venerdì 23 marzo 2018

UN SESSANTOTTO LUNGO UNA VITA - recensioni

Livio Partiti 10 marzo 2018 Fulvio Grimaldi
Fulvio Grimaldi
“Un sessantotto lungo una vita”
prefazione di Vladimiro Giacché
Zambon Editore
http://zambon.net





Il decennio ’68-’77 è quello che considero il periodo più significativo nella storia recente del nostro paese. Un decennio di cui non si dovrebbe perdere la memoria e di cui si devono contrastare le analisi strumentali, quelle fatte con il facile senno di poi, spesso denigratorie, o mettendo al centro le scelte opportuniste e il degrado politico e morale di alcuni personaggi allora molto in vista. Si tratta anche di una mia esperienza personale di grandissima intensità e che alle radici molto lontane nel tempo aggiunge un retaggio che non muore.
Fulvio Grimaldi ci spiega nelle ultime righe del suo libro, “io continuo a fare il giornalista”. E cioè a intervenire “ovunque ci sia bisogno di buttare sabbia negli ingranaggi e verità in faccia di coloro che noialtri, meglio di molti, avevamo individuato e colpito molti anni fa”. A 50 anni di distanza, è difficile sintetizzare meglio il perdurante significato del “Sessantotto”. (Vladimiro Giacché)
Fulvio Grimaldi nasce a Firenze, vive parte della Seconda guerra mondiale in Germania, studia a Genova, poi a Monaco, Colonia, Londra.

Lavora come giornalista professionista per la BBC a Londra, dal 1962 al 1967. Inviato di guerra per “Paese Sera” alla Guerra dei Sei Giorni in Palestina. Per “Paese Sera” e il settimanale “Giorni – Vie Nuove” è inviato in Africa, Europa, Vietnam, Medio Oriente, Irlanda. Direttore del quotidiano “Lotta Continua” dal 1972 al 1975. Ripara a Londra per cumulo di processi per reati di stampa. Dal 1977 al 1979 corrispondente dallo Yemen per una catena di riviste terzomondiste britanniche. Firma anche reportage dall’estero su “La Repubblica”, “L’Espresso”, “il manifesto”. Dal 1984 in Rai, prima al TG1 e poi al TG3. Lascia la Rai nel 1999 per dissensi sulla linea adottata sulla guerra alla Jugoslavia (“intervento umanitario”).

Dal 1999, da autore indipendente, realizza documentari di guerra: Iraq, Balcani, Palestina, Libia, Siria e documentari sull’Iran e sui rivolgimenti politici e sociali in America Latina: Cuba, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Honduras, Messico, Argentina, Brasile.

Tiene un blog, www.fulviogrimaldicontroblog.info, di politica nazionale e internazionale. Ha realizzato nel 2014 il suo primo docufilm su tematiche italiane: “Fronte Italia – Partigiani del 2000, dai No Tav ai No Muos, tutti i No della resistenza”. Seguono altri due docufilm di soggetto nazionale: “L’Italia al tempo della peste – Grandi Opere, Grandi Basi, Grandi Crimini”, e “O la Troika o la vita – Epicentro Sud”, sempre fuori e contro il perimetro dell’informazione ufficiale.
È stato insignito dal presidente della Serbia della “Medaglia d’Oro” per meriti giornalistici.

domenica 18 marzo 2018

UN ’68 LUNGO UNA VITA - Un libro nel cinquantenario di un'eccellenza italiana e nel quarantenario di un'operazione USraeliana travestita da BR






Non fosse che sui due eventi, il ’68 e l’uccisione di Moro, che hanno cambiato l’Italia più di ogni altro, dal dopoguerra ad oggi, a dispetto dei tentativi messi in atto nei successivi 50 e 40 anni dall’establishment, sempre quello, di offuscarli, deformarli, seppellirli nelle menzogne, stanno sbracando in maniera indecente tutti, me ne sarei rimasto zitto. Consapevole che la mia singola e debolissima voce, per quanto testimonianza diretta del tempo, diversamente da quella dei tanti figuranti, comparse, millantatori, epigoni, scopertisi protagonisti ex post, non avrebbe neanche inciso una lieve stonatura nel coro delle rievocazioni di regime.

Berlino apre al ’68. Vero.
Poi però è successo che la Germania, Stato oligarchico, plutocratico, capitalista quanto e peggio di altri, quello contro il quale cadde Rudi Dutschke, mi abbia dato l’occasione di scoprire che lo Stato borghese, quando si sente forte e sicuro, ha anche l’intelligenza di riservare qualche spazio all’altro, magari diverso, magari antagonista, senza boldrineggiare con la caccia a Fake News, estremisti, nazifascismi cartonati da sciogliere nell’acido. Avvertito della mia modesta e vetusta esistenza antimperialista e “sovversiva” grazie ad alcune apparizioni sugli schermi e nelle onde radio di un bravo giornalista contro, Ken Jebsen, copia in bella del Beppe Grillo d’un tempo, questo Stato decise di irrobustire la mia voce in misura tale da potersi udire anche in mezzo al rumoreggiare dei rievocatori di servizio.

A conferma di quanto ho appena detto sullo Stato tedesco e i suoi angoletti di democrazia, vi esiste e lavora una Centrale Federale per l’Educazione Politica (Bundeszentrale für politische Bildung) che dalla ricorrenza del ’68 ha tratto lo spunto per una grande mostra internazionale che si apre al Ludwig Forum di Aquisgrana il 19 aprile 2018. Porta il titolo niente male di “LAMPI DEL FUTURO – L’arte dei sessantottini, ovvero il potere degli impotenti” ed esporrà opere, scritte o figurative, di alcune decine di attori, testimoni, artisti, descrittori e analisti di quell’epoca e del suo Zeitgeist. Ancora mi chiedo perché, per l’Italia, anziché esponenti notori, come Oreste Scalzone, famigerati come Sofri o Mario Moretti, o storici come Bobbio o Mieli, ci sia io, semplice militante, mai leader di niente, semmai divulgatore del nostro ’68-’77, ma anche di quelli vissuti altrove. Forse qualcuno aveva scoperto che il mio ’68, in senso escatologico, nasce nel 1945, proprio in Germania, tra camicie brune e bombe angloamericane, alle elementari e poi alle università di Monaco e Colonia con l’Erasmus di allora, per riapparire alla Sapienza di Roma. E non è ancora finito.

Insomma, gentili e molto empatiche funzionarie di questa Centrale di “coscientizzazione” politica (il termine “Bildung” è più che “educazione”) mi chiedono un contributo al catalogo della mostra del ’68 sotto forma di scritto che racconti la mia esperienza in quel contesto. Liberamente. Il catalogo, di ben 600 pagine, e i suoi autori, soprattutto tedeschi, ma anche latinoamericani, francesi, britannici e altri) verranno presentati il 19 aprile, in occasione dell’apertura della mostra. Concomitante con il catalogo della Bundeszentrale, esce ora, per i tipi dell’editore Zambon, onorato da una prefazione di Vladimiro Giacchè e curato nella redazione e grafica da Fabio Biasio, un mio libro con quel testo in italiano e un altro con lo stesso, ma nell’originale tedesco: “Un ’68 lungo una vita”, ora alla Fiera del LIbro di Milano. (In Italia lo si può acquistare o ordinare nelle librerie, o rivolgersi a www.zambon.net . In calce elenco altri miei libri).




