venerdì 24 gennaio 2025

Di continente in continente fascismi 2.0 --- NOI E GLI ALTRI GANGSTER

 


Canale Youtube di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=W4Mu2ERZsiw&t=12s

https://youtu.be/W4Mu2ERZsiw

Questo regime di biscazzieri, malviventi, scappati di casa, incapaci, mentitori, armatori e complici di massacratori di guerra, ha rimandato libero e riportato nel suo covo di briganti, a Tripoli, un assassino torturatore di massa, sotto mandato d’arresto del Tribunale Penale Internazionale. Al nostro regime di complici di ogni infamia lo ha ordinato il capo della cosca criminale libica a cui noi, con l’ONU, conferiamo il titolo di governo. A condizione che ci passi il petrolio e che tenga rinchiusi, torturati e uccisi, coloro che vorrebbero venire qui.

Ma i fascismi di cui si parla in questo video sono tanti e neanche tanto vari. E’ bastato, a Washington, qualche mero accenno a una variazione sul tema dell’America antropofaga, che paggi, vallette, spazzini e strilloni europei sono andati in agitazione: “Quello cincischia, cambia le carte in tavola e allora noi che facciamo?” Ed è stata la bava alla bocca, l’urlo collettivo: guerra guerra guerra!

In questi giorni, tra assassini-torturatori, nostri partner dell’Altra Sponda, genocidi in estensione da Gaza al Libano e alla Cisgiordania, nostri sodali da amare e armare, e il nuovo grande capo che, con i 50.000 satelliti del suo visir dal braccio teso, promette di contarci anche i peli del pube, contro fatti duri e puri abbiamo sbattuto la zucca.

Su Donald Trump s’è sentito da tutti di tutto. Data l’imprevidibilità di uno che sistematicamente sfugge alle nostre elementari categorie di classificazione, ognuno vi si esercita al principale scopo di esibire competenze e perspicacie analitiche e predittive. Qui menziono solo una di queste onanistiche performance. Forse la più scema di tutte. E perlopiù wako e, quindi, in senso ostinato e contrario a quanto di “cultura” e di “politically correct” ci hanno rifilato negli anni da Obama in qua.

Dobbiamo alla penna aguzza di Selvaggia (nome omen) Lucarelli, giudice burbanzosa di ballerini sotto le stelle e produttrice di eversioni parioline sul Fatto Quotidiano, il miracolo di aver scandagliato nel profondo le complesse sfaccettature di uno che vuole la pace con Putin, ma lo sterminio dei palestinesi, l’ingresso dei suoi scarponi in Groenlandia, Canada e Panama, ma l’uscita da OMS, Green Deal e, hai visto mai, NATO, un’Europa piccola piccola, ma un Israele grande grande e via pazzarellando.

Per Selvaggia, ciò che invece conta e ci rappresenta l’omone alla carota, sul piano etico, estetico e culturale, è ben altro. Scrive: “Il suo progetto affonda le radici nel machismo…la virilità dominante dei maschi accanto a lui (compresa la ricca dozzina di donne?)… l’espressione massima di potere del maschio bianco che sfida il resto del mondo, galassie comprese…”.

Beh, non ha tutti i torti la sondatrice delle incomparabili specificità di Trump, nemmeno quando ne trae previsioni di incomparabili sventure determinate dall’identità di “maschio bianco”. Visto che quelli prima di lui, Biden, Obama, Bush, Clinton, Reagan, di tutto erano espressione fuorchè di machismo, di sfida al mondo, di mascolinità bianca (tipo guerre, che poi, pur essendo la massima espressione del machismo dell’uomo bianco, lui non ne ha lanciate).

Lasciamo pure Trump al ruolo di “macho più potente del mondo”, secondo le semplificazioni che fanno certi scrivani trovandosi in difficoltà a scorgere tra le nebbie i pupari del teatro dei burattini i cui trilioni manovrano per davvereo le sorti del mondo. Tuttavia, cosa pensate che facessero i Bezos, Zuckerberg, Musk, Pichai (Google), Fink (Blackrock) e colleghi vari, allineati dietro a Trump? I guardiaspalle? I pretoriani, i famigli? O quelli che muovono i fili?

C’è chi si ritiene ancora ai tempi dell’Unto del Signore che tutto può e tutto fa.

Unto del Signore, peraltro, che regolarmente nella Storia si ritrova sbalzato dal cavallo da qualcuno che, scampato agli zoccoli, pur nudo e scalzo, ne è diventato pietra d’inciampo. E’ successo tante volte. Spesso è bastato accendere una miccia a far imbizzarrire il cavallo e precipitare l’Unto.

Ho visto, al tempo di “Piombo Fuso” la gente di Gaza. Fuori non si vedeva a un passo dalla polvere delle macerie e dal fumo delle bombe. Si sapeva che, uscendo, si sarebbe inciampato su corpi esanimi. Ma dentro al piccolo centro culturale, dalle finestre infrante, ragazzine e ragazzini suonavano, cantavano, facevano la V con le dita, ti guardavano negli occhi  e scandivano tra una strofa e l’altra “Non vogliamo il pane, non vogliamo l’acqua – vogliamo la libertà”.

Una bambina dagli occhi verdi (la ritrovate nel mio docufilm “Araba Fenice il tuo nome è Gaza”) recitava versi del più grande poeta di Palestina e della Resistenza, Mahmud Darwish:

“ I nemici possono avere la meglio su Gaza – possono spezzarle le ossa – possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini – possono gettarla a mare, nella sabbia e nel sangue – ma lei non ripeterà le bugie – non dirà sì agli invasori – continuerà a farsi esplodere – non si tratta di morte – non si tratta di suicidio – ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere – Continuerà a farsi esplodere…”

Il giorno dell’annuncio del cessate il fuoco, Gaza è di nuovo esplosa. Decine di migliaia in festa attorno ai propri combattenti con fascia verde e passamontagna e la bandiera palestinese sul braccio. L’esercito più invincibile del mondo si era ritirato. Scoraggiato, stanco, sconfitto, privo di centinaia di disertori. Torna in un suo Stato dal quale altri, in abiti civili, fuggono a centinaia di migliaia.

Sancisce il ministro degli Esteri Gideon Saar: “Non abbiamo raggiunto nessuno degli obiettivi dell’aggressione militare… non siamo stati capaci di distruggere il potere politico e la capacità militare di Hamas”. L’architetto del celebrato “Piano dei Generali” (affamare la popolazione, deportarla), Generale Gioria Eiland: “Il nostro è stato un fallimento totale. Ce ne andiamo senza aver ottenuto un solo risultato. Abbiamo perso la guerra, Hamas è più forte di prima”. Haaretz, primo giornale di Israele: “I palestinesi sono il migliore popolo al mondo nel difendere la propria terra. Chi, se non i proprietari della terra la difenderebbe con tanta determinazione, con la propria vita, i propri figli e un tale orgoglio?”

