mercoledì 31 luglio 2019

“Misteri” trasteverini? Decreti “Sicurezza”? Pirandello e D’Annunzio “sporchi fascisti”? Bibbiano, salvi i bambini? Ci prendono per ------- SOMARI NEL PAESE DEI BALOCCHI



A Collodi
Se c’è un borgo che rappresenta l’Italia in quella che dei fantocci cartonati, fantaccini del mondialismo azzeratore, deridono o stigmatizzano come identità, dileggiando l’opera sinergica di natura ed esseri viventi nel corso di migliaia d’anni, per me è Collodi, in collina sopra Pistoia. Un borgo che si conquista risalendolo e che si perde scendendo. Non per nulla è da un paese così che è nata una delle più grandi opere della letteratura mondiale. Non per nulla il suo creatore, Carlo Lorenzini, s’è dato il nome d’autore di quel paese. 



Un libro, Pinocchio, che, come succede per i capolavori assoluti, ogni volta che lo rileggo vi trovo un nuovo strato dell’edificio della conoscenza. Come succede con le vette più vicine all’Olimpo, meglio, al cielo, più dentro al cosmo: Omero, il teatro dei greci, di Shakespeare, di Pirandello, la Divina Commedia, il Faust, La figlia di Jorio. Da quel genio del profondo e difficilmente visibile che era, Carmelo Bene ha fatto Pinocchio a teatro, dando a questo supremo romanzo di formazione l’introspezione necessaria a tirarne fuori le verità scomode, occultate dalle verità comode di superficie. Facendo della solita fatina buona e maestrina, la madre megera che si agita nel nostro inconscio fin dai lontani millenni del matriarcato. Quella anche di Haensel e Gretel.


Quando dal paese dei balocchi si esce somari
Questo ampio preludio vuole rendere omaggio a un personaggio, burattino, diversamente da tutti noi, solo di se stesso, che da sempre mi insegna a gettare abbecedari in testa al politicamente corretto. Ma apre anche a un mio sacrilegio nei confronti di Collodi, quando mi permetto di sostituire a una sua allegoria un’altra, che mi pare più consona. Nel Paese dei balocchi, dove sollecitato dall’infiltrato liberista Lucignolo e trasportato dal pusher Omino di burro, a forza di giochi, coca e assenza di scuole, i ragazzi diventano tutti ciuchini. Animale malscelto. Il ciuco è politicamente scorrettissimo e fa di testa sua più di qualsiasi quadrupede. Un po’ come il bassotto rispetto agli altri cani. Se proprio avesse voluto rappresentare l’azzeramento della maturazione dei ragazzi  con simboli animali, cosa mai rispettosa nei confronti di animali che, per l'intelligenza nello stare in armonia con il loro habitat, ci superano tutti quanti, avrebbe potuto usare i polli. Meglio,trattandosi di regressione, si potevano, che so,  trasformare i piccoli homines sapientes in homines erecti. La successiva  catastrofica involuzione del sapiens – come illustrata nell’immagine -  il buon Collodi non la poteva immaginare. Con Pinocchio alla macina, s’era fermato al lavoro salariato.

Un lungo sproloquio per dire che qui ci prendono per somari nel paese dei balocchi. Anzi, come metaforizzato nella correzione al maestro, per homines neanche erecti. Ma ci va anche peggio. Molti di noi, quasi il 38%, si stava dando da fare per regredire allo stato di homo salvinianus, ulteriore degenerazione del homo pidinus, che già era la fase involutiva del homo (demo)christianus.

Paese dei balocchi quel Trastevere zeppo di Lucignoli e omini di burro. Noi, ciuchi a cui rifilare le girandole scoppiettanti dei due balordi con pugnale, del pusher invisibile, dell’intermediario che per l’intera notte intrattiene rapporti fisici e telefonici con l’apparato d’intervento dei CC. I quali, con ben quattro pattuglie mobili e vari appiedati in zona, girano a vuoto per mezza nottata nel bailamme della movida tra Trastevere e Prati. Ma all’appuntamento decisivo con i malviventi si presentano, uno senza la pistola, “dimenticata” nell’armadietto, l’altro, sì, con la pistola, ma congelata nella fondina, mentre al collega vengono inferte uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici coltellate. E ora arriva anche il dubbio, davvero sconcertante, che i due non fossero neanche in servizio. Cosa ci facevano lì? Neanche uno sparo in aria. Il collega avrebbe rischiato l’incriminazione, ci hanno detto... E allora che il povero vicebrigadiere si facesse assistere da San Michele.
Ci asteniamo dal trarre conclusioni. Nel giro di minuti i giornaloni dell’odio e del rancore ci attribuirebbero la “dodicesima pugnalata” al povero Cerciello.  Ci accontentiamo delle parole del procuratore Prestipino: “… Ma dire che a distanza di tre giorni che non ci siano ancora aspetti oscuri, sarebbe quantomeno precipitoso”.  Oscuri come la notte. Di Trastevere e della Repubblica.

