martedì 29 gennaio 2019

Cosa vive e cosa muore a Caracas ------- IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE------- Con messaggino ai 5Stelle




“Già oggi cominciamo a sentire in noi e intorno a noi i primi sintomi di un fenomeno del tutto simile quanto a decorso e a durata, il quale si manifesterà nei primi secoli del prossimo millennio, il «tramonto dell'Occidente” (Osvald Spengler, “Il Tramonto dell’Occidente”).

“Siamo invisi agli Stati Uniti perché abbiamo qualcosa di molto più importante delle ricchezze materiali che è  lo spirito bolivariano che ci muove e che abbiamo risvegliato negli altri paesi. Siamo un esempio per il mondo intero, per tutti quei popoli che vogliono emanciparsi, che vogliono difendere la propria dignità e la pace. Questo è considerato per gli Stati Uniti una minaccia” (Olga Alvarez, costituzionalista venezuelana).

Spero che quel regime comunista cada il più presto possibile” (Matteo Salvini).

Nancy e Roberto presidenti
Nancy Pelosi, speaker (presidente) della Camera bassa Usa, è apparsa a Baltimora da dove ha lanciato la sfida al presidente eletto, Donald Trump, proclamandosi nuovo presidente – ad interim – degli Stati Uniti in virtù del fatto che quello in carica è un usurpatore essendo stato eletto, sì ai termini della Costituzione e della legge elettorale vigente, ma contro la effettiva volontà del popolo, espressosi a maggioranza per Hillary Clinton. A  parte qualche pigolìo contrario di rappresentanti di terzo e quarto livello, la Comunità Internazionale ha condiviso l’azione di Pelosi. Alcuni  ne hanno riconosciuto subito la titolarità, altri hanno intimato all’usurpatore di indire nuove elezioni entro otto giorni e di ricordarsi che “tutte le opzioni sono sul tavolo” a sostegno dell’autonominata. Uno spiazzatissimo Trump, che aveva dato spago a un’analoga novità istituzionale in Venezuela, non ha potuto far altro che capovolgersi per l’ennesima volta e chiamare i suoi sostenitori della Rust Belt a unirsi ai bolivariani del presidente di quel paese nella resistenza agli infervorati presidenti golpisti delle Camere di tutto il mondo.

Accomodatasi nella posizione di usciere alla porta orientale del palazzo e guadagnatasi il sussidio di sussistenza per la riconferma del suo servizio – costi quel che costi – a Usa, Nato e UE, l’Italia si è immediatamente allineata all’impresa interamericana. Roberto Fico, presidente della Camera, sceso dalla nave sulla quale aveva portato a viaggiatori dell’Agenzia Soros fette biscottate, permessi di soggiorno, asilo politico, licenze di spaccio e prostituzione in alternativa a contratti di lavoro nelle masserie di Foggia e contratti d’affitto nelle ecobaracche di Rosarno, si è proclamato duce d’Italia. Non si sa bene se al posto degli usurpatori Mattarella o Conte. Nessuno dei quali come lui eletti dal popolo. La comunità internazionale ha celebrato con ole e turiboli la coraggiosa mossa del diversamente pentastellato e ha intimato, chi a Conte, chi a Mattarella, di togliersi dai piedi entro otto giorni.

Sotto impulso della nuova presidente americana, liberaldemocratica, il metodo si è diffuso un po’ ovunque, tagliando le gambe a tutti i presidenti non perfettamente inseriti, secondo la nuova epistocrazia insegnata dai costituzionalisti euro-americani, nelle logiche del progresso liberaldemocratico  e quindi sostituiti  da presidenti autoproclamati in piazza, davanti un minimo di 80 persone, anche jihadisti.



Assemblea mafiosa? E’ la nostra!
A questo punto è apparsa deboluccia, al confronto con i suoi imitatori, la posizione del neopresidente venezuelano, dato che, diversamente da questi imitatori, confortati dall’obbedienza di un’assemblea parlamentare regolarmente eletta e legittimamente funzionante, la sua era inficiata da un forte deficit legale. I suoi membri erano incorsi nel reato di aver avallato l’elezione di tre deputati mafiosi, dei quali era stato dimostrato il voto di scambio. Per questo  l’intera assemblea era segnata da irregolarità e aveva dovuto essere sanzionata dal Tribunale Supremo di Giustizia (Corte Costituzionale) e sostituita con altra assemblea. Cosa, tuttavia, cui i media unificati non hanno fatto dare molto nell’occhio e, poi, era stata una mossa del precedente regime, quello dell’usurpatore. Si poteva soprassedere.

Cari amici, nel titolo ho citato “Der Untergang des Abendlandes” (“Il tramonto dell’Occidente”), opera massima del filosofo, scrittore e storico Oswald Spengler, topseller in Germania e fuori negli anni Venti. Nei primi anni ’30, l’autore aveva flirtato con Hitler, ma poi aveva pesantemente criticato il nazionalsocialismo e ne era stato ridotto al silenzio. La sua visione di un Occidente assediato da fuori e da dentro sul cammino di un inesorabile declino culturale e dei suoi valori fondativi, gli fu ispirata dallo studio della caduta del mondo classico e dalla visione, intorno a lui, della Germania ai tempi di Weimar, della sua umiliazione a Versailles, della sua depressione. Fu anche preoccupato critico di tecnica, tecnologia, industrialismo, che avanzavano come rulli compressori su popoli che non riuscivano a farsene una ragione evolutiva. Visione forse aristocraticamente conservatrice, ma con un che di profetico alla vista di quanto ci succede oggi, in termini di piattaforme totalitarie, tecnocrazia, robotica, intelligenze artificiali, a scapito di libertà, diritto, cultura, controllo individuale e collettivo e di evoluzioni decerebranti a tutto questo collegate. Ma anche alla vista di una civiltà occidentale che, a eccezione di populisti e sovranisti, da sinistra a destra si piega alla suicida sottomissione a un potere e al suo Stato-strumento che vanta un tasso di criminalità non raggiunto da nessuno nella Storia, nemmeno dalla Chiesa.


Putrefazione
Se l’avventuriero Juan Guaidò, presidente di un’assemblea illegittima, preceduto dai bombardamenti di un poliziotto sul palazzo presidenziale, da un attentato a Maduro tramite drone in occasione di una parata, accompagnato dalla grottesca occupazione di un commissariato di polizia da parte di quattro militari ribelli, dalla compravendita negli Usa di un ambasciatore fellone, da un paio di anni di sporadiche ma sanguinarie sollevazioni, guarimbas, tutte iniziative amerikane e tutte fallite; se a tale tenuta del “regime” e del popolo che ne ha beneficiato socialmente e in termini di libertà come nessun altro paese latinoamericano, si accompagnano le ininterrotte vittorie elettorali dei chavisti e bolivariani, tutte riconosciute internazionalmente come corrette; se l’unica vittoria dell’opposizione di destra, per il parlamento nel 2015, avvenne con lo stesso sistema elettorale e fu immediatamente riconosciuta dal governo…. allora si conclude imperativamente che la democrazia è assalita invano in Venezuela, ma muore in larga parte dell’Occidente. O, più precisamente, se ne decompone la carcassa da tempo corrosa ed eviscerata.
Al pari di briganti di passo, i regimi atlantosionisti hanno incamerato tutti i fondi del Venezuela nelle rispettive banche e imprese, hanno rubato il petrolio venezuelano nelle loro raffinerie e hanno rimpinguato i satrapi feudal-fascisti di Caracas con i trenta denari (20 milioni di dollari), in aggiunta a quanto Cia, NED e USAid hanno iniettato negli anni.


