% con il 20%). Il pronunciamento del guitto mannaro per un’ Italia monoetnica, avanguardia nella marcia occidentale verso la soluzione finale fascista, realizzata con lo sfoltimento di un’umanità nella quale sopravviva quel poco di poveri che si prestino allo schiavismo (i kapo’ per la bisogna sono ben rappresentati dai Karzai, Al Maliki, Zardari, Abu Mazen, Uribe), è limpida conferma di quell’assunto. Chiamiamo le cose con il loro nome: il guitto mannaro fa schifo da tutti i pori, ma non è coglione. Sa benissimo che gli italiani sono dalle origini un coacervo di etnie, se proprio si vogliono chiamare così le differenze geografiche, cromatiche e culturali. Per quanto i buttafuori da lupanare leghisti sognino una loro disneyland tutta celtico-padana, la combriccola di muselidi e mignatte da corte e il loro papi non si sognano di sottoporre a pulizia etnica, che so, i liguri, i veneti, i tedeschi del Tirolo, i sardi, i siculi, “etnie” da secoli felicemente intrecciate in un comune progetto di vita e poi anche statale. Avendo per megagalattico capo il neobushiano dalla pelle nera, però con al collo il passi di Wall Street e nello zaino le bombe al fosforo per bambini afghani e pakistani (ci perdonino l’impertinente descrizione gli obamaniaci del “manifesto”), e per riferimento coloro che non potendoli ammazzare tutti hanno ridotto l’80% dei palestinesi residui sotto il livello di povertà, è chiaro che non tanto di etnicismo si debba parlare. Il marocchino, il somalo, il senegalese, il filippino, il cingalese vanno benissimo nella misura in cui servano da schiavi domestici, industriali o rurali. I sauditi da casinò, i libici da Fiat, i colleghi mafiosi cinesi dalla forza lavoro inscatolata nelle cantine, i congolesi con diamanti e coltan, i moldavi del rinfoltimento postribolare, i kosovari fornitori di organi umani, i presidenti colombiani straripanti di cocaina, l’interno sinistro nigeriano i cui gol compensano le tue ruberie e le tue inettitudini in fabbrica, insomma tutti coloro che arrivano con pacchi di milioni, sono da tappeto rosso. Dei loro colori e odori ci se ne strafotte.

Siamo alle solite, a quelle di sempre: alla lotta di classe, oggi condotta con vigore mai visto prima, però ahinoi a senso unico, dall’alto in basso. E pulizia etnica nel senso della razza dei poveri, contadini, operai, intellettuali, o morti di fame che siano. E qui nessuno sta facendo meglio di Israele, con al traino il carrozzone multietnico statunitense, a guida monosociale in virtù della più antica e poderosa delle vocazioni capitaliste, oggi consolidata dal controllo sionista su moneta, armi, media e coscienze sporche. Certo, non è produttivo parlare di guerra ai lavoratori, ai poveri, a quelli fuori dalle alcove politico-sociali del guitto mannaro. Funziona molto meglio sbandierare la guerra di razza contro chi ti insidia l’evanescente posto di lavoro, rinfoltisce le code al pronto soccorso, insidia le tue femmine, ritarda l’apprendimento del tuo pupo a scuola, emana odori inconsueti negli autobus. Fa l’effetto dell’eroina: piacevolissima in vena. Del sangue avvelenato e rovinato per sempre ti accorgi dopo. I sondaggi che danno il brigantaggio di regime in vetta alle simpatie fanno il paio con quel 92% di israeliani che si sono entusiasmati per la carneficina di Gaza. Sei sull’ultimo gradino della scala, ma intanto stai sulla scala, per ora, mentre sotto c’è la melma che non ti deve sfiorare i piedi. Così ti sta bene se qualcuno scalcia verso il basso più basso di te. Lo ringrazi e scalci con lui.

Israele mica ce l’ha con i palestinesi. Ce l’ha con i “terroristi” che, essendo poveri, tirando sassi e, peggio, insistendo a darsi un nome, secondo Israele prometterebbero “una nuova shoah”. Chi non sarebbe d’accordo di infliggerla agli altri, una shoah, prima che la ripetano a te? E così Israele ha insegnato che si può massacrare a 360 gradi, sbeffeggiare centinaia di risoluzioni dell’ONU, violare ogni norma del diritto internazionale, pulirsi il culo con le convenzioni di Ginevra, compiere infanticidi come fossero disinfestazioni di pulci, rubare a man bassa acqua, terra, sottosuolo, aria, agitare l’arma nucleare a destra e manca, usare quelle proibite di distruzione di massa, procedere a rapimenti e incarceramenti di massa, abolire ogni scrupolo giurisdizionale, torturare, compiere genocidi rapidi o al rallentatore. Il combinato USraeliano impone un’unica norma interna e internazionale: la violenza illimitata del più forte, unita alla decerebrazione di tutti. I poveri non sono di etnia diversa, non sono di nessuna etnia, sono disumani, Untermenschen, niente. Se ne può fare quel che si vuole. Il 10% della ricchezza prodotta nel nostro paese ci viene dagli immigrati. Ma devono restare Untermenschen. Che non osino alzare la voce (come insegna il questore di Milano che ne vieta le grida di disperazione per strada) e, soprattutto, che siano di monito ai nostri di lavoratori: la mannaia è pronta anche per loro. Razzismo? Troppo nobile. Ferocia di classe di certo, cannibalismo.

Con il pronunciamento del guitto mannaro e del suo manutengolo da osteria, con al guinzaglio il botolo Fassino, si sale sullo stesso katerpillar con cui gli USraeliani radono al suolo cose e vite di intralcio, dunque superflue. Si manda al macero quanto le borghesie hanno dovuto concedere alle plebi in un paio di secoli di bellissime insurrezioni: l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali, l’articolo 12 del Testo Unico italiano sull’immigrazione, la giurisdizione che per cui chi si trova su territorio italiano (le navi) non può essere soggetto a espulsioni collettive, la direttiva europea che impone che chiunque deve poter presentare richiesta d’asilo, le convenzioni che tutelano i i minori e le donne incinte, l’articolo 10 della Costituzione (che precede quello già ampiamente disintegrato da D’Alema, Prodi, Ciampi e Napolitano) sul diritto d’asilo, la criminalizzazione a prescindere dal reato: clandestino uguale delinquente.