Parte da lontano ogni ‘68
Dubito che questo mio breve cammino narrativo, lungo un filo rosso che congiunge tempi e fatti che potrebbero sembrare incongrui, rivesta un particolare valore letterario o storico. Forse riesce a mostrare come quanto s’intende per ’68, nella sua specificità, non è limitato a quel decennio, ma che la messa in discussione dell’esistente, più o meno radicale, serpeggia, può serpeggiare, dovrebbe serpeggiare, sempre, in contesti apparentemente lontani e diversi. Cosa dice Totò nel magistrale monologo di “Siamo uomini o caporali”? Caporali si nasce, non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera. Degli uomini, “trattati come bestie”, Totò fa la denuncia, non esprime la rivolta. Erano i tempi. Valletta schiaffava gli operai nei reparti punitivi, lo Stato sparava impunemente contro i braccianti ad Avola. Ma non ci sarebbe stata, pochi anni dopo, Valle Giulia, senza quei prodromi. Prologhi, antefatti, ouvertures del melodramma.

Uomini che diventano caporali
Del ’68 molti degli “uomini”, che per Totò tali nascono, come i “caporali”, “caporali” sono invece diventati. Un po’ la metamorfosi di Kafka, da uomo a scarafaggio. Ciò che irrita sommamente e indigna e forse giustifica il mio libretto, è che molti di questi non si sono accontentati di diventare caporali, con le conseguenti gratificazioni concesse dalla categoria, ma non si sono peritati addirittura di rappresentare gli “uomini” di allora. Il primo a balzare sul tema è stato Flores D’Arcais con numeri speciali e convegni di Micromega. Vi imperversavano degne persone, dalle sagge rappresentazioni e considerazioni, ma che sinceramente io non avevo mai incrociato, né in piazza, né nelle università, né negli intergruppi, né nelle redazioni, né ai cancelli delle fabbriche, né nell’occupazione di case a Via Tibaldi, né in carcere. Gente del calibro di Camilleri, Renzo Piano, Carlo Verdone, Massimo Cacciari, Alberto Moravia… Magari ero distratto, o hanno fatto tutto mentre i processi al quotidiano “Lotta Continua”, di cui ero direttore responsabile, mi avevano costretto all’esilio: Londra, Bruxelles, Yemen.

Uno, portato in palmo da Flores D’Arcais, è Paolo Mieli, lo storico da schermo, onnipresente e onnisciente dove si parli di vicende tra il 1922 e il 1945, o il tuttologo dove si dicano parole definitive sui massimi sistemi politici, economici, sociali. o dietetico-cosmetici. Un padre della patria al cui confronto cambiacavallo e autoriciclati come Adriano Sofri, Lucia Annunziata, Paolo Liguori, Mario Tronti, Massimiliano Fuksas, Galli Della Loggia, pur ampiamente compensati per il passaggio di classe, fanno la figura delle vallette.

Le grandi metempsicosi, o darwinismo all’incontrario.
Non ricordo quale mese del ’69 fu, stavo ancora a Paese Sera ma ero già in Lotta Continua, che c’incontrammo per creare a Roma il primo giornale del movimento, “La Classe”. Quelli di cui ricordo la partecipazione alle riunioni “di redazione” erano Paolo Mieli, appunto, Oreste Scalzone, Stefano Lepri, Gianmaria Volontè, Lorenzo Magnolia (con i quali due ultimi avevo fatto “teatro di strada” sui temi che allora fiorivano rigogliosi: operai e padroni, divorzio, sessualità, Vietnam, colonialismo, e poi il film Oscar “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, il più forte film italiano sul Potere mai passato sugli schermi). Da quel giornaletto ultrà marxista-leninista, venni cacciato da Mieli perché, ancora infettato dalla “swinging London”, dove avevo passato gli anni dal 1962 al 1967, avevo contaminato il progetto suggerendo di inserirvi degradanti e borghesi fenomeni di costume come il rock, i nuovi rapporti sessuali, i fumetti, l’animalismo, l’avanguardia artistica. De “La Classe” uscirono tre numeri. Mieli è assurto all’empireo del Sistema, uomo-establishment a tutto tondo, Gianmaria Volontè ci ha lasciato gemme di grandezza umana. Io sto qua. Con una cervicale mi buca l’occipite.


Binocoli rovesciati
Dalla polvere di ignoranza, falsificazione, strumentalizzazione sotto cui il revanscismo postfascista democristiano, con la fattiva complicità del già marcescente PCI, ha sepolto quel decennio che aveva reso credibile l’alternativa totale, ora si lasciano riemergere voci inoffensive. Quale sciropposa e nostalgica, come si trattasse di un giardino dell’Arcadia in cui ci avevano lasciato giocare tra ninfe e pastorelli; quale impegnata a irridere e ridurre il tutto allo sfogo di adolescenti borghesucci, insoddisfatti della propria medietà sociale; quale rivendicatrice del proprio ruolo rivoluzionario senza averne i titoli. Mentre le prime di queste voci perlopiù non c’erano, se non col ciucciotto in bocca, non hanno capito niente e parlano per puntellare la catastrofe, o l’indecenza, della propria condizione attuale, altre c’erano e rivendicano, o senza averne i titoli, o bluffando, o millantando. Siamo al terzo mese del cinquantesimo e quelli seri non si sono ancora fatti avanti.

Molto si dà da fare “il manifesto”, che insiste a titolarsi “quotidiano comunista” contro ogni evidenza della sua identità reale e del ruolo assegnatogli. Primeggiano sul proscenio le due “signore del 900”, Rossana Rossanda, che vive la sua agiata senescenza all’ombra delle Tuleries, e Luciana Castellina, il superego oggi vessillifero, accanto ai simili Boldrini e D’Alema, dei propositi rivoluzionari di Liberi e Uguali. Di cui lei, ancora una volta, è l’anima, il cuore, i garretti, l’io. Il “manifesto”, da noi militanti con le bocce e la pizza a taglio, era visto come il calmiere delle istanze e pratiche del movimento. Signore e signori già allora inesorabilmente “radical chic”, fauna da salotti. Vi albergavano e ne venivano lanciati verso destini altamente remunerati e di prestigio sistemico i vari Riotta, Annunziata, Maiolo, Barenghi, Ruotolo, Menichini….

 Rossana e Luciana, mai un passo falso
Accanto a questi, va concesso, si sono espresse firme più coerenti e, dunque, pesantemente contrastate dai capi. Penso al grande inviato di guerra, mio amico indimenticabile, Stefano Chiarini, e alla grama vita riservata in direzione al suo eccellente lavoro in Medioriente. Colleghi inconsapevolmente ma sostanzialmente fuori linea rispetto all’orizzonte strategico del giornale. Quest’ultimo riconoscibile anche dal salvifico contributo disinvoltamente ottenuto da grandi inserzionisti dei poteri forti ENI, ENEL, COOP, Telecom, lobby della caccia e delle relative armi. Di Soros si mormora, ma non si dimostra, se non per induzione, seguendo le campagne disgregatrici sostenute dall’ufficiale pagatore del mondialismo neoliberista: Obama, Hillary, minaccia neonazista, molestie, migranti, russofobia, LGBT, diritti umani… . Ecco come la sinistra del “manifesto” si batte per l’ecosistema di tutti i viventi (vedi pubblicità "Caccia").

Pubblicità sul manifesto


Campagne che potremmo dire ben definite dalle polene sulla prua della nave, Rossanda e Castellina, rappresentanti di quella lobby che è sempre stata preponderante nel giornale e oggi lo ha quasi militarizzato, specie nei suoi inserti, a partire dal raffinatamente proletario “Alias”, Una delle ultime sferzate per raddrizzare una linea che, sulla Libia, con l’inviato Matteuzzi, era scivolata in critiche all’assalto Nato e jihadista, la diede Rossanda prima di ritirarsi nei Boulevard. “Contro Gheddafi, sanguinario dittatore, e accanto ai rivoluzionari di Bengasi, vanno richiamate in servizio le Brigate Internazionali di Spagna”, tuonò. La perspicacia e lungimiranza dell’altra, prima di farsi incoronare da D’Alema e Bersani dama di compagnia della Boldrini nei LeU, aveva dato luminosa prova di sè nella creazione della lista “Un’altra Europa con Tsipras”. Meravigliosa la “Brigata Kalimera”, di cui era capogita ad Atene, appena qualche ora prima che il nuovo alfiere della rivoluzione socialista non pugnalasse il suo popolo alle spalle rinnegando l’esito anti-Troika del referendum e sottoponendo la Grecia alla triturazione dei memorandum. Con l’ovvio corollario dell’eterna fedeltà alla Nato e dell’alleanza con Israele.