Gaza è invincibile. Gaza ha vinto già solo per esserci. I gangster hanno ucciso 47.000 persone, anzi, 70.000, forse molte di più. Ma i palestinesi sono 14 milioni. Grazie ai loro martiri sono tornati a esserci. Hanno accettato il costo, il conto torna. Torna anche per quei palestinesi che su quella terra sono stati nei millenni.       

I palestinesi sanno che il passato non è morto. Anzi, non è neanche passato.

Noi ce ne siamo dimenticati.

lunedì 20 gennaio 2025

GAZA O MORTE. Fatto.--- CISGIORDANIA O MORTE. Da fare. --- GRANDE ISRAELE O MORTE. Tempo al tempo.

 

 Ramallah, Primavera 2002. Marwan Barghuti, segretario di Fatah, leader della Seconda Intifada 2001-2005, con chi scrive.

 

Un mese dopo lo scatto di questa foto, Marwan Barghuti è stato arrestato a Ramallah dall’IDF, violando la sua immunità di deputato del parlamento palestinese. Nel 2004 è stato condannato a cinque ergastoli e ad ulteriori 40 anni di prigione, per colpe a lui attribuite: attacchi suicidi della Resistenza a obiettivi militari. Dato che in nessuna di queste azioni è stato direttamente coinvolto, è stato violato il principio giuridico fondamentale secondo cui la responsabilità penale è personale.



Oggi Barghuti ha 65 anni, è in carcere da 2004, non si è difeso in tribunale perchè non gli ha riconosciuto legittimità. In ogni sondaggio in vista delle prime elezioni da tenersi nei territori occupati dal 2006, vinte da Hamas, risulta primo nelle preferenze della popolazione palestinese. In tutte le liste di prigionieri che, nei vari scambi considerati nel corso dei negoziati tra il 2023 e oggi, Hamas ha collocato Barghuti al primo posto. All’atteggiamento di apertura e di laicismo e al rispetto per la volontà degli elettori, così manifestato da Hamas, il governo dello Stato sionista ha sistematicamente opposto un rifiuto netto.

 

Oggi, nelle fasi successive a quella della cessazione del fuoco e del primo scambio di prigionieri, fasi 2 e 3 già valutate improbabili dal regime di Tel Aviv, il quasi novantenne presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è candidato, ed è stato candidato dagli sponsor esterni della tregua, all’amministrazione, in congiunzione con altri paesi, della Striscia di Gaza “liberata” dalla presenza di Hamas e delle altre forze della Resistenza.

Per questo compito l’ANP che con Abbas, dalle ultime elezioni del 2006, vinte da Hamas, mantiene, grazie al consenso di Tel Aviv, il governo della Cisgiordania, avendo rifiutato da allora ogni ulteriore consultazione popolare, si è accreditata in vent’anni di collaborazionismo e, in particolare, con la recente aggressione dei propri pretoriani armati alle roccaforti della resistenza. Nel corso dell’intervento a Nablus, Jenin, Tulkarem e altri centri palestinesi, reparti della polizia dell’ANP, forte di circa 80.000 uomini grazie ai proventi in arrivo da Stati Uniti, Europa e imposizioni fiscali alla popolazione dei territori occupati, hanno usato armi e ruspe per uccidere, ferire e distruggere abitazioni e strutture pubbliche. Hanno perfezionato e completato quanto simultaneamente compiuto dall’esercito e dai coloni. Israeliani.

Quando chi scrive visitò nel 2002 i territori occupati, la leggenda di una soluzione equa della questione di un popolo senza terra, senza Stato e con un’amministrazione locale fortemente limitata dalla presenza e dall’interferenza della potenza occupante (le famigerate zone A, B e C), nelle organizzazioni della Resistenza si era già consolidata la consapevolezza di come gli accordi di Oslo fossero pura retorica e, più che corroborare la prospettiva di due popoli per due Stati, la stavano eliminando dall’orizzonte della Storia.

La prima Intifada, negli anni ’80, in cui il ventenne Barghuti, già reduce da ripetuti imprigionamenti, svolse il ruolo di dirigente (prima di essere arrestato nel 1987 ed espulso in Giordania), aveva gettato i semi per un’alterativa alle soluzioni illusorie concluse tra vinti, vincitori e i padrini internazionali di questi ultimi. La convinzione che la violenza dell’occupazione coloniale doveva essere contrastata con gli strumenti della forza della popolazione oppressa, come da Carta ONU, trasse persuasività dal fallimento di Oslo e provocò una netta, seppure all’esterno poco pubblicizzata, frattura nel mondo politico palestinese.



Yasser Arafat, storico Nelson Mandela della Palestina (cui si potrebbe contrapporre un Marwan Barghuti-Che Guevara), corresponsabile degli accordi di Oslo e il gruppo dirigente di Fatah, poi forza centrale di OLP e ANP, intrapresero la strada senza ritorno della convivenza con l’occupante, alla luce, sempre più fioca, della formula, sempre più stereotipo, dei “due popoli per due Stati”. Formula ridicolizzata dal costante aumento degli insediamenti e del numero di coloni, oggi arrivati a 800.000 e ininterrotti predatori di beni e terre palestinesi, quando non preferiscono incendiare e devastare.

L’Intifada, sotto la direzione di Barghuti, produsse una formazione di giovani resistenti, detta Tanzim, che lentamente radunò attorno a sé una nuova generazione di politici e combattenti palestinesi. Mentre la posizione rinunciataria e collaborazionista del vecchio gruppo dirigente, appeso alla popolarità di un Arafat in netto infiacchimento senile, conobbe un’emorragia di consensi, non frenata da evidenti fenomeni di corruzione e dai ricatti subiti dal padrone coloniale, crescevano l’autorevolezza e il sostegno popolare al gruppo di Barghuti.

Ebbi modo di constatare de visu il consenso della popolazione attraverso l’ininterrotta e crescente mobilitazione contro l’occupante, sia nella forma della sollevazione di massa nella cosiddetta “Intifada dei sassi”, sia attraverso il reclutamento nelle formazioni paramilitari impegnate nello scontro armato. Quanto all’obiettivo strategico, in una mia intervista, Barghuti disse con grande enfasi: “Noi non scacceremo chi è disposto a vivere in pace e amicizia con noi. Noi saremo su questa terra per sempre. E per sempre lo saranno anche gli ebrei”. I cinque ergastoli e il rifiuto israeliano di accettare lo scambio con Barghuti vanno riferiti alla prima parte di questa affermazione.

