mercoledì 19 dicembre 2018

Regalo di Natale



Con i nostri migliori auguri per un anno migliore del passato e peggiore del successivo.

Un link da Parigi, illuminante più di tutti gli alberi di Natale e le stelle comete messi insieme, per chiarire le cose a edicole e schermi unificati, "manifesto" e "Fatto quotidiano" compresi, circa le loro lamentazioni sulla violenza dei manifestanti.

E un saluto dall'avanguardia Ernesto, bassotto ontologicamente contro gli altotti
















https://www.facebook.com/ben.fouad.969/videos/212443593016489/

lunedì 17 dicembre 2018

Dubito dunque sono ------- TRAVAGLIO, IL TROTZKISTA, IL FOTOGRAFO, I GILET GIALLI, IL TERRORISTA, I SERBI E IO

(vedi anche www.fulviogrimaldicontroblog.info, prima che qui sparisca)

"He who takes a stand is often wrong, but he who fails to take a stand is always wrong.– “Chi si schiera, spesso si sbaglia, ma chi non si schiera si sbaglia sempre” (Anonimo)

Il fustigatore fustigato

Nella sua risposta a Giorgio Bianchi, il giornalista fotografo e documentarista che, in modi garbati, seppure puntuti, gli aveva rimproverato, e documentato, la pessima qualità delle pagine di politica internazionale del Fatto Quotidiano (FQ) e lo stupefacente contrasto tra quel trattamento falso, fazioso, preconcetto degli Esteri e la spesso corretta, coraggiosa parte riguardante i fatti, personaggi e colleghi di casa nostra, Marco Travaglio, direttore del giornale, ha fatto la figura per la quale di solito sbeffeggia gran parte dell’importante stampa e Tv italiane. Preda evidente di un livore che mal si concilia con l’elegante sicumera che esibisce nelle sue epifanie televisive, una delle migliori penne satiriche del paese si è lasciata trascinare a insulti, in risposta a presunti ma inesistenti insulti di Bianchi,, disprezzo per le argomentazioni oppostegli, arroganza e pregiudizi talmente clamorosi da parere quelli di un Sallusti qualunque (direttore del foglio berlusconide sedicente“Il Giornale”).

Copertosi dietro a collaboratori “antimericani” come Massimo Fini e Pierangelo Buttafuoco, ha ribadito le sue sentenze inoppugnabili e definitive su “Putin detestabile autocrate”, “Assad criminale di guerra e di pace (si fa per dire)” e sul “regime degli Ayatollah che fa dell’Iran un paese dove nessuna persona di mente normale e amante della libertà vorrebbe mai vivere”. Manca la controprova di quanto un cittadino iraniano si troverebbe bene nei paesi delle armi per tutti, stragi nelle scuole, Barbare d’Urso, assassini mirati, stampa in mano ai tycoon, video giochi a chi ammazza di più.

Diversamente da Giorgio Bianchi, da me e da tanti altri, con ogni evidenza Travaglio non ha mai messo piede nei paesi governati da coloro che con tanta virulenza stigmatizza. Ripete a pappagallo quanto spurgano le matrici della propaganda occidentale a sostegno del pensiero, della cultura e del regime unici mondiali, ostacolati proprio dai paesi che infanga e i cui popoli, liberamente, checchè ne dica lui, contraddetto da mille osservatori ONU, sostengono i propri governanti, anche a costo di inenarrabili sacrifici inflitti dal nemico, con percentuali di consenso che i nostri democratici reggitori non si sono mai sognati. Né il regime plutocratico americano dove, se non si hanno soldi, non si viene eletti ai vertici neanche se si resuscita Lazzaro; né quello monarchico di Londra nel quale un primo ministro per reggersi al potere deve essere gradito alla donna più ricca del mondo e, in mancanza, deve avvelenare qualche russo dandone la colpa a Putin; né quello italiota retto fino a ieri, e parzialmente anche oggi, da una cosca mafiomassonica impegnata a mangiare viva la popolazione. E neppure quello bancario francese che, per non essere travolto da un popolo inferocito, col proprio gradimento al 23%, deve ricorrere al supporto fisico di 80mila poliziotti, a quello cartaceo di tutti media padronali europei e all’occasionale mostruosità “islamica”.



E’ chiaro che Travaglio e, ancora più il suo condirettore, delegato dei padroni, Stefano Feltri, è iscritto all’albo d’onore dell’Atlantosionismo e da lì non si muove anche perché, ahinoi, la sua cecità rispetto a un mondo come rappresentato dal cialtroname politico-economico che lui sbertuccia si regge sugli occhiali attraverso cui guarda alla realtà. Che sono quelli di un ottuso eurocentrismo che individua il migliore dei mondi nella gigantesca truffa della democrazia liberale borghese e delle sue finte libertà, sistematicamente pervertite da manipolazioni della mente che iniziano poco dopo la nascita.

I serbi e il trotzkista
Mi sovviene un episodio che collega un mio trascorso al FQ. 1999: primavera di bombe sulla Serbia di Tito e Milosevic, che non si arrende alla fine della Jugoslavia e al taglio di un suo arto, il Kosovo. Liberatomi dal TG3 la notte delle prime bombe, vado con telecamerina e incarico di “Liberazione” a raccontare il tentato genocidio dei serbi da parte di Nato, Clinton, D’Alema. Mando reportage sulla guerra all’uranio, alle bombe a grappolo, alla manipolazione meteorologica finalizzata a inondare il paese di acque fuoruscite dal Danubio e rese tossiche dalle sostanze dei petrolchimici bombardati a Pancevo. Scrivo anche del Ponte sul Danubio sul quale i belgradesi del “Target” cantano al cielo, sfidando gli F15 in arrivo da Aviano e degli operai dell’automobilistica Zastava che rimettono in piedi da soli una fabbrica polverizzata dai governanti amici dei suoi padroni, la Fiat. E riferisco di come i profughi Rom dal Kosovo, cacciati, insieme ad altri 300mila, da una banda di criminali, l’UCK, al servizio di Nato e narcotrafficanti, siano sistemati in tendopoli del governo e poi indirizzati nelle belle case di un quartiere, con scuole e ospedali, da tempo abitato dai loro fratelli d’etnia.



Sotto l’anziano direttore Sandro Curzi, devoto a Bertinotti, imperversa un caporedattore agli esteri di nome Salvatore Cannavò, notabile di un microgruppetto trotzkista staccatosi dal PRC. Al rientro da Belgrado, scopro che gran parte dei miei servizi sono stati da costui o mutilati, o proprio cestinati. E anche la mia intervista a Slobo Milosevic, l’ultima prima del suo infame arresto e morte indotta, è stata rifiutata (la pubblicherò poi sul più professionale “Corriere della Sera”), perché tutto questo mostrava “un inaccettabile appiattimento sul despota Milosevic e, di conseguenza, sui serbi, ipernazionalisti e stragisti etnici”, come insieme spappagallavano la vulgata imperialista “Liberazione” e “il manifesto”, quotidiani – bum! – comunisti.

Perché rimastico questi ricordi di esaltante informazione “de sinistra”? Perché il Cannavò me lo sono ritrovato nel FQ, un po’ su lavoro e sindacati, con severa moderazione, un po’ sugli esteri, dove dà rinnovata prova di professionalità e deontologia accorrendo in difesa del capo nella diatriba con Giorgio Bianchi sulle pagine estere. In risposta a uno dei tantissimi interventi, in rete e nelle lettere al giornale, che condivideva le critiche di Bianchi, il nostro trotzkista si precipita a giurare che il giornale di Travaglio non ha né pregiudizi, né conduce campagne mirate (c’è una tale Michela Jaccarino che da mesi non scrive altro che quanto chiaviche siano i russi e Putin, per citarne una, di campagne). Ripete le invettive contro “gli stati autoritari di Putin e Assad e quelli confessionali come l’Iran”. E, a proposito di campagne, andate a cercarvi anche il paginone di Roberta Zunini, il 7 dicembre scorso,in cui si riporta, condividendo, il rapporto della Rand Corporation (una di quelle che finanziavano l’Operazione Condor in America Latina), che lamenta come la Nato in Ucraina, sulla soglia della Russia, sia troppo lenta, abbia troppi limiti: La statua di Hitler, pensate, non è stata ancor rieretta accanto a quella del collaborazionista Stepan Bandera e il Donbass libero non è stato ancora raso al suolo dagli F35 all’uranio.

Nazi e antinazi per me pari son. Ma un po' meglio i primi.
Procedendo lungo i binari della degenerazione trotzkista, quella delle rivoluzioni democratiche della Nato e dell’Isis saudita contro Siria, Iraq e Libia, il bravo giornalista conclude vantando che il giornale, “nello scontro tra Nato e Russia sull’Ucraina, non si vede sostenitore di un fronte contro l’altro”. Colpo di Stato Usa a Kiev, stavolta usando nazisti al posto di jihadisti, rifiuto del nazismo di popolazioni russe nell’Est e quindi guerra di sterminio a tali popolazioni. Con la Nato che si schiera lungo tutto il perimetro della Russia e la Russia che non vanta neanche un pedalò nel Golfo del Messico, o un aquilone vicino alle Hawai. Equidistanza alla Fatto Quotidiano. E quando sei equidistante tra carnefice e vittima, sai bene dove stai. In Medioriente, come dappertutto. Così come “Liberazione” per i Balcani, il FQ e “il manifesto” per il resto del mondo dovrebbero assumersi una porzioncina nella suddivisione delle responsabilità per diversi milioni di morti e distruzioni vaste come mezzo pianeta.




La domanda, il piccolo dubbio, che dovrebbero anche porsi è molto, molto semplice. Ormai tutti, anche i giornalisti liberi ma uguali, hanno detto e scritto che il jihadismo che ha devastato, crocifisso e sgozzato in Medioriente, Asia e Africa, è stato inventato dagli Usa (Hillary Clinton in prima fila), addestrato in Giordania e Turchia dai marines, pagato dai turchi, che ne hanno smerciato il petrolio rubato, dai sauditi e altri del Golfo. Tra loro molti foreign fighters. Ora costoro fanno casino in Europa. Mutazione genetica, inversione ideologica, o nuovo mandato?

Aggiungo solo che, per uno che da mezzo secolo si occupa di politica internazionale e anche su media rispettati e, un tempo, main stream (comunque sempre di editori puri), dai vari posti dove questa esplode, le mingherline paginette in fondo che il FQ riserva, a evidente malincuore (sensi di colpa?), agli esteri, non vanno proprio prese in considerazione. Se non per osservare, en passant, come si possa scrivere male, sciatto, con disinvolta mancanza, o ambiguità, di verifiche e fonti partendo da un’obbedienza, o da un pregiudizio e conseguente accanimento politico-culturale colonialista da far sembrare il famigerato “orientalismo”, bollato di eurorazzismo dal grande storico e analista Edward Said, un innocuo culto del folklore.



Gilet Gialli: Gilet che?
Tutto questo spiega la ritrosia nei due giornali “di opposizione”, sedicenti liberi, ma uguali, nei confronti di una roba andata, alla De Andrè, in direzione ostinatissima e contrarissima. Quella dei Gilet Gialli in Francia, tanto da evocare nella cosca degli eurocrati che si sono messi sotto i piedi i paesi europei non collocati nei piani alti del castello, il fantasma della Bastiglia. Grande evidenza alla violenza, non delle truppe macroniane che, compiuti gli arresti preventivi alla Mussolini, sparacchiavano addosso alla gente gas velenosi, flash ball, getti di acqua gelida e pallottole rivestite di gomma e inerme a terra, la massacravano di calci e botte; ma a quei sacrilegi, stufi di Draculi non confinati alla mezzanotte ma impegnati a succhiar sangue h24, che rompevano le vetrine a Zara, Armani e Bulgari. E poi, tutta la stampa riunita sul trampolino a tuffarsi sul terrorismo di Strasburgo, con spruzzi tanto possenti da far sparire persino l’ombra dei giubbini gialli. Non era questo il programma?

Sicuramente lo era e lo è del “manifesto” che,facendosi beffe della sua testatina comunista e soffrendo di allergia a ogni cosa gialla presente, ora addirittura festeggia il rallentamento di quei violenti dei Gilet, definendo il movimento di centinaia di migliaia di subalterni incazzati un “soufflé sgonfiato”. Quindi trattavasi di “aria calda”, svaporata di fronte alle generose offerte di Macron. Autore di testo e titolo, Guido Caldiron, affermatosi, prima in “Liberazione” e poi sul “manifesto”, come grande fan di ogni rivoluzione colorata sorosiana. Coerentemente, si era esibito il giorno prima, nell’inarrivabile inserto di cultura proletaria “Alias”, quello appaltato ai suoi correligionari, con inni, salmi, peana, ditirambi, gospel, alle inchieste sul “nazionalpopulismo” di due immacolati campioni del giornalismo atlanticosionista, debenedettiano ed elkianiano: Ezio Mauro, ex-direttore di “Repubblica” e Maurizio Molinari, direttore de “la Stampa”. Tout se tien.