Il "quarantenario" delle voci del padrone, BR in testa
Rimane da dire che al cinquantenario si accompagna, altrettanto malamente, il quarantenario. Quello dove finiamo noi e incominciano gli anni di piombo dei padroni. Quello del rapimento Moro e dell’esecuzione della sua guardia del corpo. Ricercatori, indagatori, analisti coscienziosi come Flamigni, i Cipriani, Imposimato, esperti stranieri di vaglio, su questa operazione Gladio-Nato-Cia-Mossad-‘ndrangheta, hanno rivelato l’(in)credibile tessuto imperialista. “Il manifesto”, in complice sintonia con gli eredi di coloro che in questo modo consolidarono lo Stato delle stragi, lo Stato colonia degli Usa e succube di Israele, venne lanciato dalla solita Rossanda sulla pista dell’autenticità delle BR e viene su questa confermato oggi. Erano veri, uscivano dall’Albo di Famiglia del PCI. Come sono vere le interferenze di Putin nella vittoria di Trump, come è vero che i russi spargono gas nervino nelle città inglesi, come è vero che Assad, Gheddafi e Saddam minacciavano di invadere l’Occidente, come è vero che Hillary ci avrebbe salvato e i 5 Stelle sono tutti fascisti e le Ong tutte sante. Nessun infiltrato nessuno manipolato, figurati, Nemmeno tra quelli che fulminarono in pochi secondi, con precisione da Berretti Verdi, 5 guardie e nessun altro, senza aver mai sparato più di mezzo caricatore.. E che ancora oggi hanno la spudoratezza di coprire la verità.

A dispetto delle infinite bugie, degli omertosi silenzi di brigatisti a cui, sicuri fino alla tracotanza, si permette ancora oggi di pontificare in tv e di tacere sulle borse e sui memoriali di Moro trafugati, sugli ambienti vaticani e dei servizi segreti all’interno dei quali l’operazione si svolse e venne protetta, su tutto il resto. Su un’operazione con cui gli Usa e i loro sguatteri vollero tenere l’Italia nell’orbita mortale che ci ha portato fino all’oggi e, al tempo stesso, militarizzare e criminalizzare un’opposizione civile di massa che aveva fatto scorrere brividi lungo la schiena della demo-dittature uscite dalla guerra anti-nazifascista. Di tutte le maleodoranti voragini spalancate sulla vulgata di regime cronisti d’ordine, come Purgatori, Ezio Mauro, Gotor, sicari reduci come Gallinari, Morucci, Moretti, Balzarani, Fiore, e cantori nel coro come “il manifesto”, si limitano a parlare di zone d’ombra”. Punto. Sono, non siamo, tutti coinvolti.


E il mio libro racconta un’altra storia. Molto personale. Ma perlomeno vera. E neanche pagata, dato che gli introiti vanno all’ottimo editore Zambon, combattente di una straordinaria controinformazione (vedi catalogo).
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SPOT. Astenersi i disinteressati.

Da Zambon ho pubblicato anche un altro libro “L’Occidente all’ultima crociata”, mentre “Mondocane – Serbi, bassotti, Saddam e Bertinotti” l’ho pubblicato con KAOS, “Mamma ho perso la Sinistra! – Convergenze, connivenze, obbedienze di una Sinistra ex” , “Di resistenza si vince – Il futuro di Palestina e Medioriente, la riscossa araba, la crisi di Israele”, e “Delitto e castigo in Medioriente – Gaza, Baghdad, Beirut” sono tutti usciti presso Malatempora, casa editrice che nel frattempo è defunta. Ai miei bassotti è dedicato “Rambo, Nando e io”, edito da Il Salvagente. Di questi libri ho a disposizione alcune copie.


mercoledì 14 marzo 2018

Distruzione-deportazione-invasione JUS SOLI CONTRO JUS PATRIAE




Una gentile mano ha girato questa clip, estratta da un intervento che, sabato 10 marzo, ho fatto alla presentazione a Milano, Casa Rossa, del mio film O la Troika o la vita – epicentro Sud, non si uccidono così anche i paesi”. Aggiungo alcune riflessioni a quelle che cercavano di illustrare il parallelo che corre tra la sistematica distruzione dei patrimoni di civiltà dei popoli aggrediti dall’Uccidente e le cosiddette migrazioni. Che è improprio definire migrazioni, perché di spostamenti coatti di genti si tratta.

Le forze del vero male assoluto, oggi del mondialismo neoliberista e totalitario, da sempre sterminatrici, saccheggiatrici, belliciste, colonialiste, sperimentarono il massimo del loro potenziale di morte prima con le crociate (Goffredo da Buglione in “Terra Santa” ad Acri passò a fil di spada tutti gli abitanti musulmani; Saladinonon ha torto un capello  neanche a uno dei successivi cristiani; era già “scontro di civiltà”) e, poi, olocausto di tutti gli olocausti, con l’eliminazione delle popolazioni native delle Americhe.e dell’Africa (20 milioni di morti ammazzati in Congo per grazia di Leopoldo del Belgio, tra 50 e 100 nel genocidio degli amerindi). Lo fecero nel nome e con la benedizione della Chiesa che, da tale taglio di messi si aspettava un concomitante allargamento del proprio dominio su beni e anime. 

Nome e benedizione della Chiesa che anche oggi, col Bergoglio indefesso raccoglitore di “migranti” per conto terzi e suo, concorre a validare le imprese ancora e sempre di quelle che da qualche secolo si confermano le potenze del male assoluto. La clip allegata si limita a riferire alcuni episodi che hanno segnato la marcia devastatrice delle armate uccidentali e dei  loro mercenari jihadisti nella stagione delle guerre contro gli arabi. Arabi protagonisti di una delle più grandi civiltà della Storia, oggi in macerie. Arabi che potremmo chiamare gli zii della nostra civiltà, in quanto fratelli dei nostri padri latini, figli dei greci, insieme ai quali dell’Ellade ci hanno fatto arrivare le parole di Euripide, Aristofane, Euclide, Pitagora, Aristotele e tanti altri. Senza i quali non saremmo quelli che siamo. Quelli che eravamo prima del “meticciato” prossimo venturo. Per quei poteri colpa grave loro, difetto ormai quasi genetico nostro. Occorre provvedere: si tratta di elementi identitari incompatibili con l’architettura della globalizzazione, dove ogni elemento strutturale deve rispondere al requisito della decostruzione di identità specifiche, dell’uniformità funzionale a produzione, consumi, assetti politici, economici, sociali, culturali (per dire anticulturali).

Così, come ricordo nella clip, distruzioni (ma anche predazioni di quanto può produrre profitto nei caveau bancari e museali) di ogni segno del percorso storico di un gruppo umano, della comunità costituitasi attorno a territorio, lingua, opere, civiltà. Subito, aprile 2003, appena arrivati a Baghdad, distruzione e saccheggio del Museo Nazionale iracheno, cui ho assistito, e della Biblioteca Nazionale: polverizzati 4000 anni di quanto le genti di quei luoghi avevano contribuito ai più alti valori del genere umano e dell’ambiente in cui si sono perpetuati, fedeli e profondamente consapevoli di un progetto collettivo proiettato ai limiti del tempo. A seguire i cingoli e gli artigli dell’invasore e dei suoi briganti di passo sui siti con le opere della passione, dello sforzo evolutivo di generazioni  in sfida con l’oblio. Cingoli e missili anche sulle opere contribuite da ospiti e invasori, greci, persiani, romani, bizantini, ottomani. Opere divenute tanto carne e ossa e spirito della nazione, quanto i suoi neuroni, le sue vertebre, il suo cuore.