No, clandestino uguale tua vittima da sempre. Il bello, l’orrendo di tutto questo è che coloro che vengono ributtati in mare, nel deserto, o nei mattatoi da cui fuggivano sono fin dall’origine residui della nostra masticazione, dei bianchi, cristiani, civili, benestanti, armati, ladri e assassini. Valga per tutti i paesi del sottosviluppo la Somalia. Scientificamente se ne è pianificata la distruzione. Alla caduta nel 1991 del dittatore Siad Barre, caro a Bettino Craxi, iniziatore del processo di mafizzazione nazionale, ero stato, per il TG3, il primo giornalista a mettere il naso nel paese che aveva la sfiga di trovarsi nel punto geostrategico e geopolitico più cruciale per le ruberie e mattanze dei colonialisti di ritorno. C’era un vasto movimento di popolo, guidato da un grande, onesto patriota, Mohammed Farrah Aidid, il detronizzatore del corrotto tiranno. Rischiava di rimettere in piedi lo Stato. Gli fu contrapposto un fantoccio, Ali Mahdi, e ne venne una guerra civile che, volgendo a favore dei difensori del paese, giustificò l’intervento dei ricolonizzatori, torturatori italiani compresi. Due volte quelle popolazioni tentarono di rimettersi in piedi. Prima cacciando l’occupante e poi, con una lotta di anni, ricostituendo un minimo di ordine politico e sociale grazie alla Corti Islamiche. L’Occidente gli lanciò addosso gli ascari etiopici del dittatore Meles Zenawi e poi gli F16 statunitensi. Oggi i somali rispondono, dalle loro terre zeppe di scorie tossiche e nucleari occidentali e dai loro mari avvelenati e saccheggiati (ne potei parlare al vecchio TG3, svelando i traffici della mafia di rifiuti di Spezia), riprendendosi con la “pirateria” briciole di quanto gli è stato rubato e rovinato. Nel frattempo qualche milione di somali ha dovuto mettersi in fuga, alcune migliaia in Italia, corresponsabile della loro agonia. Ma prima di arrivarci trovano le cannoniere di chi li ha ridotti in quello stato. Eppure di Somalia non si parla. Dovrebbero parlarne gli umanitari, i solidaristi, le sinistre. La solita islamofoba Sgrena vi ha visto solo lapidazioni di donne. Si parla del Darfur, che non c’è neanche il confronto. Ne parlano, urlando, gli istigatori e armatori delle bande secessioniste: Israele, Usa, Mia Farrow, la lobby ebraica, i ricchi. Così per l’Iraq: 5 milioni di profughi e sfollati, due milioni di morti ammazzati.

Non c’è paese di provenienza di chi si arrabatta attorno agli scogli dei nostri mari che non sia stato depredato, devastato, affamato dall’Occidente. Vuoi con guerre di sterminio, vuoi con la rapina delle multinazionali, vuoi con la manipolazione del clima, delle acque, dell’habitat. E’ su popolazioni alla pura e semplice fuga dalla morte che si abbatte il modello Gaza, quel modello che l’epigono tedesco Ratzinger non ha ritenuto cristiano visitare, mentre pigolava innocue inanità su un parastatarello come oggi lo vorrebbero rifilare ai palestinesi e al mondo dopo 60 anni di azzannamenti e sbriciolamenti. Un modello fatto proprio dall’illusionista Obama, esteso dall’Iraq all’Afghanistan e ora, a forza di massacri, al Pakistan, il cui vendutissimo regime è costretto a macellare di suo per non incorrere in un destino palestinese. Un modello che al culmine della crisi, quando alle banche, agli eserciti e ai monopoli non basteranno più le somministrazioni di sangue che i loro fiduciari governativi siringano dalle popolazioni subalterne, si applicherà a tutti noi. Saremo ancora i primi, tutti noi che non partecipiamo dei baccanali di papi.

martedì 12 maggio 2009

SERBI, BASSOTTI, SADDAM E BERTINOTTI. E IL MANIFESTO.

RISPOSTA A QUALCHE COMMENTO

Rispondo, sotto l’immagine dell’onnisciente bassotto Nando, ad alcuni commenti al mio post “Trombettieri, violinisti e musicanti vari” e nell’occasione ringrazio tutti coloro che si avventurano tra le mie intemperanze e che si prendono anche la cortese e preziosa briga di intervenirci. Questo vale tanto più per coloro che, come in questi casi, mi muovono delle critiche ragionate e competenti. Non per quelli che mi subissano di provocazioni tratte dal più becero armamentario della propaganda e delle mistificazioni di stampo padronale e imperialista. I lettori che mi concedono la loro paziente attenzione, di questa roba ne trovano a sufficienza nei media ufficiali, nelle dichiarazioni di padrini come Netaniahu, Obama, o Borghezio.

Un interlocutore mi chiede come mai non fornisco io stesso le risposte alle domande che avevo posto a un gruppetto di jugoslavisti organizzati, sottolineando la loro inerzia in proposito. Tipo “In quale quadro geopolitico e geostrategico europeo, slavo, internazionale, è inserita oggi la Serbia”. Non potendo reagire ogni volta a ogni sollecitazione su temi svariatissimi, mi sembra accettabile che rimandi a quanto, in questo stesso blog ho già abbondantemente scritto, con preciso riferimento alla questione. Se non bastasse, offro anche i miei documentari “Il popolo invisibile”, “Serbi da morire”, "Popoli di troppo", nonché i miei numerosi e vasti reportage apparsi su “Liberazione” nel corso dell’assalto alla Serbia, facilmente rintracciabili. Io non mi ergo a dispensatore istituzionale di informazioni jugoslave vita natural durante, non è il mio compito. Infine, all’osservazione un po’ arbitraria a fronte dell’enorme mole di controstoria scritta da esperti ben più qualificati e specializzati di me, secondo cui “i Balcani non hanno una storia conosciuta”, ritengo che questo non sia affatto vero. La vera storia della disintegrazione imperialista della Jugoslavia e della satanizzazione dei serbi è stata scritta e come. C’è una storia dei vincitori e una dei vinti e dei loro amici. Di solito è la seconda la veritiera. Non vale per la Germania Nazista (dove spara balle anche il vinto), ma certamente vale per i nativi d’America, per i palestinesi, per i gli iracheni. Apparirebbe un’eccezione il Vietnam, che ha vinto e l’ha raccontata giusta, ma poi è tornato nella prassi concedendo al nemico la vittoria politica e sociale.

C’è chi insiste sulla considerazione che io distribuirei al colto e all’inclita la qualifica di “agente Cia”. Credo di farlo quando gli elementi personali e ambientali lo giustifichino. Una vita in mezzo ai conflitti tra oppressi e oppressori mi ha fatto constatare la proliferazione di agenti Cia e Mossad come fossero zanzare tigre ad agosto intorno a una palude. Del resto l’obnubilazione planetaria sulla verità non sarebbe possibile senza i professionisti o dilettanti di questa categoria. Si fa poi un sillogismo quando si afferma che, denunciando i finanziamenti Cia al Dalai Lama (confermati perfino nelle cifre), o gli apparentamenti di Aung Su Ki con le strutture Usa per la destabilizzazione di paesi non conformi, io mi schieri in difesa dei governi cinese e birmano, visto che i menzionati arnesi dell’imperialismo vi si oppongono. Su Karadzic e “compagnia bella” mi sono già espresso nel blog. Non ne faccio certo dei San Francesco, ma è gente che contro l’aggressione di un superpotere feroce e bugiardo ha difeso la vita, i diritti e la sovranità della sua gente. E questo fa una bella differenza. Si dovrebbe anche tener conto della stereotipa ripetizione delle diffamazioni che l’aggressore inventa nei confronti degli aggrediti, a partire dalla presunta strage di Sebrenica, scientificamente smentita. Ma non c’è peggiore sordo di chi non vuole ascoltare le voci dell’altra parte e continua a fidarsi, fidarsi, fidarsi…In base a quale criterio etico o giornalistico si dovrebbe credere a Bush, o a Feltri e non a Saddam o Karadzic?

