martedì 29 ottobre 2019

Più delle sette piaghe potè Di Maio (e Grillo)----- DAL VAFFA DEI CINQUESTELLE AI VAFFA AI CINQUESTELLE ----- e alla rapina a mano bancaria del contante…


 Elettori 5Stelle in mano a Di Maio

Sono stato alla Festa Nazionale dei 5Stelle a Napoli e ve ne dirò. Un’organizzazione da paura, degna della migliore Festa nazionale dell’Unità. E tantissima gente. Della quale mi illudo di aver percepito gli umori, divisi tra chi era venuto a riconoscersi e confortarsi nella Grande Famiglia, qualunque cosa essa facesse; chi sperava di ritrovare, nel grande affresco, i tratti del dipinto-capolavoro di cui si era innamorato; e chi si presentava con il broncio, più o meno disposto a esibirlo. Di tutta quella gente sotto ai vari palchi condivido il trauma: la botta dell’Umbria è tale da indurre o la sveglia, o il coma.

Ma pochissimi, sempre di quelli sotto il palco, denuncerei di complicità con l’accaduto; semmai qualcuno di eccesso di fiducia per il pastore, elemento costitutivo del gregge, ma inerente anche all’assenza di un meglio. Il guaio è che, sparito il Partito Comunista che, a dispetto dei vari Togliatti, Napolitano e Berlinguer, una bella fetta di società aveva dotato di cultura, conoscenza e coscienza politica, di queste non v’è stata più traccia nella base del Movimento. Vedo gli smarriti, o euforici, che si aggiravano per padiglioni e viali della Mostra d’Oltremare, più come vittime, che come sicari. Ci torniamo dopo.

Peccati mortali



Andiamo in Umbria e citiamo alcuni peccati mortali che hanno inserito il M5S nella parte inferiore del Giudizio Universale comminatoci dalla cortesia del Signore e dall’infinito amore del suo figliolo. A partire dal matrimonio, ahinoi non morganatico, con il corpo politico a cui è assegnato il compito di produrre milionari e miliardari immuni e impuniti, soprattutto esteri, dato che dobbiamo essere globalisti-cosmopolitici-cittadini del mondo, e, corrispondentemente, masse sconfinate e indistinte di angustiati e affamati, ripugnanti portatori di “invidia sociale” e di “odio” cosmico. Anche in parte prelevati a forza di benefattori e salvatori Ong da casa loro, per condividere cristianamente la sorte degli angustiati e affamati autoctoni. Qualcuno, forzando assai, definisce quel pateracchio governo giallo-rosso, altri giallo-salmonato, qualcuno anche giallo-fucsia, con riferimento al colore del sangue di chi ne viene massacrato. Tutti benevoli eufemismi. Per me è semplicemente, con riferimento alla tinta di certi dottori e untori, di tutti i chierici e di trapassati militi in orbace, un governo giallo-nero.



Personalmente resto stupefatto e sollecitato a riflettere sull’ennesimo dimezzamento del voto 5 Stelle, qui ridotto al 7%, mentre il partner resta aggrappato al suo 22% e il reprobo energumeno distanzia, unito all’impresentabile detrito di Arcore e a colei che fornisce l’alibi dell’antifascismo ai nuovi globalfascisti 2.0, di venti punti  coloro che da quelle parti amministravano da mezzo secolo. Una punizione, sì, per il non fatto e per gli osceni connubi. Ma una demolizione, per aver comunque tentato una svolta, svoltina, al magro destino comminato dai dominanti alla plebe, quella non ce la aspettavamo. L’amico e acuto analista del Movimento, Mario Monforte, ripete il sardonico “pensavo peggio” di Grillo, per stupirsi che sopravviva perfino solo un 7,4% grillino. Ma, al netto dell’opzione “me ne lavo le mani” (astensione), mi si dica per chi altri avrebbero dovuto votare gli umbri?

Buoni e cattivi
Alcune cose non s’erano mai viste: reddito di cittadinanza, bene o male che fosse gestito; quotacento per non andare in pensione in frantumi; un ministro della Giustizia che provava a fare pagare pegno si ricchi e potenti (ci hanno pensato ora Corte di Cassazione, Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti umani a riportare le cose nell’ordine mafiostatale: niente mafia a Roma, niente Ergastolo anche per chi non collabora); un ministro dell’Ambiente che se lo sognano perfino in Danimarca; il tentativo di rompere la secolare omertà tra cementificatori e vittime del cemento; l’opposizione ai trattati commerciali internazionali, Ceta, TTIP, che radono al suolo garanzie, diritti, salvaguardie e che la malnomata Bellanova vorrebbe infliggerci insieme a OGM e ulivi multinazionali da cambiare ogni 15 anni  sulla Puglia desertificata con la falsa scusa della Xillela; l’opposizione anche alla convenzione internazionale che avrebbe voluto imporci accoglienza illimitata di popolazioni sradicate e destinate all’abbattimento delle condizioni conquistate dai lavoratori in due secoli di sangue profuso dal Quarto Stato.

Va bene, anzi va malissimo, che poi ci sono state molte inversioni di marcia con esiti fatali: Tav, Tap, Muos, Euro, Nato, UE e altre, tra cui, lampeggianti di vergogna, le ambiguità sui propositi cialtroneschi dei vendipatria di staccare pezzi dall’Italia e affidare cura di spirito e corpo di ragazzi e cittadini, come il suolo di tutti gli esseri viventi, ai loro peggiori nemici. Il che non cambia il dato che, per la gente comune, i lavoratori, la nazione, è stato fatto, tentato di fare, mezzo fatto, quanto nessun Ulivo, nessuna Margherita, nessun PD, nessuna Lega e nessun berlusconame, avevano mai neppure immaginato. Tutti attentissimi a non incrinare il consorzio tra bande, formali e informali, sancito dagli Usa, per conto del Capitale che già si vedeva colonialmente transnazionale, cioè globalista, a partire dallo sbarco in Sicilia del 1943. 