Ciuchi nel circo TAV

Peggio dei somarizzati del paese dei balocchi, forse alla stregua del ciuchino Pinocchio alla mercè del direttore di un circo che, a forza di frustate, lo fa ballare, saltare il cerchio e inginocchiare (la fatina dai capelli turchi sta a guardare. “Le avventure di Pinocchio”, cap. 33), ci considerano quelli che fanno passare per progresso una ferrovia semivuota, che sventra valli, comunità e montagne, concepita alla fine del secolo scorso e che i partner francesi, avendone sul loro territorio due terzi, ma pagandone un terzo, finiranno alla metà del secolo in corso. Quando ci sarà più poco da trasportare, dato che le stampanti tridimensionali fabbricheranno tutto in casa e le masse previste viaggiare, chissà perchè, da Torino a Lione, saranno state decimate dai volo low cost, se non dal calo demografico, dallo scioglimento dei ghiacciai che avranno inondato le valli alpine con tutti i loro binari e, se non basta, dalle stragi elettromagnetiche del 5G. Ecchissenefrega, non vogliamo mettercelo? L’Italia nel mondo passa da qui. Col passaporto ‘ndrangheta che, finchè dura la globalizzazione capitalista, vale dappertutto.



Sicurezza decchè?
Ci sarebbe da dire del Sicurezza Bis, binomio di cui ha una certa aderenza alla realtà solo il secondo termine, visto come siamo messi in fatto di sicurezza nell’era del ministro di polizia e di tutto. Se di sicurezza si deve parlare, preoccupiamoci di quella degli africani, arabi, afghani, palestinesi, ai quali la sicurezza l’hanno rubata i parenti serpenti di Salvini, mentre ciò a cui li consegnano i partner dei barconisti è la sicurezza del caporale compatriota che ti spolpa per due euro all’ora, o del boss compatriota che ti fa picciotto della quarta mafia, quella nigeriana. Mi scaldano poco coloro, detti progressisti o sinistri, che inveiscono contro le misure indirizzate contro la neo-tratta degli schiavi, mentre nulla eccepiscono sulle misure che renderanno la partecipazione alle manifestazioni di studenti, pensionati, pastori, disoccupati, insegnanti, badanti, operai, a rischio di lazzaretto e carcere. Mi scaldano poco i provvedimenti, prima dissuasivi e poi punitivi, previsti per chi collabora al nuovo colonialismo inteso come strumento di dominio, predazione, alienazione, interne ed esterne, e finalizzato a rimpolpare la bulimica accumulazione dello 0,01% e dei suoi sicofanti. Sarà eterogenesi dei fini, rispetto all’allergia che i leghisti nel decreto esprimono per i neri, ma ben venga. Come non pensarci, a scoprire che la giustiziera della Grecia, madrina dei secessionisti lombardo-veneti, Merkel, era la sponsor e finanziatrice dell’eroina Rackete?




Pirandello e D’Annunzio? Alla colonna infame!
Ancora due temi. Anni fa mi scontrai duramente con un amico comunista, accanito studioso di Hegel e instancabile divulgatore di marxismo-leninismo. Degno di ogni rispetto, fino a quando la conversazione non sbattè contro una montagna sulla quale io stavo assiso e che lui intendeva spianare: Luigi Pirandello. Dimentico del pur amato Gramsci che, contro un burocrate sprovveduto che ne aveva sparlato da un palco a Mosca, aveva difeso il valore eversivo e il talento innovatore del  mirabolante creativo Filippo Tommaso Marinetti, il cui futurismo ebbe seguaci geniali soprattutto nella prima URSS, il compagno si accanì contro “quel venduto fascista con la camicia nera che inneggiava a Mussolini”. Essendosi messo la camicia nera, non valeva niente. Punto.




Pirandello, avrà pure messo la camicia nera, ma quella parte del cervello che non vi era implicata, cioè il 90 per cento, in quanto generatrice della più spietata, coraggiosa e profonda critica della degenerazione borghese dell’uomo, era più ontologicamente antifascista di quanto il compagno duro e puro potesse mai sognare di essere.
Il ricordo di quella disputa mi porta a Trieste, dove una autentica torma di belluini indignati si oppone all’erezione in piazza di una statua di Gabriele d’Annunzio. Anatema, in primis perché il Vate flirtava con Mussolini, anzi ne era l’ispiratore; in secundis, perché l’evento si voleva collegare alla ricorrenza della presa di Fiume guidata dal Comandante. Tutto visto, come da quel mio amico del Pirandello abietto fascista, nell’ottica striminzita, antistorica, settaria di un antifascismo dai toni totalitari e ottusi.


Cosa resta nel tempo di D’Annunzio? Il suo pavoneggiarsi nei salotti romani, i suoi tonitruanti manifesti interventisti, i suoi amori, certe prose turgide e perdute nelle irrilevanze? O una cultura vastissima che ci ha riavvicinato ai classici e alla letteratura mondiale moderna? O l’inventore della comunicazione di massa e di strumenti della modernità? O opere sfrondate dalla retorica del tempo, di indiscutibile valore e di toccante sincerità, in poesia come in prosa e in teatro. Come “La figlia di Jorio”, in cui il movimento delle donne dovrebbe vedere una prima rivendicazione di libertà ed emancipazione dopo l’archetipo Antigone.