Stessa procedura in Libia e in Siria, tra Leptis Magna e Palmira. Stessa procedura in Africa dove, mancando le bombe, il deserto naturale e civile viene esteso e incrementato dai cambi climatici, nostri, dai terroristi di una artefatta Jihad, nostri, dalle multinazionali della devastazione mineraria, agraria, urbana, morale, nostre.

E il momento in cui vengono attivate luci verdi che lumeggino da lontano e promettono a chi non se lo mangia il deserto, non se lo scarnifica il trafficante, o non se lo beve il mare, la salvezza sotto padrone e prete bianco. Promessa di mantenerlo in vita, magari a pace e acqua, di integrarlo, assimilarlo, meticciarlo. Alienarlo per sempre, elevandolo al proprio rango di  occidentale. Ma privato definitivamente di nome e cognome. Di un sostegno, un retroterra a cui appoggiarsi, da cui prendere la rincorsa. Una volta che milioni di costruttori del futuro della propria comunità, di quella comunità abbiano perso la memoria, la speranza, il filo conduttore e il senso, tra macerie da bombe e fiumi disseccati da dighe, la preda è spoglia, inerme, inerte. Pronta a concorrere con chi lo dovrà ospitare per chi si vende al prezzo più basso.

Una comunità umana generizzata, uniformizzata, de-destinizzata, con un futuro, un progetto, squallidamente individuali, senza il conforto, il coraggio, il calore della collettività. Una comunità plebizzata, inconsapevole di sé perché inconsapevole di origini e futuro. Prostrata al verbo falso  di un progresso senza la sua impronta. Costretta a rinnegare, tradire la missione che i padri hanno realizzato e trasmesso e i figli dei figli aspettavano che gli venisse affidata.

Qualcuno a Babilonia si chiederà  da dove mai venissero quei frammenti di smalto con una zampa, o una testa di antilope.  Qualcuno di Timbuctu, occupata dalla Legione Straniera e i cui mausolei millenari i mercenari al soldo del colonialismo hanno raso al suolo, sotto una coperta alla Stazione Centrale, o in corsa affannata in un magazzino Amazon, si vedrà apparire in sogno la Grande Moschea di Djenne, alla cui ombra sostava con i padri. Suo figlio, nella scuola multietnica e multiculturale, sosterà tra le luci dell’Outlet finto moresco. Forse qui avrà avuto lo jus soli. In cambio gli hanno preso lo Jus Patriae.

Com’è che della catena della “migrazione” nessuno veda mai il primo anello? Forse perchè il manifesto non gliene parla? Forse perchè Soros glielo nasconde?  Forse perchè colonialisti inveterati e razzisti sono quelli che accolgono senza se e senza ma? Appunto senza se e senza ma. 


venerdì 9 marzo 2018

ALL’1% GLI UTILI IDIOTI DELL’UCCIDENTE La Siria di Ghouta e la Ghouta di Amnesty, Palmira e Babilonia, i nazifascisti in agguato, il gender e i migranti: quando i “sinistri” condividono distruzioni e distrazioni di massa



Quelli “del popolo”
Quelli che risultano più nauseabondi sono sempre gli ipocriti. A partire dal “manifesto” e da tutta la combriccola pseudosinistra dell’imperialismo di complemento, che volteggia nel vuoto dell’interesse e del consenso di un elettorato italiano che, per quanto disinformato o male informato sulle cose del mondo, ha dimostrato di badare più alla sostanza che alle formulette di palingenesi sociale incise sulle lapidi della sinistra che fu. E la sostanza ci dice che mettere tutti sullo stesso piano, 5Stelle e ologrammi nazifascisti, Putin e Trump, opposti imperialismi, migranti in fuga da bombe Nato e migranti attivati dalle Ong di Soros, jihadisti a Ghouta Est e truppe governative, a dispetto dell’immane e unanimistica potenza di fuoco mediatica, poi produce al massimo l’1 virgola qualcosina per cento. Brave persone, certo (esclusi i paraculi fessi dei GuE), ma fuori dal mondo, da chi è il nemico e da come si muove l’1% finanzcapitalista e tecno-bio-fascista nell’era del mondialismo e dell’high-tech. E, permettetemi una risatina, neanche bravi, ma di un narcisismo solipsista che rivela tratti patologici per quanto è dissociato dal reale, quelli della Lista del Popolo (Chiesa, Ingroia, bislacchi e farlocconi vari), trionfalmente giunti allo 0,02%. Ma si puo!

Di Maio tra omaggi a San Gennaro e Mattarella e rifiuto degli F35
Sebbene questo unanimismo di fondo in fatto di geopolitica tra gli ambiguoni o catafratti della sinistra ausiliaria del sistema e del sistema i militanti in divisa, possa aver confuso le idee a molti sulla partita che si gioca in Medioriente, o nei trasferimenti via Ong di popolazioni, o a proposito dello “Zar Putin” e dei suoi maneggi per non far vincere Hillary, basta a volte una piccola crepa e la luce passa e illumina quanto si voleva restasse al buio. Possiamo dire tutto e il contrario di tutto su Di Maio, ma credo che siano davvero pochini gli italiani che condividono l’idea che spendere 80 milioni al giorno per muovere guerre a chi non si sogna di disturbarci e che quindi non abbiano apprezzato il voto 5 Stelle contro ogni missione militare e contro l’acquisto degli F35. Questo al netto delle promesse di “normalizzazione” profferite ora a tutto spiano dal leader 5Stelle e che lo fanno apparire come il pifferaio di Hamelin le cui liete marcette si trascinano dietro tutti i ratti della prima e seconda repubblica.  Pensano di salire sul carro del vincitore, ma nella storia il pifferaio i ratti li porta a precipitare nell’abisso. Di Maio se lo ricorda?   Non vorremmo che si finisse come la fiaba: che poi quelli trascinati via sono i bambini.



La Siria si riprende anche Ghouta: pacifisti e diritto umanisti a stracciarsi le vesti
Prendiamo la Siria, insieme a tutte le altre guerre, una dopo l’altra, che con ripetitività parossistica ci vendono come difesa dei diritti umani di un popolo massacrato dal proprio governante. Ci hanno seppellito  in un bunker di menzogne: i tondini li forniscono le Ong tipo Amnesty International, HRW, MSF, la malta che li tiene insieme sono i media. Date un’occhiata a questo osceno appello di Amnesty perché si costringa Damasco a levare l’assedio alla Ghouta. Ancora una volta questo sempre più lurido arnese del bellicismo imperiale si fa riconoscere. Non una parola sul golem terrorista che da 7 anni sbrana la Siria e tiene ostaggi, ogni tanto masscrandoli, gli abitanti delle zone occupate. Mille parole perfide e lacrimose su Aleppo in corso di liberazione, non una parola su Raqqa polverizzata dai bombardamenti Usa, con tutti i suoi abitanti, mentre elicotteri prelevavano quelli dell’Isis per reimpiegarli, insieme agli ascari curdi, in altri crimini contro il popolo siriano.