Ebbi l’occasione di assistere a un assai significativo convegno delle due anime di Fatah in un teatro di Ramallah. La contrapposizione era visibile nello schieramento sul palco. C’era, sul podio, il vecchio Arafat cui un suggeritore alle spalle correggeva il discorso e ne riempiva i vuoti di parola e di pensiero. Quando si perdeva, ripiegava sull’invocazione  “Pace in Terra Santa”. Intorno a lui, di poco più giovani, a spellarsi le mani, i burocrati della vecchia OLP e della nuova ANP. Al margine, attorno a Barghuti, il gruppo dei giovani capi dell’Intifada con le loro espressioni rispettose, ma perplesse.

Bisognava agire prima che il rapporto di forze tra giovane anima della Palestina e il suo vecchio corpo si risolvesse in senso non gradito ai colonizzatori di una Palestina che, secondo i piani pubblicati nel 1980 dall’analista geopolitico e consulente del governo israeliano Oded Yinon, prevedevano l’estensione su vasta scala in Medioriente, di tale colonizzazione. Lo strumento essendo quello della frammentazione degli Stati arabi unitari lungo linee etniche e confessionali. Così Barghuti viene arrestato mediante l’irruzione dell’esercito di Tel Aviv nella zona riservata al controllo palestinese.

 Mahmud Abbas e Mohammed Dahlan

Qualcuno sospetta che l’operazione sia stata agevolata da Mohammed Dahlan, allora capo dei servizi di sicurezza palestinesi e autore del fallito colpo di Stato dell’ANP a Gaza contro Hamas nel 2006. Dello stesso Dahlan si è mormorato anche in relazione ad avvelenamento e morte di Arafat nel 2004, due mesi dopo la condanna di Marwan Barghuti. La strada ne è risultata sgombrata.

Di Dahlan, che vive ad Abu Dhabi dove ha accumulato milioni di dollari e influenza sulle decisioni dell’emiro Mohammed bin Zayed Al Nahyan, si è tornati a parlare in vista del progettato ritorno dell’ANP di Abu Mazen a Gaza. Lo si pensa utile come appaltatore di ricostruzioni (ci saremo anche noi, hanno detto Tajani e Crosetto). Ma anche come  custode di un cimitero lungo una Striscia.

 

Tempo scaduto, sembrerebbe, usciti di scena i compagni di merende di Netaniahu, Biden e Blinken, anche per Abu Mazen e i suoi progetti di connivenza-convivenza. Ora c’è Trump, che vuole chiudere Gaza in un modo o nell’altro: troppo scandalo a livello mondiale. Eppoi quanti decenni ci vorranno già solo per sgomberare 40.000 tonnellate di macerie! Per cosa, poi? Per far fare soldi a quelli del Ponte sullo Stretto?

Concentriamoci sulla Cisgiordania, più ampia, più ricca, già bell’e colonizzata! Il futuro prossimo è quello. Erez Israel, la Grande Israele, comincia qui.

 

 

 

 

 

venerdì 17 gennaio 2025

Quale tregua?--- --- GAZA, CHI VINCE CHI PERDE

 

Quale tregua?

GAZA, CHI VINCE CHI PERDE

 


DAL MIO CANALE YOUTUBE

https://www.youtube.com/watch?v=8IGukEUNeco

https://youtu.be/8IGukEUNeco

 

A Gaza i sopravvissuti, il milione e 900.000 senza casa su 2,1 milioni, coloro che hanno perso 70.000 congiunti e amici e ne perderanno altre decine di migliaia, ffesteggiano a buona ragioner la cessazione, anzi la sospensione, del genocidio.

Sospensione? Chissà. Non per coloro che stanno morendo di fame, malattie, ferite perché privi di assistenza sanitaria dato che i presidi sanitari sono tutti rasi al suolo o inoperativi perché danneggiati e privati di sanitari e medici ammazzati o carcerati. Sospensione? Non per chi vive nelle enormi tendopoli piazzate nel fango, al freddo, sotto la pioggia, o nei campi al 75% non più coltivabili dopo il passaggio dei carri armati, delle ruspe, delle bombe, o perché non più praticabili vista la distruzione del 90% delle strade. Non per chi non avrà più istruzione e quindi strumenti di lavoro e vita, dato che il 90% delle scuole non esiste più.

Una tregua per sopravvivere tra i 40 milioni di tonnellate di detriti, pieni di amianto, del 70% delle costruzioni distrutte e di 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi. Per sopravvivere, uno su cinque, alla mancanza di cibo, di cui il 96% bambini e rispettive madri. Per sopravvivere fino al 2040 quando saranno state rimosse tutte le macerie e gli sciacalli della ricostruzione potranno intascare i miliardi promessi dallo sterminio. In fila già Tajani, Crosetto e Meloni, con quelli del Ponte sullo Stretto, della diga di Genova, dei grattacieli abusivi di Milano e del rigassificatore sotto le case di Piombino.

Una tregua per chi ha già giurato che non l’accetta e non la osserverà. Nella peggiore delle ipotesi riprenderà la mattanza al termine della prima delle tre fasi previste dall’accordo. Lo minacciano gli irriducibili sionazi della radiazione di palestinesi dalla faccia della Terra, Smotrich e Ben Gvir, dietro ai quali annuisce l’analogo Netaniahu.

E ancora tutto da vedere. Anche chi vince e chi perde. Per oggi stiamo ai fatti. Israele aveva giurato di far fuori il bubbone Gaza, eliminando Hamas e spostando nel Sinai egiziano, o sulla Luna, 2 milioni di palestinesi. L’Egitto, forza principale nell’ottenimento dell’improbabile tregua, più che gli ambiguoni della Fratellanza Musulmana del Qatar, gli ha fatto “sticazzi”. Hamas ha ancora colpito soldati e tank dell’IDF, ancora ieri, ancora nella Gaza Nord spianata da 15 mesi di bombe. E quelle villette di neocoloni ebrei, con vista mare a Gaza, di cui abbiamo ammirato il promettente rendering degli impresari immobiliari israeliani? Rimaste a ingiallire sui tavoli degli architetti.

Invece delle villette per “rimpatriati” mosaici da Manhattan, San Pietroburgo, Venezia, o Buenos Aires, si notano gli aerei che riportano nelle loro vere patrie qualcosa come 700.000 coloni ebrei, scampati alle angosce di un paese perennemente preda di insicurezza e sensi di colpa, nei migliori. E con quel decimo di israeliani, sono venuti via anche gli investimenti e le potenzialità di sviluppo già assicurati da tecnici, imprenditori, ricercatori, giovani, di cui il servizio a Gaza e in Libano ha privato il contributo all’economia del paese.