Umbria, perché?
Per l’esito umbro ha contato di più l’ammuina salviniana contro Bruxelles e contro l’accoglienza dei migranti, alla resa dei conti mera fuffa propagandistica che specula su legittime ansie e su sacrosanti risentimenti di una popolazione alla mercè di abbandoni, terremoto e amministratori malavitosi. Ha contato di più la delusione degli elettori e attivisti 5Stelle per quello che poteva, doveva, essere e non è stato. Di peccati da sprofondo nell’Ade ce ne sono stati parecchi. A cominciare dalla fine della messa in discussione della Vergine di Norimberga in cui il paese è stato chiuso, i cui aculei sono la Nato, l’UE, la BCE draghiana e l’Euro. A proseguire con l’abbandono del TAV, colonna che reggeva la cosmogonia grillina, opposta all’ universo esistente. Tav non rinnegato, ma lasciato all’abominio trasformista di un democristiano quale Giuseppe Conte. Un avvocato dell’oligarchia finanziaria e dell’accademia di riferimento capitalista, sul cui capo, come su un qualsiasi notabile democristiano e, dunque, PD, oggi si addensano le nuvole della sospetta corruzione, prova anche dell’acume con cui Di Maio ha saputo scegliersi i suoi colleghi.

Peccati mortali 2


Coerentemente, contro la ripulsa di una gleba europea che aveva vissuto sulla pelle, o comunque conosciuto, le glorie della Troika, la Grecia, la pioggia benefica sulle banche dell’uomo-nodo scorsoio Draghi, inviato Bilderberg, oggi celebrato dal monopolarismo mediatico, dal “manifesto” a “Repubblica”, il M5S è stato condizione determinante per l’elezione di Ursula Von der Leyen, Feldmaresciallo con Croce di ferro del turboliberismo militare, economico e sociale. Un peccato che riassume in se tutti i sette capitali, anche perché implica l’approvazione dell’Idra a tre teste messa in campo dalla nota élite per governare i prossimi anni e decenni di spoliazione e controllo universali: Von der Leyen alla Commissione, la pregiudicata Christine Lagarde, sodale di Sarkozy eroe di Libia, alla BCE e la bulgara Kristalina Georgieva, già Banca Mondiale, già vice del sobrio facilitatore di esenzioni fiscali Juncker, già onorata dal Premio della Open Society Foundation di George Soros, al FMI, scelta a dispetto delle sue umili origini nazionali, perché di peggio della Lagarde non era possibile trovare neanche tra i Grandi. In America Latina, specie in Honduras ed Ecuador l’aspettano con ansia.

Lotta al contante, rapina a mano bancaria

La Cupola che ha messo in campo questa affascinante triade ne ha subito fatto valere la capacità di andare al di là dei suoi predecessori: la lotta al contante è la sua prima guerra in quella che Diego Fusaro, non senza efficacia, definisce la “glebalizzazione” e che si presenta al colto e all’inclita nelle vesti accattivanti della “lotta all’evasione”. E su questo colpo alla nuca della gente, perseguito con accanimento dalla componente nera del regime giallo-nero, i 5 Stelle non sanno far di meglio che balbettare. Con la stessa demagogia ipocrita con la quale si sono vantati di aver tagliato il numero dei parlamentari, cosa che sabota, più che favorire, la rappresentanza democratica, o limitato i danni della letale autonomia differenziata. Piccoli imprenditori e autonomi si dovranno acconciare alle centinaia di euro all’anno di costi in più per il Pos (il dispositivo che azzanna le carte di credito), ma in compenso, forse, le banche ridurranno le commissioni sulle transazioni (e che non ci pensano lontanamente). Non si potranno far girare più di 2000 euro al mese, dopodomani 1000, salvo segnalazione ai gendarmi della finanza. I 500 euro che tenevi in casa non sono più a disposizione, spettano alle banche. Potrai prelevarli, sempre che la “crisi” non ti faccia arrivare tra capo e collo un “prelievo forzoso”, alla Amato, ma intanto è la Banca che utilizza a proprio piacere e potere la montagna di 500 euro di milioni di italiani.


Il creatore del M5S oggi, come Kronos, divoratore dei suoi figli, è da sempre vittima di isteria tecnologica, sublimata nel digitale della piattaforma Rousseau, tentacolino delle grandi high tech, che doveva farla finita con le strette di mano, gli occhi che si incontrano,, le discussioni faccia a faccia per capire meglio, qualsiasi tentazione di incontro corporeo, la pretesa di contribuire a una qualche elaborazione, compensata dal “potere” di quattro gatti di cliccare sì al caudillo. Così anche il denaro, da fisico, tenuto in mano, con possibilità di misurarlo, diventa digitale, virtuale. Scompare. Quando strisci la carta, non percepisci quel che avevi e quel che ti resterà. E’ la condizione ideale per creare una società di indebitati e, dunque, di deboli, e dunque di dipendenti e perciò di dominati. Lo scherzetto della virtualizzazione del denaro serve a questo, oltre a dare una nuova sgassata al capitalismo, insieme a quella verde di Greta: un ulteriore gigantesco trasferimento di ricchezza dal basso all’alto dell’oligarchia finanziaria.

Speculare è, mimetizzata dallo stereotipo della “lotta all’evasione”, strombazzato come non mai, è l’immunità assicurata ai crimini fiscali dei grandi, sui cui trucchi e strumenti per far sparire capitali nelle scatole cinesi di un circuito bancario tanto truffaldino quanto opaco, o farli evaporare nei paradisi fiscali, sul cui carattere fuorilegge nessun governo, nessuna Onu, nessun FMI, nessuna BM, nessuna BCE, nessuna Corte di Giustizia, nessun WTO, ha mai sollevato sopracciglio. Il corollario sociale è che, non bastando Echelon, le telecamere di sorveglianza, i cellulari privati, che ci rivelano e tracciano, e gli schermi pubblici spioni, grazie alle carte ci sarà il Panopticon di Bentham, a garantire la sorveglianza, il riconoscimento e la tracciabilità permanenti di ogni tua manifestazione in vita: azioni, scelte, movimenti, identità psicofisica e, tutto sommato, pensiero. Non sono forse i dati oggi il primo anello della catena del consumo, la prima fonte della rendita? Loro e della schiavitù nostra?