Pensate – stupite – cosa ha scritto uno sul “manifesto” del 14 dicembre: “Una delle vocazioni della propaganda è di rendere vero, a furia di ripetizione, quello che non lo è necessariamente . E’ un lavoro da fabbro: si tratta di eliminare il dubbio col martello per forgiare un solido senso comune. Si batte sul punto interrogativo fino a raddrizzarlo”.




Viene in mente tale Roberto Ciccarelli che, da un paio di mesi, ogni santo giorno, ripete sul “manifesto” la frase: “Sussidio di povertà impropriamente detto reddito di cittadinanza”. Un vero fabbro. Di quelli che forgiano l’intero quotidiano comunista a spadone contro i 5 Stelle perché, con quasi tutto ciò che fanno, mettono a nudo l’ignavia e l’ipocrisia del giornale e della particina politica che in esso si identifica. Roberto Ciccarelli che, tanti anni fa, con la sua carica a testa bassa contro il rosso di coloro, tra cui in piccolissimo il sottoscritto, che, alla luce di abbaglianti indizi, testimonianze, ricerche di migliaia di esperti indipendenti, dubitavano dell’attribuzione degli attentati dell’11 settembre ad Al Qaida. Lui, quel fabbro, un dubbio non ce l’aveva: dicevano bene evangelisti come Bush, i Neocon, la Cia, il Mossad, Ezio Mauro e Molinari.

Il terrorismo uccide chi capita, la stampa uccide Voltaire.
Da allora, né al “manifesto”, né all’altro giornale libero ma uguale, si è deflesso dalla linea del fabbro. Dubbi mai! E così a Strasburgo, per la quale città il prefetto di Parigi ha previsto un attentato la mattina prima, un tizio spara sulla folla in una strada pedonale dove non si entra che da quattro ingressi strettamente controllati e non se ne esce che da altri due, parimenti controllati. Ne ammazza tre, poi saranno quattro e ne ferisce 13. Ma Nessuno sa chi sia. Neanche la polizia con la quale, poco dopo, avrebbe avuto uno scambio a fuoco nel buio. Non lo prendono, ma immaginano che sia lo stesso la cui casa avevano premurosamente perquisito, godendo di preveggenza, poche ore prima, per trovarvi armi, coltellacci ed esplosivo. Nessuno poi saprà dare indicazioni. Salvo un tassista che, guarda caso, era lì, in una zona proibita a tutti i veicoli, taxi compresi. Dice di aver riconosciuto nel passeggero – ma sarà poi lo sparatore? L’uomo della perquisizione? - Cherif Chekatt, origine marocchina del quartiere Neudorf (Strasburgo e l’Alsazia erano tedeschi), e di averlo lasciato ferito (da chi?), pensa un po’, davanti a un commissariato.

La salvezza per lo sparatore è là a due passi, attraverso il Reno. Ma forse Cherif non sa nuotare, poi fa troppo freddo. Torna dalle sue parti, dove se no?, la mattina dopo, astuti come volpi, lo cercano in 750, tra forze speciali, brigate antiterrorismo, servizi segreti, vigili urbani. Una persona se ne sta in un magazzino o garage. Chi è? Ma lo sanno tutti, soprattutto i 750: è Cherif. E’ parte una sparatoria degna della battaglia della Marna. Ne può uscire uno che non sia il terrorista morto? Non può. lo si poteva prendere con i gas, per fame? Per farlo parlare e rivelare tutta una rete? Non si poteva. E stavolta è di certo Cherif, mariuolo di molte trasgressioni, per niente religioso, mai stato in moschea, mai visto pregare, ma, secondo ogni fonte, anche quelle della Gazzetta del Borneo, “radicalizzato” al punto da gettare ai piedi di Allah la sua vita. Come quegli altri, a Parigi e Bruxelles, radicali al punto da bere come spugne, spacciare, gestire la prostituzione e non farsi vedere mai dall’imam.




Cui prodest?
Una vecchia domanda se la ponevano già i romani: a chi conviene, cui prodest? Domanda arcaica, logora, polverosa. Per niente trendy. In Italia si vendono 4 milioni di copie di quotidiani,in nessuno di questi troverete quella domanda. E neanche il minimo dubbio. Sentenze definitive sui Gilet Gialli che, autorevolmente, espressione del popolo, hanno dato voce a dubbi sui tempi e sulle finalità dell’attentato che ne avrebbe inevitabilmente frenato l’azione,fornendo pretesti morali e repressivi all’avversario. Si seppellisce il dubbio sotto valanghe di “complottisti folli”, “teorici della cospirazione”. In compenso, il rilancio del terrorismo, oltre che fornire nuove armi ai fautori della “sicurezza” contro i subordinati, provocando una vittima di forte valenza simbolica, e della cui morte ci dispiace, ha gonfiato i petti e i giornali dell’europeismo alla Junker-Moscovici-Barroso. Noi piangiamo il ragazzo. Loro, speculandoci sopra in nome dei Juncker e affini, il martire eroico di un’Europa che detestiamo.

Con il più bell’ossimoro della storia dell’informazione, il “manifesto”, che di dubbi non ne ha punti, fa seguire al discorso del fabbro che martella i dubbi per farne una spada al cavaliere, quello sprezzante sui cacadubbi delle giubbe gialle e di qualche demente complottista in rete. Garantisce Roberto Ciccarelli, garante anche dell’11/9. Il Fatto Quotidiano non è da meno. Ma Travaglio è un uomo d’onore. E’ quelli del “manifesto” e di tutta la stampa, libera e uguale, pure. Hanno tutti, quelli delle verità storiche e attuali sanzionate una volta per tutte, una paura fottuta del dubbio.

mercoledì 12 dicembre 2018

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico…----- LA REPUBLIQUE EN MARCHE… JAUNE

https://www.youtube.com/watch?v=AH0Fl09RG-E https://vimeo.com/305306130 (Torino No Tav)
https://www.zerohedge.com/news/2018-12-08/paris-lockdown-watch-live-hundreds-arrested-tear-gas-deployed-during-fourth-week?mc_cid=6e7bf29f37&mc_eid=741abab6a2 (Parigi, Gilet Jaunes, 4. Giornata)

Terrorismo di distrazione di massa
Sempre più grossolani, sempre più faciloni. Tanto c’è la rete mediatica sotto gli spericolati. In Francia è in atto un’insurrezione che, dopo aver bloccato e sconvolto il paese per un mese, non si ferma. Un’insurrezione approvata dai due terzi dei francesi, non di classe, ma di popolo che si è fatto, è stato fatto fare, proletariato. Un’insurrezione che si vuole limitata al rifiuto di un aumento dei prezzi, ma che si è rivelata contro il governo, l’Unione Europea, il neoliberismo, il colonialismo interno ed esterno. Tutti gli occhi, malevoli e benevoli, sono puntati su questo fenomeno di massa dai tratti epocali.

Tutti gli occhi, al quinto giro della lotta, si spostano, vengono diretti, verso Strasburgo, dove, naturalmente, il solito pregiudicato radicalizzato (ricostruito in carcere), naturalmente sotto osservazione per sospetto di terrorismo (!), con la casa piena di granate perquisita il giorno prima (!), assediato in un palazzo e, naturalmente, per miracolo fuggito, fa una nuova strage terroristica, naturalmente in pieno milieu natalizio, di pace e festa, e naturalmente qualcuno lo ha sentito urlare “Allah–U-Akbar”, talché nessuno pensasse che fosse un terrorista basco, o ceceno, o delle FARC, o laico. Naturalmente raccapricciante. Spazza via da occhi, orecchie, coscienza, riflessione, ogni altra cosa, anche la più grossa. Così, ratatatatà-clang!, è scesa la saracinesca su un mondo che, come per altri versi aveva cantato Ivan Della Mea mezzo secolo fa pensando a Mao, da rosso si era fatto giallo.

Repetita juvant
Macron era al 23% dei consensi. Hollande era messo anche peggio quando capitarono Bataclan e affini. In Belgio lo scazzo al vertice è tale che non si riesce più a mettere insieme un governo: ed ecco una bella raffica di attentati. Bush sprofonda mentre dovrebbe fare tante guerre e crollano le Torri. Theresa May è nella peste sul Brexit è viene avvelenata un po’ di gente “dai russi”…. Tutto inizia da noi, un po’ come oggi con il “governo del cambiamento” (componente gialla), con l’“autunno caldo”, una generazione di disobbedienti e vai con i botti dei servizi, fascisti e P2.

A Roma, visto che a Piazza Venezia non è spuntato un nuovo “Spelacchio”, ma un imponente e stupendamente agghindato abetone, da far ombra a quello di San Pietro; visto che da troppo tempo non vanno più a fuoco in serie gli autobus, visto che un certo ordine nello smaltimento dei rifiuti è stato raggiunto, visto che molte buche sono state chiuse, visto che Virginia Raggi è scampata definitivamente alla Procura di Roma, si incenerisce l’impianto di trattamento dei rifiuti di Via Salaria (telecamere spente il giorno prima!) e spedisce una nube tossica sull’intera Urbe. L’impianto si è autocombusto ad appena 10 gradi centigradi. Nessuna delle sostanze depositate nell’impianto (benzene, acetilene, carta, legno, etano, toluene, eccetera) si autoincendia a meno di 175°, quasi tutte solo tra i 230 e i 560 (dati inconfutabili diffusi da Adriano Colafrancesco. Grazie). E ora le 800 tonnellate di spazzatura assorbite laggiù ogni giorno possono ben finire a celebrare il Natale tra i piedi dei romani, per la gioia della Lega e dei suoi affini in PD e FI. Il ministro Costa, il miglior carabiniere che abbia l’Arma, anche perché era a capo della Guardia Forestale, astutamente abolita da Renzi, ha qualche sospetto.



La risposta la dà il poeta

Adesso voi, che avete vissuto o ricordate a cosa sono serviti Piazza Fontana, l’Italicus, Piazza della Loggia, Bologna, Via Palestro, Via dei Georgofili, Falcone e Borsellino, eccetera, eccetera; voi, che siete rimasti agghiacciati di fronte alle campagne “anti-terrorismo” di cui sopra, dal Bataclan al mercatino di Natale a Berlino e ai gas sparati su bambini a Ghouta Est, ma non per questo vi siete chiamati “Je suis Charlie”, né vi siete bevuti la fola del “terrorista Assad” propalata dai più feroci terroristi della Storia e dai loro mandanti….Voi, adesso, dando uno sguardo anche a cosa viene fatto seguire a questi fatti: divieto di manifestare (stop ai Gilet Gialli), proclamazione di stati d’urgenza o emergenza, poteri senza limiti e impunità ai repressori, ennesimo giro di vita alle espressioni fuori binario, fatevi una domanda e datevi una risposta.

Tocca a voi, giacchè quella risposta non la troverete né nelle edicole, né sugli schermi. E tenetela per voi, non arrischiatevi su Facebook, se non ve la sentite di essere sotterrati da una valanga di hate speech, con “il manifesto” a strepitare più forte di tutti, che vi qualificano di complottisti, teorici della cospirazione, provocatori, sediziosi, disturbatori della quiete pubblica, colpevoli di schiamazzi molesti. Viviamo in Occidente. Dove la grande stampa tratta l’informazione come si vede dal confronto fatto dal Fatto Quotidiano (spazi per SI TAV, 30mila manifestanti, poi per NO TAV, 70mila). Traetene le conclusioni. Comunque non è mai sbagliato rifarsi a un poeta. Pierpaolo Pasolini, che la sapeva lunghissima, quella risposta se l’era data. Tanti anni fa. L’hanno ammazzato.



Se non ci fosse Wu Ming1, chi ci farebbe capire che siamo sotto Pinochet?
Tale Wu Ming1, che secerne hate speech sui Gialli di governo (i verdi, in tutte le loro salse, sono da sempre considerati o innocui, o contigui; stanno con gli appalti e con Israele, una garanzia)) e qualifica, con competenza di grande storico, questo governo come quello “più a destra di tutta la storia d’Italia” (immagino, dopo l’unità, chè sennò si va a finire a Barbarossa o Domiziano), considerando migliori quelli di Crispi, Bava Beccaris, Mussolini, Tambroni e Andreotti. Con rispetto per questo Wu Ming1, dirò che i gialli d’Italia e i gialli di Francia e i gialli che si agitano un po’ ovunque (Podemos, France Insoumise, Wagenknecht, No Tav e tutti i NO all’esistente di bratta…) sono membri della stessa famiglia. Con vari gradi di parentela, da fratelli a cugini di primo, secondo, terzo grado. Ai nostri potrebbe anche spettare la qualifica di papà, o fratelli maggiori. Sono arrivati primi al governo, anche se, ahinoi, a costo di un’alleanza che, o si sfascia, o si riequilibra, o va tutto a ramengo. E, infatti, se le nostre piazze non si colorano di giallo sfasciacarrozze è perché ancora quel 32,3% del voto antagonista regge, ancora confida nel “suo” governo. Se poi questo delude, andremo a chiedere consiglio in Francia.

