venerdì 26 agosto 2016

LA STANGATA . Tutti contro tutti, tutti contro la Siria e il più pulito ha la rogna


 Mercenario curdo con targhetta Usa. O viceversa.
Mercenario Isis con tatuaggio US Army

Prevenzione anti-terremoto no, Tav sì
Scrivo da un’Italia che, dopo aver esaurito le sue lacrime e i calcinacci da spostare, farebbe bene a urlare in faccia  ai nostri mafioreggenti, tanto da travolgerli, le loro colpe per ogni singola tragedia che ci colpisce, dal terrorismo, alla mancata prevenzione, alle Grandi Opere, alle grandi guerre. Tragedie sulle quali poi reclamano e sciaguratamente ottengono – vecchio trucco di tutti i farabutti - la “grande unità nazionale”. Un miliardo in 10 anni per la ricostruzione dell’Aquila, 44 milioni per il 2016, briciole scandalose per non sforare a Bruxelles. Invece arriviamo ai 50 miliardi per le Grandi Opere, tutte devastanti, tutte inutili, tutte mafiose: Tav Torino Lione, Tav Terzo Valico, altri TAV, trivelle dappertutto in terre e mare, Olimpiadi, Orte-Mestre, Ponte sullo Stretto, per citarne solo alcune, Grandi Opere di uno Stato killer. Con 10 miliardi all’anno si metterebbe in sicurezza un paese in cui per il 70% si è costruito senza criteri antisismici. Basterebbe rimettere l’IMU a chi può.

Si ristabilirebbero l’organico e i bisogni finanziari dei Vigili del Fuoco, si potenzierebbe un Corpo Forestale ora sequestrato dai carabinieri. Intanto Nicoletta Dosio, tanto per citarne una, quasi 70 anni, da un quarto di secolo combattente nonviolenta anti-Tav e punto di riferimento di una resistenza nazionale che va oltre la Valsusa, protagonista con Alberto Perino del mio docufilm “Fronte Italia-Partigiani del 2000”, rischia il carcere perché non accetta il diktat di una magistratura alla Torquemada che le impone i domiciliari e l’obbligo di firma. E l’ex-procuratore generale Giancarlo Caselli, uno che, a dispetto del suo narcisismo, non ha fatto proprio il massimo delle figure nel contrasto a mafia e brigatisti (vedi “La trattativa” di Sabina Guzzanti), e i suoi due para-dioscuri Padalino e Rinaudo alla procura di Torino, persistono implacabili nella persecuzione di quelli che il senatore piddino e fucilatore politico di sindaci eterodossi come Marino e Raggi, gli indica come terroristi della Valsusa. Basterà un terremoto a darci la sveglia?

Il baro di Ankara
Al grande poker mediorientale chi vince questa mano è Erdogan, biscazziere e baro principe (ma il casinò è in mano a USraele), mentre il pollo, meritatamente e con soddisfazione di chiunque abbia in odio i rinnegati, i venduti e i traditori, sono i curdi. Naturalmente idolatrati e difesi oltre ogni limite della decenza e della verosimiglianza, dall’italiota quotidiano salafita (nella specificità curda, ma solo in questa, adornato di scintillanti piume laiche. Per il resto Fratellanza Musulmana fino alla morte). L’invasione turca della Siria, per prendersi la città arabo-siriana di Jarablus (per nulla curda, come tante altre occupate dall’YPG e dal geografo del “manifesto” diplomato a Tel Aviv assegnate ai curdi, in parallelo con  la stessa revisione operata sui territori arabi dell’Iraq), dopo quella di Manbij e dopo l’attacco curdo-americano ad Hasakah, respinto dai lealisti, insegna ai rinnegati di Rojava che vendersi al primo venuto, nel caso gli Usa, di solito conduce all’essere rivenduti.

martedì 23 agosto 2016

USA-ITALIA-ETIOPIA, YEMEN, ERITREA: I CRIMINALI, LE VITTIME, IL TARGET e rispettivi corifei. (e a Ventotene tre frodatori, eredi di tre frodatori, con i loro corifei)