Gangsterismo? Ok per noi.
Il riconoscimento del gangsterino golpista, con l’infondata scusa dell’illegittimità  di Maduro per elezioni dal risultato l’anno scorso non disconosciuto, ma ora sì, e per aver affossato nella miseria il suo popolo, che, seppure menomato, è riuscito a tenere in piedi, a dispetto della più feroce guerra economica condottagli dalle élites interna ed estere, con sanzioni, boicottaggi, imboscamenti, contrabbandi, speculazioni sulla valuta alla Soros, rappresenta  la frantumazione totale, negli Usa e tra i satelliti, della residua finzione di legge e democrazia. E’ la sussunzione di Al Capone nel sistema del potere istituzionale. E la partnership  con il gangsterismo. Quella che da noi si pratica, concordata con l’eterno sopra e-sottobosco mafiomassonico italiota dall’eterno Stato Profondo Usa, fin dal dopoguerra. E il disvelamento della natura ontologicamente eversiva delle nostre classi dirigenti, oggi impudicamente esibita da chi si precipita, in tutta l’opposizione e in metà governo, ad avallare l’ennesimo colpo di Stato imperiale.  E poi non vogliamo parlare dell’Untergang des Abendlandes?


L’America latina che ho visto assaltata, riscattata e riaggredita
Permettetemi ricordi e lavori personali. Ci sono stati altri tentativi, oltre a quelli patetici degli ultimi anni, di rovesciare, in Venezuela e America Latina, il corso della migliore Storia umana. Mi è stato dato di viverne i tre maggiori e di raccontarli in film. Nell’Argentina del default provocato nel 2002 dal FMI con i suoi sguatteri locali. Il più ricco paese del continente, sopravvissuto all’Operazione Condor delle dittature kissingeriane in America Latina, sprofondò nella miseria totale del 50% della popolazione. Letteralmente non mangiavano. Qualcuno s’arricchì, come ora in Grecia e in tutti i disastri sociali, e nei suoi bidoni della spazzatura rovistavano milioni. Poi la rivolta di popolo, l’autorganizzazione, le mense sociali, le fabbriche occupate e da questa materia incandescente i governi della rinascita. Ora abbattuti.


In Honduras, colpo di Stato di Obama e Hillary Clinton contro Manuel Zelaya, un legittimo presidente che aveva osato inserirsi nel flusso dell’emancipazione latinoamericana e nel riscatto anticoloniale. Mesi e anni di resistenza di un popolo in stracci al costo di una repressione sanguinaria, assassini mirati in serie (Berta Caceres, la martire degli indigeni, una mia amica di profondissima cultura marxista e antimperialista). Oggi un paese tornato a essere masticato e divorato dalle multinazionali, con il primato continentale degli omicidi, governato da un regime espresso, questo sì, da brogli constatati perfino dall’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), oggi tornata a essere il braccio diplomatico degli Usa e che il suo presidente-fantoccio, Luis Almagro, vorrebbe braccio armato.


Del golpe del 2002 in Venezuela,  che, come vorrebbero oggi, instaurò un dittatore, anche lui subito riconosciuto dalle “demcrature”, ma disintegrato nel giro di due giorni da un popolo che, con Chavez, aveva assaporato per la prima volta, dopo Bolivar, dignità, giustizia e libertà, mi ricordo la lunghissima serrata degli imprenditori e della compagnia petrolifera PDVSA, ancora non resa al popolo. Mancava tutto, ma la Guardia Nazionale requisiva le stazioni di rifornimento, i contadini organizzavano un circuito di distribuzione alternativo, Chavez distribuiva terre e case, cantava la  limpidezza del cielo a davanti  a milioni in camicia rossa che cantavano con lui. La gioventù del mondo si riuniva a Caracas a imparare e promettere antimperialismo. Nel giro di cinque anni, l’ONU proclamò il Venezuela libero dall’analfabetismo. Era primavera e il profumo si spargeva dall’America Latina, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Cuba (ancora), Uruguay, Paraguay, Argentina, sul pianeta.

Chiaroscuri venezuelani, ma più chiaro che  da qualsiasi altra parte
Non tutto è andato bene dopo la morte di Hugo nel 2013. Nel vuoto lasciato dal carisma del Comandante provarono a inserirsi le vecchie serpi, i vecchi vermi, ampiamente foraggiati dal Nord. Ci furono ritardi, anche cedimenti, fenomeni di corruzione. Fu persa l’occasione di avanzare sul solco della rivoluzione, nazionalizzando, diversificando l’economia, radicalizzando la lotta di classe. Apparì un fenomeno deleterio, la cosidetta bolibourgeoisie, strati del movimento che si adagiavano in pratiche dei tempi peggiori. Bisogna dare atto che Maduro reagì come e quando poteva, lanciando campagne di contrasto e bonifica. Ma le condizioni che l’assalto revanscista infliggevano al paese, ne minavano l’efficacia.

Le maschere sovraniste sulle facce degli atlantosionisti
Salvini e gli altri azzardano un Maduro “affamatore del proprio popolo, economista inetto, profittatore senza scrupoli”. Tra queste indimostrate falsità neanche un accenno alla feroce aggressione economica, agli ininterrotti e violenti tentativi eversivi, ai sabotaggi, alla sempre presente mano yankee prodiga di dollari e spie Ong, alla complicità della Chiesa, reazionaria e filofascista, qui come ovunque in Latinoamerica, malamente mimetizzata dalle genericità su dialoghi, pace e benessere dell’ “amato popolo venezuelano”, che fluiscono dall’uomo in bianco.


Quella dell’ennesimo fantoccio da regime change americano, con al seguito i guaiti dei botoli europei che si permettono, Spagna, France, Germania e clienti, di dare gli otto giorni al presidente legittimo di un paese sovrano, a sostegno di un gangster da angiporto, riducendosi definitivamente a portastrascico del cannibalismo imperiale (e noi dovremmo stare in un’Unione con questi!), non rappresenta la fine del Venezuela. Sancisce la fine della legittimità di quella che chiamano “comunità internazionale” e della credibilità del suo progetto maltusiano. Si può calcolare, anche alla mano delle “folle sterminate” che hanno applaudito il giuramento di Guaidò (un video manomesso: prima Guaidò con alcune centinaia di persone, taglio, poi, senza Guaidò, la grande folla di chissà quale avvenimento), che i bolivariani stanno ai golpisti nel rapporto di dieci a uno. Per vincerli occorrono eserciti, o paraeserciti, di Colombia e Brasile. E bombe, missili e Forze Speciali Usa. Come quelle, chiamate Squadroni della morte, dei genocidi Usa, sotto Reagan e Bush Senior, in Salvador e Nicaragua, gestite dal nuovo inviato di Trump per il Venezuela, il neocon con le zanne Elliot Abrams. E da John Negroponte, già datore di lavoro del “povero Giulio Regeni” insieme all’ex-capo delle spie britanniche MI6 (Fico, informati). Ma ormai è tardi: sono arrivate Russia e Cina – un grazie a loro, qualunque ne siano i motivi - e le masse del “terzo mondo” non subiscono più. Altro che Venezuela isolato.


In prospettiva
Sarà comunque durissima per i venezuelani fuori dall’1% golpista. Vivranno tempi ancora più difficili, sotto aggressione, nel sangue: i licantropi non molleranno. Non vinceranno ma, come minimo, puntano al caos. Come in Libia, Somalia,  Afghanistan. Qualcuno ha parlato di brigate internazionali in difesa dell’emancipazione venezuelana.. Non certo quelle che vanno a sostenere i mercenari curdi degli Usa contro la Siria. Tanto meno quelle invocate da Rossana Rossanda ad affiancarsi ai “rivoluzioni democratici” di Al Qaida in Libia. Per il Venezuela sarebbero giuste e belle.