Siria: quando i tondini sono di cartone e la malta è di sabbia

Bimbi a Damasco

Ma poi nel calcestruzzo si apre una crepa. Ed è la pigrizia degli stereotipi. C’è sempre un dittatore che bombarda il proprio popolo, una massa sterminata di bambini uccisi, come se, per esempio, Ghouta, fosse tutta una scuola materna, ci sono sempre gli Elmetti Bianchi (vedi video: https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=yI2s9Ow2snE) e i Medici senza Frontiere, grazie ai soldi di Soros, che stanno inevitabilmente dalla parte dei “ribelli” e che poi vengono esaltati e premiati dagli strumenti di comunicazione di coloro che le guerre le promuovono. Non mancano mai le “armi chimiche di Assad”, linea rossa che poi regolarmente sfuma, cancellata da prove e testimonianze (grazie russi!),  come sono insostituibili i sanguinari jihadisti di Al Qaida e Isis contro cui gli imperiali dicono di combattere, ma dopo averli addestrati, armati e poi salvati dalle offensive dell’esercito siriano e suoi alleati.

Qualcuno rovistando nel web si accorge, a dispetto della furia anti-fake news della Boldrini, che l’attacco siriano alla provincia di Ghouta avviene dopo sei anni che da lì i terroristi hanno ininterrottamente bombardato con razzi e mortai i 7 milioni di civili della capitale Damasco; che le centinaia di vittime dell’offensiva governativa su Ghouta, “soprattutto bambini”, sono il dato inventato dall’Osservatorio che i servizi britannici e i jihadisti gestiscono a Londra; che, se il governo spedisce colonne di autobus a evacuare la gente di Ghouta, o la Croce Rossa siriana prova a creare corridoi umanitari per rifornire di cibo  e medicinali, a bombardare queste colonne e questi corridoi, voluti dal governo, saranno difficilmente gli stessi governativi.

Nel documentario “Armageddon sulla via di Damasco” ho illustrato alcuni effetti del martellamento su Damasco, fino a 90 missili in una settimana. Dal mercato Al Hamidiyya, il più antico e bello del Medioriente, colpito nel momento di maggiore affollamento, alla stazione di autobus disintegrata nell’ora di punta, con schizzi di sangue e parti di corpo spiaccicati fin sul cavalcavia alto 20 metri. Immagini mie e di canali siriani che nessuno in Occidente ha mai ripreso. E’ successo mille volte, come centinaia sono state le incursioni aeree dei pirati israeliani. Avete sentito qualche sussurro di disapprovazione da Amnesty e compari?

Il “manifesto”: tutti uguali ma uno più uguale 
Così, un po’ per volta, si aprono crepe, delle quali la più grossa è il dubbio  che il “manifesto” e affini, quelli che si precipitano a fornire palchi e ghirlande ad Amnesty,  non te la raccontino giusta quando mettono sullo stesso piano chi spara da Ghouta e chi avanza da Damasco e, anzi, trovano che i più cattivi siano coloro che “assediano” il sobborgo della capitale per eliminare uno degli ultimi bubboni tumorali incistati nel proprio territorio dai gangster imperialsionisti e mica quelli, sicari e mandanti, che vogliono mantenere, ai costi più inenarrabili, un presidio che tenga sotto tiro Damasco e impedisca la pacificazione e la vittoria dei giusti. Che sono poi anche le forze popolari siriane precipitatesi in soccorso ai curdi sotto attacco turco ad Afrin, a dispetto delle pugnalate alle spalle che questo mercenariato di Usa, Israele e sauditi, ha inflitto a chi ne aveva accolto, con tanto di cittadinanza, le centinaia di migliaia di fuggitivi dalle persecuzioni di Ankara.

Quando parla il popolo, non gli gnomi da giardino, il re buonista resta nudo
Le ambiguità e distorsioni dei media, a qualsiasi obbedienza politica pretendano di rifarsi, hanno iniziato a frantumarsi contro il muro della realtà. Elezioni politiche che mozzano gli arti alla principale forza di dominio e relegano nell’irrilevanza chi gli opponeva formule di rito anni ‘50, del tutto avulse da quanto una chiara percezione dello stato di cose reale richiederebbe, dimostrano che il re è nudo e nudi sono anche principi, duchi, baroni, paggi, nani e ballerine. La menzogna ha esaurito la sua capacità mistificatrice. Da fuffa e nebbia, demagogia presidenziale e pontificale, sono scaturiti irresistibili gli abusi inflitti dai dominanti ai dominati sul piano sociale, economico, ambientale, di lavoro, scuola, salute. Ma forse anche i crimini dei quali ci hanno voluto  partecipi, anche a spese nostre, compiuti contro altri popoli. Non sarà un caso che gli unici vincitori di questa contesa elettorale siano coloro che a spese e avventure guerresche, come alle sanzioni che a queste si accompagnano,  si sono sempre opposti. E se questa barra la manterranno dritta, sarà già molto.

Al potere via decostruzione e migrazione
Che sono poi anche quelli che, in un modo o nell’altro, quale corretto ed equo, quale rozzo e falsamente motivato, hanno messo in dubbio la sacralità dei facilitatori delle migrazioni “per fame, guerra, persecuzioni”. Il che ci porta a un’altra considerazione. Invasori e terrorismo jihadista ha posto particolare accanimento nella distruzione delle vestigia storiche delle nazioni che sono stati mandati ad assaltare. Ong, umanitaristi, sinistre, Don Ciotti e missionari nelle colonie, Soros, briciole sinistre, sostengono l’accoglienza dei rifugiati  senza se e senza ma. Ci sono punti di contatto, affinità di obiettivi, tra queste forze e le campagne che condividono? Non penso al semplicistico discorso che individua causa ed effetto nelle bombe e nelle conseguenti fughe. Lo stereotipo del “fuggono da guerre, fame e persecuzioni”. Penso a una manovra a tenaglia che cancella corpi e spirito di comunità formatesi nel sangue, nei progetti, nelle sconfitte e nelle rinascite, nella lingua e nei costumi, su una comune terra, in rapporto con lo stesso ambiente ed è così che ha acquisito conoscenza e coscienza di sé, identità, autostima, volontà di perpetuarsi e crescere. Un fiore nell’infinita ricchezza della varietà dei fiori. Prima di manipolazioni e ibridazioni.

Se, io élite di infima minoranza, perseguo un progetto di dominio mondiale assoluto che solo a me e ai miei subalterni obbedienti convenga, delle forze così formatesi e così composte, altrettante negazioni al mio disegno, devo liberarmi. E’ conditio sine qua non per l’affermazione del progetto mondialista. La mia operazione a tenaglia consiste, primo, nel cancellarne i segni della storia, delle opere compiute,  le fondamenta dell’edificio che una comunità, un popolo, una nazione, devono avere sempre in corso d’opera se intendono avere un futuro. Del resto, senza queste tessere del mosaico, l’umanità si estingue. L’élite regnerà sul deserto o su un altro pianeta. E, secondo, nello sradicarli, spostare quelli che non ho decimato con guerre militari o economiche, tagliare radici, staccare il fogliame dal tronco, disperderlo, alienarlo  da se stesso, confondendolo in quello che chiamano “meticciato”.


Erano le mie ultime ore nella Baghdad che ho illustrato in “IRAQ: un deserto chiamato pace”, aprile 2003. I carri Usa, penetrati in città avevano sparato i primi colpi contro l’Hotel Palestine, dove stavamo noi giornalisti che non avevamo seguito l’ordine di Bush di far  parlare solo gli embedded al seguito degli invasori. Morirono un mio amico di Al Jazeera e un reporter spagnolo. Uscendo dalla città in taxi passai accanto al Museo Nazionale: Protetta da reparti angloamericani , manovalanza importata dal Kuweit stava già saccheggiando la più ricca testimonianza della storia araba e irachena, dai sumeri agli Abbassidi, anche a beneficio dei predatori dei caveau occidentali. Subito dopo avrebbero disperso e bruciato i testi, resi sacri dal tempo e dall’amore dei loro lettori,  della Biblioteca Nazionale, dalle tavolette cuneiformi della prima scrittura, alla magnificenza letteraria delle Mille e una notte e ai traduttori arabi di Aristotele. Intanto i carri americani si preparavano a travolgere sotto i propri cingoli Babilonia, Ur, Niniveh, Samarra, Nimrud, Ctesifonte, Hatra. Quattromila anni  di creatività umana,  di civiltà, di culla della civiltà. Meticolosamente, sistematicamente polverizzati o predati.