Medaglia d’argento della maratona, medaglia d’oro dell’eroismo
Il  drammatico, coraggioso, nobilissimo gesto della medaglia d’argento etiopica della maratona di Rio ha squarciato non solo l’ipocrita e cinica immagine dello sport affratellante e pacificante, in effetti mercato mafioso e strumento di guerra fredda (vedi la montatura del doping russo). Ha squarciato il velo dietro al quale l’Occidente e l’Italia in prima persona nascondono, a vantaggio di rapine e profitti, l’orrenda dittatura e i sistematici genocidi compiuti dal regime di Addis Abeba nei confronti dei vari popoli del Corno d’Africa. Tra i quali i somali e, sottoposti ad aggressioni latenti o attive da oltre sessant’anni, gli eritrei.
L’eroico Feyisa Lilesa, con i polsi levati alti e stretti nel gesto delle manette all’arrivo della maratona, nello sbatterli sul muso dei mercanti e boccaloni olimpici e sulla coscienza del mondo e, a seguire, con le interviste e denunce, ha determinato anche il suo destino: schiacciato nella scelta tra ritorno in patria per raggiungere in carcere i suoi famigliari Oromo o, più probabile, essere ucciso, e l’esilio perenne, quanto meno fino alla caduta del terrorismo di Stato che gestisce l’Etiopia ininterrottamente dai tempi di Haile Selassiè, l’amerikano, Mengistu, il sovietico-cubano, Meles Zenawi e, ora, Haile Mariam Desalegn, di nuovo amerikani. Un terrorismo di Stato che, a vantaggio delle classi dirigenti,  Amhara prima e poi Tigrina, ha sgovernato il paese reprimendo e decimando  popoli e opposizioni interne e muovendo guerra ai vicini per conto dei mandanti Usa e Israele, di cui l’Etiopia è diventato il maggiore caposaldo coloniale nel continente.

domenica 21 agosto 2016

SIRIA, LIBIA: Quando il gioco si fa sporco, gli Sporchi cominciano a giocare (Amnesty, il manifesto, i curdi...)



Amici, anche questo è lungo, lo so. E so anche che la curva dell’attenzione dei feisbucari è brevina. Ma fate un sforzo: in Medioriente succedono cose turche (in senso letterale e figurato), dai riflessi mondiali e su tutti noi. Il mostro è scatenato. Vale la pena rendersi conto e sapere dove siamo, chi siamo e cosa ci fanno. Ho provato ad andare un pochino più in largo e in fondo. Alla faccia di giornaloni, giornalini e tv.

Morale? In fondo al barile, a scavare
La cinica e sporca operazione Aylan, il piccolo profugo curdo sistemato sulla spiaggia, fotografato e sparato addosso all’Europa, doveva servire a farci aprire le chiuse alla destabilizzazione e lacerazione dei  paesi europei con un’alluvione di rifugiati, effetto collaterale voluto della guerra e spopolamento voluto Usa-Israele-Golfo, e, in ultima analisi a consegnare al macellaio turco-Nato maggiore potere ricattatorio e 6 miliardi di euro. La cinica e sporca operazione del bambino siriano Omran, fotografato e sparato addosso al resto dell’umanità da una banda di assassini, è la scena madre di uno spettacolo al termine del quale spettatori ammutoliti dovrebbero rassegnarsi all’obliterazione della Siria nel momento in cui era sul punto di salvarsi.

Il gioco è sporco da far schifo e fanno schifo i giocatori che ci stanno tirando questa e altre palle caricate a frode e diritti umani: Ong, umanitaristi, sinistre, destre, sinistre di destra, destre di sinistra, il manifesto, Amnesty e succedanei, il papa, tutti impegnati a dinamitare cervelli con una successione di ordigni grandiosamente pianificati ed orchestrati perché nessuno si immagini più una Siria o una Libia o un Iraq saldi sui loro piedi, integri, vivi,  con popoli coscienti e coesi, radicati, non ridotti a figurare nella Storia come masse in fuga da respingere o, crimine contro l’umanità, da assimilare, spogliare, ridurre a surrogato di qualcosa che non c’è più, o non ci sarà mai. Virtualizzarle.