Sussurri e grida


Sono quelli che ho sentito a Napoli. Mi chiedo se tutti quei frastornati, incazzati, o compiaciuti che si aggiravano per la Festa dei 5Stelle fossero consapevoli dell’apocalisse, sociale, antropologica, biologica, che comportava il connubio con coloro contro i quali, con tanto buon intuito, più che consapevolezza, era nato e cresciuto il loro MoVimento. Ho giracchiato per le assemblee delle varie regioni, in particolare di quelle terremotate, a me care e sulle quali ho impegnato parecchio lavoro. Con grande aiuto dei 5Stelle. Ma non in quella umbra, o marchigiana, o abruzzese, o laziale, ho sentito un mormorio di critica a come due successivi governi con dentro il giallo abbiano gestito la sorte dei terremotati con la stessa cinica indifferenza e inettitudine dei predecessori.

Interessante è stata l’assemblea sulla politica estera, inevitabilmente con Manlio Di Stefano. Uno che mesi fa avevo visto presentare, a un convegno in Parlamento, esponenti siriani che denunciavano l’aggressione di Usa, Nato e UE. C’è stata una serie di impeccabili interventi, suoi e di portavoce vari, sulla necessità del disarmo e di controllare il traffico di armi, che erano parsi esaurire i discorsi dal palco. Mi sono allora permesso di ricordare che parlare di armamenti senza aggiungere guerre, è come parlare di migranti senza parlare della spoliazione neocolonialista dell’Africa e degli eserciti di schiavi che ne viene tratto per il dumping dei diritti in Italia. Il che non poteva non condurre parole e pensieri alle guerre, alla Nato, all’UE, alla non-sovranità nazionale, eccetera, eccetera. Mi tocca dire che quei concetti, non la mia persona, per la loro ovvietà, raccolsero una vera ovazione. Come la raccolse anche il successivo intervento, sulla stessa linea, del senatore Gianluca Ferrara, direttore della combattiva Casa editrice “Dissensi”.

A rettificare una situazione che minacciava di rendersi urticante, intervenne poi un tale qualificatosi ufficiale della Marina, che, saltando a piè pari quanto aveva così smosso il pubblico, si produsse in una rabbiosa difesa degli F35, aerei da attacco, da acquistare assolutamente “per la difesa del Mediterraneo e dell’Europa”. Difesa da chi, non venne specificato. Invece, a specificare il suo “totale accordo” con il marinaio devoto agli armamenti, a dispetto degli anatemi iniziali contro il traffico di armi, ma anche a dispetto del silenzio sbigottito che l’aveva accolto, concluse poi l’evento lo stesso Di Stefano, con aggiunta di un flusso di politichese di cui non mi riesce a ricordare nulla. Clap-clap-clap d’ordinanza e fine. MI illuderò, ma quel pubblico non era rassegnato al nuovo esistente.


Ecco, ho una lunga vita alle spalle e una lunga esperienza di osservazione da giornalista e di politica da attivista. Ricordo bene cos’era Lotta Continua, di cui fui militante, esperto di politica estera e direttore del quotidiano. Ancora mi fumano le gonadi, rosolate dal coro, non esauritosi neanche dopo 40 anni, che godendo e diffamando rinchiudeva quell’esperienza di centinaia di migliaia di giovani e meno giovani nello squallido salto della quaglia di un gruppo di dirigenti felloni verso i poteri e onori della controrivoluzione. Avevamo avuto dei morti ammazzati da sbirri e fascisti, dei suicidi, dei delusi a frustrati a vita. Decine di migliaia hanno perseguito impegni validi, nell’oscurità. A salvare il messaggio.

Oggi la penso così anche sui 5 Stelle. Non butto il bambino con l’acqua sporca di questi qua.

 E’ vero. Parrebbe surreale che un movimento che ha raccolto un terzo dei cittadini italiani votanti sulla base di una visione delle cose, magari non precisa e sufficientemente robusta, ma generosa e aperta alla maturazione, continui a tollerare, a sostenere un leader dall’ego dieci volte più grande di lui e, dunque, inevitabilmente opportunista, e un fondatore-garante, ossessionato dal bisogno solipsista di épater le bourgeois. Gente che, grazie al capovolgimento delle premesse e promesse, ha ridotto il movimento all’autodafè, deludendo un’aspettativa individuale e collettiva di grandi proporzioni e valori. Per togliere di mezzo questi mezzani del trasformismo-opportunismo e dare voce a quegli applausi iconoclasti, occorrerebbe che facessero sentire le loro voci quelli che sono usciti dalla ribalta, o che dalla ribalta mugugnano, dissentono. Di Battista dove sei? Giarrusso, Ferrara, Corrao, Paragone, Lezzi….