Se non fate attenzione, i giornali vi faranno odiare gli oppressi e amare quelli che opprimono.
Notate l’euforica sveltezza con cui giornaloni e televisionone hanno accantonato l’imbarazzante e fastidiosa alterazione dei rapporti di forza verificatosi a Torino sul Tav e, più in grande, nella Francia dove le rivolte di massa interminabili sono patrimonio storico e dunque si susseguono di semestre in semestre (ricordate i ferrovieri e altri dell’anno scorso) e il banchiere preso di mira reagisce con pigolii di autocritica e tonanti minacce di repressione. Colui che il “manifesto” aveva promosso a “leader dei progressisti europei”, in cui tutto l’establishment politico-mediatico aveva salutato, per niente ammaestrato dall’analogo Tony Blair, il nuovo “Santo Patrono d’Europa” (Travaglio), un Macron da ridurre a micron tutto quanto era venuto prima, un Mazinga da spazzar via la feccia populista, ridotto a concedere 100 euro di aumenti salariali, la sospensione degli aumenti di carburanti, gas e luce, un eventuale bonus di fine anno, la defiscalizzazione di straordinari e pensioni sotto i 2000 euro. “Briciole”, ha gridato il 59% dei francesi, confermando il suo appoggio ai Gilet Gialli.

Se c’è stato tentativo di rompere il fronte giallo tra i “moderati”, cari ai nostri centrosinistri e centrodestri, e i detestati, quasi fascisti, “radicali”, il proposito di far pagare i 10 miliardi dei provvedimenti agli stessi depredati in piazza, combinato con il rifiuto di ristabilire l’ISF, la patrimoniale sui ricchi, confermando a Macron la stigmate rothschildiana e di paladino dei satrapi, dovrebbe aver vanificato la mossa.

Parigi val bene un 3,5%, noi neanche una messa
Mentre da noi la sfrontata disponibilità dei Torquemada UE, di affiancare alla punizione di un governo che, col misero 2,4 di deficit, cerca di fare qualcosa anche per i poveri e per la giustizia, quindi nemico, la benevolenza al governo che, per l’ennesima volta con l’oltre 3%, cerca di tenere a bada i disperati mantenendo i benefit ai ricchi, quindi amico, dovrebbe aver acuito la vista a coloro che avevano individuato nel Berlaymont, palazzo della Commissione, nient’altro che il castello di carta del fraudolento Mago di Oz.



Ti esorcizzo come destra e così sto a posto
Dunque per l’inconfutabile saggio della montagna Wu Ming1, che non differenzia tra giallo e verde e perciò viene glorificato dal “manifesto”, soffriamo il gioco del governo più di destra della nostra storia. Ma, dal momento che il Movimento Cinque Stelle, nel suo insieme, è schierato a sostegno dei Gilet Gialli, insieme a Melenchon e alla Wagenknecht (diversamente dal suo partito, Die Linke, che condivide con il “manifesto” l’orrore per lo spontaneismo apartitico e a-ideologico e la violenza dei Gilet) e che sulle stesse parole d’ordine dei Gilet è stato votato dal 32,3% degli elettori, ne consegue che per Wu Ming1 anche l’insurrezione francese è di estrema destra. Agli esorcisti di autentica sebbene mascherata destra che, come costui, cercano di azzerare quanto sta sorgendo e minaccia di diffondersi in varie forme, comunque “populiste”, in tutta Europa, non resta che l’anatema.

Mentre tacciono, proprio come Macron, sulla sollevazione degli studenti, unitisi ai Gilet Gialli con l’occupazione di centinaia di scuole e decine di università. Tacciono, mentre Macron, con gli studenti inginocchiati, faccia al muro, mani dietro la testa, nell’irrisione dei robocop all’americana nei ghetti neri, o all’israeliana nei ghetti palestinesi, inaugura quella che molti vaticinano come la soluzione finale al Giallo dei tempi: lo Stato di polizia. L’incredibile violenza di una polizia di regime, pretoriana della créme de la crème, di un Macron che, peggio di Maria Antonietta e delle sue presunte brioches, insieme a Brigitte, indossa un gilet giallo milionario confezionatogli da Vuitton, mentre i suoi sbirri sparano ad altezza d’uomo gas tossici e granate assordanti, fino a uccidere una vecchietta alla finestra.



Richieste di destra che fanno infuriare la sinistra alla Juncker e Macron
E allora vediamo, con una breve selezione dei 40 punti qualificanti delle richieste dei Gilet (pensate l’orda dei disorganizzati plebei ha addirittura concordato un programma), quali sono queste manifestazioni di pensiero destro, quasi fascista. Elenco di richieste meticolosamente ignorato dai media, per i quali si trattava di evidenziare solo una turba di incazzati andati in fissa per una tassa, dopotutto “ecologica”. Una casa per i 200mila senzatetto; paga minima €1.300; sostegno ai negozi di vicinato, basta con i centri commerciali; tasse sui grandi di finanza, digitale, commercio; per i parlamentari stipendio medio francese; pensioni minime a €1.200; salari collegati all’inflazione; contratti a tempo indeterminato; niente interessi sul debito; affrontare le cause dell’emigrazione (e non gli effetti. Cioè bloccare le guerre e le depredazioni e devastazioni multinazionali); permessi di soggiorno da esaminare nei paesi d’origine; tetto per gli affitti; divieto di vendita dei beni pubblici; gas, elettricità e altri servizi essenziali devono tornare pubblici; basta chiusura linee ferroviarie secondarie, ospedali, uffici postali, asili, tribunali; referendum popolare con 700mila firma deve essere approvato dal parlamento; pensione a 60 anni per lavori usuranti; trasporto su ferro anziché su gomma; niente commissioni bancarie su pagamenti con carta di credito; tasse sul gasolio navale e sul kerosene degli aerei.

Far pagare il disastro climatico alle sue vittime
Infine c’è la richiesta di cancellare la cosiddetta ecotassa sui carburanti che, per conto mio, è infelicemente condivisa (ma ora abbandonata) dai 5 Stelle. E’ il classico strumento specchietto delle allodole per far pagare ai soliti una limitatissima conversione alle energie pulite, esonerando le grandi compagnie del fossile che, intanto, se ne fottono di qualsiasi COP 24, 25, 26. Ecotassa diversivo, giacchè ti esime dal potenziare i servizi pubblici, ti costringe ad acquistare nuove automobili, elettriche o ibride che, del resto, sono futuribili, a costi esorbitanti e pure dipendenti dal petrolio, mentre langue del tutto lo sviluppo dell’unica macchina ecologica, quella all’idrogeno. Insomma, è davvero il colmo dell’impudenza: prima ci rifilano macchine che fanno morire noi, i nostri figli, trequarti del mondo animale e l’ecosistema; poi, ad avvelenamento compiuto e forse irreversibile, gli stessi ci minacciano di catastrofe se non paghiamo per la riconversione, mentre continuano a farsi finanziare, in cambio di leggi benevole, dai responsabili del dramma.



Quando certe cose erano di sinistra
Tutto questo programmino risulta più o meno uguale a quello dei 5 Stelle, prima che fossero costretti a governare con il mazziere dei cementificatori e rastrellatore di pessime facce in giro per l’Italia. Un governo per impedire che continuassero a imperversare su di noi le confraternite di Berlusconi e Renzi più gradite a Wu Ming1, a Zoro, al “manifesto”, alla Gruber, a Floris, a tutto il cucuzzaro politico-mediatico italiota. Se non mi inganna la memoria, un programma come questo un tempo era considerato di sinistra. Punta all’uguaglianza togliendo in alto e dando in basso, si preoccupa dell’ambiente, demistifica la retorica colonialista dell’emigrazione, si oppone ai diktat dell’oligarchia europea. Ma forse proprio questo dato, di essere inequivocabilmente progressista, come tutte le insurrezioni dei deprivati contro il sovrano, individuo o classe, da Spartaco a Robespierre, da Zapata al Che e al 1917, è ciò che da fastidio ai “sinistri”. Ce li mostra nudi come vermi.

Avrei sperato di trovare tra i 40 punti qualcosa di netto e chiaro sul militare, le guerre, la Nato impegnata in un genocidio dopo l’altro, il colonialismo francese in Africa e Medioriente. Forse lo si può vedere implicito nella richiesta di rivolgersi alle cause delle migrazioni, in massima parte racchiuse in quel l’interventismo bellico ed economico che parte dalla Libia, passa per la Siria e occupa tutto il Sahel e l’Africa Occidentale, terra d’origine del più alto numero di sradicati. Si poteva essere più decisi e precisi. L’importante, il decisivo è che, attraverso Macron, hanno infastidito un sacco di bella gente, da Juncker su su fino alle varie famiglie Rothschild, la Cupola. E, come diceva quello, nessuno è perfetto. Ma tutti sono perfettibili. Tranne Wu Ming1.

martedì 4 dicembre 2018

Quando un paese si martella le gonadi per compiacere chi gli ha venduto il martello----- GAS PER TAFFAZZI



C’è chi martella chi se lo merita

Francia, specchio dei tempi e dello scontro di classe le cui nuove forme le cosiddette sinistre radicali non vogliono capire: quelle della guerra sociale, culturale e geopolitica dei popoli, pressochè tutti proletarizzati dal globalismo neoliberista, contro le élites. Lotta insurrezionale che presenta affinità stretta con quella del 1789, per la sovranità del popolo (lavoratore, operaio, contadino, intellettuale) contro la sovranità del sovrano e dei ceti alle sue fortune legati e dai suoi poteri beneficiati e che, ammaestrata dalla rivolte soprattutto contadine e dalle insubordinazioni dei barbari nel fine-impero, si accoppia al monopolio della forza. Sovranità e monopolio di cui i gruppi dell’accumulazione e della predazione, della menzogna e della cospirazione, sono tornati padroni, dopo che rivoluzioni e rafforzamento in varie forme della volontà, coscienza, conoscenza, forza, dei dominati se l’erano conquistata, o, quanto meno, l’avevano condivisa. Vedi, da noi, le costituzioni, dallo Statuto Albertino a quella antifascista del 1948. Vedi la cubana, quella di Thomas Sankara nel Burkina Faso e la venezuelana, la migliore in assoluto.



Lo strumento di corruzione psicologica impiegato dai gruppi di potere, oggi contestati in varie forme, è la criminalizzazione del termine sovranità, spesso deformato e, nelle intenzioni, vilipeso, in “sovranismo”. Poi si arriva alla separazione tra manifestanti buoni e cattivi, a volte sfruttando l’inserimento di provocatori di regime. Nel caso francese, tra i fermati non si sono trovati i famigerati Black Block, ma solo infermiere, camionisti, contadini e altra gente ridotta allo stremo dagli assiomi della globalizzazione. Di fronte hanno l’uomo di Goldman Sachs, cioè della cima della Piramide. Quello che avevamo noi, in sinergia con le mafie, con tutti i governi degli ultimi trent’anni, prima dell’attuale, non il migliore sognato, ma il meno peggio di tutti (almeno per la parte 5 Stelle). Come dice il collega Marco Cedolin, in Francia abbiamo un popolo di populisti antimondialisti contro il regime neoliberista; da noi siamo un passo avanti: abbiamo una canea euro-mediatica contro un governo populista. Ci siamo portati avanti col lavoro con il voto, anziché con la sollevazione di popolo. Quella era venuta prima, anche se più soft di quella dei fratelli francesi.


Souvranité, parolaccia o salvezza?
Il tema che affronto in questo articolo sta al cuore della questione. Per cui, senza se e senza ma, lunga vita ai Gilè Gialli e alla loro parola d’ordine: “Libertè, egalitè e souvranitè”.


Conoscendo qualche lingua, molti paesi europei, avendo vissuto in alcuni (Germania, Olanda, Regno Unito, Irlanda) credo di permettermi di valutare il sistema mediatico italiano il più sgarruppato dal punto di vista sociale, il più corrotto da conflitti d’interesse, e quello più degradato da coloro che ne condizionano la narrazione. Se ne ha dimostrazione quotidiana. Come vi spiegate che la quasi totalità della stampa-radio-televisione sosteneva con passione più o meno fervida i precedenti governi, quelli della tratta degli schiavi, dell’austerità, dei trattati capestro EU, della devastazione ambientale, del precariato, e oggi si abbatte con furia degna di miglior causa sull’attuale, che qualche latrato, o guaito, contro quei delitti lo emette? Come vi spiegate gli spazi chilometrici dati ai gabbiotti di lamiera, ai quattro mattoni in nero e alla piscina gonfiabile di papà Di Maio, non inquisito, e gli spazi ristretti come un golfino di pessima lana regalati a papà Renzi plurinquisito?