OMRAN, LA MEGABUFALA, LA PATACCA DEL CRIMINALE, LA COMPLICITA' DI CHI LE HA ACCREDITATE



Una storia che rivela il criminale cinismo di chi muove la propaganda Nato e la sciagurata dabbenaggine e/o complicità dei boccaloni che le si inginocchiano e la diffondono.

Il fotografo del bambino imbrattato Omran, che ha rilanciato nel mondo le ragioni dei “ribelli” e le nequizie scellerate del presidente Assad nella città martire Aleppo, la nuova Stalingrado, si chiama Mahmud Raslan ed è un miliziano di Al Nusra (Scoop dell’Associated Press). E' il simpaticone terzo da sinistra nella prima foto.

Questo personaggio, esaltato dai media per essere riuscito a commuovere il mondo e mobilitarlo contro Assad, ha postato foto di se stesso assieme a mercenari che hanno decapitato un bambino palestinese di 12 anni ad Aleppo. Il ragazzino è ripreso su un pick-up insieme ai suoi assassini, pochi momenti prima dell’esecuzione.  I due personaggi alle spalle di Raslan (quello con le giberne e la maglietta nera, terzo da sinistra e poi quello sul pick-up col bambino da decapitare, che strizza l’occhio). Due settimane dopo, Raslan ha postato su Facebook un selfie insieme a due dei giustizieri del bambino. L’uomo direttamente dietro a Raslan è stato identificato come Umar Salkho, del Gruppo “Zenki”, un sottoreparto di Al Nusra sostenuto come “moderato” dagli Usa. Il video è stato caricato il 16 luglio 2016.

Raslan porta la stessa camicia sia quando si fa riprendee con gli assassini del bambino palestinese, sia quando il piccolo Omran viene messo sul seggiolino dlel’ambulanza.

Di Raslan esistono sui social numerose dichiarazioni che inneggiano alla “terra delle battaglie e della macelleria” e ai terroristi kamikaze.
Ci voleva l’Associated Press a smerdare chi l’ha fatto, chi ce l’ha mandato e chi ci ha creduto o ha fatto finta.


Tornerò sull’argomento, allargando l’analisi della criminalità Nato e dei suoi vivandieri a Siria e Libia.

martedì 16 agosto 2016

OSSERVIAMO PIETOSO SILENZIO SU FIDEL - ROMPIAMO L'INFAME SILENZIO SU SLOBO

“La distruzione del mio paese è la dimostrazione che non esiste la globalizzazione, ma solo un nuovo colonialismo…Se le nazioni, gli Stati, i popoli fossero trattati da soggetti pari, non conquistati, stuprati, se il mondo non dovesse appartenere a una minoranza ricca, che deve diventare più ricca mentre gli altri diventano tutti più poveri, si avrebbe la giusta globalizzazione. Non si è mai vista una colonia svilupparsi e conquistare la felicità. Se si perdono l’indipendenza e la libertà, tutte le altre battaglie sono perse. Gli schiavi non prosperano”. (Slobodan Milosevic, ultima intervista. A Fulvio Grimaldi. Marzo 2001)


La Storia mi assolverà?
Per il 90° compleanno di Fidel Castro sono state suonate trombe, cimbali, arpe, violini e organi. Lo sconveniente paradosso è che il 90% di quei celebranti fino all’altro giorno, anno, decennio, secolo, a Fidel dedicavano veleni, calci, bugie, altro che elegiache note. Io tutti quegli strumenti li avevo suonati a distesa da quando avevo raggiunto l’età della ragione professionale e militante. Oggi preferisco stare zitto. Il mio silenzio si allarga tra due sponde che si allontanano l’una dall’altra a velocità impressionante. La Cuba che Fidel, con il Che, Camilo e gli altri, ha conquistato, liberato, costruito, difeso; e la Cuba che gli è stata imposta e che si è lasciato imporre dopo il colpo di Stato effettuato dai militari sotto Raul Castro nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2009.