Vanno lasciati da parte, come gusci vuoti di noci un po’ andate, i pronunciamenti striscianti su otto giorni e dialoghi, dei vari Moavero e Salvini, perfettamente euroatlantici. Va sottolineata con un ghigno la coerenza dei nostri fervorosi umanitari delle accoglienze senza se e senza ma, che si allineano con gli umanitari di Guaidò, dato che Maduro, che ha tutta la grande stampa e televisione nazionale contro e non le ha mai sanzionate, “è un dittatore”. La sanno più lunga dei 19 paesi su 35 dell’OSA che si sono rifiutati di riconoscere Guaidò. E che sanno bene che, a parte il petrolio, l’oro, il coltan, l’acqua, quello che più disturba Washington e i suoi corifei è il modello, l’esempio. Come con Gheddafi.

Letterina a Di Battista, per una sesta stella
Diverso è il discorso per i Cinque Stelle, Di Battista, Di Mario, Di Stefano. Se non l’onore, dell’Italia hanno salvato la decenza, riflettendo, non appieno, i sentimenti e le conoscenze di tanti italiani. Non hanno riconosciuto il golpista, non hanno disconosciuto Maduro, hanno denunciato le interferenze. Con Messico e Uruguay hanno chiamato al dialogo. Personalmente, avrei chiamato all’arresto, come è giusto nei confronti dei golpisti e dei traditori della patria. Ma non si può avere tutto. Specie dopo aver attestato la propria fedeltà alle alleanze tradizionali, alla Nato, all’Euro. Quello che vorrei avere e che ci spetterebbe da Alessandro Di Battista, uno che ha vissuto le sofferenze e la volontà dei popoli oppressi in America Latina e le ha così bene raccontate nei suoi reportage sul FQ, è un giudizio un pò meno eurocentrico sulla natura di certi regimi. Intanto Nicolas Maduro non va messo sullo stesso piano, sopra o sotto, di Saddam, Gheddafi, Assad. Nasce da un altro sistema, altra tradizione, più contigua alla nostra. E se si voleva fare un accostamento tra dittatori, o despoti, o autocrati, è uno sbaglio in ogni caso. L’errore su Maduro è fattuale, perché è stato ripetutamente eletto democraticamente, non ha limitato le libertà di nessuno, non ha ristretto l’azione dei partiti, purtroppo neanche quelli sediziosi, tollera i media locali, quasi tutti contro.

L’immaginario collettivo dei popoli colonizzati
Quanto a Saddam e gli altri, caro e stimato Alessandro, è davvero ora per un politico che si occupa di mondo e di storie, ma anche per tutti i cittadini dei paesi del Nord, imparare a rispettare ciò che è il prodotto di altre culture, altre tradizioni, altri bisogni. Intanto, si tratta di società sottoposte da secoli a domini arbitrari esterni, romani, ottomani, coloniali, a cui era lasciata solo la libertà di decisione all’interno della tribù, della sua amministrazione e giustizia. Trovatisi liberi e indipendenti appena mezzo secolo fa, cosa potevano inventarsi, se non il governo del capo tribù, del più autorevole, del più stimato. Che ne sapevano della rivoluzione borghese o proletaria? Eppoi, erano incessantemente, ossessivamente, insidiati dai revanscisti coloniali, dai loro infiltrati, dalle loro spie, dai loro complotti destabilizzanti.

Nel 2000 intervistai a Baghdad l’unica donna componente del Consiglio di Comando della Rivoluzione, organo supremo sotto Saddam. Era una biologa ed è stata la prima a studiare e denunciare gli effetti dell’uranio lanciato dagli Usa sul paese. Mi disse: “Ci accusano di esercitare un potere di controllo autoritario. Ci piacerebbe aprire tutte le finestre del paese. Ma sa che razza di uragano tossico vi farebbero entrare. E 40 anni di indipendenza e di conquiste sociali sarebbero perdute”.  Facile squadernare esigenze di democrazia come la volle il 1789 in Francia, in queste condizioni, difficile, se non impossibile attuarla. Gli intelligenti, i consapevoli, sanno dare tempo al tempo. Ogni popolo ha i suoi e non è accettabile che gli si impongano i modelli prodotti da altre storie. Il metro di giudizio, in primis, è quello che misura la distanza tra ricchi e poveri. E chi obbedisce all’Impero e chi no. Un po’ di rispetto per favore. Chi siamo noi per giudicare?




domenica 27 gennaio 2019

GIORNATA DELLA MEMORIA



 

Il maresciallo Rodolfo Graziani massacra la Libia, occupata e seviziata dal 1911, chiude in campi di concentramento (i primi!) metà della popolazione e uccide seicentomila libici, tra civili e partigiani della resistenza, un terzo della popolazione, brucia centinaia di villaggi, bombarda centri abitati e carovane, avvelena i pozzi, impicca centinaia di libici, tra cui l’ottantenne leader della Resistenza, Omar al Mukhtar.



Gli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, iniziando con l’invasione della Corea e poi del Vietnam e poi proseguendo con la storica media di una guerra d’aggressione all’anno, con colpi di Stato, guerre civili innescate ad arte, sanzioni genocide, uccidono 50 milioni di persone nel mondo. Nel solo Vietnam sono uccisi 3 milioni di civili, mentre gli effetti del napalm e dell’agente Orange continuano a far nascere e morire decine di migliaia di bambini deformi.


Re Leopoldo del Belgio, occupante colonialista del Congo, provoca la morte di 20 milioni di congolesi. Il genocidio prosegue nel ‘900 per opera di fantocci dell’Occidente e delle multinazionali che controllano i territori delle risorse mineraria attraverso l’intervento del protettorato franco-statunitense del Ruanda e l’uso di milizie tribali.
 
 

Mussolini, nella guerra d’Etiopia, fa uccidere da Graziani e Badoglio 280mila abissini, 5 milioni di buoi, 7 milioni di ovini,1 milione di cavalli, 700mila cammelli. Vengono bruciate 2000 chiese e distrutte 525mila case e capanne. L’Italia perde 4.350 militari coscritti o volontari.

 

Per assicurare all’Italia Trento e Trieste, che l’Austria è pronta a cedere se l’Italia non dovesse entrare in guerra, e colonizzare il Sud Tirolo, il potere industriale e bancario italiano commissiona al governo Salandra e al re Vittorio Emanuele III l’ingresso in guerra. Cadono 600mila italiani, perlopiù contadini e operai, molti fucilati dai propri ufficiali. Scompare una generazione.


Nella guerra d’Algeria il regime colonialista francese rinchiude 3 milioni di algerini in campi di concentramento della tortura e dello stupro. 1 milione di algerini, su 10 milioni scarsi di abitanti. viene ucciso.



Un milione di antinazisti tedeschi vengono trucidati dal Reich tra il 1933 e il 1940.

 

Vogliamo parlare di Palestina 1945-2019?