Un uomo dei suoi tempi, nel bene e nel male, ma che li ha trascesi per restare nella Storia. Anche con l’impresa di Fiume che, se permettete, va vista sullo sfondo di città con diverso hinterland etnico-linguistico, ma con secoli e secoli di presenza italiana e costruzione culturale italiana. Sia detto senza l’ombra di un revanscismo territoriale, o di indulgenza contro le violenze successivamente inflitte ad altri titolari di quelle terre, ma contro l’unilateralità di chi si attesta su posizioni che impongono alla realtà storica ex-post rivisitazioni nel nome di ammende che spettano esclusivamente ai fascisti e al loro tempo.
D’Annunzio arrivò prima. E arrivò contro la soperchieria e l’arbitrio delle grandi potenze che pretendevano di imporre, allora come oggi, al nostro paese il destino a loro conveniente. Quello di Fiume, oltre a comprendere la redazione di un documento costituzionale, la Carta del Carnaro, che compete con quello della Repubblica Romana per istanze democratiche e sociali, fu un atto antimperialista, in difesa di una realtà storica che datava da mezzo millennio. A dir poco. Dunque D’Annunzio, poeta e protagonista della Storia nazionale, in piazza a Trieste ci sta benissimo. Gramsci lo gradirebbe. Non era di quelli stolti dell’acqua col bambino.
Italia 1600


Bibbiano? C’è di peggio.
Chiudo con un breve riferimento alla scellerata vicenda di Bibbiano, dove energumeni dal cinismo subumano si autoinvestivano del diritto di disporre di vite indifese, fragili, inermi, sulla base del solo criterio del profitto per sé e i compari, magari sentendosi anche un po’ dio, come i chierici del potere temporale. Nulla da aggiungere su quanto denunciato e deprecato. Solo che, ancora una volta, ci rendiamo grandi e incomparabili per ipocrisia e autocompiacimento. Dove sono le grida di disgusto, rabbia, indignazione, repulsione, a buona ragione lanciate su questa orripilante vicenda di dominio sadico, dove sono i pedagoghi, sociologhi, giuristi, educatori, moralisti, quando sui nostri schermi appaiono, senza remora e senza interruzione, bambini uguali a quelli manipolati e manomessi, manipolati e manomessi alla stessa stregua per pubblicizzare un qualche prodotto, perlopiù truffaldino, o superfluo, o nocivo. Ma anche se fosse la Sacra Sindone!




Che qualifica dare a coloro, genitori in prima linea, e poi il turpe branco dei pubblicitari, produttori, mediatori, agenti, confezionatori, grafici, copywriter, dirigenti di TV, che impongono a bambini senza difese intellettuali e provvisti solo di indebita fiducia negli adulti, la menzogna, la finzione, la recitazione, il dire ciò che gli impongono e che ripetono senza poterci credere. Si tratta di violenza senza limiti. Si tratta di abuso. Si tratta di prostituzione, si tratta di mercimonio. Insegnano a mentire. Oggi sulla merendina all’olio di palma, o sulla macchina scalda pianeta. Domani sul Tav. Ci fa schifo la classe dirigente che abbiamo, quando da piccoli venivano tirati su a forza di ipocrisia, esibizionismo, vanità, con i loro genitori che li incitavano a dire cose che non pensavano, a sorridere quando non se la sentivano, a obbedire a venditori di menzogne, insomma a fingere anziché essere autentici, onesti, veritieri!  

Tutti coloro che si sono tanto spesi, in lacrime, opere e parole per i bambini sui gommoni, nei presunti lager libici, tra le macerie siriane (solo quelle nelle zone occupate da jihadisti o curdi), nei traffici di Bibbiano, dove cazzo sono?

lunedì 29 luglio 2019

Uno sguardo lucido sui 5 Stelle - E, di palo in frasca, uno sguardo annebbiato sui misteri e orrori di Trastevere



Sembrerebbe che i due argomenti che ho affastellato qui c’entrino tra loro come i cavoli a merenda. E così è. Ma, se guardiamo al contesto, sono entrambi pioli di una scala che continuiamo a scendere.

Con Mario Monforte, della rivista "Il Ponte" fondata da Piero Calamandrei e una delle poche pubblicazioni rimaste a opporsi con intelligenza critica e propositiva, sono da tempo in  proficua e istruttiva corrispondenza, in particolare sulla vicenda, oramai parabolica, del Movimento 5 Stelle, forza sociale e politica che entrambi abbiamo sostenuto. Oggi mi ha inoltrato un breve intervento in vista di una delle assemblee che i 5 Stelle e i cittadini dell'ex-Repubblica Fiorentina organizzano per confrontarsi con gli eventi e, magari, reagirvi. Lo pubblico in calce e rimando a data successiva una mia seconda puntata su quanto sta determinando la sostituzione della lotta contro il Tav con una puramente strumentale e demagogica campagna verbale NoTav in un parlamento quasi tutto TAV e, dunque, dall'esito scontato. Una sciarada. Esito assolutamente per niente scontato, prima dell'ennesima fuga all'indietro del premier Conte e del patetico traccheggiare per mesi dei vari ministri 5 Stelle.