Toccherebbe soprattutto avere una base di “cittadini e lavoratori liberi e pensanti”. Nella mia esperienza, non solo dell’assemblea sugli Esteri, c’è. Se conoscete un altro mare in cui nuotare, ditemelo.

venerdì 25 ottobre 2019

Siria: chi ha vinto, chi ha perso. Chi sono i curdi. ---- MEDIORIENTE: YANKEE GO HOME



Cosa ne viene da Sochi
Del miscione che gli arnesi stampati e videoriprodotti del colonialismo 2.0 ci rifilano,  confondendo in obnubilante simmetria rivolte contro il Potere e sommosse gestite dal Potere, da Libano e Iraq a Ecuador, Cile e Bolivia, parleremo nel prossimo articolo. Prima, ci interessa evidenziare con grande soddisfazione la rabbia da rettili pestati sulla coda con cui i media reagiscono agli esiti della soluzione (positiva, ma parziale, s’intende) che Putin, con il concorso obtorto collo di Erdogan, ha saputo imporre al branco di sbranatori della Siria. Media tra i quali riconosciamo il ruolo da mosca cocchiera al giornaletto anticomunista “il manifesto”. La vocina vernacolare del Governo Parallelo Usa (obamian-clintoniani, Intelligence, Pentagono, Wall Street, lobby talmudista), si è distinta per accanimento a stigmatizzare come imperialismo russo la difesa vincente della (quasi) integrità territoriale e della stessa sopravvivenza della Siria, aggredita e maciullata, e il ridimensionamento drastico degli appetiti degli aggressori (Turchia, illuministi coronati del Golfo, esportatori di diritti umani americani e israeliani).

Il grande lamento degli amici degli amici
Per questo pifferaio di carta, che è riuscito a trascinare nel baratro la colonna sperduta dei bambinelli di sinistra, l’esito del vertice di Sochi è una catastrofe planetaria. Catastrofe, ovviamente, per chi si riprometteva, come l’augusta fondatrice Rossanda ai tempi della Libia, uno Stato libero, sovrano, prospero ed equo cancellato dalla faccia della terra per mano di sicari tagliagole, scatenatigli contro dal meglio delle pluto-mafio-psicopatocrazie occidentali.


La tragedia, come rappresentata da questo portavoce dell’unipolarismo mediatico nell’era delle Grande Finzione, si articola in questi punti:

-       Il fallimento del progetto, formulato esplicitamente da Parigi anni fa, di costituire in un terzo della Siria, zona di ricchezze petrolifere e agricole, un mini-Israele curdo, assimilabile, in quanto “democratico, libertario, inclusivo, femminista ed ecologista”, all’ “Unica Democrazia del Medio Oriente” e con esso in combutta per frantumare la Siria. Il fallimento del progetto è completato dalla riduzione degli invasori e pulitori etnici curdi del Rojava alla zona di loro origine di Qamishli, nell’estremo Nord-Est della Siria, unica zona in cui vi è una maggioranza curda.
-       La sostituzione delle forze armate Usa e Nato – abusive poiché mai invitate - con le rispettive basi nell’area più ricca di risorse della Siria, dal confine turco a Raqqa, nel cuore del paese, con l’Esercito Arabo Siriano, forza armate del governo legittimo, sostenuto da unità russe, legittimate dall’invito di Damasco.
-       La riduzione della “zona di sicurezza” turca su territorio siriano dai 440 x 32 km concordati con Washington, a soli 100 x 10 km, da Tell Abyad a Ras al-Ayn, pattugliati da unità congiunte turco-russe, con il resto del confine sotto controllo governativo siriano e pattuglie congiunte russo-siriane, a garanzia contro reviviscenze jihadiste (vedi mappa).


Per la proprietà transitiva, dovrebbero essere considerati, dal felice connubio mediatico destro-sinistro, sviluppi da sostenere: il trasferimento in Iraq delle unità Usa costrette a lasciare la Siria, affrontate peraltro dall’inspiegabile insoddisfazione degli iracheni che, tramite governo, hanno chiesto ai nuovi ospiti di togliere il disturbo entro 30 giorni; la permanenza di una grande base Usa in Siria, ad Al Tanf, centro di raccolta e addestramento di mercenari Isis disoccupati; il presidio militare conservato da Trump intorno al petrolio siriano, così che non se ne approfitti il dittatore per ricostruire con i proventi il paese dagli stessi aggressori distrutto; la persistente occupazione della provincia di Idlib da parte di truppe turche e loro mercenari Al Qaida-Isis, per mantenere aperta la possibilità di una riconquista turca di Aleppo, indebitamente sottratta approfittando della caduta dell’impero ottomano; l’annessione israeliana di un altro pezzo di Golan, dal quale insegnare a siriani e Assad, a forza di missili, che il troppo di sovranità ed integrità nazionale stroppia.

La Siria recuperata
Il presidente Assad, pur dichiarando di approvare i risultati del vertice di Sochi, ha aggiunto che “la Turchia deve smettere di rubare terra siriana e che il governo siriano sosterrà ogni formazione che attuerà resistenza popolare contro l’aggressione turca”. Nel che si può individuare l’ennesima divergenza tra le istanze nazionali di Damasco e l’approccio compromissorio, o magari solo gradualista, di Mosca. Naturalmente Assad fa bene a ribadire l’irrinunciabilità dell’integralità territoriale siriana, confermata a parole anche da Mosca e Ankara, e a cautelarsi contro certe espressioni di realpolitik russa, anche alla luce dell’incredibile tolleranza dei russi vis a vis le incessanti incursioni aeree israeliane e il silenzio sull’annunciata annessione del resto del Golan occupato nel 1967. Ma il dato acquisito che i turchi si dovranno limitare a una fetta di Siria di soli 10 km di profondità e 100 km di lunghezza, oltre tutto controllata congiuntamente con i militari russi, e che il resto dell’agognato cuscinetto di 32 x 440 verrà invece reso alla sovranità siriana, a sua volta garantita da forze siriane e russe, è sicuramente un passo avanti.


… e da ricuperare
Rimane da vedere in che misura i russi saranno disposti a sostenere l’indispensabile offensiva siriana per recuperare anche l’area di Idlib, controllata da truppe turche in alleanza con la peggiore feccia jihadista e dalla quale, perduta Aleppo e relativa provincia, Al Qaida e Isis continuano a operare incursioni terroristiche contro la città liberata e in fase di rapida ricostruzione. Rimane anche da vedere se i quasi due milioni di profughi siriani nei campi turchi, selezionando tra rifugiati jihadisti e famiglie fuggite all’aggressione, verranno concentrati nella “fascia di sicurezza” turca, per costituire anche da lì una perenne minaccia, sia terroristica alla Siria, sia di ondate migratorie verso l’Europa, o se gli si darà modo di tornare alle proprie case, distribuendosi in tutto il paese. Incognite che vanno sorvegliate e poi risolte, ma che non negano l’evoluzione in direzione di giustizia e pace ottenute dal valore dei resistenti siriani e dall’abilità diplomatica di Putin.