Come vi spiegate che su alcuni accadimenti, per loro natura meritevoli di dibattito e pluralismo di analisi, tipo il caso Giulio Regeni, la stessa, neanche più quasi, totalità esprima un giudizio uniforme e del tutto apodittico? Non è sintomatico che coloro che contro i pentastellati (e il finto nemico Salvini) mettono in campo pressioni, gazzettieri, minacce di obliterazione del paese, siano gli stessi che in questi termini affrontano ogni opposizione all’eurogangsterismo, compresa la rivolta dei Gilet Gialli il cui urlo è souvranité? Non vi dice nulla, a vantaggio e onore dei gialli nel Gialloverde, che l’apparato padronale italiano abbia fatto ricorso ad un’adunata, mai vista prima, di tutti i vertici a Torino, per attivare catapulte di ferro e fuoco sui 5Stelle e non solo per il Tav? E nella scia di questo gesto volutamente drammatico, l’ancor più drammatico grido di dolore dei più grossi cementific tori italiani, Condotte, CMC, Tecnis, Astaldi, Grandi Lavori e altri, che proprio nel momento della messa in discussione di appena una grande opera o due lamentano di trovarsi all’orlo del default e del rischio di decine di migliaia di licenziamenti. Puzza di ricatto, o no?

Treni e catorci di riserva



A fianco di questa locomotiva globale, che ha invertito la marcia di Guccini e si sta lanciando contro chiunque non le fornisca carbone, corre (si fa per dire) in analoga direzione un nostro trabiccolo locale. Succede che, con l’atomino dell’estrema “sinistra radicale” in costante bilico tra scissione dello stesso, ricomposizione, o epifania di una nuova, inedita, micro-unità da un lato e, dall’altro, una destra confindustriale, sedicente centrosinistra, da questo pulviscolo sorga il taumaturgo, il messia rosso da lunga pezza atteso.

Potrebbe chiamarsi Giggino o’ sindaco, oppure Robertino o’ presidente. Il primo amoreggiava con i 5 Stelle, ma s’è ricreduto. Il secondo è la mina vagante dentro i 5 Stelle, fa il presidente della Camera, ma anche il ministro degli Esteri quando rompe con l’Egitto, ma anche il catalizzatore di nano particelle. Un po’ Pizzarotti, un po’ forse Scilipoti. Ha ottenuto il master dalla cattedra “Come ti sposto i popoli” dei luminari Boldrini e Bonino. Si è laureato a pieni voti e lode con una tesi “Per un globalismo dalla faccia umana, fondato sul lancio del cuore verso il Global Compact Migrazioni e il guanto di sfida in faccia al presidente egiziano Al Sisi”.

Grida e sussurri

C’è stato in questi giorni un susseguirsi e un sovrapporsi frenetico di avvenimenti di grande portata per tutti, ma parzialmente oscurati da episodi come il totalmente inconsistente festino G20 a Buenos Aires, riuscito a rilegittimare uno psicopatico assassino seriale in dishdash con tanti pozzi di petrolio, o la captatio benevolentiae dei suoi militi nazisti e degli armaioli Usa che Poroshenko ha messo in atto nello stretto di Kerch. La Merkel, con il gasdotto North Stream, che sta per unire Russia e Germania attraverso il Baltico, è stata messa per l’ennesima volta sul banco degli imputati di filo-russismo. Per quanto la poveretta abbia sostenuto l’aggressività Usa e Nato mettendole a disposizione tutto il suo paese, ella cerca almeno di parare qualche ulteriore abbandono di elettori grazie a un’energia a basso costo. Che è quella del gas russo e non di quello liquefatto e da scisti statunitense che le imporrebbe altro che gli aumenti di Macron.


Poi, quatta quatta, come una talpa che fa capolino dalla tana, è sbucata la notizia dell’EastMed Pipeline, il gasdotto che dovrebbe collegare i giacimenti del Mediterraneo Orientale alla solita bistrattata Puglia, passando per Cipro e Grecia. Si affiancherebbe al TAP, quello dall’Azerbaijan amerikano al Salento, che già aveva compensato il blocco del South Stream, dalla Russia all’Italia e all’Europa centrale, blocco ordinato al cliente bulgaro. I quattro paesi coinvolti lo stavano negoziando in gran segreto da un paio d’anni, ma Israele, giorni fa, ha infranto il pissi pissi bau bau, annunciandolo all’universo mondo. Per Italia, Grecia e Cipro, l’EastMed, come già il TAP, è la classica mazzata di Taffazzi sulle parti molli, da non più indurirsi. 



Fornendo, secondo il costruttore IGI Poseidon, appena 10 miliardi di metricubi di gas, molto meno del meno costoso gas russo in arrivo da più vicino, il TAP è già una formidabile fregatura. Figuriamoci l’EastMed, che sarebbe il più lungo e profondo del mondo e, date queste caratteristiche, più il rischioso passaggio sui fondomare vulcanici tra Cipro e Grecia, sarebbe anche di gran lunga il più costoso, pur fornendo la stessa modesta quantità del TAP o STC. Ma, ovviamente, non sono i costi il problema. La questione è al cento per cento politica e, lì, dollari o euro non contano, anche perché escano dalle tasche dei Gilet Gialli e di tutti noi.

EastMed, i suoi padrini, le sue vittime

Da chi partono da questi meravigliosi progetti che promettono di fare dell’Italia, sismica soprattutto là dove passa la rete di tutti questi gasdotti, impianti di depressurazione, liquefazione, stoccaggi, per un gas che non ci serve ma che viene venduto all’estero dalle compagnie? Domanda oziosa: l’input è ovviamente degli Usa, il progetto è dell’UE e del suo “Connecting Europe Facility Program”. Ed è l’UE che ci mette gran parte dei soldi, nostri. Vuoi che non ci dia addosso sui deficit da impiegare per la pappa dei bambini di 5 milioni di poveri assoluti, anziché far fare soldi a Snam e Shell con la vendita del gas a Vienna e Amsterdam?

Si ciancia di monopolio russo del gas europeo, una specie di garrota sul cranio del continente. Non è vero. La Russia fornisce all’Europa tra il 30 e il 40% del suo fabbisogno. E lo fornisce ai prezzi più bassi di tutti gli altri fornitori. Ma i gas di Tap e EastMed daranno utili solo una volta che quello russo, e magari quello arabo, saranno ridotti ai minimi termini e le nostre tasse ai massimi. A proposito di solidarietà europea, della quale abbiamo già conosciuto i benefici nella distribuzione delle vittime della tratta, edificante il confronto tra la Germania che avrà il ricco gas a basso prezzo del North Stream, checché gli Usa si agitino, l’Italia quello costoso da lontano per il quale fungerà da inquinatissimo hub per i potenti del Nord. La Merkel ne gode quanto della cancellazione della Grecia dai registri d’Europa. Controllare l’energia, per parafrasare Kissinger che, umanamente, parlava di cibo, significa controllare gli altri. In ispecie, il Sud Europa. Merkel e Macron, cioè per l’UE “Italia delenda est”, finchè ci sono questi “cialtroni” a governarla.



Pensate che la vicenda EastMed finisca qui? Gli israeliani pescano da un gigantesco giacimento che si estende dalle coste libiche fino alla Turchia. Qualcosa pertiene alla Turchia, grazie alla sua occupazione di Cipro Nord (ricordate la nave ENI presa a schiaffi dai turchi?), qualcosa a Cipro, parecchia alla Palestina davanti a Gaza e la massima parte all’Egitto dove opera l’ENI. Ed ecco che vi si accende una lampadina quando tutte queste cose le mettete accanto al furibondo rilancio della campagna Regeni contro l’Egitto. E un assordante sbattere di sciabole alle porte della Russia. Un Egitto potenzialmente massimo concorrente di Israele e una Russia troppo pacifica, ma resistente, con troppo buon gas a buon prezzo, ecco le pompe di carburante da abbattere.

Perché Giulio Regeni?

Riassumiamo. Giulio Regeni, dopo aver frequentato studi di intelligence negli Usa, si arruola alla Cambridge University e, intanto lavora per due anni per Oxford Analytica, multinazionale potentissima, 4000 dipendenti in tutto il mondo, specializzata in spionaggio, specie industriale, diretta da personaggi con tratti gangsteristici come John Negroponte, inventore degli Squadroni della Morte in Nicaragua e Iraq e altri grandi bonzi dello spionaggio. Arriva in Egitto con visto turistico per sviare dal suo ruolo di ricercatore in rapporto con l’Università Americana e alla ricerca di contatti con oppositori. Trova un sindacalista che ritiene di opposizione. Ma Mohamed Abdallah è un agente dei servizi e registra una conversazione del tutto compromettente. Abdallah gli chiede soldi per la moglie ammalata di cancro, per sondarne la solidarietà umana. Regeni rifiuta e gli promette invece 10mila dollari (da quale fonte?) in cambio di un non meglio precisato “progetto”. Subito dopo, il 25 gennaio 2016, il giovane ricercatore sparisce. Ne vien ritrovato la salma, con i segni della tortura lungo uno stradone, il 3 febbraio, lo stesso giorno in cui la ministra Guidi e una serie di industriali italiani si incontrano con il presidente Al Sisi per chiuder contratti miliardari, anche relativi ai giacimenti di idrocarburi. L’università di Cambridge si avvolge nella sua tunica e tace.



A chi è convenuta questa zeppa tra i piedi dell’Egitto, risollevatosi a furor di popolo dalla tirannia integralista dei terroristi Fratelli musulmani, e del suo partner privilegiato Italia? Uno Stato dai servizi segreti più temuti della regione araba si fa scoprire con le mani nel sacco non avendo saputo disfarsi di un ingombrante cadavere? O piuttosto dei mandanti, visto che il loro delegato è stato bruciato dal controspionaggio nemico, hanno rimediato il risultato della missione – demolire il nemico dei loro amici Fratelli Musulmani - gettandolo tra i piedi di Al Sisi, concorrente importuno sia per la Libia, con Haftar, amico dei russi, sia per il gas, con Israele. Via libera a EastMed, per la soddisfazione del taffazzismo italiota e delle quinte colonne tipo "manifesto".


Fico, fatti una domanda e datti una risposta

Roberto Fico, che hai deciso per lo Stato italiano di rompere i rapporti tra la Camera dei Deputati italiana e quella egiziana, costringendo a rincorrerti il vero ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, non vuoi farti una domanda e darti una risposta? Ci sono sul tavolo almeno due ipotesi, una però più fondata dell’altra. Allora, un minimo di cautela, prima di tagliare ad Al Sisi il filo delle Moire no? La tratta dei migranti che si va ad organizzare globalmente a Marrakesh con il Global Compact e la menomazione dei diritti e interessi italiani con il gioco del gas, imposto dai vampiri, tra chi è vicino e ci costa poco e chi è lontano e ci costa un botto, sono un giusto prezzo per remare contro un movimento che difende la nostra sovranità?

Quanto alla decisione della Procura di Roma di inquisire funzionari dello Stato egiziano e di pretendere un processo “entro sei mesi”, sulla base esclusivamente di illazioni scaturite da una campagna di stampa forsennata, con in testa “il manifesto”, beh, si chiama colonialismo. E quando si tratta di quella Procura, il pensiero corre a Virginia Raggi. E alla sentenza che “Mafiacapitale” non è mafia.

sabato 1 dicembre 2018

Tutto il potere alle ONG. Tutti i soldi dal triliardario Soros.----- MARRAKESH, GLOBAL COMPACT PER UN COLONIALISMO ARMA FINE DEL MONDO







Salvini come Caligola e Nerone

Ogni tanto può anche succedere l’incredibile. Che Salvini, per quanto oberato degli stereotipi delle Ong, degli accoglitori universali e del loro organetto sorosiano “il manifesto”, possa dire una cosa giusta. E’ successo anche a Hitler, quando ha detto “bravo” al suo pastore alsaziano, a Hillary Clinton quando ha ammesso di aver creato Al Qaida, a Caligola quando, a un senato di strozzini e latifondisti, ha imposto un cavallo, a Nerone quando ha cantato una ballata sulle fiamme che toglievano di mezzo la parte più fatiscente, paludosa e ammorbata della capitale. Al “capitano” della Lega, rappresentante del business nelle sue forme più vampiresche nel governo detto gialloverde, è occorso poche volte, ma significative: quando è intervenuto contro i sicari marittimi della migrazione forzata, chiamati Ong; quando ha fatto “cento” per demolire la legge dell’ammazzavecchietti Fornero; e quando ha detto a Marrakesh, al Global Compact Migration, non ci andiamo.

Non ci sarei andato neanch’io. Sono d’accordo per non andarci moltissimi Cinque stelle del Parlamento e del territorio. Salvo quel nuovo Pizzarotti che è Roberto Fico, ora spesosi anche per l’imbroglio Regeni. Rifiutano paesi intesi come democratici, tipo Svizzera, Austria, Cechia, la stessa Ungheria della quale, prima di ripetere le calunnie dei risentiti dall’espulsione della banda Soros da quel paese, va constatato sul luogo di quanta stampa d’opposizione ci sia e di quanto regolari siano le elezioni. Tutti razzisti, xenofobi, sciovinisti? Troppo facile, ragazzi. Aderiscono al Compact – già quel termine (non vi ricorda niente; magari un cappio che ci si stringe al collo da quando c’è l’euro?) – Russia e Cina? Me’ cojoni! Non credo che si tratti di paesi sui quali si riverserà lo tsunami di 250 e passa milioni che, secondo l’ONU, hanno già il fagotto in spalla. Se lo possono permettere. E poi, che facciamo, ne subiamo l’input? lo Stato Guida, la Chiesa Madre, l’editore geopolitico di riferimento sono conforti che lasciamo ai nipotini sopravvissuti di Cossutta.