venerdì 12 agosto 2016


BLOODY SUNDAY FOREVER (Una Domenica di Sangue è per sempre)


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (
Eugenio Montale, “Ossi di seppia”)

Jack  Duddy, 16 anni, primo ucciso nella Domenica di Sangue, accompagnato da Padre Daly sotto le pallottole dei parà britannici. Foto Fulvio Grimaldi

Tranquilli. E' lungo quanto un instant book. Ma c'è tutto Ferragosto e io per un po' non apparirò. Buon Ferragosto.

Ci sono i romanzi di formazione e ci sono le esperienze di formazione. La mia è racchiusa nelle 16 ore che vanno dalle 14 del 30 gennaio 1972 alle 06 del 31 gennaio.Tra quando partì la marcia dei diritti civili a Derry a quando, dopo il massacro, poi iconizzato come  Domenica di Sangue, sfuggendo aille ricerche dell’esercito britannico, raggiunsi Dublino e consegnai ai giornali e alla radio della Repubblica irlandese le pellicole e i nastri di quanto avevo fotografato e registrato. Avevo vissuto la tragedia palestinese, la Guerra dei Sei giorni, la brutalità della guerra tra Stati giocata sul raggiro e il sacrificio dei sudditi, il feroce razzismo contro una popolazione cui usurpare la terra e da togliere di mezzo. Avevo già avuto prove di come si sopprimono voci sconvenienti per il potere del momento: la censura israeliana controllava i miei reportage da trasmettere a Paese Sera e sbianchettava qua e là. E’ vero che, alla fine, mi buttò fuori, quando è troppo è troppo, ma fu più che altro per un alterco con un capitano dell’esercito che abusava dei caduti e prigionieri arabi.

A Derry fu diverso. Fu lo spostamento dell’asse del pianeta come lo conoscevo. Ascoltai la parola – falsa - che mondi pretendeva di aprire, per dirla alla Montale, ed ebbi in sorte la facoltà di dire la parola – vera - che ne aprì davvero. La prima era delle autorità di Londra e dei media embedded (già allora! Più che mai) che vollero far passare una strage di civili inermi, pianificata e compiuta a sangue, mente e governo freddi, per la difesa di un reparto di parà aggredito dai “terroristi” dell’IRA. E avevano falciato 30 persone in fuga, tra i 15 e 60 anni, ragazzini, donne, anziani, che avevano avuto l’ardire di chiedere case, pane, lavoro, pari dignità e nutrivano un sogno: la patria riunita, il crimine storico annullato, la ferita sanata. La mia parola era quella della fotocamera e del registratore, insieme a quella di 20mila cittadini del ghetto repubblicano della Derry Liberata. E perciò punita, insanguinata, mutilata. E aprì mondi, quelli feroci e protervi e quelli innocenti e umani,  e li contrappose facendoli arrivare al mondo, a dispetto di tutti. I mondi dei grandi e potenti, degli infami, dei bugiardi, degli assassini, dello Stato della “Prima Democrazia della storia”. L’esperienza di formazione furono quelle 16 ore, il romanzo di formazione il racconto che quel giorno ci dettò. E imparai, a Genova del G8, Gerusalemme, L’Avana, Damasco, Tripoli, Belgrado, Baghdad, l’11 settembre e affini, ovunque, a chi dare retta e chi tenere sotto il laser della diffidenza. Se abbia funzionata lo possono dire gli altri.