Infine, rispondo a un simpatico corrispondente che mi riprende per i miei attacchi al “manifesto”. Parla di odio-amore e mi colloca così in una condizione un po’ psicolabile. Per coloro a cui le mie elaborazioni sono destinate, non c’è davvero bisogno di sparlare di Berlusconi o del PD: l’orrore è evidente. Considero necessario criticare chi vuole figurare nel campo di chi combatte l’assetto esistente e poi si inchina alle sue peggiori mistificazioni. So bene che “il manifesto” è l’unico giornale che si deve leggere e ne apprezzo i contributi perlopiù esterni, come anche molti interventi sul conflitto sociale (a prescindere del dissennato amore per la CGIL, firmataria dell’abolizione della Scala Mobile e di tante altre porcherie recenti, escludente “razzista” nei confronti dei sindacati di base, passiva di fronte allo sterminio di popoli e classi). Ma dal momento che non ci si offrono altre scelte, dal ”manifesto” si ha da pretendere che non si degradi in questioni decisive alla connivenza e alla subalternità con i grandi meccanismi di un inganno prima ancora antiumano che antiproletario. Penso alla truffa epocale dell’11 settembre, chiave di volta di un genocidio mondiale, contro la quale una sinistra zeppa di scienziati, testimoni, investigatori, tecnici, sinistri, si batte disperatamente, soprattutto negli Usa, da anni. Pretendo che non chiami questi incontrovertibili “negazionisti” della grottesca versione ufficiale “paranoici, complottisti, psicotici” e simili. Così si rende un immenso favore a chi si dice di combattere, come lo fanno numerosi giornalisti manifestini quando, contro il solitario e angheriato collega Stefano Chiarini, si adagiano nel letto (embedded) di Procuste allestito dall’imperialismo per agevolare lo sterminio di popoli. Basta la Giuliana Sgrena del disco rotto che vede “terroristi” e Al Qaida ovunque, specie nelle lotte di liberazione, proprio come occorre al regime Usa da Bush a Obama e che ritiene discriminante fondamentale tra giusti e ingiusti il velo islamico. Basta la lobby ebraica del giornale che insiste a perorare la soluzione etnicista e colonialista dei due stati per due popoli in Palestina. Basta, e avanza, tutta la compagine del giornale che si schiera compatta, anche dopo montagne di documentazione contraria, con la lobby bushiana della campagna “Salviamo il Darfur”, una campagna lanciata da Israele, sostenuta da tutte le organizzazioni sioniste, con i capi del secessionismo che si addestrano a Tel Aviv, finalizzata a squartare il grande paese arabo non ligio al vampirismo della Nato e delle multinazionali. Basta il buon Tommaso De Francesco che unisce ai sacrosanti lamenti sull’annichilimento della Serbia la frode della “contropulizia” etnica fatta dai kosovari albanesi, avallando così la menzogna di una primigenia pulizia etnica fatta dai serbi. Bastano gli innamoramenti successivi per i sempre più accomodanti revisionisti Cofferati, Bertinotti, Vendola e perfino la sinistra DS. Basta l’offesa ai propri sostenitori-lettori di ridurre, in totale opacità, la foliazione di ben quattro pagine senza averne minimamente discusso in pubblico, neanche con i suoi generosi azionisti (e le reazioni dei lettori si sono viste). Come ho avuto modo di scrivere, è più insidioso chi a casa tua, nella tua famiglia, ti impedisce di spegnere l’incendio di colui che, da fuori, te l’ha appiccato. Sono ragioni sufficienti perché quelli del “manifesto” non si sognino di farmi lavorare con loro.

lunedì 11 maggio 2009

GIUSEPPE PINELLI: LA STRAGE DI STATO CONTINUA














Il presidente Napolitano ha ricordato due giorni fa, nell’occasione della giornata delle vittime del terrorismo e del primo incontro tra le vedove Pinnelli e Calabresi, l’anarchico milanese fuoruscito da una finestra al quarto piano della Questura di Milano. Singhiozzava il presidente migliorista e simultaneamente ribadiva, anche per oggi, il teorema degli “opposti estremismi” con il quale allora si voleva e pedissequamente anche oggi si vuole soffocare l’opposizione vera alla dittatura capitalista e alla fascistizzazione. A Pinnelli, sul cui demenziale “malore attivo”, che secondo il magistrato D’Ambrosio, futuro candidato PCI, ne aveva causato la spontanea estromissione dalla finestra, da questa sola istituzione è stato riconosciuto il ruolo di ingiustamente perseguitato e vessato, 40 anni troppo tardi. Nessuno ha ricordato che fu Calabresi a togliere l’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana a un collega, che stava indagando sugli ambienti di estrema destra (poi risultati colpevoli), per indirizzarla verso i compagni della sinistra. Nessuno ha ricordato che le indagini sul volo da una finestra piena di poliziotti furono condotti e fatti archiviare dagli stessi e che non si volle mai approfondire nulla con un procedimento giudiziario. Neanche oggi. Quando forse qualcuno presente nella “stanza piena di fumo” e perciò “da ventilare”, potrebbe aver avuto qualche evoluzione di coscienza. Nessuno ha colto l’occasione del 40° per ricordare le decine di giovani ammazzati nelle piazze del terrorismo di Stato, da Giuseppe Pinnelli a Giorgiana Masi a Francesco Lorusso, laboratorio degli ammazzamenti in atto e programmati oggi a casa nostra e in giro per il mondo.
Noi di Lotta Continua – quelli che non hanno tralignato - invece ricordiamo, ricordiamo tutto. Ricordiamo di aver rovesciato il paradigma di un potere ottuso, perfido e sanguinario attraverso lo smascheramento della “Strage di Stato”, con le nostre lotte, con innovazioni davvero rivoluzionarie di contenuti e forme, di assoluta validità contemporanea, con canzoni come questa: la migliore orazione funebre per il compagno Pinnelli.

LA BALLA DEL PINNELLI
Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

Signor questore io gliel’ho già detto
lo ripeto che sono innocente
anarchia non vuoi dire bombe
ma giustizia amor libertà.

Poche storie confessa Pinelli
il tuo amico Valpreda ha parlato
è l’autore del vile attentato
e il complice di certo sei tu.

Impossibile, grida Pineili
un compagno non può averlo fatto
e l’autore di questo delitto
tra i padroni bisogna cercar.