E poi stessa procedura in Siria, Aleppo, Palmira, Libia, Gaza, ovunque la pianta umana fosse più antica, robusta, rigogliosa, degli stenti arbusti, delle misere gramigne di chi a una cultura annegata nel sangue ha sostituito centri commerciali, tecnologie decerebranti e arsenali atomici.
 
Mosul

In parallelo i migranti, pezzi interi di popoli, 6 milioni di siriani spodestati, un milione a disposizione dei minijob di Angela Merkel. E, logicamente, afghani, iracheni, libici, pachistani e, soprattutto africani: basta seccare con una megadiga Impregilo un fiume come l’Omo in Etiopia e 60mila perdono l’acqua, i coltivi, la sussistenza, diventano foglie secche al vento che qualche Ong seduce a farsi schiavi “meticciati” in un bengodi di sfruttati europei. Come si vede in ogni sequenza che ci induce a impietosirci e a condividere “l’accoglienza”, sono in stragrande maggioranza giovani con i tempi e le forze capaci di futuro. Un futuro abbandonato alle multinazionali a casa propria, ma per il quale fornire braccia e saperi In Occidente. Sono giovani, in grado di affrontare i pericoli della filiera del traffico di carne umana, ma non procreeranno più per la continuità di una comunità arrivata fin ad oggi a dispetto di prove di ogni genere, procreeranno per il “meticciato”. A compensare ciò che da noi, nell’esaltazione dei generi e transgeneri della sterilità, non nasce più.
E se crediamo che da tutto ciò noi siamo esenti, proviamo a gettare uno sguardo fuori dalla fiinestra, tra un asilo nido che non c’è e una famiglia che il precariato di sistema rinserra in sogni frustrati. Diamo un’occhiata ai territori terremotati, banco di prova e cartina di tornasole di un altro fronte della stessa guerra. Credete che, a quasi due anni dal sisma con migliaia ancora nei campeggi al mare, in alloggi di fortuna lontani, con attività produttive sparite per sempre, con la ricostruzione neanche di una stalla, si tratti solo di inefficienza, ritardi, risse per appalti? Ho girato per quelle terre palmo a palmo (“O la Troika o la vita – Non si uccidono così anche le nazioni”). Paesi con le radici nell’impero romano e le chiese del Medioevo, dove hanno lasciato segni Arnolfo da Cambio, Mantegna, Leopardi, Piero della Francesca: tesori inenarrabili. I terremotati li vogliono scoraggiati, esportati, migranti anche loro, i territori privati di una economia nativa, sorta dal genius loci, anacronisticamente non sovranazionale, ma legata ai bisogni locali, ai biotopi naturali e umani. Spopolare per nuove destinazioni d’uso. Sovranazionali. Come quando sradicano con gli ulivi l’anima della Puglia, per far posto a gasdotti e resort di Briatore. Rifugiati nostrani di cui nessuno tiene conto e né Soros, né alcuna Ong dei diritti umani  reclamano un’accoglienza senza se e senza ma.


Tutto questo Pippo non lo sa. Tutto questo quelli dell’1% “rosso”, PaP (Potere al Popolo), i PC (le scissioni dell’atomo), o LuE (i neoliberisti, NATOisti, Bruxellisti, insofferenti di Renzi), non lo sanno. Sepolti nell’altroieri, del progetto capitalista e della relativa strategia non studiano  e non vedono neanche la più abbagliante evidenza. Nanetti da giardino occupati a strappare erbacce, mentre fuori cresce una giungla di piante carnivore. E non si accorgono che, ignorando quella strategia, ogni lotta contro il precariato di vite e  lavoro è già persa, mentre sono del tutto compatibili quelle contro le molestie, per i matrimoni e le adozioni gay, per ogni più fantasiosa invenzione di genere come fieramente esibite  in quelle manifestazioni d buongusto e di cultura popolare che sono i Gay Pride, contro la minaccia dell’Onda Nera nazifascista. Minaccia eroicamente combattuta, da Macerata a Milano a Roma a Palermo, con  l’illusione di ricavarne dividendi boldriniani e poi spassosamente risultata pulviscolo littorio allo 0,9%, Casa Pound, e allo 0,37% Forza Nuova. Tocca scioglierli per salvarci dall’orrore di nuovi Farinacci e Himmler, era l’invocazione tonitruante della Boldrini, grande specialista di armi di distrazione di massa. Intanto, però, il mondo reale scioglieva lei e i suoi scioglitori. E senza neanche un sorso di olio di ricino.

Ma più compatibile, anzi, più gradita di tutte, è la campagna per l’accoglienza dei migranti. Roba di sinistra, ca va sans dire.

martedì 6 marzo 2018

MILANO - "O LA TROIKA O LA VITA"


Alla luce dei recenti avvenimenti in Italia, Europa, mondo
O LA TROIKA O LA VITA – EPICENTRO SUD
Non si uccidono così anche le nazioni?



Presentazione del docufilm di Fulvio Grimaldi e Sandra Paganini a Milano, Casa Rossa, Via Monte Lungo 2, sabato 10 marzo, alle 18.00.

giovedì 1 marzo 2018

Sequestro Gatti-Montanari; campagna elettorale dello Stato di Polizia - VOTARE, OH OH… La domanda è: chi è il più detestato da quelli che io più detesto?





Votare nel paese venduto a papi, francesi, spagnoli, tedeschi, americani…


Che questo fosse uno Stato in mano a briganti, ladri, corrotti, sociocidi, vendipatria, bari e tecno-bio-fascisti lo si sapeva. Lo si sapeva, misurando a spanne, più o meno da quando Togliatti, ministro della Giustizia, in perfetta sintonia con la pugnalata alle spalle di Yalta, decretò l’amnistia per tutto l’apparato amministrativo fascista. Ma lo si sospettava fin da quando, nel 1943, l’invasore Usa si accordò con la mafia per la risalita della penisola dalla Sicilia, garantendo in cambio una perenne coabitazione tra criminalità organizzata e classe dirigente al governo del paese sotto tutela USA, tramite Lucky Luciano, Salvatore Giuliano, “Gladio”, Cia, Pentagono, Goldman Sachs (per dire Rothschild e tutto il cucuzzaro di Wall Street) e poi UE.

Da De Gasperi a Berlinguer, passando per puntelli minori, liberale, repubblicano, socialdemocratico e i radicali in funzione di mosca cocchiera, fino all’attuale cosca renzusconiana, il maficapitalismo italiota ha attraversato solo due crisi. Una minore, provocata dai sussulti autonomisti del capo-ladrone Craxi, del tutto velleitaria per i troppi scheletri nell’armadio del soggetto, e una maggiore, quando dal 1968 al 1977 una generazione traversale e interclassista rivoluzionaria riuscì a imporre le uniche riforme di civiltà e progresso dal dopoguerra ad oggi. A questo tentativo fu posto fine mediante la militarizzazione del conflitto (terrorismo, strategia della tensione, organizzazioni armate) gestita da elementi atlantisti interni ed esterni precedentemente citati.