giovedì 11 agosto 2016

Lampo di luce sul verminaio



Rio 2016, l'atleta venezuelana Benitez:
«Non stringo la mano al golpista Temer»
Rio 2016, l'atleta venezuelana Benitez: «Non stringo la mano al golpista Temer»
Ricevo dall'ambasciata del Venezuela, tra la giornaliera mole di informazioni e analisi preziose che diffonde, diversamente da quella cubana che pare non abbia più nulla da dire, la notizia qui sotto che illumina di nobiltà, dignità, coraggio il mercimonio di corpi che si dice Olimpiadi, in corso in Brasile. I presstituti e le presstitute spedite a Rio per indurci in coma cerebrale rispetto a quanto succede nel mondo e nei nostri paesi attraverso la glorificazione di uno spettacolo corrotto fino all'osso, in un paese dalla classe politica ed economica corrotta fino all'osso, allestito da organizzazioni deputate corrotte fino all'osso, sotto il governo politico-pubblicitario di una cricca di golpisti corrotti fino all'osso. Golpisti che, sbranata il membro meno colpevole del loro circo dell'orrore, stanno sbranando l'intero paese sotto la copertura tessuta dai presstituti, radendo al suolo i diritti alla sopravvivenza, al lavoro, alla casa, all'istruzione, alla salute, all'ambiente.
Fatta sparire dalle strade, a forza di sequestri, carcere, uccisioni, la "feccia umana" il cui formicolare e protestare e lottare gli spettatori ricchi dei giochi dei ricchi turbava, ora si accingono a far sparire foreste e favelas, gli habitat dei brasiliani di troppo. Il tutto sotto l'egida e la guida del potente vicino a cui, dopo lo strappo indecente delle fasi Lula e Rousseff, si apprestano a restituire il paese e il petrolio nella ripristinata forma di cortile di casa SUA. Altro che BRICS. 
Partita integrando l'assedio militare, nucleare e propagandistico alla Russia con la montatura del doping tutto russo, facilitata da un paio di atleti rinnegati, bugiardi e corrotti e da un'agenzia della promozione del doping che si definisce antidoping, WAFA, strumento di manipolazione dell'atletica della IAAF, Federazione delle Associazioni Atletiche, capeggiato dalla spia britannica Sebastian Coe, l'Olimpiade di Rio è il depistaggio più osceno che uno sport mercenario del potere ha inflitto alla coscienza e alla razionalità del genere umano.
Non c'è Olimpiade degli ultimi decenni che non sia stata programmata e usata per espellere pezzi di società senza avere e potere, gentrificare quartieri, arricchire gli speculatori dei grandi eventi e delle grandi opere, tramortire conoscenze e consapevolezze, devastare ambienti urbani e naturali, promuovere la mercificazione dei corpi, del gioco, della competizione, di ogni aspetto della vita e, soprattutto, costituirsi in laboratorio della militarizzazione e dello Stato della sorveglianza totale. Stavolta è servita anche ad avvicinarci all'assalto alla Russia e, con ciò, arrivata Hillary, alla fine di tutto.
Venezuela, tu che ancora puoi, dacci più Alejandre Benitez.
Virginia Raggi, tieni duro.
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Olimpiadi. Il polemico gesto della schermitrice venezuelana, ex ministro dello Sport
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di Geraldina Colotti per Il Manifesto
«Sono una donna, sono una militante politica e sono di sinistra, appoggio la democrazia e la giustizia, non stringo la mano a un golpista». Un gesto annunciato, quello della schermitrice venezuelana Alejandra Benitez, che alla cerimonia d’apertura dei Giochi non ha salutato il presidente a interim, Michel Temer, con grande storno delle destre latinoamericane. Poco prima, Benitez aveva spiegato ai giornalisti il perché della sua decisione e annunciato un incontro con Dilma Rousseff (la quale ha rifiutato di partecipare in seconda fila alla cerimonia d’apertura).
Alla domanda sulla procedura d’impeachmet, che ha sospeso Dilma dall’incarico, l’atleta venezuelana ha risposto: «E’ terribile quel che stiamo vedendo: un colpo di stato che si sta legittimando, bisognerebbe fare di più per impedirlo. Io, come donna, ritengo che il golpe sia stato anche un gesto maschilista, patriarcale, contro la presidente. In politica, come nello sport, certi uomini credono di poter relegare le donne in secondo piano». Benitez, 36 anni, è stata ministro dello Sport del governo Maduro nel 2013. Animalista e femminista, militante del Psuv durante i governi Chavez e deputata, lavora nei quartieri poveri ed è impegnata nella difesa dei diritti delle donne e della comunità Lgbt all’interno dello sport.
Benitez è alla sua quarta partecipazione alle Olimpiadi. Gli 87 atleti venezuelani che partecipano a Rio (61 uomini e 26 donne) testimoniano del grande sforzo compiuto dal paese bolivariano in questi anni nei confronti dei giovani («la generazione d’oro», come li chiama il presidente»), che hanno accesso completamente gratuito a tutti i servizi e all’insegnamento. «Nonostante tutte le difficoltà che ci troviamo ad affrontare, nonostante tutti gli attacchi e la caduta del prezzo del petrolio – ha detto ancora Benitez – anche quest’anno le risorse per lo sport e la cultura sono state mantenute e anche aumentate. Lo sport ha una grande funzione sociale».
Benitez, che fa parte del gabinetto di lavoro di Maduro e accompagna diversi progetti di reinserimento nelle carceri venezuelane, a Rio ha vinto il primo degli incontri di scherma e perso di misura il secondo. Per ora, il Venezuela ha totalizzato un buon risultato nella boxe e nella ginnastica.
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mercoledì 10 agosto 2016