Stiamo attenti indiziato Pinelli
questa stanza è già piena di fumo
se insisti apriam la finestra
quattro piani son duri da far.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

L’hanno ucciso perché era un compagno
non importa se era innocente
‘Era anarchico e questo ci basta”
disse Guida il feroce questor.

C’è un bara e tremila compagni
stringevarno le nostre bandiere
noi quel giorno l’abbiamo giurato
non finisce di certo così.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
una spinta e Pinelli cascò,

E tu Guida e tu Calabresi
Se un compagno ci avete ammazzato
Per coprire una strage di stato
Questa lotta più dura sarà.

giovedì 7 maggio 2009

TROMBETTIERI, VIOLINISTI E MUSICANTI VARI. La "lobby" e il ruolo di certe Ong













Prima disciplinare, drizzare, domare, ma poi PACIFICARE, sono i vocaboli più utilizzati dai colonialisti nei territori occupati… ma le repressioni, più che spezzare lo slancio, scandiscono l’aumento della coscienza nazionale. In effetti, quando percepisco che la mia vita ha lo stesso peso di quella del colono, il suo sguardo non mi folgora più, ne m’immobilizza più, la sua voce non mi pietrifica più. Non mi turbo più in sua presenza. In pratica, me ne frego. Non soltanto la sua presenza non mi disturba più, ma sto già preparandogli delle imboscate tali che presto non avrà altra via di scampo che la fuga: la decolonizzazione è sempre un fenomeno violento”.
(Frantz Fanon, 1925-1961)

Prima di occuparmi di coloro ai quali fanno riferimento queste parole del combattente per la libertà dell’Algeria e autore del fondamentale “I dannati della Terra”, devo attirare un minimo d’attenzione su quanto tanti continuano a sottovalutare, ignorare o attribuire al famigerato “complottismo”: la potenza di fuoco delle centrali di intossicazione israeliane e della lobby ebraica mondiale. C’è chi reagisce con sorrisi di superiorità – penso agli invasati obamaniaci del “manifesto” – quando si esprime il sospetto, corroborato da mille analisi, inchieste, documentazione dei più autorevoli studiosi statunitensi, che non siano tanto gli Usa a dettare la strategia colonialista e militarista di Israele, quanto il contrario. Due recenti episodi nella politica di “svolta” del taumaturgo Obama dovrebbero far congelare quei sorrisi: un’alta funzionaria della Casa Bianca, nominata dal presidente è stata spazzata via, cioè immediatamente revocata, quando la lobby ebraica AIPAC (“American Israeli Public Affairs Committee”, il gruppo di pressione che da decenni tiene sotto schiaffo l’intero sistema politico-economico-mediatico Usa) ne ha stigmatizzato alcune lontane espressioni “filopalestinesi”. In quanto filopalestinesi, inderogabilmente terroristiche. Per uno che ha appiccicato la sua faccia nera dal sorriso alla Pasta del Capitano sul golem della bushiana guerra infinita al terrorismo, sostenendola perfino con la riesumazione del cadavere della costola di Bush Bin Laden, non si dava che ottemperare a tacchi sbattuti. Quando poi, a seguito di indagini del Congresso, le autorità giudiziarie hanno incriminato due lobbisti ebraici dell’AIPAC, Steven Rosen e Keith Weissman, per spionaggio a favore di Israele e per aver ricattato la parlamentare Jane Harman perché votasse decisioni favorevoli allo Stato sionista, saettante è stato l’intervento dell’amministrazione di “svolta” nell’imporre al tribunale di non rompere le scatole e di archiviare l’impertinenza. E pensare che l’uomo del Pentagono, Lawrence Franklin, che aveva passato le informazioni classificate ai due lobbisti, era stato condannato, nel 2006, a 12 anni di prigione! Non era membro della lobby.

Con frequenza proporzionale all’intensificarsi dei venti di critica, denuncia e condanna a Israele che soffiano per i paralleli, ormai anche per quelli boreali, mi arrivano sul blog – e sicuramente arriveranno a tutti – commenti a qualche mio post non proprio ispirato alla visione del mondo per la quale Israele contribuisce allo spopolamento dei pianeta. Sono astuti, ti affrontano con cravatta, con il galateo della conversazione da circolo della caccia, fingono, con compunto rammarico, di prendere sul serio le tue argomentazioni sul genocidio sionista, sulla sessantennale pulizia etnica praticata da Israele, o sull’impressionante parallelo che balza dal confronto tra qualche foto di ebrei nel ghetto di Varsavia, o ad Auschwitz, e altre scattate nel mattatoio di Gaza. Poi, ragionando con pacatezza e dandosi aria di scienza, pretendono di fare le bucce ai dati di fatto contestati, inondandoti con i coriandoli della sloganistica sionista-imperialista: e l’olocausto e l’antisemitismo e il ritorno alla terra dei padri e quei sanguinari lapidatori islamici e quei terroristi di Gaza che si fanno scudo dei loro bambini e l’apocalissi preparata dai satanici Iran, Siria, Sudan e i cimiteri ebraici dissacrati di Francia e l’11 settembre (con che faccia!) e i kamikaze e i razzi Kassam e l’integralismo islamico (anche qui, con che faccia!), e il presidente sudanese Bashir incriminato dalla Corte Penale Internazionale (anche il muro dell’apartheid, se è per questo) e quel pazzo sanguinario di Ahmadinejad…. Stereotipi come fossero bombe a grappolo su Gaza.

Tutto questo fa parte del più grande apparato di disinformazione e propaganda che sulla Terra si sia visto dopo la bibbia e il vangelo. Se gli arabi, con la giustizia, la cultura, la storia, l’intelligenza e i numeri dalla loro parte, avessero anche solo uno che da quei maestri intossicatori ha fatto uno stage, altro che Israele, altro che muro, altro che pulizia etnica e furto impunito della Palestina. Ci sono qui i bombaroli e cannonieri d’assalto, per vocazione confessionale (non parliamo di etnica, poiché la va fatta finita con la storia dell’antisemitismo, visto che semiti sono tutti gli arabi e solo una piccola minoranza di ebrei), vocazione all’opportunismo, o alla correità. E sono i Mimun, i Riotta, i Mieli, i Parlato, i Frattini, i Fini, i Napolitano, i Ferrara, le Annunziate, i Berlusconi, con al guinzaglio botoli ringhianti alla Sofri, Erri De Luca, Nierenstein o Magdi Allam, insomma capibastone e picciotti del circuito atlantico-sionista, sezione Italia.