Il pasticiaccio brutto di Piazza Gioachino Belli

Ma lasciatemi dire un paio di parole sul fattaccio-fattone del giorno: l'uccisione di un carabiniere da parte di due future promesse dei Marines, passate prima per maghrebine, poi per africane e, solo alla resa dei conti con Salvini e i salviniani, per cittadini statunitensi. Lascio ad altri investigatori non condizionati, nè Nato-guidati, la disanima di un'inchiesta che più pasticciona, contradditoria, piena di buchi e ombre vastissime, è difficile confezionarla, pure in un paese di pasticci, misteri e intrighi esperto per antichissima pratica dei suoi potenti. Mettete insieme uno spacciatore evaporato, un mediatore che chiama i carabinieri a dispetto della sua identità di correo e che qualcuno qualifica di informatore, i carabinieri che spediscono una pattuglia mobile in divisa e armata che, però, poi svanisce e, successivamente due carabinieri in borghese, disarmati, che i due tossici Usa prendono per chissà chi e, in evidente dubbio sulle loro intenzioni, ne accoltellano uno a morte. Dell'altro carabiniere non s'è mai capito bene cosa avesse finito col fare. Pare che si stesse accapigliando con il secondo ragazzotto.

Trastevere e che ne hanno fatto



Tutto questo è successo a Trastevere, quartiere nel quale ho abitato una prima volta a cavallo dei '50-'60 del secolo scorso. Artigiani, artisti, trattorie  casarecce, scuderie delle botticelle, bimbetti a giocare a Campana, bar degli amici col bianchino e col chinotto, centro sociale e culturale comunitario la scuola pubblica Giulio Romano. Una comunità affratellata da due millenni di storia, solidale, piccola malavita tra amore e coltello, i fiumaroli, le canzoni, le cene di rione in strada, lo splendore del Cinque e Seicento tutt'intorno. Gran padrona degli stabili in primis la Chiesa e quando nei '70 iniziarono ad annusare l'incanto genuino del borgo i de-genuinizzati di Hollywood in trasferta a Cinecittà, certi papaveroni della créme letteraria e giornalistica cosmopolita che amavano proletarizzarsi tra il bollito e il Velletri di Augustarello,  arrivò anche qualche primo ratto speculatore. Il Vaticano come sempre capì l'antifona e corse coi tempi a far correre gli affitti. Inizio dello spopolamento, prima verso Marconi, poi la Magliana, poi Torre Maura, Tor Sapienza, Tor, Tor... Dopo una breve gentrificazione, la massiccia mafizzazione dei '90 e oltre.Ogni portone barocco un locale, localino, localaccio. Puzza di impunità mafiosa da ogni vicolo. E dunque spaccio. E, dunque, la movida, tra turisti che s'illudono di stare a Trastevere e truzzi e tamarri e coatti che fanno del cimitero di una cultura millennaria territorio di scorribande tipo i due statunitensi. Trilussa piange lacrime di marmo da dietro gli sterpi che ne avvolgono la statua. 

Abu Ghraib alla matriciana
Torniamo al delitto. Mi rendo conto che, non protetto dalla qualifica di cronista giudiziario, mi si possa far passare per complottista che vaneggia a fianco di terrapiattisti e negatori di verità certificate e che non devono neanche più essere sottoposte a rivisitazioni storiografica,  se non al costo di putiferi, esorcismi, esclusione dalla comunità umana. Per non correre questo rischio, oltre a esporre i fatti come riportati dai giornaloni, non esprimo valutazioni. Ma una valutazione mi sia consentita, anche se ridotta a pigolìo nel rimbombante e rintronante peana per un giovane milite dell'Arma divenuto eroe nazionale e transnazionale per aver avuto la sventura di essere baionettato da uno stronzo americano. Per quel carabiniere dispiace assai a me come a tutti, ma mi chiedo se una simile apoteosi sarebbe spettata anche a un civile benemerito per militanza ecologica, trafitto da un qualche ragazzo tirato su a cocaina, guerre per la democrazia e videogiochi a eliminazione di tutti, tipo Fortnite. Chissà. Intanto Pietro Micca si torce d'invidia.



Ma il punto più significativo di tutto questo, significativo per i tempi che corrono, è che i carabinieri, catturato e reso inoffensivo il reo nelle loro segrete stanze, violando la Costituzione, i regolamenti delle Forze dell'Ordine, gli standard di comportamento di chiunque abbia per le mani un essere vivente inerme, lo riducono a icona salviniana delle pratiche Usa tipo Guantanamo o Abu Ghraib, bendato, ammanettato, piegato in due. Cosa avrebbero voluto fargli dire? Intanto sappiamo cosa ha esternato il capo delle Forze dell'Ordine alla vista dell'abughraibino stavolta non iracheno: "Di vittime ce n'è una sola".