Ci fermiamo qui, con un pensiero al bambino che ogni 3 secondi muore di fame e malattia nel mondo per il modo di gestire l’umanità da parte dell’Occidente.

giovedì 24 gennaio 2019

I 5 Stelle denudano re Macron, Merkel lo riveste----- AQUISGRANA: RISORGE CARLO MAGNO E MUORE L’UE



Carlo Magno contro i 5 Stelle
Supercoppa europea: 5Stelle vs Carlo Magno. Dove per il sanguinario sterminatore dei sassoni pagani, e dunque santo, che riunì Germani e Franchi sulle ceneri dell’impero romano e della civiltà classica, si deve intendere l’Asse franco-tedesco, antieuropeo, un po’ anti-Usa e soprattutto anti-italiano (finche non torna uno come Prodi o Renzi), sancito ad Aquisgrana, città dell’imperatore, sede del primo trattato De Gaulle-Adenauer, per l’egemonia nel continente, simbolo dalla potenza simbolica deflagrante. Sede anche dell’insigne Premio Carlo Magno, forse il più reazionario di tutti i premi, se si trascura qualche Nobel, conferito, et pour cause, a Bergoglio e Woytila papi.

Di Maio, al quale il rientro di Alessandro Di Battista ha fatto l’effetto di un caffèdoppio, l’ha detta grossa: “Alcuni paesi europei, con in testa la Francia, non hanno mai smesso di colonizzare decine di Stati africani. Se la Francia non avesse le colonie africane, che sta impoverendo, sarebbe la 15esima forza economica internazionale e invece è tra le prima per quello che sta combinando in Africa. L’UE dovrebbe sanzionare queste nazioni che stanno impoverendo quei paesi. E necessario affrontare il problema anche all’ONU”. E, mi permetto, anche davanti alla Corte Penale Internazionale, per crimini contro l’umanità, non fosse che quel tribunale-canguro, dal quale finora sono stati inquisiti soltanto persone da Lampedusa in giù, ricorda quell’altro dell’Aja che condannò a morire Milosevic, dopo non averne trovato la minima prova di colpevolezza.

Luigi Di Maio e con lui i Di Battista, Di Stefano, tanti altri e la gran parte della rappresentanza 5Stelle, sbertucciati come incompetenti e sfottuti come sovranisti, nazionalisti, cialtroni, dalla più inetta, asservita e corrotta classe dirigente e dai suoi media euro- primatisti in propaganda e fake news, hanno fatto qualcosa mai visto prima. Qualcosa, in casa e fuori, tra reddito di Cittadinanza, decreto dignità, anti-trivelle, prossimo decreto acqua e disvelamento del colonialismo (non solo) francese alla base della tratta degli schiavi, che ci riaccredita davanti ai tanti che ci hanno dato dei “follower”, illusi o dementi, dei 5 Stelle. E hanno fatto svettare verso l’alto il grafico di una prestazione governativa che passi falsi, arretramenti, cedimenti alla Lega (piano B del Capitale), cazzate (anche di Grillo: la firma ai feldmarescialli dei vaccini), stavano definitivamente appiattendo.  

Colonialisti francesi e ascari italioti
Con il che non si concede la benché minima attenuante a gente come certi sinistri “sinistri”, o presunti “sinistri”, tipo il sindacato confederale, la CGIL al congresso, lo schiammazzone Landini della rivoluzionaria “Coalizione Sociale”, soufflé sgonfiato subito, che, dopo aver ingoiato ogni rospo anti-operaio prodiano, berlusconiano, renziano, condito da prebende e vezzeggiativi padronali, non hanno perso un secondo per inveire contro i populisti e i loro decreti “elettorali” (che gli rubavano il mestiere, da decenni mai praticato). E, superato lo stantio problema dei precari, ora giurano che  lotteranno “per l’Europa”.Il che, alla luce del rapporto Oxfam dei 26 satrapi che hanno in mano la stessa ricchezza di 4 miliardi di persone (e ne azzerano i cervelli col digitale) e alla luce dei Gilet Gialli che chiedono una sacrosanta patrimoniale, aborrita invece dal sindacato e dai sinistri, fa venire una leggera nausea. Che poi, in questi giorni, si evolve in ripugnanza alla vista di questi satrapi e rispettivi cicisbei e cortigiane, citati e riveriti come oracoli a Davos, mentre programmano altri prelievi.

Al Mukhtar

Il re scoperto privo di vestiti dal bimbetto nella favola di Hans Christian Andersen, rispetto alle nudità di Macron, rivelate da Di Maio-Di Battista, era vestito più di un lappone sulla slitta dei suoi cani Lapinkoia. Ma la reazione di colui che ci aveva dato dei “lebbrosi”, insieme a tanti altri complimenti di suoi accoliti come Moscovici (“Piccoli Mussolini” ), che ha guidato le soldataglie di terra e aria alla polverizzazione della Libia e tuttora conduce assalti armati (Mali, Ciad, Niger) e colpi di Stato (Costa d’Avorio) contro paesi (Siria e Africa) che le sue multinazionali depredano, una reazione intrisa di arroganza e ottusità, viene applaudita calorosamente dall’intero comparto della nostra regale servitù. Stalle, cucine, fienili, canili, sottoscala, cantine, dormitori, risuonano di plausi.  A suo tempo, e anche oggi, nei paesi francofoni e non, si andava per le spicce con quelli che ci provavano a dimostrare le cose dette da Di Maio:: Patrice Lumumba, Sekour Touré, Thomas Sankara, il nostro Al Mukhtar, Gheddafi…

Alle spiegazioni di come il CFA, il franco coloniale inflitto con ricatti e corruzione a 14 nazioni africane, spogli quelle nazioni, favorendo lo sradicamento delle sue popolazioni produttive e facendo ingrassare, col cambio fisso tra CFA e il tossico euro, le società francesi di uranio, coltan, petrolio, oro, costoro pigolano: “Ma se da quei 14 paesi arriva appena il 10% del flusso migrante!”. E si scordano i milioni sia della Siria, dove la Legione assiste i curdi nelle pulizie etniche di un futuribile “Kurdistan”, di Senegal, Camerun, RCA, Congo…

Colonialisti tra PCI e “manifesto”
 
Sono tornati


Non dovremmo stupirci. I servi sono stati sempre una maggioranza da noi, e i patrioti una minoranza. Epperò hanno fatto la meglio Storia. Anzi, dovremmo rallegrarci di certe conferme efferate che, quanto meno, fanno chiarezza. Il PCI, al tempo della decolonizzazione, appoggiata dall’URSS, stava con i popolo in lotta di liberazione. Ricordate la “Battaglia di Algeri” di Pontecorvo, capolavoro dell’anticolonialismo? Venne proiettato e dibattuto in ogni sezione. Si direbbe che, oltreché in odio all’URSS, poi perpetuatosi in odio amerikano alla Russia, quelli del “manifesto” abbiano messo su un giornaletto anche per mettere una sigla (“quotidiano comunista”), non sull’anticolonialismo, ma proprio sul colonialismo. Sennò non si capirebbe il parossismo livoroso che questo giornale secerne contro i 5 Stelle e la loro denuncia del colonialismo, specie in firme titolate come quella di Tommaso De Francesco, già affermatosi come piagnucolone sulle bombe contro la Serbia e, al tempo stesso, affossatore di quel paese in quanto demonizzatore, tipo Albright, del suo presidente. E poi le loro Boldrini e Bonino si strappano le vesti sui “discorsi dell’odio”!