D’altra parte, Hezbollah è stato indebolito dalla decimazione dei suoi quadri e il Libano, con un presidente e primo ministro di stampo Abu Mazen, è passato sotto il controllo di amici di USA, Francia e Israele. Lo Stato abusivo sionista si va mangiando altre fette di territorio arabo in Siria e gode della sottomissione – a sé, ai turchi e agli USA – di un regime di fanatici integralisti e tagliateste al pari dei propri dell’IDF. L’assistenza in armi dell’Iran alla Resistenza palestinese non può più passare per il corridoio Libano-Siria, sotto controllo israeliano. Del glorioso Asse della Resistenza antisionista non è rimasto che lo Yemen, i cui missili, peraltro, continuano a colpire – o dissuadere – i rifornimenti a Israele e a centrare obiettivi all’interno dello Stato coloniale.

Tuttavia, molti sono i punti da mettere in tasca per i trucidoni di Sion. Ma che ne è, oltre che dei propositi non raggiunti a Gaza, del soffocamento di ogni resistenza in Cisgiordania ora invece riesplosa in armi a dispetto del collaborazionismo della Gestapo di Abu Mazen? Ma soprattutto che ne sarà di uno Stato sionista artificiale e coatto che di fronte agli umani del mondo si presenta, insieme al suo sponsor, come la cosa peggiore, più pericolosa, verificatasi a memoria d’uomo? Perlomeno a memoria delle generazioni attualmente pensanti.

Alla lunga, le opinioni pubbliche, in stragrande maggioranza ostili a Israele, qualche effetto sui rappresentanti che ne sono determinati lo hanno. S’è visto in tutte le guerre. C’è ancora oltre a Biden, Meloni e altri sguatteri, qualcuno che urli “all’attacco!”? Vedendosi privato della pagnotta a favore del cannone? E’ storico. E il Trump, che alla richiesta di pace in USA e nel mondo ha risposto con accenni alla fine delle guerre, del ruolo esercitato nelle trattative per il cessate il fuoco ne dovrebbe essere la dimostrazione. Sarà mero opportunismo, dopo tutto l’uomo è pur sempre un amerikkkano del MAGA. Ma, intanto, gli altri sono quelli che hanno riempito di armi e di plausi i genocidi.

Ma occhio, tutto questo vale le stese certezze che si attribuiscono a Nostradamus.

mercoledì 15 gennaio 2025

Modello Guantanamo e Genova G8 --- L’ETAT CEST MOI. E spara.

 

Modello Guantanamo e Genova G8

L’ETAT CEST MOI. E spara.



https://www.youtube.com/watch?v=civGu7RiNV4

https://youtu.be/civGu7RiNV4

“Lo stato siamo noi" "La legge e uguale per tutti" Due frasi che non hanno nessun legame con la realtà. Noi dobbiamo fare pressioni per cambiare questo stato in cui siamo. Grazie per i suoi video”.

Questo è uno della valanga dii commenti arrivatimi nei primi venti minuti dopo la pubblicazione del video “L’etat cest moi” pubblicato sul mio canale Youtube. Solo per dire quanto l’argomento fascistizzazione, implicito nel titolo qui sopra, rappresenti una preoccupazione tanto sentita quanto ignorata da chi ne è il generatore.

Una volta Moreno Pasquinelli, in una discussione sul tema che ogni minuto, ora, giorno, da oltre due anni, ci impongono il regime e l’intera struttura sociopolitica impostaci dall’Occidente politico tutto, mi consigliò di non utilizzare il termine “fascismo” per definire la condizione che sentiamo stringerci al collo. Disse il fascismo è scientificamente una cosa ideologica precisa, rinchiusa in quel suo tempo. Meglio parlare di autocrazia, autoritarismo, dispotismo, tirannia, oligarchia…

E perché no democrazia? Visto il contenuto che questa occulta sotto le sue tanto sgargianti quanto stracciate vesti. A parte la battuta, Moreno ha ragione: tocca essere rigorosi nel classificare opere e forme. Ma poi ho visto che anche in questi mesi nel Venezuela riconsegnato al popolo rivoluzionario dopo un ennesimo tentativo golpista rispedito alla Casa Bianca (ai precedenti avevo assistito e lo racconto nei docufilm “Americas Reaparecidas” e “L’Asse del Bene”) si rinnova la denuncia del fascismo di ritorno. E lo chiamano proprio fascismo e se c’è qualcuno che l’ha sperimentato e che da un quarto di secolo lo sente picchiare alla porta, chi meglio dei venezuelani?

Così a Caracas, ogni due per tre, organizzano convegni, conferenze, seminari, incontri intitolati all’ antifascismo. E quanto tutto questo sia tempestivo lo dimostrano le oltre 120 delegazioni internazionali interessate. Le conferenze più recenti sono delle settimane dopo il tentativo CIA e sodali interni di disconoscere la vittoria di Maduro alle elezioni. E non è che siano ripetitive e si parli solo di svastiche e Operazioni Condor. il fascismo ha modi e aspetti molteplici nei quali si manifesta e tanti livelli su cui opera tra Pentagono e Wall Street, accademia e tecnica: statale, sociale, economico, culturale, etico, tecnocratico, esoterico, finto spirituale….

Ecco, il filmato, di cui il link nel titolo, parte da questo insegnamento: se parli di fascismo e fascistizzazione ti capiscono subito coloro che ne sentono addosso la puzza, meglio che se sei precisino e parli di autocrazia. Fascismo sta nella memoria collettiva e nell’esperienza universale del grosso che pesta il piccolo. Che siano quelli in orbace, camicia bruna, o nella tenuta normalizzante di un qualche fantoccio con le zanne, messo su da CIA o NATO. Pensate a Volodymyr, “difensore della libertà e delle democrazia”.

In questo filmato ci si inoltra tra alcune, simboliche, delle tante ortiche fatte prosperare dal regime Meloni, ma anche da predecessori proclamati cultori di democrazia (del resto incompatibile con il capitalismo del Terzo Millennio), tra le margheritine a capo chino di quel gran prato che chiamavamo Belpaese modellato dalla Resistenza.

Si parla di pretoriani: picchiatori, assassini, torturatori, mentitori, depistatori e compiacenze di cui questa genìa di regime beneficia. Fino al punto da provare – l’iniziativa legislativa è di queste ore – ad avviarla a un’impunità di tipo IDF israeliano: lo scudo legale per cui non varrà più il principio, divenuto disinvolto meme, menzionato dal mio spettatore, che la legge è uguale per tutti e lo stato non sono quattro compari di merende arrampicatisi nei palazzi del Potere, ma il popolo.