Con che faccia...
Intanto qualcosa, il costrittore e il fotografo dei CC, sono riusciti a mettere in bocche della verità come il Washington Post o il New York Times: una virulenta indignazione su come, in Italia, si violentino i diritti umani e se ne ricavi modello delle istituzioni pari a quella con cui i Borgia hanno reso questo paese agli anglosassoni degno di imitazione. I due giornali, in virtù delle nostre obnubilazioni e del copia e incolla che ne fanno tutti gli altri, sono considerati gli standard aurei del giornalismo mondiale. Infatti sono quelli del Russiagate finito in coriandoli; quelli che basta che si affaccino dai loro loft per NON vedere poliziotti e sceriffi sfondare porte di case  perlopiù di neri, perlopiù di poveri, abbattere cani ringhianti, fucilare sul posto un minorenne, sempre nero perchè, schiacciato sul cofano, ha mosso un piede (si chiamano operazioni SWAT e Obama ne ha fatto la guerra agli irregolari e importuni interni). Sono quelli, che con la vista allungata dei loro inviati negli hotel a 5 stelle, ci istruiscono su come Gheddafi, Assad, Saddam. Maduro, Ortega Putin, Xi Jinping, perfino la vecchia fiduciaria Aung San Suu Kyi, sterminino inermi patrioti e democratici e come l'unica speranza nell'est del mondo sia rappresentata dal nazi-battaglione Azov all'attacco dei filorussi del Donbass. 

Ecco, questo mi stava sullo stomaco e me ne sono liberato. Ora la parola al puntuale 
Mario Monforte. Una considerazione da tener presente, tanto sintetica quanto precisa.


Ho una “sensazione” non positiva della “cosa” che andiamo a vedere di condurre nella maniera migliore che ci riesca. Perché? Non perché “le cose” non siano chiare, anzi evidenti. Il M5S con questo governo è arrivato al punto di approdo. Infatti, una “caduta” può capitare, è un caso andato storto; due “cadute” pongono la domanda se sia un caso o no; tre “cadute” non sono casi, ma segnano direzione e modo d’essere. Si deve fare l’elenco? Reddito e pensione di cittadinanza (fonti di ampi consensi al M5S) condotti in modo del tutto striminzito, escludente e sottoposto a vincoli stringenti (di efficacia molto limitata); pensioni malamente affrontate (la quota 41 non muta granché la L. Fornero); investimenti ridotti al minimo (dall’ampio piano che avrebbero dovuto avere); questione Ilva “risolta” … a quella maniera; sí ai vaccini obbligatori; sí al Tap; sí al Muos; sí alle trivelle; sí infine al Tav (non solo TO-Lione, ma anche a tunnel-Foster a Firenze, per non dire del sí all’insensato aeroporto); Di Maio che dice di farsi tatuare in fronte il sí all’euro, quindi all’Ue, e – ciliegina (anzi, ciliegiona) sulla torta, il sí (decisivo) alla Von der Leyen (che accoppiata con la Lagarde alla Bce!). C’è qualcosa da commentare? 

E non basta: la pantomima del “noi 5S siamo per il no Tav, si fa la mozione …” - è inutile dire che sarà ovviamente battuta, ma questi stessi 5S non sono i “soci di maggioranza” del governo? – e la “riorganizzazione” del movimento indicata da Di Maio (qualcuno pensava che il voto on line l’avrebbe bocciata?), che, a parte l’indizione dei “facilitatori” (termine già insensato, ripreso dalle [pseudo-]scienze della [de-]formazione), è di un vuoto totale (si “riorganizza” su che, a che, perché, per fare che?), e mostra solo l’intenzione di avere un po’ di apparato di sostegno (a eletti e governanti, ma a che fine? Per quello che stanno facendo?), a mo’ di para-partiticchio. È del tutto evidente - o almeno lo dovrebbe essere - che solo andando oltre il presente punto d’approdo del M5S si può mantenere e rilanciare non il movimento cosí com’è, ma mantenere e salvaguardare il fermento di reattività e di istanze e di cambiamento che il movimento ha suscitato e intercettato (e presto poi perso e il piano è inclinato verso il basso), e rilanciare il movimento come (quello che per ora chiamo) movimento democratico popolare (che è un prosequio ma anche un oltrepassamento, che richiede di sprofondare una serie di “costrutti” del tutto inadeguati e frenanti). Questo è (o dovrebbe essere), appunto, evidente.