A Marrakesh, dove se no?
E’ una vera zozzeria, quella che verrà lanciata dal Marocco, a incoraggiamento particolare, dicesi push factor, dei marocchini che, sotto il tacco ferrato di una monarchia democratica più o meno alla saudita, si vedono offerta un’Europa delle libertà, licenze e compiacenze. Come questi, tutti i Sud del mondo, in fuga perchè il nostro modello di vita, lavoro, economia, ecologia, gli ha sottratto il loro, quello nel quale erano sistemati da secoli, a volte millenni. Si tratta dell’universalizzazione, sulla base del consenso di 192 governi (non paesi), della più feroce arma di dominio imperial-colonialista inventata dalle élites dopo quella dell’ “evangelizzazione”. Basta vedere quali lo sostengono, di amici del giaguaro, e quali si tira dietro, di utili idioti. Tutti nemici dichiarati di quello che, considerandolo un’ ingiuria, chiamano “sovranismo” e che non è altro che il primo diritto dell’uomo e di ogni comunità, l’autodeterminazione. Nel Sud conquistata dopo secoli di schiavitù e ora riaggredita dagli stessi di prima.



L’ONU e gli altri: l’Esercito della Salvezza
Il padrino del progetto che vuole unificare – seppure senza vincoli, su base volontaria (ahahah: aspetta di vedere cosa ti capita in termini di riprovazione ed ostracismo se sgarri!) – la gestione del fenomeno “strutturale” (copyright Mattarella. Ti pare che poteva mancare?) è dunque l’ONU. Che è, alla faccia dei progressisti, che gli attribuiscono terzietà e di quelli addormentatisi settant’anni fa, l’artiglio geopolitico degli Stati Uniti e di coloro, in alto, nell’ombra, che degli Usa fanno buon uso. Ricordare i nulla osta, la partecipazione diretta, o il silenzio-assenso per Vietnam, Jugoslavia, Grenada, Panama, Cile, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Yemen….. Senza parlare delle cosiddette “missioni di peacekeeping”, formula neocoloniale mascherata, di solito mirata a impedire la vittoria del giusto e a cui partecipiamo in forze, anche col “governo del cambiamento”. Mal gliene incolse a quei due segretari, Waldheim e Boutros Ghali, che tentarono di divincolarsi dalle camicie di forza a stelle e strisce e a stella di David.

Insieme all’ONU, che è la testa di legno che è, si sono lanciati a capofitto nella promozione dell’impresa l’Atlantic Council, un covo di generaloni i cui quarti di nobiltà sono la totale adesione al verbo neocon della conquista del mondo a forza di guerre; l’UE a propulsione franco tedesca: che gli frega, l’esercito industriale di riserva siriano se lo sono già creato e mo’ basta: tocca ai mandolinari del Meridione; il WTO e il FMI che già si leccano i baffi sui succhi di frutta (di coltan, petrolio, oro, eroina…) che potranno succhiare da posti come Honduras, Congo, Afghanistan.

Avremo i canali legali, con cui i governi sosterranno linee di navigazione e di volo, Caritas e Santi Egidi, e quelli privatizzati, in sinergia tra push factor alla partenza e pull factor all’arrivo, in entrambi i casi Ong (quasi tutte, tranne quelle dei dilettanti allo sbaraglio di cui abbiamo visto recentemente gli effetti in Kenya, a libro paga di governi e Soros), con in mezzo gli spalloni di merce umana, tutti dotati di mezzi al coltan per l’interconnessione di rete.

A che serve il Global Compact?



Del Global Compact dicesi che serve a regolare i flussi e far condividere dai firmatari mezzi, principi e oneri. Tutto questo era già iscritto in vari accordi all’interno dell’UE. Con i risultati che conosciamo Per alcuni servirebbero a rimpolpare le zone che i governi hanno desertificato, rianimare i borghi distrutti dal terremoto e abbandonati per mancata ricostruzione, a fornire manodopera a basso costo, sicuramente costo di dignità, sicurezza e anche vita, al grande capitale agroalimentare e della distribuzione, a dare a Baobab e simili il pretesto per tenere in condizioni allucinanti gente disperata, a cui si consiglia di non farsi intrappolare dalle offerte di alloggi regolari della sindaca Raggi.

Per coloro che pensano e gestiscono questa cosa è inutile, ma ai buoni, gonzi e moralmente ipovedenti vorremmo suggerire, per una sola santa volta, di astenersi dall’occuparsi delle cose vicine, in basso,degli effetti, e di levare lo sguardo alle cose lontane, in alto,alle cause. Sapete cosa ha scritto uno sull’inserto del “manifesto”? Che siccome in Africa e in Europa, quindi in Italia, ormai l’industria agroalimentare s’è presa tutte le terre fertili, ne ha allontanato i contadini finiti nelle suburbanità, ne trae, a forza di fertilizzanti ed erbicidi tossici, superproduzioni per l’esportazione, ecco che le genti che, in Africa, ma anche in Asia, hanno perso habitat e relativo sostentamento, radici, comunità, cultura, civiltà, possono venire da noi a valorizzare le terre abbandonate e inaridite. Chè, tra economia salvambiente di montagna abbandonata e lande terremotate lasciate lì, ne abbiamo tante.

Strutturale la migrazione, o il colonialismo?
Allora ecco che il discorso sul Global Compact Migrazioni rivela il suo sottofondo strategico. Del tutto parallelo a quello che dice “dove non puoi sgomberare, a forza di terroristi e bombe, territori ricchi di risorse e utili per le rotte di merci e persone, fai muovere il culo ai sedentari, nel senso di seduti su quanto occorre a noialtri per mandare avanti il business e il dominio. Terre del cibo, nostro monopolio, dei minerali, nostro monopolio, dell’acqua, dell’energia, dei tubi, tutti nostri monopoli. Come lo fai? Prima ti compri i governi di partenza, a forza di trenta denari, poi quelli di arrivo a forza di regole, di Ong e di sensi di colpa per le malefatte del primo colonialismo. Con questo sistema, globale quanto tutto il resto della globalizzazione imperiale, a forza di monopolio anche mediatico sinistro-destro, convinci il colto e l’inclita che è tutto a fin di bene. Strutturale, ragazzi, non è l’emigrazione, quella è provocata a vantaggio di alcuni e a detrimento di milioni. Strutturale è il colonialismo. Implacabile da secoli, a dispetto dell’epocale sconfitta subita a metà ‘900.




Grazie a guerre dall’interno o dall’esterno, terroristi qua e là, multinazionali del cibo, delle estrazioni/costruzioni, si sposta un sacco di gente da un continente all’altro, si fa una cofana di soldi e si radono al suolo quelli che si erano azzardati a farti concorrenza. Vuoi che l’UE, cioè Merkel, Macron e il loro compare allegrotto alla testa della Commissione,che per le stesse multinazionali ha fatto del Lussemburgo un porto franco, esentasse, non vi vogliono a Marrakesh. Vuoi che il papa non benedica il tutto.

In coincidenza con le pazze feste delle Ong per il Compact, delle celebrazioni a televisioni ed edicole unificate, sono usciti nuovi fiancheggiatori. Ora abbiamo anche, con tanto di paginone comprato sui giornale, le “Famiglie Accoglienti”, nuovo virgulto spontaneo nato a fianco dei sempre più rigogliosi virgulti dell’Open Society Foundation di George Soros che, con lieto ossimoro, titola il suo inno all’integrazione “Più accoglienza= Più sicurezza”. La mafia nigeriana che si sta prendendo tutto lo spaccio e tutta la prostituzione in Italia ne è garante. La manovalanza a casa sua faceva il contadino, ma anche l’infermiere, l’operaio Shell, l’imam. Ora, venuto per lavorare e vivere, grazie alla nostra accoglienza, o è spiaggiato sotto la stazione di Milano, o entra in quella statistica che assicura agli stranieri (l’8,3%) una media tra il 35 e il 50% dei più gravi reati commessi nel paese.

Una ricetta per la tratta



Beneficiari dell’operazione Compact sono, nell’immediato, gli intermediari chiamati Ong. Ne parla in un libro irrinunciabile Sonia Savioli (“ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale”, Zambon editore). Noi, esemplificando, parliamo di quella più nota e più glorificata, Medicins Sans Frontieres. Senza frontiere anche per quanto riguarda i finanziamenti, tra i quali, quelli di Soros. I Medici senza Frontiere sono una delle tante Ong alla cui presenza in Africa è legata la pazzesca proliferazione della medicina occidentale e, con essa, quella dei farmaci. Solo in Mozambico si vantava di somministrare vaccini a 50.000 asdulti e bambini. Glaxo e Wellcome, Big Pharma, usavano gli africani come cavie per vaccini e farmaci sperimentali. Ultimamente, la livrea cucitagli addosso dai corifei si è considerabilmente macchiata: secondo la Procura dia Catania (subito la viperina reazione del “manifesto”), che ne ha sequestrato la nave “Aquarius”, ci hanno rifilato, dopo 44 sbarchi, tra il 2017 e il 2018, come “rifiuti solidi urbani”, per i quali si paga poco, 24 tonnellate di rifiuti pericolosi e infetti composti da materiale sanitario, vestiario contaminato e cibo avariato, che si sarebbero dovuto pagare molto: risparmio 460mila euro. Alla salute!

MSF sempre dalla parte giusta…

Li ho regolarmente trovati presenti nel campo fiduciato dall’Occidente. In Somalia in quello di Ali Mahdi, fantoccio messo su da Usa e UK, che insieme alla Nato combatteva Farah Aidid, il liberatore della Somalia dal despota filo-Usa Siad Barre; in Siria tra i jihadisti e gli Elmetti Fasulli Bianchi di Aleppo, dove denunciavano distruzione di ospedali poi trovati intatti dai liberatori siriani; a Misurata, sede della più sanguinaria milizia mercenaria della Nato nell’assalto alla Libia di Gheddafi. In Africa MSF erano protagonisti delle gigantesche campagne antiretrovirali: trattamento anti-Aids ampiamente screditato (“Azt”) per curare gente che aveva perso le difese immunitarie, mica per aver fatto sesso a gogò, ma per mancanza di cibo, acqua, igiene. A loro volta, i salvatori di bimbi “Save the children” (ahimè sponsor sulla maglia viola della mia Fiorentina), quelli che hanno agevolato la distruzione della Libia e il linciaggio di Gheddafi raccontando che forniva viagra ai suoi soldati, libici, perché stuprassero le donne libiche (sic!), nei campi profughi dei Rohingya, come intervenivano sulle drammatiche condizioni igieniche e sanitari? Installando docce e toilette? No, bombardando le masse con antibiotici e provvedendo a una gigantesca campagna di vaccinazioni. Oltretutto serviva a sostenere la bufala kolossal del martirio dei musulmani del Myanmar. Se Save the Children avesse speso i milioni utilizzati per non impedire che, come trent’anni fa, cinque bambini morissero di fame ogni minuto, anziché per traghettare profughi allettati dall’esilio, un tantino la mortalità sarebbe calata.

Chiamala, se vuoi, disinvoltura, tanto le emozioni dei buonisti la volteranno in eroismo, ma quella dei posizionamenti geopolitici e dei farmaci non è l’unica ombra che ne offusca il blasone. Due volte la Aquarius 2 si è fatta pizzicare per abuso di bandiera, prima di Gibilterra, poi di Panama, da cui registri marittimi ha dovuto essere cancellata, con conseguente divieto di navigare. Su tutto questo viene poi steso il velo scintillante dei numeri inverosimili e mai controllati da terzi di naufraghi salvati (o trasbordati da altre imbarcazioni???).

MSF è in Africa, in mare, in Medioriente, in Bangladesh, tra Bosnia e Croazia, dappertutto. Solo per curare e far trasmigrare? Dopo lo scandalo degli abusi sessuali dell’Oxfam, qualcosa si è mosse e sono venute fuori le magagne di tante altre Ong care a Soros. Per MSF, nel solo 2017, ci sono state 146 denunce di abusi di potere, discriminazioni, molestie sessuali e altri comportamenti delittuosi e l’organizzazione, licenziando alcuni suoi funzionari, ha dovuto ammettere che il fenomeno è largamente sottostimato e, aggiungiamo, anche oscurato dalla fama di eccellenza e abnegazione che a questi missionari sanitari dell’imperialismo viene attribuita. Ma poi, può un medico mentire, a rischio di provocare distruzione e morte? Non può. Perché MSF lo fa?