Alle milizie messe in campo a difesa di quei palazzi, il liberi tutti della mancata obbligatorietà dell’azione penale, iniziativa semmai riservata al fidato Procuratore Generale della Corte d’Appello e non più al meno controllabile PM che vale per tutti gli altri. Ai servizi segreti, quelli delle stragi di Stato, la licenza e l’onere molto remunerativo di farsi operativi e perfino capi di gruppi mafio-terroristici. Agli accademici e esponenti di Enti Pubblici o partecipati, l’obbligo di farsi spie a sostegno di quei noti servizi.

Ai comuni mortali, dopo le città dei 15 minuti, zone rosse impenetrabili per non turbare ciò che potere e pretoriani stabiliscono essere i propri esclusivi campi di gioco e d’azione.

P.S. Si è appena saputo che la galleria degli orrori fascisti si è arricchita di un nuovo modus operandi. Ovviamente a difesa del genere che da troppo tempo attende di essere trattato al pari dei maschi. A Brescia hanno catturato giovani donne che manifestavano pacificamente contro le devastazioni ambientali, le hanno portate in guardina (forse con quei blindati dove, come da auspicio di Delmastro, non si respira), fatte spogliare nude, costrette ad accovacciarsi per vedere se nei loro organi della riproduzione ed evacuazione celassero armi proprie o improprie. Questi ci precedono sempre di una lunghezza.

sabato 11 gennaio 2025

Al teatrino dei pupi Joe e Volodymyr--- ----- L’ULTIMA SETTIMANA DEI MORTI VIVENTI

 


Formidabile agitazione nel Gran Finale allestito dai pupari prima della calata dell’ultimo sipario e prima che la folla dei bambini che fanno ooohhh si trasferisca all’ombra dell’altro teatrino che, invece, già proclama “Signore e signori, più gente entra e più bestie si vedono!”,

In effetti, il finalone dei pupari in chiusura del teatrino è stato fantasmagorico. Il membro del pubblico che vi sta scrivendo l’aveva ripetutamente – e facilmente - previsto quando, mesi fa, azzardò il pronostico che gli ultimi atti della tragicommedia, prima di arrivare agli effetti del calcio in culo rifilato dal pubblico statunitense ai burattini primattori (stavolta non annullato da brogli), sarebbero stato scoppiettanti.

I burattini, costretti a sgambettare vorticosamente da fili tirati all’impazzata perché quello rimanesse nei fatti e nella memoria il più grande, il più insuperabile spettacolo del mondo, sono in effetti riusciti a farne di tutti i colori. Al pupo Zelensky è stata affidata la missione di prospettare ai fanciulli dell’ooohhh, con lo sgambettamento dalle parti di Kursk, nientepopodimeno che la vittoria sulla Russia, sfuggita perfino a Hitler e Von Paulus. Per la quale ha trovato l’entusiastico incoraggiamento della pupa preferita, di nome Giorgia, che sulla scena si presentava con sullo sfondo l’immagine del fascio littorio. Scenografia che, oltre a prolungare gli ooohhh ha dato nuovo vigore alle stremate forze dei pupi Azov.

Al pupo con turbante e bandierina nera, Al Jolani, agitato dalle esperte mani dei pupari uniti israelo-turco-americani, il compito di tagliare a fette e in buona misura svuotare di scorie la scena dai precedenti allestimenti. Fenomenale successo, ooohhh sconfinati dal pubblico elettrizzato dallo strepitoso coup de theatre del diavolo mutato in angelo. Al pupazzone con turbante e bandierina nera un entusiasmo incontenibile lo ha dimostrato il bimbo Tajani. Nessuno è riuscito a fermarlo quando ha voluto avvicinarsi al proscenio per stringere la manina di legno al suo idolo.

In un successivo quadretto, con il telone di fondo che rappresentava una Beirut in macerie, sempre lo stesso trio di impresari ha messo in campo il burattino preferito, vestito da generale con sciabolone dall’impugnatura a stella di David e fodero a stelle e strisce, al cui i fili si accontentavano di fargli fare su e giù col capo. L’hanno chiamato Joseph Aoun, si presenta come cristiano e piace al papa,

Visto che siamo nell’era della tecnologia, lo spettacolo non poteva non chiudersi con l’eclatante innovazione di una proiezione laser sull’alto dei cieli. Vi si vedeva, calato dal puparo capo celato dalle nuvole, il pupazzetto Joe, anziano e rintronato, prossimo alla pensione, ma ricaricato a molle. Con la corona di re dei pupi che gli scivolava sull’orecchio, conferiva Oscar di latta a due protagonisti dell’epocale presentazione ”Il più grande bagno di sangue della Storia”.

A chi, dunque, la Presidential Medal of Freedom”, massima onorificenza della più grande compagnia di burattini del mondo, conferita ieri dall’ultimo puparo dell’era dei gonzi?

A Hillary Clinton e George Soros.

E qui gli OOOHHH si sono arrampicati fino alla stratosfera.

(Occhio che mancano ancora sette giorni)

mercoledì 8 gennaio 2025

A NOI!

 


L’onanistica pagliacciata di un migliaio di utili idioti ad Acca Larentia, in memoria di tre fascisti ottusamente trucidati in quella che fu la più ottusa forma di contrasto al fascismo praticata dalla sinistra rivoluzionaria, è risultata pienamente consentita, e quindi appoggiata, dalle Forze del cosiddetto Ordine su disposizione del governo rispetto ai propri archetipi.

Nei momenti di difficoltà, il regime cripto-neofascista, che si dica di destra o sinistra, manovalanza del terrorismo imperiale globale, ricorre allo strumento di repressione già risultato vincente contro la più grande sollevazione storica della società viva italiana dai tempi risorgimentali e della Resistenza: strategia della tensione. Strategia nella quale già mezzo secolo fa ha saputo coinvolgere una sinistra compromissoria, consociativa, autoevirata rispetto alle prospettive rivoluzionarie vantate, ridotta a una specie di ANP (con diversi Abu Mazen) della lotta di liberazione in Italia.

E’ bastato trovare qualche killer di Sistema, che si dicesse antisistema di destra (tipo il Fioravanti di Bologna e di Piersanti Mattarella, oggi ovviamente esonerato e ricuperato), e appendere dietro a Moro imprigionato dai propri apparati il logo BR, con pioggia di volantini dal grottesco eloquio para-rivoluzionario)

Acca Larentia, ha visto celebrare il fascismo alla matriciana sotto gli occhi dei gendarmi di Piantedosi, quelli delle teste spaccate ai filopalestinesi e del carcere a operai pichettisti e a  ragazzi che occupano aule, quelli della Bernini e di Valditara che deculturizzano e quindi decerebrano la società in divenire digitale..