La seconda schiera sono i musicisti di seconda fila, decisivi per gli arrangiamenti, gli infiltrati là dove uno tende a fidarsi, stampa, cultura, spettacolo e conventicole politiche di “sinistra”. Integrano la grossolanità delle falsificazioni e degli occultamenti dei bombaroli a viso aperto con acrobatici funambolismi sul filo che pretende di congiungere due postazioni di pari dignità, di pari valore, ma anche di pari sofferenza. In prima fila, naturalmente, il trio “liberal” degli infingardi cari a Fabio Fazio: Oz, Grossman e Jehoshua, tre israeliani esperti di lifting letterario, che imperversano sugli schermi agendo da chirurghi estetici sul volto mostruoso dello Stato sionista. Ovviamente tutti concordi nel dare totale sostegno a Olmert per la carneficina di Gaza. Di paranostrano abbiamo un Caldiron che, da anni, capeggia la lobby nel quotidiano del PRC “Liberazione”, affannosamente impegnato a erigere barriere diversive rispetto all’evidenza del nazisionismo all’opera a Gaza, a Nilin, a Jenin, a Hebron. Ultimamente ha spalmato sul quotidiano (irredento anche con Dino Greco al timone) la fantasia di uno tsunami antisemita c he si sarebbe scatenato nientemeno che negli Usa, cuore pulsante dello “scontro di civiltà” islamofobico, portando come fonte quella storica banda di autentici olimpionici del razzismo e della spranga che si raccoglie sotto la sigla fuorviante di ADL, “Antidefamation League”.

Accompagnano in sordina questi lanciatori di ordigni al gas obnubilante, altri specialisti del “fuoco amico”, di rango sofisticato. Sono i violinisti, sinuosi, arpeggianti, melliflui, eleganti, avvolgenti. Non s’impegnano direttamente nei termini della contesa. Fiancheggiano. Esibiscono qualche lacrima sui tanto sfigati iracheni o palestinesi, qualche rimbrotto sugli ospedali Natobombardati a Belgrado, conquistano così credibilità tra coloro cui si arricciano le budella alla vista delle nefandezze della Comunità Internazionale dei Delinquenti. Poi piazzano la botta. Che può essere una celebrazione di Ovadia delle tradizioni ebraiche al culmine degli infanticidi a Gaza, o un ampolloso servizio della manfestaiola Marina Forti sulle donne detenute per omicidio nelle prigioni iraniane, tutte ovviamente “assassine per legittima difesa”, quando si deve demonizzare un governo iraniano che l’aveva appena cantata giusta ai razzisti sionisti dal podio della Conferenza Onu sui diritti umani. Capita anche che, rinchiusa in trafiletti la mai cessata strategia genocida a Gaza, si riduca la vicenda, le si sovrapponga un elogio dell’altra manifestaiola Giuliana Sgrena, questa davvero deprimente, ai curdi secessionisti, narcotrafficanti e israelocolonizzati del Curdistan iracheno, o la ripetizione dell’ossessivo karma neocon-obamiano sull’onnipresenza di Al Qaida in un Iraq, dove nessuno ha mai visto Al Qaida, ma dove ogni giorno la Resistenza è tornata a far saltar per aria militari statunitensi e fantocci iracheni. Cosa contro la quale l’ingegno dell’occupante allo stremo ha riesumato, a forza di carneficine iraniano-statunitensi-scite nei mercati e nelle moschee scite, la cosiddetta guerra confessionale, sperando che la reazione scita al soldo dei persiani, quella dei vari Moqtada, Al Maliki e Al Hakim, la faccia finalmente finita con una guerriglia nazionale che gli invasori, non sapendola sconfiggere, tentano di diavolizzare chiamandola Al Qaida.

Di questa Sgrena va evidenziata l’auto-apologia pubblicata sul “manifesto”, con la quale chiama a raccolta coloro che dovrebbero votarla alle europee, immagino soprattutto i bipartisan cultori di “Giuliana martire del terrorismo iracheno”. Si candida con “Sinistra e libertà”. E con chi sennò?
Elegge a “sponda politica”, accanto allo Svendola bertinotizzato, anticomunista megaprivatizzatore in Puglia e magnifico dicitore di bla-bla-bla alla fuffa, l’Obama che ha appena intensificato ed espanso le guerre asiatiche, ribadito Cuba, dagli Usa terroristizzata per 60 anni, tra i “paesi terroristi”, massacrato con i droni decine di famiglie pakistane, usato la farsa “febbre suina” per stringere ulteriormente il cappio sulle libertà civili del cittadini Usa, identificato le sue aspirazioni con quelle dei macellai israeliani, consacrato liberi e impuniti i colleghi bushiani emuli della Santa Inquisizione e di Mengele, mandato una flotta a sterminare chi in Somalia impone risarcimenti, in misura peraltro del tutto inadeguata, ai criminali dello sversamento di rifiuti tossici e nucleari, i predatori impuniti del patrimonio ittico nazionale, i creatori nel 1991 del laboratorio Somalia: un formicaio annaffiato di benzina e incendiato. L’Obama che. avendo allestito una nuova serie di carneficine settarie in Iraq, fa ora dire ai suoi generali che nell’Iraq della rinnovata virulenza Al Qaida, l’Iraq delle piagnucolose mistificazione sgreniane, tocca restarci ben oltre i termini definiti in campagna elettorale. Quell’Obama che, comunque, 50mila effettivi e 100mila mercenari tagliagole aveva deciso di lasciarceli, nell’Iraq, a difesa della sua “sovranità e democrazia”.

E dopo aver riempito i suoi funerali della verità con irrefrenabili impulsi islamofobici e anti-arabi, dall’Iraq all’Algeria, dall’Afghanistan alla Somalia, Sgrena chiede il voto a sé e alla lista degli svendoliani, ruotino di scorta del PD, sulla base dell’”esperienza accumulata in vent’anni” . Dio - ma di questo ectoplasma non ce da fidarsi - ce ne scampi e liberi. Instancabile nell’ imbrattare la Resistenza irachena con la mistificazione bushobamiana di “Al Qaida”, accosta (“il manifesto” 5/5/09) l’infanticidio afghano dei valorosi con le stellette, emuli degli israeliani formato Gaza, alla propria peripezia irachena, culminando a cavalcioni del missile USraeliano mirato al “proliferare dei taliban e del terrorismo di Al Qaida” . Trombettiera, più che violinista, della “guerra infinita al terrorismo”, c’è da rabbrividire di cosa questa Menapace-bis sarà capace di combinare al parlamento europeo. Il riferimento è a quella Menapace che ora, dall’alto dei suoi ottant’anni e passa, esprime il “rinnovamento dal basso” delle candidature europee PRC-PdCI, armata di quel pacifismo che in Italia già l’ ha fatta votare a favore di tutte le guerre. Tornando a Sgrena, non dovremmo mai stancarci di chiederle ragione del suo prolungato silenzio (fino a quando non arrivarono le rivelazioni di Rai-News 24) su cosa le dissero, prima del suo sequestro, le donne della Falluja fosforizzata e sulla copertura che continua a dare alla rimozione ufficiale del famoso “quarto uomo” che nei primi tre giorni del sequestro in tutti i bollettini e dichiarazioni figurava in macchina accanto a lei e Calipari e poi svaporò nei misteri d’Italia. Si può immaginare facilmente a chi allora facesse comodo che non si parlasse dello sterminio di Falluja con armi proibite. Ma chi favorisce la Sgrena tacendo sul “quarto uomo”?