Confrontiamo il quadro di oggi, con quello che si presentava in Medioriente solo un anno fa. Gli Usa non solo hanno dovuto restituire alla Siria una vasta fetta del proprio territorio, l’espansionismo neo-ottomano di Erdogan ha subito una robusta battuta d’arresto, la Siria sta rientrando gradualmente nei propri confini. E’ in stagnazione quella che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di un Netaniahu - oggi detronizzato e a rischio di galera per una sfilza incredibile di reati - e dei suoi complici obamian-clintonian-neocon, l’eliminazione del principale alleato dell’Iran e l’assalto a quest’ultimo. Dopo quasi 5 anni dall’attacco di Arabia Saudita ed Emirati, orchestrato da Pentagono e Cia, e 9 anni dall’inizio dell’insurrezione popolare yemenita, gli Huthi a dispetto di blocco totale, colera, fame, distruzione di una delle meraviglie storiche e ambientali del mondo, controllano la maggior parte del paese. Vedono i due paesi aggressori azzannarsi tra loro. Con la distruzione della metà della capacità produttiva dell’Arabia Saudita, hanno inflitto al massimo alleato degli Usa nella regione un colpo, se non mortale, probabilmente decisivo per l’esito del conflitto, ma anche per la strategia reazionaria e imperialista di lunga lena.


L’esito finale del grande rimescolamento mediorientale non è certo la vittoria definitiva della Siria, che da molte sognanti parti si sente proclamare. E’di sicuro una formidabile affermazione della giustizia che il piano iniziale della cancellazione della Siria sovrana e unita sia fallito, per merito in prima linea del popolo siriano e della sua dirigenza. Ma la questione dell’egemonia nella regione non è di certo risolta e la Turchia di Erdogan non è minimamente disposta ad abbandonarla. In prospettiva, lo scontro tra Turchia e Siria rimane inevitabile, che è anche lo scontro tra l’integralismo da Fratelli musulmani e laicità. Saprà la Russia, con i suoi piedi in tante staffe (Siria, Turchia, Iran, Saudia) contenere l’urto o, in alternativa, volgerlo a vantaggio di un equilibrio non islamista e non reazionario della regione? E i neocon obamian-clintoniani, con il loro retroterra di Intelligence e Pentagono, si rassegneranno all’uscita di scena? O costringeranno, con nuovi ricatti e nuove bufale alla Russiagate, il volatile Trump a rimangiarsi le tentazioni isolazionistiche?

Dagli amici dovrei guardarmi io


 
Meritano un paragrafo finale i cocchi del nostro sistema mediatico unipolare. La questione curda, nel suo profilo storico è manipolata e in quello attuale rovesciata nel suo contrario. Diversamente dalle realtà anticolonialiste africane, arabe e persiane, o di quelle latinoamericane da Bolivar a Guevara-Castro a Chavez, i curdi non hanno mai saputo elaborare un progetto di società autenticamente unitario, inclusivo, plurietnico ed emancipatorio, che superasse la loro struttura feudale, clanista, regressiva, rigidamente patriarcale. Alle origini della loro mancata realizzazione di uno Stato unitario, non sta tanto la mancata implementazione del trattato di Sèvres del 1920, quanto la separatezza tribale e culturale tra i segmenti divisi tra i quattro paesi ospitanti, Turchia, Iraq, Iran e Siria, e, al loro interno, una costante di arcaiche faide interfamigliari e intertribali. Con la conseguente assenza di un teoricamente solido movimento unitario irridentista.

zona curda originaria in Siria e zona occupata dai curdi

In tutto questo, i curdi sono, insieme ai guerrafondai nel regime Usa (che ora ripuntano all’Iraq), i sicuri perdenti. Non è chiaro se l’ipotesi del loro inserimento nelle forze armate siriane, per la comune difesa contro terroristi e invasori, sopravviverà all’accordo russo-turco per il loro disarmo totale e per il rientro nel territorio storicamente da loro abitato, a Qamishli. Certa è invece la scomparsa dallo scenario mediorientale di una riedizione curda in Siria di quanto inflitto alla Palestina nel 1948 e seguenti. Ai dirigenti dell’YPD-YPG, in effetti del PKK, rimane da riflettere sulla saggezza di un’alleanza con i nemici dei popoli liberi al fine di acquisire vasti territori, che non gli spettano, a forza di violente pulizie etniche. Riflettere anche sulla convenienza di aver ripetuto in Siria, magari su scala minore, quanto gli viene addebitato dagli armeni quando, al tempo di quel genocidio turco, si rivelarono tra i massacratori più feroci. Oppure sulla scelta, sempre praticata, di ricorrere per raggiungere i propri obiettivi, contro uno Stato unitario, a complicità subalterne con padrini interessati solo allo sfruttamento di mercenari per scopi coloniali e imperialisti.



Ho frequentato per decenni i paesi nei quali è divisa l’etnia curda ed ho esperienza diretta di quanto scrivo. In particolare per ciò che concerne il carattere retrogrado della struttura sociale che, di conseguenza, si è sempre appoggiata, per la realizzazione degli interessi dei propri capiclan, più che del popolo nel suo insieme, a forze esterne parimenti reazionarie, ma perdipiù colonialiste e imperialiste. Come gli Usa e la Cia, con in Iraq il capoclan Mustafà Barzani e poi suoi figlio Massud, entrambi strumenti Cia per la destabilizzazione dell’Iraq. O come con Israele, principale alleato e massimo proprietario immobiliare nel Kurdistan iracheno, affidato a feudatari narcotrafficanti, come i Barzani o i Talabani, in perenne conflitto tra di loro. Il vittimismo curdo è sempre stato lo strumento propagandistico occidentale, di sinistra come di destra, per perseguire obiettivi di revanchismo coloniale.
Il tanto propagandato e osannato progressismo curdo sotto tutela Usa-Nato in Siria, basilarmente diffondendo immagini di ragazze in mimetica e racconti di foreign fighters in Siria, tesi a occultare l’operazione di occupazione e smembramento della Siria araba e multietnica, ha la stessa valenza del “sovranismo” di un Salvini, tanto patriota da voler staccare dall’Italia le regioni più prospere per porle a disposizione della centralità imperiale franco-tedesca.