“Fascisti, seminatori di paura e odiatori”: falso scopo di chi ci odia e campa sulla nostra pauraDa tempo, ma con particolare accanimento in vista di queste elezioni politiche, la conventicola finanzcapitalista (appunto Goldman Sachs, Rothschild, Bilderberg e relativi domestici nostrani) del mondialismo fondato sulla riduzione della popolazione e sulla sua deidentificazione, alla quale rispondono quasi senza eccezioni, più o meno consapevolmente, le forze politico-economiche italiane, sta tentando di chiudere i giochi attraverso il taglio metaforico delle corde vocali a qualunque cosa si manifesti fuori dall’establishment. La travolgente campagna trasversale per l’anestizzazione di ogni conflitto dal basso verso l’alto, si basa sulla criminalizzazione di critici e non conformati. A questi disturbatori è data, con classico transfert, la qualifica prepolitica di odiatori, seminatori di paura e fake news. In parallelo si opera il depistaggio politico-mediatico dalla propria feroce guerra tecno-bio-fascista a popoli e ceti subordinati o subordinandi, allo scontro con la sloganistica e iconografia di soggetti paramussoliniani la cui irrilevanza politica e numerica è immutata da mezzo secolo.

Sopprimere la scienza non lobbizzata
In vista del voto preteso da chi ha venduto,il paese e ne ha sodomizzato e poi sventrato i rimasugli, si verifica un episodio assolutamente emblematico dello Stato di Polizia largamente realizzato attraverso, appunto, la soppressione delle voci discordanti, la sorveglianza generale e capillare, la connivenza di sempre più vaste componenti degli apparati di sicurezza e della giustizia, la complicità di un sistema mediatico ormai interamente integrato a portavoce dei poteri criminali. Ne sono venuto a conoscenza attraverso una radio privata e, poi, attraverso una petizione in rete. L’incredibile abuso non è certo apparso sui giornaloni e schermoni.




Una settimana fa la ricercatrice di fama mondiale sulle nano particelle, Antonietta Gatti, da me intervistata nel suo laboratorio di Modena sulle conseguenze delle attività militari nei poligoni sardi (vedi il docufilm “L’Italia al tempo della peste”), aveva deposto al processo di Lanusei sui danni e sulle morti derivanti dalle esplosioni e sperimentazioni da decenni praticate nel poligono di Salto di Quirra. Le ricerche che ne hanno fatto un’esperta mondiale delle nanoparticelle, consulente dell’ONU e di vari governi italiani, avevano portato all’individuazione negli organismi di persone e animali della zona di metalli pesanti con esiti letali. Metalli derivanti dalle sostanze sparse sul territorio dalle esplosioni nel Poligono. Gli elementi forniti da Gatti rischiavano di appesantire fortemente la posizione degli imputati, militari e politici conniventi. Uno sgarro intollerabile alle Forze Armate italiane ed estere, al Ministero della Difesa, alle società produttrici di esplosivi, alla Nato.

Due giorni dopo la deposizione, facendo pensare all’irruzione nel covo di un narcoboss a Medellin, la Guardia di Finanza piomba nell’abitazione e nel laboratorio della Prof.ssa Gatti e di suo marito e collaboratore, Prof. Stefano Montanari e sequestra tutto: computer, documentazioni, apparecchi ature di laboratorio. Vent’anni di ricerche e risultati portati via. Una perdita inenarrabile per i due ricercatori e per la scienza mondiale. Pretesto? Qualcuno aveva obiettato sulla gestione del loro microscopio elettronico. Causa? Gatti e Montanari avevano infranto un tabù, quello per il quale sono stati già inflitto gravi conseguenze alla vita e alla professione di medici e scienziati. I risultati delle loro ricerche avevano messo in discussione le verità dogmatiche sull’illibatezza dei vaccini imposti dalla Lorenzin e degli armamenti adoperati dai generali. Nei prossimi giorni i dati che Gatti avrebbe portato al processo avrebbero inchiodato gli imputati.

Con i militari già spiazzati e furibondi per le risultanze della Commissione parlamentare sull’uranio da loro adoperato in poligoni e guerre, sui soldati ammalati e uccisi in massa per mancanza di protezioni (risultanze da loro respinte con inaudita mancanza di correttezza istituzionale), la denuncia di Gatti e Montanari ha fatto traboccare il vaso. E varcare il limite oltre il quale uno Stato diventa di polizia.


Ho citato questo recentissimo episodio perché mi pare che ben esemplifichi il processo nel quale siamo coinvolti e la direzione nella quale esso si muove. Quando a due scienziati di valore internazionale si sottraggono con atto di forza legalizzato il lavoro di una vita e gli strumenti per portarlo avanti, esattamente nel momento in cui questo lavoro stava provocando imbarazzo e intralcio a responsabili di reati configurati da magistratura e commissione parlamentare e che incidono su un’impunità che si vuole mantenere assoluta; quando tale lavoro e le conseguenze giuridico-politico-economiche che ne potrebbero derivare mettono a repentaglio l’arbitrio di poteri economici assicurato da referenti politici… sappiamo per chi non votare.




Bonino, Fornero, Pinotti, Boschi, Lorenzin, Fedeli, Gelmini, Carfagna…Lilli-Bilderberg-Gruber:”Più donne al potere”
Sarebbe bastato sapere cosa la coppia di ”donne al potere” Fornero-Bonino, il cui vissuto si riflette magnificamente nei volti, ha inflitto a pensionati, lavoratori, giovani, esodati, con il plusvalore boniniano del supporto a ogni macello Nato o israeliano (chi semina odio? Chi paura?), a ogni nefandezza del distruttore di Stato e sradicatore di popoli Soros. Sarebbe bastata la loro trasmigrazione da un polo partitico di nequizie all’altro per capire che Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, non sono che i vertici di un pentagono della “governabilità” che esprime, forse, un tasso variabile di pericolosità nell’istante, ma sempre un tasso fisso di incompetenza, furfanteria e strizzate d’occhio a chi delinque in alto.


Liberi e uguali (agli altri)E la variabile degli spodestati Bersani, D’Alema e del venerabile Grasso, con nel taschino gli eterni onanisti del bertinottismo-vendolismo-sorosismo? Questo follicolo della lebbra che ha infestato l’Italia dalla caduta del Muro, con protagonisti il D’Alema delle bombe sui civili serbi e il Bersani dalle lenzuolate delle liberalizzazioni economicide, sta alla casa madre PD come Lipari sta alla Sicilia. Anche per densità mafiosa. La passione che gli porta “il manifesto”, ci rasserena su quanto la triste brigata non turbi i sonni di George Soros e dello Stato Profondo americano. Del resto, questo strillone di complemento, “comunista”, del mondialismo antisovranista si inserisce alla perfezione nella processione dei turibolanti mediatici che, oltre ogni vergogna deontologica, politica e morale, tributano incensi sacralizzanti a un rottame umano, delinquente patentato, pozzo di nequizie e volgarità, che pretende di portare ancora avanti la sua versione della coabitazione tra politica, economia e criminalità.




Narciso in parlamento?
Per strapparvi una risatina vi ricordo che resta in lizza la conventicola Giulietto Chiesa-Antonio Ingroia, “Lista del popolo” (i populisti fanno schifo, ma il popolo fa pur sempre gola). Una roba che solo dallo sconfinato solipsismo narcisista dei due della “mossa del cavallo” poteva scaturire. Sarò impietoso, ma è troppo esilarante sciorinarvene candidati e sostenitori. C’è il generale (Rapetto) che si candidò a sindaco di Roma. C’è chi lo assistette nella scalata ed è l’avvocato Diotallevi, presidente del “Comitato di Liberazione Municipale", cerimoniere di Parlamento e Quirinale e membro di “Persona è futuro”, “laboratorio di cultura politica” di cui si dice che sia gradito a Soros. C’è il romanziere e avventuriero Nikolaj Verzbickij. che, nell’autobiografico “L’educazione siberiana”, ci racconta delle sue origini da cacciatori siberiani, ma anche russe, polacche, ebree e tedesche, dei tatuaggi che pratica e dei coltelli che progetta (Il Fatto Quotidiano:”La bufala che venne dal freddo”). A nobilitare il tutto ci sono il bigottissimo medievalista anticomunista Cardini, il vignettista comunistissimo Vauro e, chissà perché, Davide Riondino.