Come già all’inaugurazione della Scala, dove all’esibizione del criptoneofascismo nella sua espressione Briatore-Montenapoleone-Dubai, si evitarono obiezioni di classe e antifasciste investigando e colpevolizzando chi aveva ricordato Costituzione e antifascismo, l’unico elemento di disturbo al tonfo sull’asfalto dello scarpone chiodato delle guerre rimpiante e di quelle da condurre, è stato la singola voce di un passante con il suo temerario e fuoritempo richiamo alla Resistenza. Voce doverosamente repressa e intimidita tramite identificazione e segnalazione alla Digos. La quale Digos assicura che con calma e meticolosità visionerà video e foto dei bracciatori tesi, da meticolosamente poi far sparire negli anfratti segreti dove ci si diverte un mondo a farsi le pippe sui misteri italiani.

Tutto questo è il regalo della Befana Fascista offerto ai schleinisti e al seguito obamian-zelinskista: avranno l’opportunità di indicare alle loro schiere liberali, intrise di campo larghissimo, che il fascismo sta lì, ad Acca Larentia, tra quattro smandrappati a braccio teso. Mica a palazzo Chigi e nella rete di complicità di gerarchetti e federaloni in cui l’amichettismo nero va avvolgendo poteri, affari, etica ed estetica del belpaese. Libertà inclusa.

Peccato che sui polpastrelli di una mano, tesa tra le altre mille, erano chiaramente distinguibili le impronte digitali di tale Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera.. Non è il caso di farci caso.

Come firma vi ripropongo la mia canzone, cantata da Leonardo Carli del Canzoniere Pisano

https://youtu.be/crH010CTo_4

martedì 7 gennaio 2025

La società dell’1% in Medioriente --- SIRIA, LA POSTA IN GIOCO: MORTE AL SOCIALE --- deregulation, privatizzazione, monetarismo

 


Per il RINGHIO DEL BASSOTTO Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=VTWJGhEETzE

https://youtu.be/VTWJGhEETzE

"E' tutto sbagliato, è tutto da rifare" (Gino Bartali), con Fulvio Grimaldi, Il ringhio del bassotto

Il video presenta una panoramica che va dal “no limits” delle atrocità israeliane a Gaza, dall’osceno collaborazionismo, in Cisgiordania, dell’ANP e dei suoi sgherri che, contro i propri concittadini, gareggiano in ferocia e necrofilia con la soldataglia di occupazione, all’evidenza di un paese progressista, laico, socialista squartato. Una nazione identificata dai colonialisti euro-atlantici come “liberata” e democratizzata” dal rigurgito subumano di mercenari al soldo di Turchia, Israele, Fratellanza Musulmana, USA e NATO. Ennesima balcanizzazione imperiale di una unità storica, culturale, multietnica, che onorava l’intera umanità, ma che si era resa colpevole della vittoria su colonialismo e neoliberismo e di perseguire un altro modello di organizzazione della società. Come in Libia, Iraq, Jugoslavia, Venezuela….

Tra privatizzazione draghiano-prodiano-montiana, dittatura Covid e regime Meloni, siamo stati talmente ridotti ad accettare per fatto compiuto la scomparsa dei nostri diritti politici, civili e sociali, un’iniqua distribuzione della ricchezza, la totale rimozione del pubblico a vantaggio del potere-profitto privato nel segno della “fine della Storia”. Tuttavia non pare che vi sia una piena consapevolezza dell’obiettivo perseguito, utilizzando l’ormai prediletto strumento terrorista, dalla rivoluzione reazionaria imperialcapitalista in Siria.

Della Sira (come del resto di molti paesi-canaglia, tipo Venezuela, Nicaragua, Nordcorea, Bielorussia, Algeria, Jugoslavia, Cuba…) l’intollerabile era la funzione di esempio, il rischio del contagio, la potenzialità di punto di riferimento politico, economico, sociale. Certo, il clamore era tutto sulla dittatura che le risorse della democrazia, coltivate e vigorosamente rigogliose in Occidente, dovevano eliminare. Siccome il fine giustifica i mezzi, per tale nobilissima missione era perfettamente tollerabile che i mezzi fossero il più raccapricciante mercenariato terrorista mai allevato al mondo, insieme alle più abiette forme di mistificazione della realtà come praticata con la diffamazione-criminalizzazione del soggetto governativo da abbattere.

Meccanismi ottimamente serviti alla causa in sei sui sette stati la cui disintegrazione dai neocon era stata programmaTA a partire dalla “guerra al terrorismo” alla quale il loro supergesto terroristico dell’11 settembre, aveva fornito il pretesto. Ha funzionato in Afghanistan, Libia, Siria, Iraq, Somalia, in Yemen ci stanno riprovando e all’ Iran ci stanno arrivando (anche a forza di provocazioni di ogni tipo, comprese, come si sta vedendo, quelle mediatico-spionistiche, ispirate al modello Giulio Regeni).

In questa lista di proscrizione sarebbero dovute entrare, a completare la resa dei conti con gli arabi iniziata mille anni fa, anche Egitto, Tunisia e Algeria. Ma nel primo la popolazione si è mostrata insofferente al modello israelo-turco-qatariota di Al Jolani, qui impersonato dal Fratello Musulmano Mohamed Morsi. Nella seconda, tradizioni laiche consolidate, violenze, arbitri e incompetenze, con conseguente disastro economico e sociale, hanno svuotato il tentativo integralista di Ennahda (della stessa setta anglodeterminata). E nella terza, una tradizione anticolonialista, costantemente rivitalizzata dai tentativi “colorati” dei revanchisti parigini, ha goduto anche del sostegno del vicino Sahel, dal Senegal al Chad vittorioso sul vecchio padrone coloniale francese, reinsediatosi via minaccia ISIS.

Tornando a bomba, ciò che l’oligarchia monopolista delle dittature finanzcapitaliste teme di più, è tutto fuorchè una più o meno presunta – secondo schemi eurocentrici – dittatura, o autocrazia. Che nel caso della Siria era asseribile sulla base di “evidenze” costruite ex-post, come quelle delle migliaia di carcerati “scoperti” sepolti nel carcere di Sednaya. “Evidenze” che avevano tutta l’aria di essere state suggerite da modelli interni, come Guantanamo e Abu Ghraib, o dal centro di detenzione israeliano di civili gazawi a Sdè Teiman, le cui torture e soppressioni sono state riferite da medici USA in visita, da testimoni israeliani e da prigionieri rilasciati. Centro che ora ha inghiottito perfino il dottor Abu Safiya, eroico direttore dell’ultimo ospedale parzialmente attivo a Gaza Nord, dopo i bombardamenti, la cacciata dei pazienti, l’arresto e l’uccisione dei sanitari.