La mobilitazione di tutte queste voci, almeno di quelle che sono consapevoli dello stregone cui fanno da apprendisti, fornisce un contributo prezioso e meno DOC alle bordate a base di “antisemitismo”, “terrorismo palestinese”, “Shoah” che i rappresentanti diplomatici e gli emissari governativi israeliani sparano da servizievoli blindati mediatici contro chiunque osi parlare di crimini di guerra degli infanticidi di Tel Aviv, di occupazione, di colonialismo, di tragedia palestinese, di legittima resistenza. Nel marzo di quest’anno il ministero degli esteri israeliano, capeggiato dal pulitore etnico Lieberman, ha riattivato la campagna di reclutamento e mobilitazione di “naviganti” ebrei e non ebrei impegnati a scrivere nei forum e nei blog di internet, in tutte le lingue del mondo, cose in difesa di Israele e a diffamazione dei suoi critici. I volontari ricevono tramite posta elettronica l’informazione da introdurre in rete. Se ricevano altro, ciò non figura in nessuna fattura. Tra i più graditi per questo lavoro da pifferai sono alcuni dei più affermati esperti di comunicazione. Sette ne ha reclutati per gli Usa il consolato di New York perché “combattano i gruppi e individui che distorcono l’immagine del paese”. A questi benemeriti, alcuni dei quali hanno tentato di inserirsi nel mio blog (ma quarant’anni di frequentazioni di quelle parti mi fa rilevare l’odore del pifferaio come fosse il fiato di chi s’è ingollato i calzini di una tappa del Tour), vanno peraltro anche remunerazioni visibili: viaggi-premio-e-formazione per tutta Israele, spese pagate, per raccogliere materiale sul più democratico, morale e gentile paese di questa Terra. Troverete i risultati in Wikipedia, Wikimedia, Facebook e ogni sorta di blog. Sono un coro di cuculi. Ho visto che questi cuculi (per chi non è ornitologo, sono uccelli furbastri che depongono uova in nidi altrui, poi inconsapevolmente covate dai titolari) a volte ricevono credito e dignità di interlocutori seri anche da brave persone, fiduciosi compagni. Quindi occhio.

La situazione, come dice Celentano, non è buona nei vari gruppi italiani di solidarietà con questo e con quello. Ong e Onlus, associazioni di promozione sociale, tutte variamente favorite dall’erario e da contributi dei cittadini, sono solitamente minuscoli aggregati attorno a un galletto che si perpetua plebiscitariamente all’infinito nella carica. Non voglio parlar male del Forum Palestina, straboccante di ottimi compagni e che ha saputo organizzare le poche mobilitazioni del nostro paese e, virtualmente da solo, ha nei giorni scorsi accolto il nazisionista israelo-russo Avigdor Lieberman – “Atomiche su Gaza e fuori tutti gli arabi da Israele” - con presidi e calzanti striscioni. Ma non se ne può tacere l’incongruenza di far fuoco e fiamme sulla tragedia palestinese, escludendo poi rigorosamente da ogni rapporto chi i palestinesi hanno eletto a maggioranza e chi ne è da anni l’espressione resistente e il custode della dignità contro il disfacimento nel collaborazionismo dei bonzi di Fatah. Il rifiuto di aver a che fare con Hamas, legittima forza di governo e perno della Resistenza, fa il paio con l’imbarazzato silenzio di tanti solidaristi, umanitaristi, pacifisti e antimperialisti, quando per difendere la Jugoslavia o l’Iraq etica e logica esigevano che se ne difendessero i dirigenti (poi avvelenati o impiccati), in particolare con uno sforzo di disvelamento delle ingiustificate e strumentali demonizzazioni operate dai signori della guerra. Ne si può evitare di lamentare del Forum Palestina la clamorosa sudditanza logistico-politica ai solipsisti della Rete dei Comunisti e della romana Radio Città Aperta. Sudditanza praticata anche sul sottoscritto quando il Forum ha accettato l’ostracismo nei suoi confronti, dopo anni di vicinanza, decretato appunto dai pezzi da novanta di una Rete impegnata a rincorrere Veltroni. Grave e inesplicabile è stata per l’appunto la connessione Forum-Rete, quando l’associazione di solidarietà con la Palestina si è accodata all’indicibile lista “Arcobaleno per Veltroni” che, con opportunismo pari allo scandalo, la Rete e i Disobbedienti misero in piedi per il secondo mandato del filosionista saccheggiatore di Roma e devastatore della sinistra italiana (risultato: 06%, giustamente).

Per carità di patria, visto che ne sono militante, sorvolo anche su Italia-Cuba, dal vertice infarcito di gente del PD in ontologica contraddizione con una solidarietà a Cuba socialista e rivoluzionaria, che però, a volte, mimetizza la solidarietà con altre meno nobili attrattive dell’isola. Molto hanno fatto i compagni dell’associazione nei loro territori, spesso scontrandosi con farraginosità – e anche peggio – dell’amministrazione cubana di aiuti e opere e se oggi di Cuba la sinistra non osa parlare come si è acconciata a parlare di Milosevic o Saddam, e se c’è più gente in Italia che tiene con Cuba più che con altri meritevoli, il riconoscimento ne va per intero all’associazione e al suo lavoro di verità. Che sarebbe anche più credibile se non facesse lo gnorri quando da Cuba si sprigionano accadimenti non perfettamente in linea con le premesse dettate dalla sua storia e dal suo comandante. Arretramenti, burocratismi, inefficienze, trascuratezze e certi episodi che richiamano bruttissime esperienze del socialismo detto reale, come la cacciata su due piedi, infamante ma senza spiegazioni, di chi al vertice aveva rappresentato, finalmente e con grande valore, la nuova generazione e chi, forse, favoriva una linea più rigorosa su socialismo e antimperialismo, Perez Roque, ministro degli esteri e Carlos Lage, vicepresidente. Sbaglio? Mi si diano elementi di valutazione! Fideismo equivale a cecità politica.