Il vizio di nascita, un papà guerrafondaio



Il vizio d’origine di questi negatori delle ragioni degli aggrediti e delle atrocità da loro subite e sostenitori ovunque degli interessi geostrategici occidentali, sta nel fatto che vennero fondati da Bernard Kouchner, promotore della guerra alla Jugoslavia, ministro degli Esteri di Sarkozy, sostenitore dell’imperialcolonialismo francese in Africa. Cos’altro ci si poteva aspettare? E’ così difficile immaginare che il suo operare nel Mediterraneo, come quello di tutte le altre Ong, serva a rafforzare le aspettative, le illusioni, di gente che la guerra innescata o il modello di “sviluppo” predatore imposto dall’Occidente costringe a lasciare la terra, la comunità, la Storia, la patria, il SUO jus soli? Come scrive Sonia Savioli nel suo straordinario libro: “Una trasformazione globale, complessiva dell’Africa in zona agricolo-industriale del capitalismo mondiale è ciò che queste e molte altre Ong si stanno sforzando di facilitare”. Il Global Compact Migration, non per nulla allestito in Africa, ne è l’apoteosi. E Roberto Fico, che si risente dell’assenza dell’Italia da Marrakesh, come del presunto assassinio egiziano di Regeni, o non ha capito niente. O è l’ennesima quinta colonna insereita in un movimento antisistema.

L’ultima della notte è, ovviamente dal “manifesto”, il grido di dolore per accogliere la “Nuestra Madre Loreto”, nave spagnola che ha preso a bordo 12 migranti e rifiuta di sbarcarli in Libia, nota porta dell’inferno secondo la mitologia dei filo-Ong. Lo firmano europarlamentari nella lista dei fiduciari di Soros, come Sergio Cofferati, Elly Schlein e altri.

Ultimissima invece è di altro segno. Un missionario statunitense, penetrato nei territori di una tribù isolata nell’arcipelago indiano delle Andamane, per convertirla al cristianesimo al grido di “Dio vi ama”, è stato fulminato da una freccia. I suoi accompagnatori sono stati arrestati. Ci pensassero, gli africani sotto Global Compact.

martedì 27 novembre 2018

Armi di distrazione di massa----- IPOCRISIE, DECEREBRAMENTI, SPOPOLAMENTI

I


“La storia della nostra razza e ogni esperienza individuale sono cucite dalla prova che non è difficile uccidere una verità e che una bugia detta bene è immortale”. (Mark Twain)

https://vimeo.com/300013842 (link a una miaa intervista sulla Grecia realizzata da Patrick Mattarelli. Per aprire il link la password è Ful18vio)

Femminicidi. Non solo.
Metto le mani avanti, ricordando che ho dedicato gran parete di un mio documentario, visto da migliaia di persone, al femminicidio, massima espressione della violenza sulle donne. Se ora dico che al momento parrebbe che, schiacciati a terra e ridotti a pezzetti dall’uragano politico-mediatico sulla violenza sulle donne, noi uomini dobbiamo convincerci che, come tali, uccidiamo a gogò, ma non ci ammazza mai nessuno e che, in nessun caso, potremmo avanzare l’inaudita pretesa di essere, a volte, anche noi vittime. Non delle donne, di qualche donna. Sfido la crocefissione morale se dico che questa, come molte altre ondate di unanimismo di classe femminista, fin dagli anni della Grande Contestazione, potrebbe nutrire il sospetto di trattarsi, nell’intenzione dei noti amici del giaguaro, di grande operazione di distrazione di massa? Ho detto sospetto, non certezza. Vediamone gli spunti.

Fatta salva la sacrosanta protesta contro gli ottusi reazionari e facilitatori delle mammane che puntano a rimettere in discussione la 194 e mettere le zampe sull’autodeterminazione delle donne, abbiamo assistito a un tripudio di ipocrisia. Proprio come quella, del tutto analoga e inserita dalle note manone nella stessa strategia, che vede perorare l’accoglienza universale dei migranti e vituperare chi vi avanza qualche riserva. Come quella che nota lo svuotamento di un’Africa e di un Medioriente infestati da guerre innescate ad arte, o assegnati a multinazionali predatrici, e i relativi traffici di gente da spostare da più o meno nobili trafficanti. Svuotare l’Africa, far tracimare l’Europa mediterranea.

Un’ipocrisia che antropologicamente e socialmente è rappresentata dalla stessa categoria di persone che abbiamo visto rumoreggiare contro la Raggi in Campidoglio, anche per la privatizzazione dell’Atac e contro l’Appendino a Torino, anche per il TAV. Perlopiù donne guidate da donne. Di classe. Non vi abbiamo intravisto traccia delle donne che, come ci racconta il bravissimo Iaccarone in “I dieci comandamenti” (RAI 3), dalla Calabria e dal Sud della desertificazione sanitaria devono fare la colletta per emigrare al Bambin Gesù di Roma per trovare un trattamento oncologico al bambino, piccolo esempio di come si riducono 5 milioni di persone in totale miseria e altri 13 all’orlo della povertà assoluta.




Un’ipocrisia che, per aver convinto tre cittadini su quattro (sondaggio SWG) che siamo all’emergenza femminicidio, manco fossimo a Ciudad Juarez tra i narcos messicani (di cui nel mio documentario “Angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero”), corona la sua oceanica denuncia di piazza e mediatica con una piccola trascuratezza, però di dimensioni morali piuttosto pesanti.

Uccidere la dignità. Anche dei bambini.
E’ da molti anni che il femminismo ha abbandonato il fronte del trattamento offensivo delle donne in tv e della loro esibizione in Isole dei Famosi e Grandi Fratelli in gara tra loro e con gli uomini a chi si degrada meglio, diseducativo quanto le peggiori pratiche fasciste e in grado di contribuire alle deformazioni mentali alla base di tanta violenza fisica sulle donne. A me personalmente provoca collera mista a disgusto lo sfruttamento commerciale negli spot di bambini anche piccolissimi, ignari di quanto gli stanno facendo fare e dire, quando vengono imbeccati a dire cose false e che non pensano, insomma a prostituirsi. Perlopiù sono le madri a prestarsi a tale mercimonio, spesso per quell’ossessione della visibilità a loro negata e che oggi ci viene concessa in cambio della nostra intimità e privatezza. E dignità. Violenza delle madri sui bambini. Interessa? Sarà un caso, ma non ho visto bambini fare pubblicità nelle tv di Siria, Iraq, Libia.




Le ultime tre parole ci portano al nocciolo dell’uragano di ipocrisia cui abbiamo assistito. Il movimento delle donne è sacrosanto. E non solo in difesa della legge 194 e di altre conquiste da mantenere e raggiungere. Quello che rende l’intera operazione sospetta, oltre al manifesto intento dei manovratori di suscitare il diversivo sociopolitico della guerra donne contro uomini in quanto tali, sono la non innocente dimenticanza di tematiche ineludibilmente prioritarie per ogni rivendicazione e mobilitazione femminile, anche umana. Potremmo parlare dell’ennesima arma di distrazione di massa. Da cosa? Da un’inezia: le guerre che, dal 2011, Torri Gemelle, hanno ucciso tra i 20 e 30 milioni di persone. Donne? Non si sa quante. Eppure quando si uccide una donna, di solito la cosa non si ferma lì, ha ripercussioni più vaste, figli, famiglia, assistiti.

Mainstream: la corrente che (s)travolge
Ne sono specialisti i main stream media. La Repubblica, di cui sapete cosa ha scritto, tra le tante cose, delle guerre per i “diritti umani”. Ma anche della sindaca Raggi prima che la Procura di Roma fosse costretta ad assolverla da tutte le montature, bugie, calunnie. Martedì ha pubblicato due paginoni con le fotine delle firme illustre della catena Debenedetti. Ha raccolto tutte le sue penne più acuminate per neutralizzare le frecciate che alla stampa dell’establishment hanno indirizzato Di Maio e Di Battista dopo lo scandalo mediatico Raggi. Questo a pagina 12 e 13.Basta una pagina svoltata e, sulla 14, leggiamo “Attacco chimico su Aleppo”. Barcamenandosi tra versioni opposte quando è stato provato e rivendicato che si trattava di opera dei jihadisti di Idlib, la redattrice però si rifà: “Anche se la responsabilità del regime negli attacchi che hanno fatto più morti, come quelli di Ghouta del 2013 e poi del 2018, è stata accertata da inchieste internazionali”. E’ falso. E’ vero il contrario. Ma vallo a far sapere ai lettori di “Repubblica” e vallo a farlo ammettere alle sue penne acuminate. Si sono chieste, le manifestanti di sabato, chi è che esercita violenza sulle donne in Siria? E chi la fomenta?



Se la mandria di buoi in formazione d’assalto dà dei cornuti a un paio di asinelli, si deduce che è da molte cose che dovremmo essere distratti. Questa lungimirante pratica, che dalla tattica sta sconfinando ormai nello strategico delle comunicazioni di massa, è riconoscibile anche in certe campagne assordanti di questi nostri tempi in cui l’eterogenesi dei fini è diventata da passiva attiva, da spontanea volontaria. In volgare si chiama depistaggio. E allora proviamo a salire su una torre, un albero, una scala, una mongolfiera e guardiamo dall’alto verso l’orizzonte: constateremo quali viste ci abbia impedito l’ultima di queste campagne di massa.

Orizzonti di gloria e infamia



Gilet gialli contro il “leader progressista europeo”
In Francia, dopo appena pochi mesi di sosta dal sommovimento anti-Macron dei ferrovieri e di molti altri servizi pubblici, i francesi ci danno l’ennesima dimostrazione, a noi con gli occhi socchiusi dal sonno, di essere quella genìa che ha fatto la rivoluzione dai più radicali e lunghi effetti della Storia (non potendosi definire rivoluzione quella dei monoteismi , semmai controrivoluzione). Centinaia di migliaia di gilet gialli, un’armata di vero popolo, come oggi occorre di fronte alle depredazioni delle élites, che in tutto il paese per giorni e giorni bloccano il paese e tengono testa ai pretoriani dell’establishment, fin nel cuore del suo regno. Hanno il sostengo di 8 francesi su 10. Sono contadini, operai, genti isolate nelle periferie private di servizi pubblici, trasporti, ospedali, tribunali, scuole. Emarginati dalle gentrificazioni e dall’abbandono dei campi a favore dell’agroindustria. Popolo. Ce l’hanno con Macron, crollato al 25% dei consensi, colui che “il manifesto” in unisono con tutto l’arco dei padroni, aveva definito “leader progressista europeo”. E allora sui gilet gialli: sopire, troncare, padre molto reverendo…



In Europa, come l’Idra, è tornata ad ergere la sua orrida testa la Troika, quella della Grecia, quella dei PIGS-porci (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna e ora Italia). I suoi strumenti sono scelti, a seconda delle fasi, tra i gas asfissianti e la mannaia. E’ l’assalto al paese che, almeno nella sua componente gialla (quella verde è l’emanazione del nero), non ha fatto niente di diverso e assolutamente niente di peggio di quanto fatto da altri. Altri che, però, sono coloro per i quali i meccanismi troikisti sono stati inventati. Un paese che si vuole punito per un deficit realizzato dai predecessori. Un paese che invece si vuole annichilito perchè pretende di sottrarsi al principio che la ricchezza debba andare dal basso verso l’alto (Reddito di cittadinanza), che di conseguenza il continente debba morire di avvelenamento (No Tav, Terra dei fuochi), che si oppone alla regola storica per cui criminalità politica e criminalità organizzata debbano convivere e, alla bisogna, cooperare (“Spazzacorrotti”). Un paese che, date le circostanze, non ha fatto moltissimo, ma lo ha fatto contro i principi fondanti dell’intero sistema. Quello del neoliberismo a diktat bancario ed esecuzione burocratica che devasta la società.

Guerre? Ma dove? Con l’UE 70 anni di pace
Da sopra il nostro osservatorio, su un orizzonte quasi a tiro di schioppo, vediamo bagliori di incendi immani che inceneriscono larga parte delle vite e delle opere degli uomini. E delle donne. Sono le case custodite dalle donne che finiscono in macerie, sono donne alla disperazione che devono trovare nell’impossibile il modo per provvedere alla famiglia, alla cura, al nutrimento, alla vita. Donne vengono sequestrate, stuprate, uccise da belve mercenarie dei nostri alleati. Donne combattenti cadono nella difesa della loro terra. Coloro che plaudono ai cortei antiviolenza di tutto questo sono responsabili diretti o indiretti. Chi glielo dice? Nel giorno della grande dimostrazione contro la violenza sulle donne, qualcuna s’è accorta che in Yemen, 40mila morti e 15 milioni alla fame, una madre e i suoi cinque figli hanno seguito la sorte delle migliaia di donne e dei bambini mirati da bombe da noi costruite e vendute? Che ad Aleppo 107 civili, in aggiunta ai 350mila, metà donne e bambini, sono stati uccisi dai gas tossici sparatigli dai “ribelli” costruiti nel laboratorio Hillary-Obama? Che sono sempre le donne che, sotto una tenda in Giordania o Turchia, nella traversata del deserto, o tra le mani delle Ong, su barconi e nei centri dell’alienazione e dell’esilio devono tenere insieme quel che resta?