C’è un precedente nell’affannosa corsa di Giulietto verso il popolo. Avverso ai 5 Stelle per l’insufficiente rigore in politica estera, il giornalista già coerentemente di Stampa, Unità e Radio Liberty, trovò come madrina per il lancio in parlamento di un movimento No Nato Paola De Pin, senatrice uscita dai 5 Stelle. In solidarietà con la collega Gambaro, finita prestissimo nel PD, De Pin dà vita al Gruppo Azione Popolare che sosterrà le larghe intese di Gianni Letta. Dopo un fugace innamoramento per Tsipras, approda, all’insaputa dei suoi elettori, ma in combutta con altri voltagabbana, in ILIC (Italia Lavori in Corso). Incontenibile, nella ricerca del suo Shangrilà, Da Pin aderisce ai Verdi, insieme ad un altro ex-grillino sponsor di Chiesa: il senatore Bartolomeo Pepe, tenendo però un piede anche nella staffa di GAL (Grandi Autonomia e Libertà), quel nobilissimo gruppetto di senatori, con Razzi e Scilipoti, che onora la governabilità rendendosi disposto a qualunque soccorso. Dopo una manifestazione, non anti-Nato ahinoi, ma anti-migranti ad Oderzo, che indice e cui partecipa da sola, la senatrice ex-5 Stelle, ex-Giulietto, ex- No Nato, ex-tutto, completa il suo percorso con il naturalissimo approdo, indovinate un po’ dove: a Forza Nuova (grazie a Andrea Scanzi per i dati).




Gli ex-voto
C’è in FB chi mi chiede ossessivamente per chi voterei. E giù, una dopo l’altra, le ipotesi che gli sembrano attendibili: LeU? No. PCI? No. PC di Rizzo? No. PCL di Ferrando? No. Altri PC? No. PaP? Qui mi arrendo e ora rispondo, per quanto non mi sembri che quesito e responso agitino le sinapsi e le coronarie di sterminate masse. Voi sapete che ho un’età. L’unico vantaggio che riconosco a coloro che avanzano (?) sotto queste sigle è che mi fanno sentire giovane, quasi adolescente. Nel senso che mi ritrovo tra vecchi, magari ventenni (pochini), ma stagionati. O meglio, in una dimensione spaziotemporale dove tutto è rimasto fermo a otto lustri fa e, più o meno, negli stessi luoghi, spesso centri sociali. Leggo di mirabolanti visioni di società belle e giuste. Leggo di classe operaia che è sempre l’avanguardia, anche se ora sono sopraggiunti i migranti, i precari e le donne. Leggo di diritti sociali e civili. Leggo parole che sono le stesse di quarant’anni fa. Tutte giuste. E scivolo nel crepuscolo di Guido Gozzano: „Non amo che le rose | che non colsi. Non amo che le cose | che potevano essere e non sono | state...“

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
Rispetto al discorso tossico che ci avviluppa oggi, i propositi dei rispettabilissimi compagni di PaP andrebbero anche bene. Solo che manca qualcosa. Manca che non ti sei accorto che le classi e le società sono state rivoltate come calzini e che oggi c’è uno 0,1% che spoglia e, un po’ per volta, strozza il restante 99,9%. Manca che non hai capito cos’è e a cosa servono il terrorismo e le nuove tecnologie. Manca che non sai smascherare le False Flag, a partire da un 11 settembre che ha cambiato mondo e storia. Manca che non ti accorgi che quando parli di migranti e accoglienza, contro razzisti e xenofobi, rendi credito all’ipocrisia dei dominanti e non hai capito niente di cosa significhi svuotare di esseri umani il Sud del mondo per riempirlo di militari e multinazionali e per fare a pezzi il Sud d’Europa. Manca la consapevolezza che ti scagliano contro un fascismo di cartapesta perché tu non veda quello vero, moderno, fine-del-mondo. Manca un discorso appena decente su guerre, Nato, basi militari di chi occupa il nostro territorio e la demistificazione delle campagne di diffamazione dei paesi da calpestare e sotterrare. Manca la comprensione di quanto geopolitica e Rothschild determino la sorte di chi presidia i cancelli della fabbrica delocalizzata. Di cosa prospettano gli Usa e a cosa serva la Russia, la Siria e a cosa, invece, servano i curdi a stelle e strisce più stella di David (per i quali sono andati addirittura a militare, nel segno di una generosità terribilmente sprovveduta, alcuni militanti No Tav). Manca il ricordo che i nostri momenti migliori sono stati Dante, il Risorgimento, la resistenza partigiana, Gramsci, tutti coloro che volevano un Italia libera e sovrana. Sovrana e non serva sciocca della globalizzazione in salsa UE o mondialista.




Un’ottima pippa, o un accoppiamento così così?

Ed ecco che votare per Potere al Popolo, per quelli che si ritengono i veri antagonisti, come la candidata, bandiera dei No Tav, Nicoletta Dosio (l’altra bandiera, Alberto Perino, grandissima figura di combattente con visione a 360 gradi, sta con i 5 Stelle), significa corroborare l’inganno planetario ordito dai veri padroni. Significa compiacersi di godere da soli, senza effetto alcuno. Su amici e nemici. Eppure votare bisogna. Siamo manipolati, disinformati, raggirati. Del nostro voto fanno quello che vogliono. Ma di noi se astenuti fanno ancora meglio quello che vogliono.

Grandi donne, grandi lotte



Ho visto un bellissimo film delle donne che, un secolo fa, a forza di arresti, mazzate, scioperi della fame, scontri con la polizia, ordigni incendiari, conquistarono il diritto al voto. Erano le suffragettes. Per sollevare il vessillo della loro lotta e interrompere la corsa dei cavalli a Epsom, davanti a re Giorgio V, Emily Davison ci rimise la vita. Beato il paese che produce eroine. Le suffragettes rimarrebbero male se non votassimo. Antonietta Gatti è una di loro.

Chissà perché quel mio interlocutore non mi ha chiesto dei 5 Stelle. Deve aver ritenuto l’ipotesi troppo improbabile, forse scandalosa… Io posso solo dire che, per quante perplessità mi suscitino le parole, mosse e cravatte di Luigi Di Maio, con tanti 5 Stelle ho fatto esperienze che contano. Se tengo presente Alessandro Di Battista, che conosco, i suoi alti e bassi, la forza della sua indignazione, l’impegno a essere preparato, penso, spero che non sia ancora il momento di ammainare la bandiera della rabbia e indossare quella della rispettabilità, con conseguente ricollocazione del M5S nello spazio politico. M5S che resta comunque in prima fila nella difesa di welfare, lavoro, ambiente, anche se occorrerebbe meno casualità nella selezione dei quadri e, finalmente, una visione complessiva, culturale e ideologica, della società che si vuole.

Di più non è dato, ma filmando e raccontando la lotta contro il TAV, il TAP, i gasdotti, le trivelle, le basi Usa a partire dal MUOS a Niscemi, le discariche e gli inceneritori, i poligoni della morte in Sardegna, le missioni militari, i decreti sui vaccini, le rapine dei banchieri, gli scempi del dopo-terremoto, le cementificazioni, tra tanti cittadini singoli, comitati e associazioni, senza casacca partitica, come forza parlamentare ho trovato sempre e solo i 5 Stelle. Mi auguro che sappiano tenere dritta la barra. In ogni caso mi riservo il diritto di pentirmene.

E poi c’è una considerazione risolutrice, per quanto in negativo: il M5S fa paura, odio, schifo a tutti coloro che a me fanno paura, odio, schifo. Detto questo, al momento so solo per chi NON voterò e mi specchio in Eugenio Montale: "Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".