Tutto questo non è andato a discapito solo degli Stati multietnici e multiconfessionali, laici e sovrani, usciti vittoriosi e uniti dalla lotta anticolonialista, ma anche delle stesse popolazioni curde, finite sistematicamente soggette a ceti dirigenti corrotti e opportunisti e a protettori stranieri, al dunque meri utilizzatori finali del sangue, delle speranze e degli interessi di quelle comunità. Il bel risultato è stato, nella contingenza specifica, l’avallo dell’aggressione occidentale, israeliana, turca e del Golfo a uno degli Stati più emancipati della regione, l’ennesimo fallimento dell’aspirazione all’entità nazionale monoetnica, l’utilizzo per un’ignobile pulizia etnica in territori abusivamente occupati, reminiscente di quella sugli armeni, l’abbandono del protettore imperiale e il rientro nel proprio territorio originale.


Sia chiaro, quando qui si parla di “curdi”, ci si riferisce a chi, nelle varie fasi, ne ha assunto la direzione, affidandosi sistematicamente al peggio del peggio del quadro geopolitico, per realizzare i propri interessi di ceto dominante. Al popolo curdo spetta al massimo la “colpa” di essersi fatto rendere alibi per le mire razziste, colonialiste e imperialiste dell’Occidente. Ma chi siamo noi per lanciare la prima pietra?





lunedì 21 ottobre 2019

Siria, Russiagate, Ucrainagagate al tempo del Ministero della Verità ----- THE DONALD NON VA ALLA GUERRA? IMPEACHMENT !


“La bussola va impazzita all'avventura e il calcolo dei dadi più non torna” (Eugenio Montale, “La casa del doganiere”)

Giornalisti e sinedri
Di certezze, in questo mondo di spinte e controspinte in costante e confusa moltiplicazione, che lo fanno sembrare un cesto di serpenti in fregola di libera uscita, ce ne sono poche. Ce l’hanno in esclusiva inconfutabili mediatici che questo mondo lo interpretano con la saggezza, l’indipendenza e la competenza  che gli assegna l’Ufficio delle Risorse Umane del rispettivo datore di lavoro, a sua volta responsabile verso qualche sinedrio molto in alto e poco conoscibile. Sinedrio che, tra gli altri, cura il ministero della “Difesa” e quello, di orwelliana definizione, della “Verità” (“Miniver”). Noi che ritenevano come i giornali di opposizione dovessero criticare e contestare l’esistente e il governante, nel caso “il manifesto” o “Il Fatto Quotidiano”, ci dobbiamo rassegnare al dato che quell’ufficio delle risorse umane e quel sinedrio non permettono giri di valzer a nessuno. Su quel che conta nel sinedrio, il coro è uno e unico. E allora la possibilità di una ricerca, non tanto di certezze, ma di qualche brandello di probabilità sfuggito al coro di queste eccellenze ministeriali, si riduce a un criterio molto primitivo, rozzo, ma di discreta approssimazione.



Anche per quei due giornali si può tranquillamente ragionare, al netto delle oneste penne, non intinte nel veleno di quegli altri rettili, che insistono a fornirgli foglie di fico, su un criterio di questo tipo: ciò che essi sostengono e promuovono, va avversato e respinto; viceversa, ciò che li irrita e li muove al vituperio, ha ogni probabilità di meritare consenso e appoggio. Per esemplificare il paradigma, basta ricordarsi del trattamento riservato al M5S quando era ancora tale e pareva la famosa leva di Archimede. O quando parlano di Assad “macellaio di Damasco” e di “ribelli nella guerra civile siriana”. Strumento di misura infallibile è poi Roberto Saviano. Basta un suo appello pro o contro, per sapere con assoluta chiarezza dove collocarsi. In questo caso l’appello è pro-curdi, ovviamente; in un altro è anti-Chavez, ovviamente. Il nostro è una specie di Bernard Henry Levy cispadano (l’originale ha infatti firmato il suo appello, nel bel mezzo di una delle feste di tagliagole che frequenta in Medioriente).

Vediamo un numero a caso del “manifesto”. Quello del 19 ottobre u.s. E’ assoluta e capillare la sintonia, su tutti i temi di rilevanza internazionale, con quanto garba e viene argomentato e promosso nei cunicoli dello Stato Profondo Usa, a sua volta formattato da una delle sopra citate consorterie. Quelle che reggono in piedi e abitano l’edificio del capitalismo di caveau e di guerra.