Ma c’è una serie di ostacoli e impedimenti: l’attitudine a proseguire cosí come si è fatto e si sta facendo; le critiche a questioni e atteggiamenti specifici, ma non al complesso; la delusione e lo sconforto di tanti, che portano a distaccarsi, o comunque a ritenere che l’impegno non abbia grandi esiti (per cui lo si fa, sí, ma …); l’idea che non si possa e non si debba uscire con forza dirompente dalle secche (e dal dirigismo) in cui si è arenato il movimento; la mancanza di adeguata e approfondita comprensione della realtà (il capitalismo come modo di produzione e il capitalismo della fase presente, i suoi organi funzionali, come l’Ue, e l’adattamento dello Stato a tale funzione, la sua tecnologia, invece assunta ed esaltata in sé e per sé, la sua ideologia operativa ossia il liberalismo); il rinvio costante a “la pratica val piú della grammatica” (ma la pratica cieca è funzionale ad altro o non serve a niente). È vero che la situazione generale, culturale, mentale, comportamentale, in Italia (e non solo, ma siamo in Italia) è molto deteriorata; però cosí ci stiamo dentro e non ci se ne tira fuori. Donde la mia sensazione non positiva - ben motivata.
Mi chiedo se almeno coloro che puntano (o punterebbero) a una gestione fattiva dell’assemblea del 4 ag. riescono a superare tali ostacoli e impedimenti, o vi soggiacciono. L’incontro di domani sera servirà a “fare il punto”. In un senso o nell’altro.
Mario Monforte

giovedì 25 luglio 2019

5 stelle nel buco nero NUN TE REAGGAE PIU’ La Storia in farsa: Di Maio, l’Occhetto del MoVimento, Conte, il suo Napolitano




Quos vult Iupiter perdere, dementat prius (A coloro che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione)

Come può un movimento proseguire nella sua azione di cambiamento della Cosa Pubblica? Necessariamente attraverso un continuo attacco al pericolo numero uno della collettività: il pensiero dominante, la forma di fascismo più pericolosa del XXI secolo”. (Alessandro Di Battista, “Politicamente Scorretto”, edizioni Paper First)

Prima del diluvio
Si stava al fresco, iniziando, con l’aiuto di Speck, succhi di mela, automobilisti rispettosi, gerani ai balconi, gente senza cellulari sui sentieri, abeti rossi e praterie di trifoglio, l’adattamento al salto dai consuetudinari 380 metri ai quasi 2000. Arrivavano, dalla bottega alimentare che mi consegnava la mazzetta dei giornali, le solite notizie appassionanti confezionate dalle eccellenze del giornalismo nostrano traendone i materiali  da territori tra il deserto, la palude e i letamai. Grazie alle ottime condizioni ambientali, spirito e corpo riuscivano a tenergli testa.

Statunitensi, ammattiti per gli scacchi di Venezuela e Siria, che sbattevano furiose sciabole su tonitruanti scudi in mezzo al Golfo; Elisabetta Due che, in ansia competitiva con l’omonima numero Uno, rilanciava pirati alla Drake contro petroliere da razziare; eletti europei che, in cambio di guiderdoni, cavolini di Bruxelles e foie gras di Strasburgo (da oche inchiodate quanto loro al patibolo della libertà), si prestavano a formare un “parlamento” che era tale come Salvini è Bismarck; l’inestinguibile flusso di zozzerie, volgarità, malandrinate e imbecillità Lega e PD che continuava a scorrere ai piedi degli italiani fermi e impassibili sulla sponda del fiume (mai un cadavere); i tg nazionali che al confronto di quelli tedeschi, francesi, russi, nigeriani (pure disponibili nel maso) parevano Sfera Ebbasta contro Aretha Franklin, tanto che ci si riprendeva solo alla vista del canale provinciale con i suoi jodel e i suoi caduti dalla bicicletta.

Il masso di Sisifo

Più arduo sostenere l’accanimento alla Sisifo con cui dovevamo riportare in alto la nostra fiducia nella capacità del fiorettista Di Maio di reggere al clavista Salvini, man mano che il punteggio nel masso che irrimediabilmente tornava a rotolare giù: la cacciata a Torino di un’eccellenza di vicesindaco per aver voluto scongiurare, nel solco della tradizione 5 Stelle, l’offesa di rombanti ferraglie automobilistiche alla strisciolina di alberi, malmenati dallo smog 365 giorni all’anno, che lassù chiamano Parco del Valentino;  l’atteggiamento del topino in fuga dal gatto sulla questione dello sfasciaitalia dei patrioti leghisti che, alla vista della demolizione controllata della casa, si accontenta di portarsi via il suo pezzetto di formaggio (la scuola); il plauso prossenetico all’ectoplasma tardo-DC, Sassoli, presidente dell’Europarlamento e il voto autocastrante al pitbull da guerra Ursula von der Leyen… e via incorporando cetrioli.

Ci si aggrappava al dato che, a parte il pupazzo acchiappavoti anti-migranti, i 5 Stelle erano stati gli unici a non dare dell’Antigone alla torpedine anti-italiana infilata nel Mediterraneo da Merkel e Soros, brava figlia  nel nome del padre Ekkehart. Ekkehart Rackete di lei dichiaratosi orgogliosissimo, nonché ex-colonello della Bundeswehr e attivo nei settori Sicurezza e Investigazioni (leggi Intelligence) per la Dr.FehrGmbH, e produzione ed export di armamenti per la Mehler Engineered Defence. Intelligence e armamenti che sicuramente avranno contribuito a far arrivare qualche africano sui gommoni “salvati” da Carola.

 La famigliola Rackete

Ripartiamo. S’era finito di stare al fresco e al verde relativamente incontaminato, ambientale e comportamentale e si era tornati tra le pietraie arroventate del nostro perenne malessere, ambientale e comportamentale. La combinazione tra trauma da rientro e la costellazione dei cinque corpi celesti, che per un po’ aveva illuminato le nostre oscurità, precipitato in un buco nero, è stata la mazzata finale.