Il “manifesto”, che pure riunisce in sé la rappresentanza degli istinti belluini della Confindustria e quelli consociativi del sindacato, ha tuttavia un bacino d’utenza di nostalgici rattrappiti sullo scoglio sul quale si abbattono tutti gli ossimori di quel giornale. Tutto si tiene all’interno di quella che non è schizofrenia del “manifesto” e dei suoi finanziatori (ENI, Coop, ENEL, governi reazionari vari), ma strategia. Se, tenendoti per mano con Confindustria e Banca d’Italia, riversi olio bollente su un provvedimento che, pur tra buche e dossi, prova a dare una sopravvivenza a chi non ha niente. Se ti fa schifo far andare in pensione chi non ne può più e fa spazio ai giovani; se trovi intollerabile offendere il PD e la Fornero stabilizzando per la prima volta un bel numero di precari, se, se…. Allora c’è da stupirsi se a uno che ti svergogna scoprendoti nudo accanto al re colonialista nudo tu rispondi con catapulte di fango?

Ci vantiamo di essere stati precursori, abbastanza in solitaria, di una discorso sulle migrazioni che non partiva dai barconi e dall’accoglienza, ma dalla partenza a casa loro. Dove nessuno buttava un occhio, coperto come l’aveva dalla benda, buona sempre e per tutti, con su scritto “guerra, miseria, persecuzione”. Complice, non cretino, non doveva andare a vedere chi e come andava via a perdersi per sempre in una dimensione che mai più sarebbe stata la sua. Pur sapendo perfettamente, intimo di Soros, non doveva vedere, tanto meno dire di terre sottratte, di fiumi seccati, di coltivazioni rubate e pervertite, di agenti di viaggio con la croce e con il depliant del bel paese, della filiera, tutta privata, da Ong a Ong, che gestisce svuotamenti, da loro, e accanimenti, da noi: genocidi, sociocidi, culturicidi.

Cosa ha fatto la Merkelgermania dopochè la 5Stelleitalia aveva offeso il suo partner bellicista, colonialista e, per sopraprezzo, giustiziere di Gilet Gialli in patria? Ai cattivi italiani ha dato una bella lezione. S’è tirata fuori dall’Operazione Sophia. Quella immane fregatura in base alla quale chiunque vi partecipasse e concordasse con i colleghi trafficanti libici gli appuntamenti tra gommoni e navi, dove scaricare i passeggerei, disperati o avventurosi che fossero, su suolo italiano. Navi tedesche, spagnole, olandesi, francesi, panamensi, tutte all’arrembaggio della merce umana da impiegare come inneschi di scombussolamenti e indebolimenti sociali e arricchimenti privati. Per una volta ha detto bene Salvini: “E chi se ne frega, meglio così”.


Insomma l’Italia, per coloro che hanno messo su il baraccone eurocratico e ci hanno imposto la moneta tedesca, alla stessa stregua del CFA agli africani (e per la sua valuta unica africana, di liberazione dal giogo finanziario colonialista, a Gheddafi è stato fatto quello che Hillary Clinton ha festeggiato), ha osato l’inosabile. Quasi come quando ha offeso a morte la BCE, J.P.Morgan, Rothschild, Bilderberg e l’occhio nel triangolo per aver preteso di difendere una costituzione che a qualche sguattero italico era stato dato il compito di demolire. La risposta è stata immediata, non programmata, forse, ma ha colto l’attimo. L’attimo dell’impudico disvelamento del colonialismo matrice di migrazioni.

E’ partita all’attacco l’ONU. Quella che non ha mai neanche agitato il ditino per una qualsiasi delle guerre di Obama-Trump-Netaniahu-Sarkozy-Hollande….E neppure ha mai rampognato Israele per aver violato, solo fino al 2012, oltre 100 risoluzioni ONU, o l’UE per lasciare affogare gente in mare. Con la sua corazzata degli sradicamenti UNHCR, quella capitanata un tempo dalla Boldrini e con il cacciabombardiere del Commissario ai Diritti Umani, si è avventata sul governo giallo-verde con un annuncio, mai inflitto a nessuno in Occidente, neanche al colonialista bellico Macron, di un’”ispezione per verificare le accuse di razzismo e violazioni dei diritti umani”.

E’ stata una gran mano di vasellina per consentire ai potenti unitisi ad Aquisgrana, all’ombra del mausoleo di Carlo Magno, di infilare qualcosa di duro e doloroso nelle parti sensibili di altri paesi europei, quelli “populisti, sovranisti, razzisti, nazionalisti”, in primis alla reproba Italia. Molti hanno dato all’evento nella città sul confine tra i due megastati europei una valenza poco più che folkloristica, di buona volontà, un deja vue che rinfreschi le appassite glorie di De Gaulle e di Adenauer. Non è proprio così, anche se il solito giornaletto, comunista per burla, si lancia in difesa di Macron, di cui a suo tempo aveva già esaltato il ruolo di “leader progressista europeo” e davanti al quale si era già schierato per parare le turpi denunce 5Stelle di colonialismo in Africa, che, insieme alla povera Merkel, sarebbe il bieco bersaglio dei nazionalisti, sovranisti, populisti. Un po’ come difendere le volpi dagli attacchi delle galline.

Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation



“Sacro Romano Impero di nazione tedesca” (SRINT), così Ottone I, erede di Carlo Magno, denominò l’aggregato di popoli dell’Europa centrale che forgiò in impero includendovi la Franconia Occidentale (Francia). Durò, alla fine simbolicamente, 1000 anni, 962-1806, quando venne beneficamente travolto dal laico Napoleone. Lì, però, iniziò una guerra civile europea che sarebbe durata quasi un secolo e mezzo e avrebbe vissuto le sue tragedie maggiori nei due conflitti mondiali. Condotta dalle aristocrazie feudali e poi dalle borghesie capitaliste, a spese di tutti noi, ha celebrato la sua rivincita, ovviamente ad Aquisgrana, con il trattato firmato da Merkel e Macron il 22 gennaio. E se gli Stati dell’Est se ne possono grandemente infischiare, tanto già vanno per conto loro sotto la ferula-protezione degli Usa, il resto, rinchiuso nella gabbia UE, può immaginarsi di sprofondare negli abissi, come un qualsiasi migrante richiamato dalle sirene Ong, o un qualsiasi patriota iracheno ai tempi dell’Isis.


Dello SRINT, impigliata tra gli artigli dell’aquila bicipite, faceva parte anche l’Italia, giù giù, fino al palazzo del papa. Italia a volte riluttante, come con i Comuni, il Rinascimento. Oggi pure rilutta, ma oggi è zavorra, come prima la Grecia, come quelli nella gabbia dell’Isis. Forse si salva il papa che sta sempre e comunque dalla parte giusta, sacra, imperiale. Noi? Da noi, ci crediate o no, dipende dalle stelle. Cinque. Che, secondo i per niente sovranisti di Francia e Germania, vanno spente subito. Che ci riescano o no, sta agli stessi 5Stelle, a quanto popolo li fa brillare e, diciamolo, anche un po’ da Trump, che quel neo-romano impero franco-germanico non lo vede di buon occhio. E, in questo caso, neppure i suoi nemici nello Stato Profondo.

Trattato di Aquisgrana, padroni d’Europa
I nostri acuti e astuti analisti di geopolitica, all’evento di Aachen (Aquisgrana) poche righe hanno dedicato. Perlopiù lo vedevano come uno zoppicante valzerino nel quale due governanti vacillanti si abbracciano per non finire in terra: uno con il fiato dei Gilet sul collo; l’altra a fine di un mandato morsicchiato da populisti di ogni risma. Un qualche sorriso lo suscitavano quei francesi ai quali bruciava la mano tedesca di nuovo su Alsazia e Lorena. Terre del resto popolate da genti germaniche da sempre. ma sottratte a Versailles, come, dall’altra parte, Prussia Orientale e Slesia un quarto di secolo dopo. Sono cose che si pagano.