Sinite parvulos ad nos venire

Che si dice della Siria? Si abbaia con virulenta indignazione, pari a quella dei cani da guerra Usa, in questi giorni capeggiati dalla primatista del bellicismo Usa, Hillary Clinton (prediletta del “manifesto”) e dei sottoposti botoli Nato, contro il “tradimento di Trump e l’abbandono dei curdi da parte dei militari americani”. I migliori solisti del giornale, riuniti in coro con quelli della meglio stampa bellicista Usa, quasi un tonitruante “Pavarotti and friends”, ci informano che “i curdi combattono anche per noi” (Sgrena), che quello dei curdi “è un progetto ambizioso e rivoluzionario persino per gli standard occidentali” (sempre Sgrena); che lo sterminio del popolo curdo ricorda “come sono stati malvagi i tedeschi (tutti! N.d.r.) a sterminare sei milioni di ebrei e zingari” (Ginevra Bompiani), che i curdi “combattono per l’umanità intera”, “che vanno aperte le prigioni dove 3 milioni di esseri umani sono oppressi e torturati e che noi accoglieremo in modo decente e diffuso” (sempre Bompiani).
A sua volta il tenore Alberto Negri denuncia la “vecchia cara pulizia etnica” dei curdi, lamenta “l’annessione di interi territori sottratti ai curdi”, ovviamente “traditi per l’ennesima volta” e l’aiuto che forse riceveranno da Assad e dalla Russia è naturalmente “assai
interessato”, Lo stesso Michele Giorgio che, in un giornale del tutto in sintonia con i propositi strategici della nota lobby sion-mondialista, salva le apparenze informando sulle cattive azioni degli occupanti della Palestina, denuncia pulizie etniche sui curdi e si riconosce in Amnesty International, “l’Ong a difesa dei diritti umani che denuncia esecuzioni sommarie e attacchi indiscriminati contro una casa, una scuola, una panetteria (sic)”.

https://twitter.com/Ruptly/status/1183660634417909760 Qamishli, truppe siriane festeggiate dagli abitanti

“Pulizie etniche” e pulizie etniche

Siriani arabi e miliziano curdo

Che dire? Adottiamo il meccanismo per la ricerca di qualche spiraglio di luce. Lamentare che Trump abbia tradito i curdi, esponendoli all’attacco turco, è come deplorare che la Sublime Porta, con il Sultano Murad I, invasore dei Balcani, abbia mollato in Serbia i suoi mercenari  Giannizzeri (“Nuova Milizia”), tagliagole antenati di Al Qaida e Isis. Quando poi si arriva a dire che i curdi “combattono anche per noi”, si parla di un mistero glorioso, per i carnefici e doloroso per le vittime, occultando che i curdi si sono fatti fanteria degli aggressori Usa, Nato, sauditi, turchi, israeliani, che intendevano far fuori uno Stato baluardo di antimperialismo, antisionismo, emancipazione, laicità e convivenza di etnie e confessioni. Stato davvero impegnato alla morte contro la barbarie Nato-Isis. Quindi per i valori che si suppongono facciano civiltà. Chi allora ha combattuto per l’umanità?

Quanto a pulizie etniche e a “territori sottratti ai curdi”, i turchi stanno invadendo territori sovrani della Siria, nei quali i curdi, grazie all’appoggio bombarolo Usa e al sostegno materiale e politico di Israele e sauditi, si sono allargati, decuplicando la propria area di origine, cacciando da case, villaggi, istituzioni, terre e ricchezze petrolifere, i rispettivi titolari siriani arabi. Chi ha fatto pulizia etnica? E’ codesto il “progetto ambizioso e rivoluzionario persino per gli standard occidentali” celebrato dalla Sgrena? In effetti, se pensiamo agli standard occidentali degli ultimi secoli nei confronti dei popoli “altri”, magari lo è. E sotterriamo, per rispetto a femministe meno faziose, l’indecente, per tutti i versi, similitudine vergata tra i “sei milioni di ebrei e zingari trucidati dai malvagi tedeschi” (tedeschi tutti!) e le decine di vittime provocate dall’invasione turca.

Hillary e Suzanne nel Miniver
Chiudo con Amnesty, che non solo Giorgio, ma “il manifesto” con particolare trasporto e tutta la stampa di regime amano esporre nella vetrina del proprio arsenale di bombe vere e notizie taroccate. Negli anni degli assalti a Libia e Siria, perdurando quelli a Iraq, Afghanistan, Somalia e Yemen), era direttore esecutivo di Amnesty International, dopo essersene guadagnata i galloni da collaboratrice “per i diritti umani” di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato, Suzanne Nossel. Oggi, coerentemente, direttrice di “PEN America”, associazione di letterati e comunicatori d’ordinanza che assegna premi ai meritevoli.

  
Hillary Clinton, Suzanne Nossel


Mentre la sua capa organizza il massacro della Libia e si compiace sghignazzando dell’impalamento di Muammar Gheddafi, la Nossel, inaugura la serie di “dossier”, sistematicamente da fonti anonime o di oppositori, che satanizzano i resistenti alle spedizioni belliche e alle sanzioni di Washington, attribuendogli fantasiose turpitudini e scelleratezze inimmaginabili, esonerandone coloro che stanno dalla parte giusta. La rete è vasta: ad Amnesty, si affiancano  HRW, Save the Children, Avaaz  e quasi tutte le associazioni di cosiddetti “giornalisti investigativi” Numerosi i ripetitori installati in Italia, a destra e ancor più a “sinistra”.

Cosmesi e controcosmesi
Quello cui puntano tutti questi aggiustatori della verità nell’apparato mediatico e diritto-umanista, che l’imperialismo s’è costruito per sostenere le sue operazioni, è di farci spettatori di un teatrino dei burattini dietro al quale occultare la realtà di un’intera regione del mondo insanguinata e fatta a pezzi. Il crimine non è più il tentato sbranamento di un paese sovrano, Siria, Libia, Iraq, Afghanistan tra gli altri, con l’assassinio e la dispersione dei loro popoli, bensì l’attacco turco ai curdi. Non più i bombardamenti di massa e l’invasione di bruti psicopatici raccattati tra la feccia di mezzo mondo, bensì il ritiro degli invasori dal luogo del loro delitto. Non più la pulizia etnica inflitta dai curdi agli arabi della Siria e la balcanizzazione di quella nazione, ma la pulizia etnica che subirebbero i curdi nei territori da loro invasi. E sono i curdi ad aver debellato il tumore Isis, quando agli Usa conveniva sostituire il proprio mercenariato sputtanato con uno ammantato di ecofemminismo, mica, da otto anni su mille fronti, un popolo eroico in armi dagli oltre centomila caduti.