Con le dittature si convive agevolmente e in comunità d’intenti. Purchè concedano controllo ideologico e sfruttamento delle risorse gli si permette di farsi parassite dei propri popoli per quanto dai potenti è tralasciato. Non siamo messi così perfino noialtri, impoveriti all’osso per sostenere, a forza di armi, sorveglianza e guerre altrui, coloro che chiamiamo nostri alleati (che sarebbe come dichiarare santo un papa che, in combutta con demoni a stelle e strisce, si era impegnato a sovvertire e distruggere, con costi di sangue inenarrabili, popoli e nazioni. E, di passaggio, anche qualche fanciulla).

In Siria la priorità assoluta era, ancora una volta, di cancellare dall’orizzonte, perfino dell’immaginario e della memoria, il modello sociale consolidato e sostituirlo con l’economia di mercato. Che sappiamo bene cosa significhi in tempi di neoliberismo capitalfinanziario, dei Bezos, Fink, Soros, Musk (e mettiamoci anche nel nostro non tanto piccolo, gli Agnelli con i loro miliardi in opere d’arte, spettanti allo Stato, ma imboscate in Svizzera). Significa deregolamentazione, privatizzazione, esproprio di quanto del popolo è e dal popolo è prodotto. Come da Verbo dettato da Goldman Sachs a Mario Draghi da recitare sul panfilo Britannia a George Soros e soci.

In Siria l’economia era mista, con preminenza e potere d’indirizzo dello Stato che aveva provveduto a fornirsi di una base produttiva che gli garantiva un inaccettabile grado di autonomia e autodeterminazione rispetto ai rapinatori designati dalle dittature capitaliste all’indebitamento, alla predazione e alla sottomissione di paesi e popoli: FMI, OMC, Banca Mondiale, OMS. Enti detti transnazionali e dall’apparenza pubblica, magari ONU, ma tutti manovrati da interessi privati dalla capacità di condizionamento e ricatto irresistibile.

In Siria ci si era conquistati l’autosufficienza, a partire da quella alimentare, decisiva (ora sotto scacco di curdi e americani che ne trasferiscono la componente energetica in Turchia e Israele). Nessun prestito FMI dagli anni ’80. Nessun intervento “salvifico” di ONG o agenzie ONU.  La Siria stava in piedi da sola. E permetteva, talvolta tragicamente disconosciuta, ai palestinesi di contare su una simile prospettiva. Non è soltanto Abu Mazen a dover essere chiamato a certe responsabilità.

In Siria l’istruzione di ogni grado era gratuita e libera a tutti. Il paese era il più alfabetizzato del Sud del mondo, insieme a Cuba e Iraq. In Siria non esistevano liste d’attesa per cure e interventi, la qualità della sanità richiamava pazienti perfino dai paesi del Golfo, i trattamenti, i ricoveri, le terapie erano gratuiti. E della loro efficienza ho tratto beneficio io stesso, in Siria come in Iraq ed Egitto. Non mi è mai stato chiesto neppure il ticket.

Assetto sociale incompatibile con la democrazia contrassegnata Al Qaida, ora Hayat Tahrir al-Sham, poi sempre quella degli operativi giordani, turchi, uiguri, kazaki, marocchini, colombiani, ucraini, messi in campo contro i renitenti alla Sharìa e all’imperialismo. Per questa renitenza sbudellati, scuoiati, arsi vivi e stuprati (vedi il mio documentario “Armageddon sulla via di Damasco”). Sempre quelli anche del Bataclan, degli attentati a Bruxelles, Berlino, Mosca, Londra, ovunque.

Democrazia apprezzata istantaneamente dalla nostra, nelle sue dichiarate forme di destra e di sinistra, e che si è subito dichiarata disponibile all’introduzione del modello del liberissimo mercato e ne ha informato i grandi operatori mondiali del settore.

Pensate che sarebbe andata a finire così in assenza di queste assicurazioni, dettagliatamente discusse, fin dai tempi dell’addestramento con i Marines in Giordania, Turchia, Golfo, tra il capo-brigante Al Jolani, il suo predecessore ISIS Al Baghdadi, l’attuale premier Al Bashir? Pensate che Abu Mohammed Al Jolani avrebbe potuto mettere il naso, o un mitra, fuori dalla ridotta di Idlib, senza averne avuto licenza dai rappresentanti dell’imperialismo economico a Tel Aviv, Londra, Washington, Golfo e Ankara?

Un’innovazione del resto collaudata, in presenza di revisori atlantici, nei lunghi anni in cui Erdogan aveva garantito ad Al Qaida-Al Nusra-ISIS l’amministrazione della provincia siriana di Idlib, diventata una specie di banco di prova di quanto nuovi reggitori avrebbero potuto fare a Damasco. Economia privatista di rapina di risorse naturali, commercio, manifattura, imposta da 30.000 terroristi con famiglia su 3 milioni di cittadini siriani controllati a vista.

Ora il sistema Idlib verrà esteso a tutta la Siria e messo a disposizione degli interessi dei vincitori. La Turchia avrà modo di prendersi quanto dovrà alleviare la sua pesantissima crisi economico-sociale. Crisi che il califfo cerca di offuscare abbagliando i suoi cittadini con la più fetida delle ipocrisie: la finta solidarietà con Gaza. Gli israeliani, già distrutto a forza di bombe il potenziale produttivo siriano, si avvarranno del prodotto agricolo delle zone occupate (annesse) nel Sud e, per grazia dei curdi, del petrolio del nordest. Il Qatar e il Big Oil avranno finalmente il gasdotto attraverso la Siria e verso l’Europa che Assad gli aveva negato.Ai tagliagole il ruolo dei parassiti di terza o quarta istanza, per quanto cadrà dal tavolo del banchetto multinazionale.

C’era una volta la Siria.

 

 

 

domenica 5 gennaio 2025

Ragioni di una beatificazione SANTO DEMONIO Carter, o l’inizio della fine

 


Santificare Jimmy Carter, presidente degli USA dal 1977 al 1981, successore di Kennedy, Johnson, Nixon e Ford e predecessore di una serie di presidenti felloni, Reagan, Bush Sr, Clinton, Bush Jr, Obama, Trump con la catastrofe finale Biden, tutti sostanzialmente neocon, ai quali proprio il compianto “sostenitore dei diritti umani” ha dato l’abbrivio?

Con Gerald Ford, un quoziente d’intelligenza dalle misure anoressiche aveva impedito che la malvagità congenita e poi rampante dell’imperialismo dalla vocazione globale e assolutista facesse eccessivi danni al resto dell’umanità. E’ invece proprio con Carter che i soggetti e i meccanismi del vero potere producono esecutori dalle spiccate doti dissimulatorie, grazie alle quali l’intrinseca e necessaria nequizia e spietatezza del Sistema di dominio e predazione si rappresenta in veste persuasiva.