Un altro circoletto dal quale fui cacciato è il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. Nome altisonante per una cerchia di nostalgici della Jugoslavia (lo sono anch’io). Eminentemente un gineceo in lenta estinzione, raggruppato intorno al solito piccolo ras maschio, sovrano a vita e addirittura attore in filmetti fumettari sulla tragedia serba, dal tanto intenso quanto involontario effetto comico. Soprattutto rimandi a link altrui, inoltro di documenti presi da altre liste, sparute e ondivaghe le informazioni e valutazioni che contano: cosa è successo davvero nei Balcani a partire dal 1991, cosa vi sta succedendo ora. Milosevic un po’ da prendere con le pinze e un po’ da compiangere. Come ci districhiamo tra i vari attori di Belgrado, chi individuiamo come interlocutore con cui lavorare oggi? In quale quadro geopolitico e geostrategico europeo, slavo, internazionale, è inserita oggi la Serbia, quali sono le condizioni dei suoi lavoratori macinati dalla liberalizzazione, quali i focolai di resistenza? Invece una estenuante rivisitazione della vicenda mussoliniana e dei suoi errori, una riesumazione archivistica di fatti e personaggi della prima metà del secolo scorso. Non ci sono nella sinistra disastrata le forze per la mobilitazione contro chi, dopo averla polverizzata, ora sta sbranando la Jugoslavia, imboccato dai quisling ivi installati, o per correre in soccorso agli unici serbi combattivi sopravvissuti, quelli dell’enclave di Mitrovica? Ma che almeno se ne parli, per la miseria! Che ci si rapporti! Magari abbandonando subalternità politiche che lo trascurano o vietano. Metodi e contenuti di questo coordinamento sono autoreferenziali e inadeguati alla bisogna. Ogni critica al bossino è lesa maestà. Sembra che Berlusconi abbia tanti microepigoni.

Ingenuità, personalismi, miserie umane, piccoli calcoli, in fondo venialità. C’è chi invece se la tira alla grande e riscuotendo maggiore risonanza per capacità di autopromozione e referenti politici, non pecca tanto per carenza, quanto per interventi consapevolmente o inconsapevolmente fiancheggiatori. Più che violinisti che ti sussurrano melliflue note all’orecchio, sono enfatici e tonitruanti contrabassisti. Sostenuti da generale stima e devozione, un po’ da martirio (il rapimento di dipendenti), un po’ da rumoroso ruolo politico, danno legittimità, se non sacralità, a posizioni sbagliate che, al netto della retorica umanitarista, non fanno che la rovina di chi si dice di sostenere. Cito due esempi: “Un Ponte per”, dell’immarcescibile Fabio Alberti (era già presidente quando ero alle elementari), la storica Assopace dell’onorevole, cara a Bertinotti e un po’ a tutti, Luisa Morgantini. Il primo, dopo aver campato per anni di turismo iracheno garantito dalla benevolenza del poi anatemizzato Saddam, dopo essersi rilanciato grazie alla patetica messa in scena delle due Simone rapite in Iraq (chissà da chi!) e poi materializzatesi ancora incappucciate nel deserto davanti a telecamere miracolosamente pronte, ha recentemente allestito una kermesse per Ong irachene, nel nome della minestrone “società civile” e nel segno paspartout della “non violenza”. Il momento era, al solito, scelto bene, in coincidenza con il “surge” della Resistenza irachena negli ultimi mesi che ha di colpo vanificato i presunti successi di “sicurezza e pacificazione” che il duo Usa-Iran vantavano dopo rispettivamente il “surge” del generale Petraeus e il mattatoio delle milizie scite. A questi “terroristi” andava messo di fronte il candore vincente della “società civile”. Una società civile che non avrebbe potuto mandare neanche uno dei suoi rappresentanti se le rispettive organizzazioni e sindacati non portassero il codice a barre della ditta israelo-iraniano-statunitense. Anzi, una società civile che, se non si fosse impegnata ad agire tra i muri dell’apartheid politica e fisica eretti dal governo-fantoccio su disposizione dell’occupante, si sarebbe vista trapanare ii crani da Moqtada al Sadr, o dagli sgherri di Al Maliki e di altre milizie collaborazioniste. La totale cancellazione dalla scena irachena di una resistenza armata di popolo che ha vanificato finora tutti i progetti di normalizzazione coloniale, oltre a essere disonesta e antistorica, rappresenta un’offesa sanguinosa a chi, con la scelta più nobile del mondo, si sacrifica nientemeno che per la libertà, alla maniera dei nostri partigiani. Costituisce così un formidabile sostegno a occupanti e fantocci che da sei anni non sognano altro che avere a che fare con quel cucuzzaro di amebe che è la “società civile” irachena e con gli utilissimi “non violenti” di tutto il mondo.

Quanto a Luisa Morgantini, vicepresidente del parlamento europeo, ora in uscita senza rientro, nessuno ne nega i meriti per aver sollevato la questione della sofferenza palestinese in tutte le sedi possibili. Il suo formidabile ego vi ha dato vasta, ma ahimè ambigua, risonanza. Ciò che non torna è contrapporre ai combattenti per la liberazione nazionale della Palestina l’estenuante proposta del dialogo tra i due campi, per il quale la deputata si ostina a raccogliere su è già per i territori occupati sparuti pacifisti di entrambi i popoli che deprechino la violenza di tutte le parti. A sentirsi meglio, dopo, sono solo coloro che hanno manifestato. Morgantini trascura una questione non da poco, quella dei rapporti di forza. La sua imponente presenza non basta a riequilibrarli. Finchè i rapporti di forza non mutano, hai voglia a “dialogare”. Chi ti si impippa? Invece i rapporti di forza cambiano quando un’opinione sempre più ampia si impegna per lo Stato unico e democratico e sostiene questa che è l’unica liberazione con la solidarietà alle forze che lottano in Palestina, con l’informazione corretta, e soprattutto con il boicottaggio alla sudafricana (BDS: boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni). In tanti anni di rumorosa presenza morgantiniana nei territori occupati, la sua strategia non ha scalfito minimamente la determinazione israeliana di irridere a qualsiasi dialogo, di trasformare ogni trattativa in una farsa con Abu Mazen arlecchino servitore di due padroni (Usa e Israele), di strafottersene di qualsiasi impegno dialogico assunto. Israele è passata sui gentili propositi di Morgantini come uno di quei caterpillar che disintegrano case, seppelliscono coltivazioni e uccidono Rachel Corrie. A partire dalla superfetazione delle colonie, dall’espulsione ventilata dei palestinesi con cittadinanza israeliana, dalla stragi ricorrenti, dal sequestro e dalla tortura di undicimila persone, bambini compresi, dagli espropri, dalle vessazioni, da un razzismo che ha visto, dopo anni di perorazioni sui “due stati per due popoli”, il 96% della società israeliana appoggiare la carneficina di Gaza, sostenere il muro dell’apartheid, non obiettare alla frantumazione dello “stato” palestinese in un piccolo sistema lego buttato per aria per vedere cosa succede quando ricade a terra.