I POPOLI RISCHIANO LA VITTORIA - SCATENATI I CANI DI GUERRA A STELLE E STRISCE E MEZZALUNA WAHABITA - Fuori dalle guerre i mercenari italiani!



    


Libia: tutti contro l'Egitto
In Libia siamo all’intervento, presuntamente e falsamente contro l’ISIS (che si toglierebbe dai piedi non appena i suoi mandanti in Usa, Israele, Qatar, Turchia e Arabia Saudita, glielo ordinassero, o gli facessero mancare rifornimenti e guiderdone), delle forze speciali Nato, con tanto di italiani spediti a uccidere e farsi uccidere col pretesto di combattere il terrorismo e con lo scopo di favorire la spartizione della Libia e delle sue risorse tra i paesi colonialisti aggressori. Le strumentali e calunniose polemiche contro l’Egitto e contro l’ENI, che con il Cairo collabora nell’interesse dei nostri rifornimenti energetici (per una volta sottratti al controllo Usa), sono motivate unicamente dal tentativo di escludere l’Egitto, arabo e laico, da una soluzione unitaria e inter-araba del conflitto che elimini l’esercito surrogato dei Fratelli Musulmani.. L’operazione Regeni, sfruttata a fondo da tutta la stampa filo-imperialista e sostenitrice della quinta colonna coloniale dei Fratelli Musulmani, come i ripetuti attacchi all’Eni e la spaventosa guerra terroristica condotta dalla Fratellanza in Egitto, si inseriscono in questo quadro, Nella strategia occidentale e dei petrosatrapi del Golfo le milizie di Misurata, fanteria Nato, resesi note durante il conflitto con torture, stupri, assassinii di prigionieri e civili, e nell’immediato dopo-Gheddafi per le orrende atrocità compiute sui membri della precedente amministrazione, come sui libici di colore nero (genocidio a Tawarga, cittadina a maggioranza nera), sono di nuovo l’esercito degli aggressori e del loro burattino, privo di qualsiasi legittimazione democratica, Fayez al Serraj. Il loro compito non è tanto quello dell’eliminazione della presenza dell’Isis in Sirte, per la quale hanno già clamorosamente fallito e che ora parrebbe rilanciata con il sostegno dei criminali bombardamenti Usa da Sigonella, - anche questi finti-antiterrorismo – quanto quello di neutralizzare l’unica forza nazionale legittima in campo, comprensiva della maggioranza delle tribù e degli orientamenti politici antimperialisti: il parlamento di Tobruq, l’unico eletto dal popolo libico, e la sua forza armata comandata dal generale Khalifa Haftar.
Sul vergognoso servilismo del regime italiano, immediatamente messosi a disposizione con basi e reparti, del signore della guerra Usa, facendo oltretutto del nostro paese bersaglio di rappresaglie fatte passare per attuate dall’Isis, il Comitato No Nato fa circolare il documento in calce.
Aleppo o morte
Dall’altro estremo della regione araba, i clamori preoccupati e anche indignati di tutto l’arco mediatico e politico filo-imperialista e cripto-imperialista per il flirt tra il sultano turco e lo “zar” Putin, descritto come osceno connubio tra due autocrati, tendono a oscurare il dato del rovesciamento strategico della guerra, con in prospettiva la vittoria di Baghdad e Damasco e il fallimento dell’opzione USraeliana e wahabita della frantumazione di questi Stati (ai quali collaborano, oltre all’Isis, i curdi, diventati fanteria della Nato). L’alluvione di menzogne e deformazioni che cercano di occultare questa situazione in particolare relativa ad Aleppo, dove la sconfitta finale dei terroristi (in parte riciclatisi su ordine Nato in “moderati”) era imminente, si accompagna al frenetico invio dalla Turchia di rifornimenti e combattenti (altro che crisi Erdogan-Usa-Nato), al rinnovato voto del sultano di spazzare via Assad (conferma dell’alleanza Nato-Riad-Isis) e al disperato intervento dell’ONU con la proposta di una tregua finalizzata unicamente a consentire ai terroristi di evitare la disfatta e riprendere fiato.