Invece quel trattato suona a campana a morte per l’Unione Europea, sostituita da un direttorato tra i due paesi più grossi e forti del consorzio fabbricato con i soldi e le cattive intenzioni degli Usa. Hai voglia di puntare il dito sulla fragilità dei due firmatari. Fragili loro, ma puntellati dai ponteggi d’acciaio della grande industria e della grande finanza, loro e dei satelliti nord-europei. Con la Grecia già in discarica, restano da spolpare e poi buttare le appendici mediterranee. Per prima l’Italia, che nonostante questi abbiano fatto shopping industriale da noi, grazie a Prodi, per 70 miliardi, resta il concorrente produttore ed esportatore particolarmente fastidioso, alla faccia del surplus tedesco, il più cospicuo del mondo.

Ordine pubblico e ordine internazionale



Ciò che è sfuggito ai nostri occhiuti geopolitici sono alcune clausole che alle due figurine del ballo sono state fatte firmare da chi ne muoveva i fili: organi e meccanismi inediti per coordinare e il più possibile unificare il militare, il controllo sociale, il neoliberismo, il neocolonialismo, l’industria bellica (Francia con l’atomica, Germania con gli U-Boot e molto altro; quello che ha mandato in rovina la Grecia), i posti all’ONU e le politiche europee e visavis gli Stati Uniti. Pezzo forte, l’Africa, dove la Francia, con la Legione e il CFA, è piazzata bene, ma solo nel Sahel e Subsahara e dove alla Germania toccherà rincorrere Israele, Usa e Cina. A questo punto, l’UE va tenuta in piedi a fare da cornice, ma il quadro lo occupa un apparato di controllo  che la rende del tutto obsoleta. Con l’accelerato sviluppo delle rigogliose industrie militari dei due paesi, per un po’ ancora ancorate alla Nato, ma poi chissà, il militare diventa la politica dell’egemonia continentale e della proiezione esterna. Con l’occhio fisso sull’Africa, serbatoio di tutto quello che gli serve, tranne la gente. Che se la prendano Italia e Grecia, quelli nella gabbia.

Tutto questo  va in direzione ostinata e contraria a quanto si augurava Washington, cioè la Lockheed, la Boeing, la Ratheon e altre, quando esigevano che il contributo degli europei alla Nato salisse perlomeno al 2%. Forse lo gradirà l’Oggetto Misterioso Trump, che della Nato diceva di averne sopra i capelli. E forse vanno visti alla luce dell’incombente, prepotente nuovo sacro impero il flirt tra Trump-Bannon e Di Maio-Salvini e l’uno due dei 5 Stelle al Macron colonialista e il loro ingresso nei Gilet Gialli. Altro che invenzioni elettorali, come, non sapendo a che altro attaccarsi (oltreché ai migranti), le declassificano i gufi. Uccelli che vivono nel buio, tale da non far filtrare neanche un po’ della fioca luce delle stelle. Cinque.

Si congiungono una potenzia economica e un nano militare, con una potenza militare e un colosso nucleare. L’esercito europeo sarà franco-tedesco, con atomiche finalmente condivise dai tedeschi. Gli altri faranno da riserva. L’ordine pubblico, nelle cui tecnologie di controllo e repressione i due sono maestri, sarà assicurato da interventi diretti delle rispettive polizie contro insubordinati, non solo nei due paesi ma, eredi di Eurogendfor,  si occuperanno anche degli altri, sotto copertura residuale UE. Ricordate il tentativo di Fincantieri di prendersi la francese STX, andato in vacca? Succederà all’industria militare italiana, prima concorrente europea di quella francese. Avete visto le CRS contro i Gilet Gialli? Roba da fare apparire boy scout i nostri di Genova 2001.



Ad Aquisgrana muore l’UE e nasce un imperuccio non da poco. Gli altri diverranno marche imperiali, dove si va a passare le vacanze e a mettere resort cosmopolitici al posto delle città e dei territori d’arte, anche approfittando dei terremoti e, a lontananza visiva di sicurezza, discariche operose di migranti scampati a “tortura, stupro, assassinio” nei campi libici.


Sarà vero? Lo giurano i più fertili produttori di fake news della storia giornalistica europea. Vi  si torturerebbe, stuprerebbe, ucciderebbe da otto anni, senza che nessun casco blù, bombardiere Usa, corpo speciale francese abbia mai trovato il tempo per porre fine a queste nequizie, a fotografare i segni della tortura, o un bambino bianco nato da una madre nera (i libici sono bianchi). Abbiamo visto una presunta vendita di presunti schiavi e un sacco di giovani maschi che affollano cortili. Tempo trovato in un battibaleno quando si trattò di cancellare dalla faccia della Terra il paese più felice e ricco dell’Africa. Sarà vero?. Come camperebbero le Ong senza quei campi?)

domenica 20 gennaio 2019

Sovranisti, populisti e pure rossobruni----- FAI IL BRAVO, O TI VIENE A PRENDERE ORBAN



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Manco fosse Messina Denaro. Prima un inciso fuori tema. La cattura ed estradizione di Cesare Battisti dalla Bolivia equivale a un rapimento. E’ totalmente illegittima. Nessuna opposizione all’estradizione è stata concessa in un paese che, del resto, non può estradare condannati all’ergastolo, dato che rifiuta l’ergastolo. Battisti non mi è simpatico, come ho forti dubbi , se non certezze documentate, non tanto su lui, quanto su buona parte dei lottatori armati dei fine ’70 e ’80, a partire dagli infiltrati e manipolati BR di seconda generazione. Quelli che al sistema vanno benissimo quando, liberi dopo poco, pontificano in televisione e continuano a occultare la verità sul terrorismo di Stato. Che permise la “normalizzazione” dopo un decennio di lotte di massa insurrezionali. Ma quello di Battisti è stato un processo anomalo, in contumacia, senza la parola dell’imputato, nel clima del teorema Calogero. Meriterebbe di essere rifatto. Ma il trionfalismo vendicativo di questa classe dirigente e dei suoi accoliti e passeurs, eredi diretti dei protagonisti del terrorismo da Piazza Fontana a Via Amelio cospiratori  in vista di un totalitarismo 2.0, fa venire la nausea. Rovesciando insulti su un uomo inerme e augurandogli di marcire in carcere, quando la Costituzione impone la rieducazione dei detenuti, ha distrutto la dignità, più che di Battisti, di coloro che l’hanno esibito e celebrato come un trofeo di caccia.


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Sovranisti e populisti, orbaniani e rossobruni
La prenderanno per una provocazione, anche se è una semplice constatazione di fatti, quella del mio discorso sul premier ungherese Victor Orban sul quale tutti, proprio tutti, senza essersi magari mai documentati, o averci buttato gambe e occhio, condividono con entusiasmo il parossismo demonizzatore della vulgata UE- sinistri-centrosinistri-centrodestri-destri. Il solito unanimismo dal “manifesto” al “Foglio”. Con Soros che se la ride.
Premetto che gli stessi unanimisti sono accompagnati da vivandiere e riserve di complemento che, pur ritenendosi diversissimi, in alto a sinistra, duri e puri, lanciano gli stessi identici anatemi: Orban e, subito dopo, i rossobruni. Basta non essere pronti a gettare nei forni l’intero governo giallo-verde, che ti sparano addosso valanghe di nequizie, fallimenti, cedimenti, dei Cinque Stelle. Che pure ci sono. Ma non solo. Di solito Salvini finisce in secondo piano. Dagli uni, quelli duri e puri, perché è scontata la sua nefandezza, dagli altri, gli ipocriti di sistema, perché in fondo è uno dei loro, dei sovranisti a chiacchiere e degli effettivi globalisti neoliberisti, grandoperisti, sviluppisti, cementificatori, inceneritoristi. Come sì è visto l’altro giorno con effetti abbaglianti, nel ricongiungimento appaltizio a Torino sul TAV. E, prima, sulla trivelle, sulla Gronda, sulla pedemontana, vedrai che ricupererà anche il Ponte sullo Stretto. E, su tutto, al momento orgasmatico della fusione con Israele, che vuol dire anti-Hezbollah, che vuol dire anti-Siria, che vuol dire pro-Saudi, che vuol dire pro-Nato, che vuol dire atlantismo, che vuol dire globalizzazione.