Donne spettro



Da tante altre vicende ostruiscono lo sguardo certe roboanti campagne da tutti condivise. Dalla scomparsa, per autodivoramento da eccesso di voracità, dei principi pretesi da ogni forza politica che vantasse nella ragione sociale la lotta per i diseredati e la redistribuzione della risorse. Forza fantasmatica, ma vociferante, che una coalizione fritto misto, ormai più mediatico-bancaria che di numeri umani, unita dalla frustrazione e dall’odio, perché priva di governo e incapace di opposizione, tenta di raffigurare in vita. Poi, da nascondere sotto le funeste previsioni di nuovi migranti da salvare, tante donne espropriate dalla loro terra, c’è l’ennesima bella figura di una Ong, dai nobili trascorsi sanitari nell’orbita dell’Impero (vedi Sonia Savioli “Ong, il cavallo di Troia del capitalismo globale”), che hanno dovuto sequestrare per impedire che ci intossicasse ulteriormente con i suoi rifiuti pericolosi.

Dogville
Ma c’è un’altra cosa che non si deve avvertire e che le stesse manifestanti e i loro corifei non avvertono e che rappresenta la violenza suprema. I cortei che calano nei centri storici di Roma, Lisbona, Londra, Atene e tante altre città, da quando è passato il rullo compressore neoliberista della Troika, non percorrono più la loro città. La loro città è scomparsa. In alcuni casi da pochi anni, in altri da decenni. Ricordate il film di Lars von Trier, Dogville? Non c’erano le case. Nicole Kidman si aggirava tra segni di case tracciate per terra, planimetrie. Il tutto era sotto controllo della mafia, che poi si portano via la donna che voleva fare del bene. Metafora agghiacciante del nostro destino, urbano e non. Impostato nell’universo parallelo di Wall Street, affidato alle cure della Troika e portato a termine dai sicari locali.



Non è cambiato nulla dal Medioevo. I gangli del potere, i tentacoli, si irradiano dall’alto verso il basso. Nel castello sta la piovra e attorno le si stringono i ceti beneficiati in cambio di condivisione e collaborazione. Il popolo, la plebe, le masse, un proletariato ormai classe di tutte le classi salvo l’èlite, più lontano sta, meno ce n’è, e meglio è. Tocca drenarlo dei mezzi per cui può restare pericolosamente mescolato al patriziato: austerity, fiscal compact, pareggio di bilancio in costituzione, banche salvate, cittadini mazziati, disoccupazione coatta. Al centro i nuovi templi: banche, istituzioni, catene commerciali grandi firme, alberghi e gli airbnb dei turismi da saccheggio o depravazione di gusto ed etica. Fuori dai maroni chi non ce la fa a reggere l’assalto, in periferia, o via del tutto. Si chiama gentrificazione. Uguale in Africa, ma in direzione contraria. Via dai campi, dalle acque, servono ad altri. Via verso le capitali, le bidonville, le Ong, i barconi, l’esilio per generazioni.

Casetta de Trastevere
A Trastevere, mia base per decenni, nel 1960 il 70% erano trasteverini dai tempi in cui c’era il porto romano. Fiumaroli, artigiani, artisti, osti, cucitrici, fabbri. Nel 1980 era rimasto il 17%. Oggi è lo zero virgola. I più fortunati stanno in zona Marconi, gli altri a Tor Sapienza, Ostia, Acilia. La proprietà immobiliare era di grandi finanziarie, assicurazioni, Vaticano. Nelgli anni ’60 l’affitto per il mio attico in Piazza Cosimato era di 40.000 lire al mese. Oggi quell’appartamento di tre stanzette e balcone costa 3.500 euro. La vista sul Gianicolo se la gode un regista americano.


Spopolare
Torno da Lisbona. Il trattamento Troika ha espulso gli abitanti antichi dal centro storico. Che è lussureggiante di griffe, mangiatoie, b&b, hotel, e pare un salsiccione riempito di turisti in fregola di cibo e monumenti. La versione Usa del caffè, un abominio, “Starbucks”, sta piazzata, larga e grassa, nella più bella stazione Liberty della città.

A Londra l’uccisione della città, London City, tramite la dispersione coatta dei suoi abitanti, è stata affidata alle Olimpiadi. Ad Atene ci sono andati giù pesante. Tagli di salari, tagli di pensioni, tagli di ospedali, scuole, tribunali, vendita di ogni cosa a tedeschi e cinesi, per ripagare un debito costruito meticolosamente dai tedeschi, soprattutto armieri. C’è ancora vita, all’osso, nei quartieri più distanti da Piazza Syntagma e, in un’aria cimiteriale, qualche fuoco fatuo di resistenza. Più di tutti hanno pagato le donne.



Terremoto, che occasione!
Una città senza i suoi abitanti, la sua cultura, la sua anima dunque, non è più una città. E’ un centro direzionale circondato da pulviscolo inoffensivo. Qualcuno fantastica di metterci quelli del Senegal, come nei borghi spopolati. La strategia èquella di Malthus. Vale per la Grecia e per l’Italia, con i rispettivi centomila giovani, costruttori del futuro nazionale, nel nome di Giotto e nella scia di Dante, di Prassitele e Sofocle, che vanno e non tornano. Rafforzano coloro che ci riducono così. E se i non consoni alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione pensano di resistere, gli togli i treni, i pronti soccorsi, l’oncologia, l’università, i vigili del fuoco, asili, elementari, medie e licei. E quando ti si offre un’occasione d’oro come il terremoto, li lasci all’addiaccio, in tenda, nel camper, in campeggio al mare, o nelle casette in cui sui pavimenti crescono funghi, i cui boiler ghiacciano, i cui tetti crollano. Non gli ricostruisci una cippa e rimandi in grembo a Giove la decisione se le case siano agibili o no. Vedrai che alla fine se ne vanno e anziché viaggiare sul chilometro zero, fisiologico per chi lì produce e consuma, ma micidiale per la globalizzazione, da Arquata del Tronto si andrà ad Ancona all’Auchan. E il figlio a Londra.

Al loro posto, dicono, perché non africani? Impareranno Giotto e dimenticheranno i loro templi.
Nel mio ultimo docufilm, “O la Troika o la vita”, che tratta di Grecia, trivelle, gasdotti e altri crimini, il capitolo più grosso è dedicato al terremoto nel Centroitalia. Dove, dopo due anni, non siamo più al chilometro zero, ma allo zero assoluto. Quello dove non c’è vita. Quel documentario l’ho sottotitolato “Non si uccidono così anche i paesi”? Le donne, di solito, sono le ultime ad andarsene. Quando vanno loro è finita.Se ne accorgerà qualche corteo? O ci affidiamo a Mimmo Lucano?

venerdì 23 novembre 2018

A Dublino il primo convegno della campagna globale contro le basi Usa/Nato---- CONFERENZA COL BUCO



https://www.youtube.com/watch?v=XF4TXgsRYb8&fbclid=IwAR1SJQ8GrHY3pvUN5Vhk-iQmyS3orEBsdCJTnXqff7N5bTtftoipPqwNYo0 (link allo streaming della prima giornata di lavori della Conferenza internazionale di Dublino. Il mio intervento, che indico solo perché me ne è stato chiesto verbale che non ho, va da 1.39’05 a 1.52’13)

Questo non un “report”, come quelli smart chiamano una relazione, un rendiconto, un rapporto, un ragguaglio. Questo cerca di essere un racconto, oggi si direbbe una narrazione, un po’ impressionistico, di quanto si è svolto a Dublino, nei giorni 15-18 novembre, alla “Conferenza internazionale contro le basi militari USA/NATO”. Per motivo di voli prenotati, mi sono perso la seconda metà dell’ultimo giorno, quando hanno parlato altri delegati italiani. Ne lascio in calce il riassunto che ci ha trasmesso Marinella Correggia.


Mezzo secolo di passi
Per tre giorni mi sono aggirato nelle sale della prima conferenza della Campagna Globale contro le basi Usa/Nato e, negli intervalli, tra i palazzi neoclassici irlandesi che hanno visto la gloriosa insurrezione di Pasqua del 1916, prodromo alla liberazione dal colonialismo britannico, con appesa al collo la targhetta-passi che diceva “International Conference against US/NATO military bases”. A casa, poi, l’ho appesa al braccio di una lampada, a fianco di un’altra dozzina di targhette simili che riportano a eventi non dissimili, alcuni lontanissimi nel tempo: Congresso del Popolo a Sabha, Libia, Convegno in Difesa dell’Umanità a Caracas, L’Avana tante volte contro l’imperialismo, Belgrado, Hanoi, Kyoto, Gerusalemme, Khartum, Asmara, Baghdad, Algeri per uno dei famosi Incontri Mondiali della Gioventù e degli Studenti… Se rifletti su cosa ne è venuto allora, su come si stava a fianco dei vari paesi in lotta, Vietnam, Iraq, Venezuela, Cuba, Palestina, Serbia, qualunque ne fosse il governo, e a come siamo finiti oggi, meticolosamente attenti a non comprometterci con chi risulterebbe non politicamente, democraticamente, corretto, ti viene il magone. Ha vinto il né-né nato tra Sarajevo e Porto Alegre, i celebrati Forum Sociali che schizzavano Hugo Chavez. E dato che passi ha il significato sia di lasciapassare che di passo al plurale, ecco che il passi di questa conferenza potrebbe anche alludere ai passi fatti in questi anni. Tanti, perlopiù sul posto.


Irlanda, una storia contro
Non so, nell’Europa di Bruxelles (sede UE e, dunque, Nato), quale altro paese avrebbe ospitato, con concorso di parlamentari, ministri e autorità dell’intelletto, un incontro come questo, vigorosamente contro le potenze dell’imperialismo, compresa quella accanto all’Isola di Smeraldo, contro la loro dependance militare (non solo) UE, contro l’enorme menzognificio con il quale queste forze della guerra e del dominio intossicano l’universo mondo. Trecento delegati di oltre 35 paesi, dai più diversi angoli del mondo, e abbiamo battezzato l’impresa proprio nel segno della rivoluzione irlandese (ahinoi non compiuta, con il Nord tuttora ostaggio del colonialismo), in presidio davanti al General Post Office, dove il patriota Tom Wolfe e il marxista James Connolly, nel 1916, accesero la miccia della liberazione. Oggi davanti a questo monumento della libertà, al posto della statua dell’ammiraglio Nelson, eretta dai britannici e fatta saltare dall’IRA, si erge e penetra nel cielo un’infinita cuspide d’acciaio, una specie di balzo della volontà  verso l’impossibile…
 


Sussurri e grida
Al netto degli inevitabili, sempre generosissimi, tipi un po’ particolari, logorati dall’impegno di decenni per la Causa, vano ma irriducibile, degli immancabili lanciatori di slogan desueti e di rabbiosissima foga retorica, a spese di dati e contenuti, la conferenza ha registrato interessanti contributi, inedita informazione, promettenti punti tematici da sviluppare tutti insieme. Molteplici le partecipazioni di peso, individuali e di organizzazioni. Ne cito quelle che mi sono sembrate le più significative: Consiglio Mondiale della Pace, Alleanza per la pace e la neutralità (Irlanda), Coalizione contro le basi militari Usa all’estero (USA), Codepink (USA), Congresso Canadese per la Pace, International Action Center (USA), Okinawa Peace Action Center (Giappone), Veterani per la Pace (USA), Comitato per la Pace (Turchia), Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza (Palestina), WILFT, Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, oltre a decine di altre realtà. Dell’impegnativa ed eccellente organizzazione va dato merito a Bahman Azad, iraniano, rappresentante del Consiglio Mondiale della Pace presso l’ONU, sobbarcatosi con esili forze in una’impresa che, con tutti i chiaroscuri, resterà incisa nella storia dei movimenti contro la guerra.

Della trentina di interventi programmati, trascurando quelli, spesso anche più stimolanti, dalla platea nelle sessioni plenarie per domande e risposte, cerco di trarre i contenuti più significativi e condivisi. I nostri ospiti, parlamentari e militanti irlandesi come Roger Cole, coordinatore dell’Alleanza per la Pace e la Neutralità, e la  giovanissima deputata Clare Daly, esponenti di un popolo che ha alle spalle una resistenza di 300 anni, ancora non vittoriosa per sei delle sue contee, con una misura di sofferenze e atrocità delle peggiori inflitte al mondo dal colonialismo-imperialismo anglosassone, hanno saputo trasmettere un’idea e un sentimento di lotta che non cede al tempo e alle sconfitte. L’apertura degli interventi è stata di Aleida Guevara. La figlia del Che ha riproposto un messaggio antimperialista e internazionalista di una Cuba che a molti, oggi, sembra più iconica che attuale. Gli irlandesi hanno insistito sull’occupazione colonialista del Nord e su quella imperialista di Shannon, fuoco delle loro lotte, aeroporto diventato negli anni un’enorme base di transito Usa, dalla quale passano le migliaia di soldati e i rifornimenti per le truppe di stanza in Europa.