 Assistiamo a un diluvio di umanitarismo che si fa forte delle bugie sulle vittime civili, tutte arbitrariamente attribuite al “regime” (a dispetto delle inconfutabili e autorevoli testimonianze dal posto), ma che era totalmente assente durante i 5 anni di assedio e devastazione della città da parte di Al Nusra e soci, con le conseguenti atrocità contro la popolazione. Si ignora che i russi hanno aperto tre corridoi umanitari nei quali si sono precipitati migliaia di cittadini inseguiti dall’artiglieria di Al Nusra, si lamenta che 2 milioni di cittadini sarebbero  a rischio di genocidio, mentre 1,5 milioni sono nella zona controllata dal governo, in sicurezza alimentare, ma esposti ai mortai e ai gas tossici dei terroristi, e circa 200mila sono trattenuti come scudi umani nelle zone ancora occupate dai mercenari.
Si può essere sicuri della determinazione di Damasco e ci si deve augurare che i russi, con la solita volontà di mostrarsi “ragionevoli” o, magari, per coltivare l’illusione di un Erdogan convertito a un nuovo fronte russo-turco, non cadano nella trappola, non si facciano tagliare le gambe dall’uragano propagandistico occidentale, di Al Jazeera ed embedded vari (il manifesto, sempre sul fronte). Ma  smascherino l’ipocrisia degli “umanitari” e dell’ONU, e insieme alle forze siriane portino a termine la liberazione di Aleppo.

Comunicato della Lista ComitatoNoNato

NO all'intervento militare in Libia

Dopo il bombardamento a sorpresa della città libica di Sirte da parte dell'aviazione statunitense il 1 agosto e, nei giorni successivi, le dichiarazioni di "approvazione" da parte dei ministri Gentiloni e Pinotti, gli aderenti alla lista ComitatoNoNato hanno stilato il comunicato stampa che segue.
6 agosto 2016 - Lista ComitatoNoNato (comitatononato@googlegroups.com)

Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l'appoggio diretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.
La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la concessione delle basi italiane per le operazioni militari.
Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l'articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell'Africa.
La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all'ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti:
Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali; 
Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio Serraj, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla "Fratellanza Musulmana". Questo “governo”, imposto dall'esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato: 
La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.
Per eliminare l'ISIS/Daesh, non servono le bombe. ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.
Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali sono invitati a organizzare forme di protesta -- insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti -- per dire al governo Renzi: L'Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all'uso di tutte le basi militari poste sul territorio italiane e dello spazio aereo italiano.
Roma, 6-8-2016 Lista ComitatoNoNato