Hanno fatto tutto da soli
Gli sbruffi anti-M5S dello sbruffone rignanese con le braghe alle caviglie sono passati come tuoni lontani che sembrano ronfi, senza lampi e senza pioggia. Quelli del fratello sfortunato del commissario Montalbano stanno alle esternazioni dei suoi avversari come Antonio Razzi sta a Cicerone. La guerra termonucleare dei media e dei sinistridestri a edicole, schermi e partiti unificati (l’unica Grande Destra) contro i 5 Stelle, se ha avuto qualche effetto tra la gente, ne ha conservato e rafforzato il consenso. Così come l’accanimento dei vignettisti satirici, da Vauro a Natangelo a Mannelli a Biani, eccetera, passati dal graffiare i potenti a sfottere chi ai veri potenti si oppone. La morte è sopravvenuta per suicidio. Il sì al TAV, un coacervo di infamie politiche, economiche, ambientali, infrastrutturali, morali, legali, da ridurre Tangentopoli, anche con le porte spalancate sul malaffare che consacra per i secoli a venire, a un furto di polli. Un assist a Salvini e a tutto ciò che il magliaro delle magliette ad hoc rappresenta in termini di distruzione dell’Italia, legale, morale, ambientale, culturale, civile, nazionale. O questo bubbone viene rimosso, a partire dai resistenti No Tav e di quanto rimane di luce nelle 5 Stelle, o siamo alla “fine della storia” di Fukuyama, almeno per l’Italia. Ciao Dante.

 
Una nuova cravatta per Di Maio


Il male si mangia il bene
Il parecchio buono fatto, a dispetto di sinistri in trance e al soldo imperial-liberista, alla faccia di sindacalisti da Opera dei Pupi, spazzato via da un Conte azzeccagarbugli e da un ragazzotto rampichino, brillante scalatore, esperto di traguardi volanti, ma sconoscente di territorio, morfologia, storia, percorso e momenti cruciali che fanno vincere il giro. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, salario minimo, legge spazzacorrotti, integrità collettiva assoluta e senza uguali e precedenti nella storia patria… Tutto finito nel buco nero con cui la classe dirigente più corrotta di per sé e nelle istituzioni in cui s’infila, dalla magistratura all’imprenditoria, dal sindacato ai media, sta sventrando il paese. A partire da Val di Susa, dal TAP, Terzo Valico, Muos amerikano, vaccini obbligatori, tutta roba che ieri andava disfatta e che ora risulta irreversibile, salvo penali da mandarci in default non una, ma tre volte. Menzogna sesquipedale, dato che le illegalità, la mafiosità, le violazioni di norme ambientali, la corruzione e, nel caso del Tav, la clausola anti-penali negli accordi, avrebbero resa vano qualsiasi tentativo di rivalsa.

Cos’è successo? E’ successo che, come Landini ha buttato la maschera del Capitan Fracassa e non si è rivelato null’altro che il feudatario della marca sindacale sotto controllo dell’Impero confindustriale, così il Di Maio del cambiamento, già sospetto per cravattino e giacchetta di antica ordinanza, se ne è uscito democristiano intrecciato al paradigma dell’esistente. Più Occhetto che Renzi, della coppia dei demolitori del proprio esercito ha assunto, nella ripetizione farsesca, ma non per questo meno tragica per noi, l’ostinato rifiuto di andarsene, dopo aver quasi dimezzato in appena un anno le fila di quell’esercito. Cose che succedono e vengono tollerate solo da noi.

Quanto a Conte Giuseppe, novello largointesista alla Napolitano, illustre avvocato che l’omino dell’uno vale me e che non dice mai “noi”, ma sempre e solo “io, io, io”, aveva messo lì in nome del suo movimento, aveva già fornito garanzie decisive, sia a Washington che al Quirinale. Prevarica la dichiarata neutralità del suo governo precipitandosi ad accreditare Guaidò legittimo presidente del Venezuela,  si pone al seguito dell’intervento colonialista sub-Nato dell’UE nel Golfo, fatto passare per “missione di sicurezza” e, poi, frigge di soddisfazione all’elezione di una Juncker femmina, blù di sangue, nera di austerity, dal tasso alcolico minore e dalle zanne più affilate. Assolutamente inconcepibile l’approvazione data da lui e Di Maio all’ennesimo colpo di mano autocratico e privo delle più elementari foglie di fico democratiche della nomina dei quattro bonzi UE imposta dal duo carolingio al comando delle nostre vite. Di cui veramente significativi solo la pregiudicata (poi in virtù di Macron assolta) Lagarde, cara in particolare ai greci e a chi ne è debitore, e la ministra della guerra von der Leyen. A noi è rimasta la ciliegina sulla torta: presidente del Parlamento il mio ex-collega al TG3, Davide Sassoli, che poco faceva, ma molto irrideva dal suo scranno di raccomandato DC. Ma, si sa, quest’anno le ciliegie sono venute male. 