Per ora è vittoria

Come ora andrà a finire ce lo dicono gli apodittici depositari di certezze annidati nel Ministero della Verità. E’ vero che finora hanno vinto il popolo di Assad con i suoi alleati e tutti gli altri, carnefici e mercenari, hanno dovuto rinunciare agli obiettivi posti, restando solo appesi alla rete lacerata delle loro menzogne. Ma restano da togliere di mezzo il bubbone tumorale di Al Tanf, base Usa zeppa di jihadisti e la massa di terroristi Al Qaida e Isis ammassati dai turchi a Idlib. E c’è da far saltare l’indecente accordo Usa-Russia-Turchia sulla “fascia di sicurezza” di 32 km per 440, con cui Erdogan si vuole assicurare un pezzo dei più ricchi della Siria. Lasciando i curdi al di là, ma sempre su suolo arabo siriano. E restano da neutralizzare i furori mai spenti del groviglio bellicista Usa, quello detto Stato Profondo militar-industriale, dei neocon, clintoniani, Democratici, con i loro corvi mediatici (scuse ai corvi), che qui si fanno passare per giornalisti e, addirittura, per giornalisti comunisti.

Lo scandalo  di un vicepresidente merita l’impeachment  di un presidente
Un altro capitoletto va dedicato a quello che, sulla falsariga di quanto abbiamo appena illustrato sull’inversione della realtà, di tutto questo è un esempio stupefacente. Gli attori  sono sempre quelli. Trump, che ha colto in fallo un suo antagonista nelle prossime presidenziali, lo smemorato Joe Biden e, dal lato opposto, la vera estrema destra globalista che si ritrova nello Stato Profondo e si esprime politicamente nel Partito Democratico. In Italia tra i suoi pifferai di punta, troviamo quello Stefano-Bilderberg-Feltri che, nel Fatto Quotidiano, è  un valido chierico del culto antlantosionista  e della russofobia.

Per sommi capi. Riuscito a Obama-Hillary, con la mattanza dei loro cecchini a Maitan, il colpo di Stato in Ucraina, imposto dalla vice della belluina Clinton per l’Europa, Victoria - “in culo all’UE” Nuland, un premier made in yankee (Arseniy Yatsenyuk, per Victoria “il caroYats”), un battaglione di oligarchi economici Usa e ucraini si gettò a capofitto su istituzioni e beni ucraini, rinnovando in Ucraina i fasti dell’era Eltsin. Fra loro il vicepresidente Biden per interposto figlio Hunter. Che nel 2014, pure totalmente ignaro di questa, come di qualsiasi altra materia, venne infilato nel CDA di una corrottissima società del gas, la “Burisma”, a 50mila dollari al mese (sic!). Società distributrice di tangenti a destra e a manca, che già aveva ricompensato il lobbying a suo favore di papà Joe con 900mila dollari, ma che finisce poi, assieme a Hunter, sotto inchiesta del PM Victor Shokin. A questo punto il vice di Obama che fa? Si dà da fare perché le massime autorità ucraine archivino i procedimenti contro il fondatore e padrone di “Burisma”, Zlochevsky, e i suoi  manager e chiede al presidente addirittura di rimuovere il PM dal caso. Se non lo avesse fatto, il governo Usa avrebbe trattenuto il miliardo di dollari, promesso a Kiev. E Shokin viene rimosso.
 
Obama, Biden Sr, Biden Jr


Sgonfiato il Russiagate, gonfiamo l’Ucrainagate
Ci sarebbe stato, per la maggioranza democratica al Congresso, ampia ragione per chiedere, se non un impeachment, stavolta motivato, almeno le dimissioni del vicepresidente corruttore, mentre il governo ucraino, non fosse poco più di un carillon in mano ai Democratici, avrebbe dovuto perseguire Biden per ingerenze nel sistema giudiziario e tentata corruzione. Che fanno invece Nancy Pelosi e gli altri chierichietti delle rivoluzioni colorate di Obama? Vedovi inconsolabili del Russiagate, l’hanno visto radere al suolo dallo stesso rapporto del procuratore Mueller, ex-capo FBI. Sono in ambasce per gli abusi da galera, tra le tante altre nefandezze, compiuti da Hillary con l’uso del suo computer privato per migliaia di comunicazioni sotto segreto di Stato. Sono sotto pressione dal nuovo ministro della Giustizia, William Barr, finalmente non imposto dallo Stato Profondo, il quale sta trovando il filo rosso, anche tra gli obamiani nostrani, che collega, fin dal sabotaggio di Sanders da parte del Comitato Nazionale Democratico, gli intrighi clintonian-obamiani per portare Hillary alla Casa Bianca anche e soprattutto grazie allo sputtanamento di Trump tramite Russiagate.

E allora ecco la trovata. Morto il Russiagate, ecco l’Ucrainagate. Mica quello di una combriccola Clinton-Biden che s’impadronisce dell’Ucraina, muove la sua potenza militare ai confini della Russia, promuove un governo e un esercito nel segno delle SS naziste che vanno a massacrare chi né nazista, né amerikano vuole essere (a proposito, dove sono nella contingenza, gli urlatori antifascisti d’Italia?). Figurati! E’ il suo contrario: una corsa per oscurare le malefatte del fellone Biden, che si è perfino gloriato in tv di aver ricattato gli ucraini perché cacciassero l’accusatore del figlio e della sua ditta, e per incriminare The Donald per esseri permesso di chiedere al premier ucraino, Zelensky, di continuare a indagare su un cittadino Usa accusato di corruzione. Suo dovere, tra l’altro. Anche per evitare che domani possa finire nella sala ovale uno che ricatta il governo di un altro paese per mettere al sicuro il figliolo da provvedimenti giudiziari. Biden buono,Trump cattivo. Uguale a curdi buoni, Assad e siriani cattivi. Come anche proclama Bergoglio. E Feltri, e tutti gli altri, appresso. E’ il Ministero della Verità. Infallibile come il papa.