I miracolisti

Da bravi razionalisti e materialisti storici, dai 5 Stelle si aspettavano e pretendevano il miracolo. L’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e distribuzione, o quasi. Ai duri e puri che con passione degna di miglior causa, mi elencano i misfatti dei 5 Stelle, mi limito a rispondere mettendoci il bicchiere mezzo pieno delle cose buone pur fatte e mai viste prima, da Andreotti a D’Alema, da Prodi a Gentiloni. Ora, però, vorrei dargli una risposta complessiva e definitiva. I 5 Stelle sono andati al governo con il 33% del voto, assieme agli unici disponibili a superare la morta gora delle larghe intese, al 17%. Le vele erano gonfie, ma a strozzare qualsiasi  minima folata ci hanno pensato l’union sacrée dei media, i sondaggi che rovesciavano il rapporto di forze uscito dalle urne, le prevaricazioni demagogiche ed effettive del lumbard, tacitamente o manifestamente sostenute da tutto il cucuzzaro dei regimi precedenti.

I 5 Stelle sono entrati in campo per fare da argine alla deriva reazionaria del partner bifolco, atlantista e confindustrialista. Qualcosa hanno arginato, altro no. Si poteva fare di più? Certamente, forse no, la risposta sta in grembo a Giove. Ma quale alternativa? Restare, invecchiare e sfiancarsi  all’opposizione e lasciare che la Grande Armada delle cannoniere mediatiche pro-inciucio di tutti escluso il M5S, con i fronzoli di LeU e FdI, tutti assicurati presso UE, Nato, BCE, FMI, Bilderberg, con le star Lilli Gruber, Formigli e Zoro e il lifting zingarettiano applicato alla flaccida pelle del “manifesto”, li radesse al suolo con strumenti repressivi potenziati dal 5G? 5G spazzagente a onde elettromagnetiche, neo strumento maltusiano contro le fette di umanità costrette a stare assiepate sotto le antenne della comunicazione ultraveloce.

Addio argine, per quanto modesto. Mi fa pensare a New Orleans sotto Katrina. Non ve l’hanno detto, ma fu documentato che qualcuno fece saltare alcuni argini e l’uragano spazzò via la città dei poveri e della musica. Ora poveri e musica non ci sono più. E New Orleans è diventata la città dei ricchi. Si chiama gentrificazione. Succede dappertutto, sempre facendo saltare gli argini.

L’Uomo Nero ungherese e l’uomo nerissimo di Mosca


 
Sul piano domestico il drago che San Giorgio, benedetto da San Pietro, deve uccidere sono i 5 Stelle per aver tentato una qualche diramazione verso i nullatenenti del flusso della ricchezza dal basso verso l’alto. Sul piano internazionale, al netto di Trump e Putin che pure qualche granello nei meccanismi del Nuovo Ordine Mondiale liberal-neocon l’hanno gettato e limitandoci all’Europa, l’uomo nero è notoriamente Victor Orban, premier ungherese da tempo davvero intollerabile, dal 2010. L’unanimismo sinistro-destro nella satanizzazione dell’uomo ha raggiunto il diapason di quei discorsi dell’odio e di quelle fake news che è sistemico attribuire ai “populisti”. E dei populisti e sovranisti questo foruncolo ungherese sulla bella faccia dell’UE è il campione supremo, l’esempio più aberrante. L’uomo nero che rapisce i bambini e forse se li mangia, come usavano i comunisti.

Lo è da quando ha preso il tè con Putin e ha schivato quello con gli gnomi di Bruxelles. Ma questo non lo si dice. Si dice che è razzista, xenofobo, per Furio Colombo perfino nazista puro, da quando ha messo davanti ai migranti, in arrivo a valanga, un muro di filo spinato. L’Europa importa dal Sud del mondo manodopera a bassissimo costo mediante traffici illegali che generano anch’essi plusvalore per miliardi, poi ripuliti nel nostro sistema finanziario. Dall’altro lato, l’Occidente esporta nel Sud, così svuotato, eserciti e multinazionali a caccia di materie prime e rotte strategiche. Forse Orban qualcosa aveva capito quando bloccò la fiumana che aveva sommerso la Grecia, contribuendo alla sua rovina. In quel momento, ce lo dice l’UNHCR, aveva in casa più migranti per cittadino di qualsiasi accogliente paese europeo.

Ma nell’Europa avviata dall’azionista di maggioranza dell’ordoliberismo e dai suoi proconsoli a una successione di crisi e di conseguente parossismo delle diseguaglianze, non era tanto il “razzista e xenofobo” che dava sui nervi, quanto quello che, destinato anch’esso al dominio franco-germanico, come i Balcani e tutto il sud mediterraneo, se ne sottraeva e ne fioriva in termini di consenso crescente e di boom economico-sociale. Fondamentali che dovevano essere seppelliti sotto la vulgata di un cumulo di orrori dispotici. Non c’è dubbio, invece, che in Ungheria ci sia maggiore articolazione di opinioni e opposizioni mediatiche di quante se ne sogna il nostro paese. Tant’è vero che i pitbull che azzannano quel governo, paradossalmente le citano leccandosi i baffi, per poi latrare accuse di uccisione della libertà di stampa.

Il nemico del mio nemico… e l’amico del mio nemico
 
 
Il fatto è che dall’Ungheria Orban ha cacciato George Soros, la sua fondazione, la sua università, i suoi mezzi di comunicazione. Cosa che i serbi non hanno fatto quando il predatore golpista planetario intossicò con gli stessi mezzi il Kosovo, affiancato da Madre Teresa di Calcutta che si adoperava per rendere monoetnica la sanità. E nemmeno quando spadroneggiava a Belgrado, venerato da Luca Casarini, sulla comunicazione televisiva.
Europlutocrati e rispettivi portavoce, tra i quali si accaniscono per il primato newsletter imperiali, sussidiate da governi complici, come il manifesto e il Foglio, con il primo che si diverte a proporsi come Dada surrealista definendosi “comunista”, hanno ora trovato un'altra colonna infame a cui inchiodare il premiere ungherese: la “Legge Schiavitù”, nientemeno!  Xenofobo, razzista, sovranista, populista, tiranno e anche schiavista, feroce oppressore e sfruttatore dei lavoratori, che il Fagin di Oliver Twist gli fa un baffo.