Vi sono figure che sembrerebbero fare eccezione alla regola delle “spiccate doti”, poiché con ogni evidenza cretini. Il pensiero corre al Bush minore, o al tardo Biden. Ma, nel primo caso, chi andrebbe preso in considerazione come operativo e suonatore è piuttosto il vice, Dick Cheney, sostenuto da una specie di presidenza collettiva della conventicola neocon; nel secondo, a confermare la regola c’è un attivissimo sacerdote del culto della morte praticato ai vertici USA, offuscato solo da una precoce senilità nella parte finale del suo mandato.

Di Carter c’è un prima criminoso e criminogeno, come da prassi istituzionale di mandato, e un dopo che prova a flautare note da crociata morale nel segno di un catechistico penitenzialismo.

E’ in questa fase, del terzo millennio, che Carter si dà il coraggio di parlare dell’abominevole oppressione, persecuzione e segregazione dei palestinesi, senza, peraltro mai, come è buon costume delle sedicenti sinistre, passare dal compianto per le vittime alla condivisione della lotta per la liberazione. Bene Abu Mazen, malissimo Sinwar.

Mentre il Sistema fa poco caso alle sue novene sui diritti umani (peraltro riservate ai dissidenti antisovietici in Europa Orientale) e alle sue filippiche contro oligarchie e “corruzione politica illimitata” negli USA, Carter si guadagna un certo consenso negli ambienti antimperialisti quando ha la temerarietà, con la sua organizzazione di osservatori di processi elettorali, di rivendicare la correttezza di risultati sgraditi al Sistema, come quelli che confermano Chavez, Maduro o Assad.

Quanto a interventi concreti sul piano di diritti civili e umani nel corso della sua presidenza, molto, se non tutto, lo dobbiamo a Patricia Derian, sua assistente Segretaria di Stato per  le questioni umanitarie, tipo il blocco di prestiti e di rifornimenti militari alla giunta argentina al tempo della “sporca guerra” delle Maldive.

Il meglio ai suoi mandanti e il peggio all’umanità, Carter lo ha offerto negli anni alla Casa Bianca, quando un certo margine di scelta se lo poteva permettere, entro i limiti stabiliti dall’assassinio dei Kennedy.

Per il resto, quelli della presidenza sono stati anni di sciagurate guerre per procura, il tradimento della causa palestinese, il consolidamento di punitive politiche neoliberiste e la sua assoluta sottomissione al Big Business, da lui in poi in travolgente espansione.

La politica sociale del New Deal smantellata con deregolamentazioni e privatizzazioni (un modello per Draghi) delle maggiori industrie: banche, compagnie aeree, trasporti, telecomunicazioni, gas naturale e ferrovie. Il tutto condito da un assalto alle tasche dell’americano comune attraverso l’uso della Federal Reserve di Paul Volker e dei sui abnormi tassi d’interesse che ridussero sul lastrico decine di milioni di persone e provocarono la più grave recessione dai tempi della Grande Depressione.

Saccheggio di un capitalismo sanguinario che da allora è conosciuto come neoliberismo e cui il compagno di partito, Bill Clinton, avrebbe poi impresso la sua turboaccelerazione.

Fattosi plagiare dal suo simil-Svengali consigliere della Sicurezza Nazionale,.Zbigniew Brzezinski, tagliò corto con la strategia della distensione inaugurata dai predecessori Nixon-Kissinger. Così spianò la strada a quel bellicisimo da guerra fredda con cui Reagan avrebbe iniziato a fare dell’industria militare il motore e primattore dell’economia e della geopolitica e del cui proliferare tumorale viene fatto pagare oggi il costo al resto, cioè ai 90 centesimi, dell’umanità.

Per Brzezinsky la priorità delle priorità era un mondo in bianco e nero nel quale il nero era concentrato nell’Unione Sovietica, con tracimazioni in tutti i paesi o governi che ne fossero alleati o ideologicamente affini. Fu la fine del SALT II (Trattato per la Limitazione delle Armi Strategiche), che poneva limiti allo sviluppo di armi atomiche e scatentò un grande riarmo a spese di tutte le autentiche priorità.

Degli interventi specifici ai danni di popolazioni da sterminare per un motivo o per l’altro, si ricordano quelli a sostegno del golpista fascista Suharto, in Indonesia, con conseguente genocidio a East Timor, di incondizionato supporto all’apartheid nel Sudafrica e a gruppi controrivoluzionari pre-ISIS, ma feroci quanto questo, in Angola, Congo, nel Nicaragua sandinista, in lotta di liberazione anticoloniale.



In America Latina, monroeniano convinto, ignorò i disperati appelli dell’assassinando vescovo Oscar Romero e rimpannucciò di armi la dittatura genocida del Salvador. Nell’Iran sotto la più orrenda dittatura che il secolo passato abbia conosciuto, sostenne fino all’ultimo giorno lo Shah Reza Pahlevi, ne assicurò le cure mediche a New York, sanzionò il nuovo governo di Khomeini, ne congelò i fondi, espulse 183 diplomatici. innescando quella presa di ostaggi all’ambasciata USA che durò 444 giorni e ne decretò la fine politica.

Al dittatore e stragista filippino Ferdinando Marcos, assicurò miliardi di aiuti militari, armò la controrivoluzione integralista afghana contro il governo laico e socialista di Najibullah e i suoi sostenitori sovietici, cosa che costò 3 miliardi al contribuente statunitense, provocò 1,5 milioni di vittime afghane e inaugurò una guerra lunga oltre vent’anni.

Alla luce di quanto ne è venuto in questi anni e giorni, il crimine supremo lo ha compiuto ai danni della Palestina, con quella pace separata di Camp David nel 1979, tra Sadat, Egitto, e Begin, Israele, che intendeva pronunciare la sentenza di morte sulle sacrosante aspirazioni di un popolo espropriato dall’invasore, occupante senza titoli e illegittimo da tutti punti di vista fino ad oggi. Sentenza da allora eseguita con metodo strisciante, grazie al concorso decisivo USA, senza soluzione di continuità, fino all’apogeo di oggi.

Cosa mettiamo come ciliegina in cima quest’opera di un presidente consegnato alla nostra memoria come quanto di meglio la madre di tutte le democrazie ci ha elargito? Alla luce di ciò che di quella sua iniziativa “di pace” è disceso, direi che nulla supera, quanto a conseguenze infami e tragiche, non solo per la vittima direttamente coinvolta, ma nelle onde maligne che se ne sono diffuse e che hanno infettato l’umanità intera, il combinato di Camp David. Ha prodotto l’esclusione dall’esistenza di un popolo, la passivizzazione di uno stato fratello di quel popolo grazie al tradimento di un servo, mano libera incondizionata e supportata ad eternum a un costrutto coloniale mostruoso, genocida, pervertitore delle regole che all’umanità assicurano giustizia e sopravvivenza.