Al "Ponte per", a Morgantini, ai partiti della sinistra “radicale”, a Obama, al resto del mondo, la balla dei “due stati per due popoli” sembra star bene. Esonera dal prendere posizione dalla parte giusta, quella che Obama chiama “terrorista”, l’unica in campo, fornisce apparenze di equilibrio che sistemano la coscienza. Peccato che non stia bene, neppure nelle apparenze, a Israele. Non più. Ora che ci sono Netaniahu, Barak e Lieberman. Ma, anche prima, non è che ci avessero mai creduto. Eretz Israele ueber alles. Tutto, da Madrid a Oslo a Camp David a Taba ad Annapolis, evidenziava la totale ipocrisia dei governanti sionisti, smascherata dalla evidente strategia di ridurre i palestinesi a entità in effettuale, ma ascara contro dissidenti e resistenti, a spezzettarne un territorio ridotto al 12-17% della dimensione storica, a frantumare in tutta la regione le unità statuali arabe per linee etnico-confessionali. Le tesserine palestinesi sparse tra le superstrade probite e le colonie sono circondate da tutti i lati da Israele, valle del Giordano compresa. Ora c’è anche la richiesta di riconoscere Israele come "stato etnico dei soli ebrei", ripugnante dal punto di vista etico, criminale da quello politico e che pone il 22% della popolazione, i palestinesi israeliani, in condizioni da CIE maroniano, Centro di Identificazione e Espulsione.

Non c’è studioso e commentatore serio, sia tra gli ebrei e gli stessi israeliani, che tra i non-ebrei, che non riconosca come i due stati siano un’aberrazione irrealizzabile, se non si pensa che Israele cacci via mezzo milione di coloni, riconosca il diritto al ritorno di 5 milioni di palestinesi, restituisca tutti i territori al di là di quanto sancito dall’ONU nel 1947, ammetta frontiere certe, esercito, indipendenza economica, e rinunci a rubare quell’acqua di cui lascia un decimo ai suoi titolari. Lo sbocco inevitabile, giusto, realistico resta di conseguenza lo stato unico per tutti coloro che vivono, con pari diritti, su quella terra. Insistere sulla truffa dei due Stati, significa restare – e tenere la gente – a metà guado. A rischio di finire per sempre a mollo, o di essere spazzati via da un’onda anomala. Chi insiste non fa che l’interesse di un Israele bulimico di espansione e pulizia etnica. Basta pensare che lo stesso Ratzinger, reduce da Israele, ma non da Gaza, ha sussurrato a ogni sasso in Terra Santa le sue infallibili certezze sui due Stati, uno per i “fratelli maggiori” e uno per gli infedeli.

Chiudo con la solita solfa sul “manifesto" da €1.20 (2.50) e, ora, da quattro pagine in meno. Quanti lettori in meno? Hanno tolto perfino i programmi televisivi. Andrà bene per quei puristi che leggono Siddharta ma rifiutano di guardare la tv. Per tutti gli altri significa che quel costoso giornaletto gli diventa il secondo giornale, con addizionale esborso per il primo. Ma questo è niente. Sempre per il gusto di starsene in mezzo al guado, anzi un po’ più in là, il “manifesto” del 6 aprile, apre l’interno con titolo a due pagine sull’ammazzamento di una bambina in Afghanistan da parte dei nostri prodi soldati. All’”incidente” l’articolo del noto giornalista di “Lettera 22” dedica su tutta una pagina ben 5 (cinque righe). Il giorno dopo il delitto. Da sempre compatibilissimo con l’occupazione, purchè un po’ più blanda, e contro il “terrorismo dei turbanti”, l’articolista dedica una buona parte al fastidio provato sulla via per l’aeroporto di Kabul per i blocchi messi dal premier Karzai. La parte più ampia è rigonfia del gran lavoro di ricostruzione dei nostri militari nel PRT (Provincial Reconstruction Team). Con qualche alzata di sopracciglia per la “troppa confusione" tra intervento civile e intervento bombarolo e mitragliatore. Eppure tutti sanno che la favoleggiata ricostruzione sta all’impegno militare, a partire dai termini finanziari, come un parapendio sta a un F-16. Intanto la toppa al buco nero è messa.

Un ricordo di Stefano Chiarini, il migliore di tutta la nostra categoria, me lo strappa colui che, insieme alla Sgrena, è ora chiamato a occuparsi dei mondi al cuore dei quali Stefano ci ha portato per anni. L’attuale mediorientalista del “manifesto”, divagando fino ai confini della Cina (sempre roba musulmana è), riempie una pagina con le indiscutibili (per lui) dichiarazioni di tale Rebiya Kadeer, equivalente cinese del tibetano Dalai Lama e a lui devotissima. Si tratta della capa di una di quelle organizzazioni di popoli o minoranze “oppresse” su cui fa affidamento Washington per demonizzare e poi buttare all’aria governi non allineati. Sono quelli del Darfur, delle sette millenariste cinesi, già del brigantaggio iracheno opposto a Saddam, della Moldavia comunista, della Birmania di Aung Su Ky, dei gangster anticastristi di Miami. E tutti a Washington stanno e mica male vegetano. In questo caso di tratta di una militante pannelliana, cinese di etnia uiguri, membro eminente del Partito Radicale Transnazionale (e già qui l’articolista avrebbe dovuto rabbridividire), che mette a disposizione della Cia, del Pentagono e del Dipartimento di Stato i suoi servizi e le rimostranze di coloro che rappresenta (al tempo delle Olimpiadi avevano fatto saltare per aria un po’ di edifici governativi) nella provincia cinese a maggioranza islamica dello Xinjiang. Tutto questo lo dice la signora stessa, insieme a un elenco di nefandezze cinesi del tutto indistinguibili da quelle che venivano attribuite ad altri “dittatori sanguinari” indocili. Roba da manuale. Come il Dalai Lama, chiede, per ora, solo l’autonomia, ma fa capire che certo non basta. Roba che suonerebbe a qualunque giornalista cento campanelli d’allarme e altrettate contestazioni. Non al nostro. Ma non si erano bevuti anche il “genocidio nel Darfur”, “il dittatore Milosevic”, il “gassatore dei curdi” Saddam, il “demente tiranno” Mugabe, lo “zar” Putin, l’11 settembre, il subcomandante Marcos e il sub-sub Bertinotti?
Sarà per questo che “il manifesto” soffre di emorragie?

mercoledì 6 maggio 2009

DVD "ARABA FENICE, IL TUO NOME E' GAZA". LIBRO "DI RESISTENZA SI VINCE"









E' uscito il mio nuovo docufilm su Gaza, Palestina, Medioriente e su come sono cambiati, dopo il massacro e la resistenza di Gaza, i paradigmi dello scontro coloniale e di classe in Madioriente e nel mondo.


Ordinatelo e prenotate presentazioni con l'autore: visionando@virgilio.it, e tel/fax 06 99674258.




E' anche uscito il mio nuovo libro "DI RESISTENZA SI VINCE", Malatempora editrice, 200 pagine, €15.00. La testimonianza dall'inferno di Gaza sullo sfondo dell0 scontro tra imperialismo e popoli in lotta, con la denuncia delle subalternità e connivenze nelle sinistre italiane.


Anche per Malatempora editrice il mio "DELITTO E CASTIGO IN MEDIORIENTE" sulla fallita aggressione israeliana al Libano, tappa decisiva nella strategia USraeliana per il "Nuovo Medio Oriente", 180 pagine, €12.00.


Si possono ordinare in libreria o, con lo sconto, a malatempora@libero.it.