  La rivoluzioncina colorata di Budapest
 
 Budapest - Manifestazioni pro Soros degli studenti della sua università

Con una legge che propone ai lavoratori, dato il basso e quasi fisiologico tasso di disoccupazione (4%), l’aumento volontario, concordato con l’impresa, da 250 a 400 ore di straordinario all’anno, 33 al mese, da conteggiare sui 36 mesi, in Ungheria siamo alla “schiavitù”.  Ai campi di cotone, o di pomodoro, con dentro addirittura dei bianchi!  Contro questo abominio sociale, praticato da anni in Italia, il manifesto ha visto un’insurrezione di popolo. I comunisti ungheresi del Partito dei Lavoratori, all’opposizione del partito di Orban, Fidesz, confermato al governo l’anno scorso con una maggioranza dei due terzi e tuttora la forza politica più popolare, ci parlano invece di 6000 manifestanti, con tra loro in grande evidenza l’ultradestra di Jobbik.  E in Ungheria ci sono mille sindacati con complessivamente 450mila iscritti. E per mettere in piazza quei 6000 non è bastato il codice del lavoro riformato, ci sono volute le mobilitazioni sorosiane “contro la dittatura”. E per la libertà d’istruzione privata (l’università di Soros chiusa). Tanto è vero che non sono stati i sindacati, spesso fortemente critici del governo, a mobilitarli, bensì i partiti di destra, neoliberisti, come la Coalizione Democratica, una specie di PD, ora alleata di Jobbik, tipo PD e Forza Italia.

Si sperava, per dare fieno ai cavalli di razza della pubblicistica occidentale, in una reazione violenta della polizia. Non ce n’è stato bisogno, ma le accuse di repressione feroce sono piovute lo stesso, specie tra coloro che sulla terrificante brutalità dei gendarmi francesi contro i Gilet Gialli hanno mantenuto un rispettoso riserbo.
Come al solito dietro allo specchietto delle allodole dei diritti umani apparecchiato dai globalisti - migranti, libertà di stampa, valori europei, antifascismo – c’è qualche motivo più vero. Nel caso dell’Ungheria, in un’Europa mandata scientemente in crisi e verso la terza recessione per rilanciare il trasferimento della ricchezza dai ceti subalterni alle élites, sono i fondamentali di un’economia di cui pudicamente non si parla, ma che va in direzione ostinata e contraria da quando  ci sono Fidesz e Orban e da quando l’Ungheria è il paese della periferia che è uscito meglio dalla crisi.

Budapest ha chiuso il suo debito e ha cacciato il FMI, cresce da anni dal 4 al 4,8%, il debito pubblico, al 74% del PIL, è tra i più bassi del mondo, il deficit sta agevolmente nei parametri-boia di Bruxelles, ha tassato le multinazionali dell’hi-tech, ha nazionalizzato i fondi pensione e ha ridotto all’obbedienza le banche private. Dati a fine 2017 dicono che gli investimenti sono cresciuti del 17%, le esportazioni dell’8,1%, le importazioni dell’11,3%, i consumi delle famiglie del 4,5%. La disoccupazione è scesa sotto il 4% e l’occupazione è cresciuta dell’1,8%. Anticipazioni dicono che il trend è ulteriormente migliorato nel 2018. Il programma di sostegno per la casa, CSOK, finanziato dallo Stato, ha eliminato la piaga dei senzatetto e l’aumento dei salari ha ridotto un tasso di povertà che quattro anni fa era al 13%.

L’83% degli adulti tra i 25 e i 64 anni ha completato gli studi superiori, rispetto a una media OCSE del 74%. Solo il 3% dei lavoratori ha un orario di lavoro superiore alle 40 ore, 5% uomini, 1% donne, drasticamente inferiore alla media OCSE del 13%. Nessuno può affermare che ci troviamo in un paradiso sociale, ma in un processo in controtendenza rispetto al disastro europeo riguardante i paesi della periferia (e non solo) certamente sì. Che la virulenza degli attacchi a Orban da parte degli Juncker, Macron, Merkel e dei propugnatori dell’imperialismo neoliberista, che siano Dada, Realismo Magico, Metafisici, o apertamente Decadentisti, del finanzcapitalismo mondialista, abbia a che fare con questi dati impropri?

Dove vanno i tre milioni che lo Stato (gli italiani) regala al “manifesto”


Forse una chiave di interpretazione ce la dà il bollettino dell’Esercito della Salvezza imperiale. E’ la credibilità  degli anatemi contro il populista, sovranista, xenofobo e razzista che andrebbe verificata. Io, per non essere squartato dai buoni, non mi pronuncio, mi limito ai dati. Anzi, tra altre cose, non condivido per niente l’opposizione orbaniana all’Islam nel segno del cristianesimo e di certe sue aberranti tradizioni fatte passare per civiltà europea. Preferisco quella laica e politeista di Omero, Socrate e Ovidio. Ma i discorsi di certi buoni su Kim Jong Un, Gheddafi, Putin, Maduro, o Assad, mi mettono in guardia. Sentiamo cosa dice il manifesto del 19 gennaio 2019.

Prima pagina: titolone che accredita voluttuosamente il taglio della crescita profetizzato da Banca d’Italia (da sempre dedita agli oroscopi fasulli) che distragga dal primo provvedimento governativo pro-poveri e pro-pensionati dopo decenni di regimi predatori. Ridicolizzazione del reddito di cittadinanza e della Quota Cento, peggio che se fossero “Il Giornale”: “Le stime di crescita affossano il governo della propaganda”. Gioiosa descrizione del frontismo europeista di Calenda e della sua definizione del reddito di C. come “assistenzialismo e lavoro nero”. Altrettanto gioioso annuncio dello sciopero contro il governo di una confederazione sindacale che ha inghiottito tutti i bocconi tossici rifilati ai lavoratori da Berlusconi a Monti a Renzi. Condivisione dell’indignazione delle potenze coloniali Francia, Belgio, Conferenza Episcopale, sull’esito delle elezioni in Congo che ha visto la sconfitta del loro candidato: il fantoccio Usa, ex-Exxon, Martin Fayulu. Due paginoni di osceno sputtanamento del martire della libertà d'informazione Julian Assange (“La stella morale di Assange è tramontata”), prigioniero da 8 anni nell’ambasciata dell’Ecuador, sottoposto a isolamento totale e vessazioni di ogni genere, in vista della sua estradizione negli Usa dove il rivelatore dei crimini di guerra Usa, degli assassini seriali  di Obama con droni e degli intrighi della Clinton, rischia la condanna a morte. Qui, nel dare man forte al boia, il manifesto ha superato se stesso.



Altro, ennesimo, reportage sulla “rivoluzione democratica, ecologica, femminista, federativa dei curdi”, mercenari Usa e pulitori etnici di terre arabe siriane. Ininterrotto martellamento pietista sulle vittime del mare (“i mandanti sono i governi europei”) e sui salvataggi (leggi traghettamenti) delle Ong tedesche e olandesi (che non scaricano mai migranti in Olanda o Germania) finanziate da Soros e che con gli scafisti, i trafficanti, le Ong e i missionari nei luoghi di partenza, le multinazionali e gli eserciti che ne devastano i paesi, caporalati e grandi imprese nei luoghi d’arrivo, costituiscono la filiera colonialista della nuova tratta degli schiavi sostenuta dal “manifesto”. Ennesima esecrazione di Victor Orban, “contro cui riparte la protesta anche dei sindacati e insegnanti perché costretti a lavorare in un sistema educativo centralizzato” (anziché affidato alle singole regioni, come vorrebbe la Lega!). Articoletto minimizzante sull’atto 10 dei Gilet Gialli, “ormai in costante calo” (80milla dopo due mesi!). e “violenze sia da parte dei Gilet che della polizia”, quando i feriti tra i manifestanti sono oltre 2000, 12 i morti, 12 che hanno perso un occhio, altri una mano, uno in coma, tra cui molti giornalisti.

Basta così. Il resto è dello stesso segno. E anche tutti gli altri numeri. E anche tutti gli altri giornali e telegiornali. Dunque ora addosso al nazista Orban, che schiaccia nel sangue la società civile europeista. E, soprattutto, caccia fuori dai piedi Soros.