Prima dichiarazione di Von der Leyden, dopo l’elezione a capo della Commissione, vinta grazie solo agli “euroscettici” 5 Stelle, più o meno così: “Merkel sarà pure la mia madrina, ma che si guardi bene dall’irritare Trump, Washington, la Nato e il mio rottweiler e compiacere Putin insistendo sul Nord Stream II”. A Conte , già bistrattato da buffo fantaccino agli  ordini dei generali Salvini e Di Maio, il riconoscimento più prestigioso è venuto dal noto selezionatore di centrattacchi per la Nazionale: da Berlinguer, attraverso Renzi e Berlusconi, a Conte. Per Eugenio Scalfari, dall’altro ieri, Conte è “il nuovo Moro”, come lui salvatore del paese attraverso la ricomposizione degli opposti. All’avvocato sono arrivati i capponi di Renzo, pardon, di Eugenio.

Conte e Di Maio intercettati
Abbiamo anche noi i nostri trojan, cosa credete. E abbiamo intercettato il dialogo tra Di Maio e Conte alla vigilia del patatrac del 25 luglio (data di rivolgimenti storicamente collaudata).
 
Perseverare diabolicum


 Ciao Gigi, ciao Beppe. Beppe, qua ci giochiamo il governo. Tranquillo, Giggino, è tutto sotto controllo, ce la caviamo. Magari tu, che ormai piaci anche a Scalfari e a Boccia, ma io rischio di finire sotto il treno. Guarda, si fa così: io mi prendo la responsabilità di  farlo partire quel treno, ma me la cavo inventandomi gigantesche penali da pagare e giurando che UE e Parigi tireranno fuori un mucchio di soldi mentre noi non metteremo che pochi spiccioli. Ma non è vero niente, né le penali, né i soldi! Lo dice anche l’analisi costi-benefici! E poi, lo capisci o no che noi sul NO TAV ci abbiamo costruito fiducia, voti, governo e fortune varie!  E ve li manterrete, oddio, magari con qualche piccolo contraccolpo. Domani vado al Senato e dò una passata di amuchina ai foruncoli russi di Salvini. Voi fate gli indignati e uscite dall’aula. Poi ci si vede tutti da Giolitti. Ma, Pippo, il treno, il treno…!  Tranquillo, Giggino, intanto abbozzi, ma ti rifai alla grande promettendo che quel treno dovrà passare per il parlamento dove, a votare no contro tutti, farai un figurone. E il governo andrà, il treno pure e anche voi, seppure con qualche stella appena appannata. Sei sicuro, Giuse? Ma poi c’è la questione delle autonomie differenziate e lì addio altre stelle, resteremo al buio? Qualcosa ci inventeremo anche per quelle. Ad agosto, si sa, in Italia passa tutto, altro che treni, interi modelli di sviluppo. Io mi vedo con Ursula e Christine che ci devono ricambiare i pasticcini.  Tu intanto vai a cena con Matteo, omnia munda mundis! Cosa? Vado. Ciao Giuse.


C’eravamo tanto amati
Ho letto l’ultimo libro di Alessandro Di Battista, felicemente, eversivamente, titolato “Politicamente scorretto”. A mettere l’uno accanto all’altro, i due dioscuri del MoVimento, con le rispettive facce, parole, non ci si riesce a capacitare che si chiamino vicendevolmente “fratelli”. Per quanto fossero tali anche i figli di Adamo. A me pare che si debba smettere di pensare, come pensa lui, che il M5S sia tutto Di Maio. Fin da quando ho condiviso la battaglia, di valle, regione, nazione, Europa, mondo, dei No Tav, dei suoi combattenti, della sua immensa comunità, dei suoi protagonisti come Alberto Perino (vedi il docufilm “Fronte Italia, partigiani del Duemila”), e poi le altre lotte che scorrono come vene per tutto il corpo del paese, gli attivisti, il popolo dei 5 Stelle, i suoi elettori, dimostravano di essere il più forte antidoto ai tumori innestati da fuori e sviluppati da dentro. Non possono tutti essersi spenti. Si diano una mossa.


Se rinnoviamo la salutare pratica costi-benefici del benemerito e mai smentito ingegner Marco Ponti e l’applichiamo al governo detto gialloverde, otteniamo uno zero benefici e costi altissimi per la componente verde e una bilancia in precario equilibrio per quella gialla. Questo, fino a l’altro giorno. Quando Mattarella avrebbe avuto ancora qualche esitazione a proclamare “o UE, o USA, o Nato o niente”. Con il voto a Ursula von der Leyen e il passi al TAV, questo governo e quello che noi tutti abbiamo pensato fossero i 5 Stelle sono diventati incompatibili.

Un saluto ad Alessandro Di Battista, Nicola Morra, Paola Taverna, Alberto Airola, Roberta Lombardi, Gianluigi Paragone, tanti altri e, speriamo bene, Virginia Raggi.

E’ proprio quando non si ha più nulla da perdere che si ricomincia a vincere” (Alessandro Di Battista, “Politicamente scorretto”)