Mi sono parsi di particolare significato gli interventi del greco Tsavaridis, impegnato sul meccanismo della UE quale strumento economico-giuridico di promozione della Nato che oggi, in una Grecia resa inoffensiva dalla Troika, vanta più basi Nato e israeliane in rapporto agli abitanti di qualunque altro paese; quelli dei vari relatori latinoamericani, tutti concordi nel denunciare la controffensiva continentale delle presidenze Obama e Trump all’avanzata dei movimenti e Stati emancipatori. Controffensiva reazionaria attuata tramite strangolamenti economici, colpi di Stato, minacce d’invasione e la massiccia penetrazione delle Chiese evangeliche, missionari del colonialismo come lo furono quelli cattolici nei secoli passati. Non poteva essere trascurata Guantanamo, da 115 anni base Usa e carcere della tortura per presunti terroristi nel corpo vivo di Cuba. Da lì, come dalla Colombia delle 7 basi Usa nei confronti del Venezuela, molti temono possa presto partire un’invasione.

Mal d’Africa

A partire da un rappresentante del Congo, gli africani hanno illustrato il ruolo di AFRICOM, il nuovo comando Usa che vanta sue presenze militari in ben 52 paesi sui 53 del continente. Rivelatrice l’informazione dataci sul genocidio del Ruanda negli anni ‘90, passatoci come eliminazione dell’aristocrazia Tutsi per mano degli Hutu, quando la verità dell’operazione, istigata dagli Usa, ci dice il contrario. I Tutsi hanno poi invaso il Congo dando vita a una delle più lunghe e spaventose guerre “civili” del continente, mirate a tenere il paese in ginocchio a vantaggio delle multinazionali dei minerali, in ispecie del Coltan, grazie al quale l’industria elettronica statunitense si è garantita ricchezze e dominio senza precedenti.
Curiosamente il sudafricano Matlhako, apprezzando come positiva la riconciliazione tra Etiopia, paese infestato da basi Usa e israeliane, ed Eritrea, fino a ieri unico paese del continente senza presidi militari stranieri, ha trascurato la recente installazione ad Assab, città portuale eritrea, di una grande base degli Emirati Arabi dalla quale parte l’aggressione allo Yemen, rendendo un paese, già avamposto dell’antimperialismo, complice del genocidio yemenita di Usa-UK-Francia-Arabia Saudita-UAE. 

Del resto, uno si sarebbe aspettato qualcosa di più anche sull’incandescente focolaio di tensioni e appetiti che è l’intera regione del Corno d’Africa, con al centro, sullo stretto di Bab el Mandeb, dal quale passano 25mila navi all’anno e il 40% del petrolio mondiale, le basi militari di sette paesi, compresa l’Italia, addensate nel minuscolo Gibuti. La Somalia in rivolta dei Shabaab contro il regime fantoccio di Formajo, malamente garantito dalle forze mercenarie dell’Unisom e dai bombardamenti, essenzialmente sui civili, degli Usa; l’operazione Ocean Shields che, col pretesto della lotta ai pirati, assicura alla Nato il controllo delle coste africane e dell’Oceano Indiano, con relativi diritti di pesca ai danni dei locali; e la drammatica questione delle acque del Nilo, disputate tra Etiopia, che ne detiene il rubinetto grazie alle dighe dell’Impregilo, Sudan ed Egitto.


E’ il Corno, dopo la Siria e l’Afghanistan devastati dalle guerre imperiali, l’area che fornisce il maggior numero di migranti diretti in Europa. Fenomeno naturale o gigantesca operazione imperialista, con il concorso delle Ong, mirata a privare il continente più ricco di risorse delle generazioni che dovrebbero costruirlo e garantirne l’autodeterminazione, per far posto alle predazioni multinazionali neoliberiste? Argomento nemmeno sfiorato.

La Libia? Roba passata
Al delegato africano, Marinella Correggia di NO War e del sito “sibialiria”, ha posto la questione, assurdamente trascurata, della guerra e della distruzione della Libia. Nella risposta è stato perlomeno riconosciuto come le menzogne con cui si è giustificata l’aggressione oscuravano la necessità, per i colonialisti, di impedire la valuta unica, fuori dal dollaro e dal CFA francese, programmata da Gheddafi per l’Africa, nonché una guerra condotta tramite mercenari reclutati dal terrorismo jihadista. Pochi accenni. Comunque, alla Libia e a Marinella è andata meglio che alla Siria e a me, come vedremo.

L’armata della Diarchia Merkel-Macron
Visto che la spesa di 6 trilioni di dollari con la quale gli Usa, con i serventi al pezzo Nato, hanno alimentato le guerre bushiane, obamiane e trumpiane, grazie al pretesto dell’11 settembre 2001, e hanno sostenuto un’economia fondata sul complesso militar-industriale, non offre sufficienti margini di profitto agli europei, ecco che l’euro-biarchia Merkel-Macron ha lanciato la proposta di una forza armata tutta europea, separata dalla Nato, ma, dati i rapporti di forza per i prossimi decenni, a essa inevitabilmente subordinata. Il tema è stato affrontato da molti relatori, al punto da diventare centrale per le mobilitazioni programmate, in particolare quella di Ramstein, la più grande base Usa in Germania, per il 2019. Nello stesso anno, il 4 aprile, 70 anni dalla fondazione della Nato, si conta di allestire una grande manifestazione internazionale a Washington, auspicabilmente con ricadute anche nei singoli paesi e al quartiere generale Nato di Bruxelles.
E’ stato notato come si debba con urgenza aprire un altro fronte, quello contro l’abbandono da parte di Washington del trattato INF. Accordo sul bando dei missili nucleari a medio raggio contro i quali a suo tempo ci facemmo rompere le teste dalla polizia quando li cacciammo da Comiso e che Trump vorrebbe installare nuovamente in Europa, come sempre “contro la minaccia russa”, ma anche per ribadire, di fronte alle tentazioni autonomiste di Merkel e Macron, che il dito sul grilletto resta quello a stelle e strisce.
Ho avuto due occasioni per intervenire. L’una, programmata, dal palco, la seconda dalla platea dopo gli interventi sulla Palestina, la terza negata dalla moderatrice afroamericana che non aveva gradito la mia precedente contestazione ai dimentichini relatori sulla Palestina. Avrebbe dovuto occuparsi dell’Africa, della Libia taciuta. Ci ha pensato Marinella.


E l’Italia…Itachè?
Ho titolato questo pezzo “conferenza col buco”. Un buco e alcune voragini, per la verità. Il buco era, nella giusta attenzione al riarmo e all’avanzata del militarismo in Europa, Africa, America Latina, la totale disattenzione al Mediterraneo dove un’Italia, dal ruolo strategico incredibilmente sottovalutato, ospita, per ragioni di colossale portata strategica, un decimo delle circa mille basi Usa sparse sul globo. Il mio tentativo di rimediare, in circa 13 minuti, a questa svista condivisa da tutti, in tutti ha infatti suscitato stupore e interesse all’approfondimento. Nulla sapevano delle quasi 100 basi Usa/Nato, alcune segrete perfino al parlamento, tra Aviano e Sigonella, passando per Ghedi, le 60-90 bombe atomiche B61, Vicenza Dal Molin, Camp Darby, i comandi Usa e alleati di Napoli, la 6. Flotta a Gaeta, la Sardegna martoriata dai poligoni utilizzati per esercitazioni a fuoco e esperimenti  delle industrie di esplosivi di tutti i paesi Nato e Israele. Nulla parevano ricordare di come queste basi fossero state decisive per lo smantellamento della Jugoslavia, la distruzione della Serbia, i bombardamenti di Libia e Siria, la proiezione militare da Sigonella con droni e forze speciali in Africa e Medioriente. Nulla sapevano del MUOS a Niscemi che, con altre tre stazioni satellitari, controlla, coordina e muove la forze Usa in tutto il mondo. E neanche sapevano delle straordinarie lotte condotte, nell’isolamento nazionale quasi totale, dai siciliani, dai sardi e dai vicentini, contro questa manomissione dei loro territori e l’uso che se ne fa per obiettivi di devastazione e morte.

Tanto meno avevano cognizione della filiazione Nato “Stay Behind”, da noi “Gladio”, garante del ruolo sussidiario dell’Italia anche nel suo ruolo di laboratorio del terrorismo e delle relative stragi ogni qual volta la rotta della “portaerei” ancorata nel Mediterraneo minacciava di deviare dal corso assegnato, sia per instabilità interne, sia per sbilanciamenti di governo (vedi Aldo Moro).

Le voragini cognitive, appresso a quelle che hanno inghiottito Russia e Cina, nazioni che pure dovrebbero essere oggettivi e inevitabili referenti della campagna, che si vuole globale,nel contrasto ai guerrafondai e alle basi che questi paesi accerchiano, riguardano la cronica e apparentemente insuperabile questione dei diritti umani e della democrazia nella formulazione con la quale ce li vendono coloro che ne sono i massimi violatori e che è tragicamente condivisa da una sinistra pacifista tale solo nelle intenzioni. Immaginiamo una cittadella medievale. In alto la fortezza cui spetta ospitare i difensori della comunità, tutt’intorno le case dei cittadini. Arriva l’esercito nemico e attacca la fortezza che custodisce le ricchezze della comunità. I difensori si affannano a creare ostacoli all’avanzata nemica, trincee e fossi davanti alle mura, spingarde e olio bollente sugli spalti, ponti levatoi sollevati, porte rinforzate. Chiedono agli abitanti delle case di accorrere in aiuto, per propria difesa e per rafforzare la resistenza. Ma questi indugiano, restano alle loro finestre, da dove lanciano rimproveri, riprovazioni, deplorazioni, reprimende, fin anatemi contro l’esercito attaccante. Cui non gliene cale per nulla. E le porte della fortezza stanno per cedere.


Siria, non aprite quella porta
Sessione sul Medioriente che finisce con l’essere sessione sulla sola Palestina. Dopo una serie di lunghi interventi sulla tragedia palestinese, iniziati con il “focolare ebreo” di Balfour in Palestina e arrivati agli accordi  fasulli di Oslo e stragi e sevizie odierne, tema ormai del tutto sdoganato in tutti i settori e, dunque, per quanto da sostenere sempre, universalmente condiviso, se si prescinde dallo “Stato degli ebrei” e relativa lobby, ho potuto chiedere ai relatori, un irlandese, Medea Benjamin di Codepink, una parlamentare del Knesset e un emigrato palestinese, cosa ci potessero dire della guerra alla Siria, all’Iraq, delle minacce di guerra all’Iran. Alla domanda è seguito uno sparuto applauso. La risposta si è dipanata tra espressioni di pietra, attimi di sospensione e imbarazzo, con i due palestinesi che si guardavano tra loro con aria interrogativa , la già effervescente Medea della fervida solidarietà agli oppressi palestinesi (ma anche reduce da cantonate su Aleppo ed Elmetti Bianchi) come rintanata in se stessa. Finalmente l’irlandese acciuffa il silenzio per la coda e prorompe in un inno ai diritti umani, alla democrazia, alla società civile, con sonoro sottinteso che di tali valori non è certamente portatore il presidente siriano Assad e, per la proprietà transitiva, neanche Milosevic, Chavez, Saddam e Gheddafi: “Noi stiamo con i movimenti di massa, non con leader autoritari”…conclude a petto in fuori, trascurando che alle ultime elezioni, accreditate corrette dagli osservatori Onu, l’80% dei siriani aveva votato per Bashar el Assad. Inezie.

Ormai privato del microfono, gli grido “Gli israeliani, di cui denunciavi le atrocità su Gaza, bombardano pure la Siria un giorno sì e l’altro pure e Nato/Usa ne occupano un terzo! Perché non ne parli? Non è Medioriente? Non è guerra imperialista?”. L’espressione dell’irlandese è implicita nel colorito carminio e nello sguardo a dardi: “Sciò, via, come ti permetti?”. Ma sul palco già si parla d’altro, mentre nell’aria aleggia il ricordo di una vecchia sciagura: “Ne con la Nato, né con Milosevic”. E s’è visto come è andata.

Egemonia e paralisi

Più tardi l’iraniano del Consiglio Mondiale della Pace, l’ottimo Bahman,  e il greco Hiraklis mi offrono comprensione e sofferte attenuanti: “Se si apre quella porta, succede il finimondo e l’unità va in pezzi”. L’egemonia ce l’hanno ancora i né-né e il rischio di mandare tutto, quel poco che c’è,  in frantumi la rafforza. Una combattente di antica data contro le guerre, Gina Nellatempo, ha lamentato in un suo scritto la dissoluzione di ogni vera, forte, mobilitazione contro la guerra. Tra le cause  che ha dimenticato di elencare credo sia prominente la nostra incapacità di sostituire, a quella del né-né, l’egemonia dello schieramento, chiara e inequivocabile, dalla parte dell’aggredito, chiunque esso sia, non pretendendo, una po’ razzisticamente, di imporre moduli di società da noi pretesi superiori. Il carnefice essendo sempre quello. Il peggiore di tutti. Aleida Guevara ha avuto l’astuta improntitudine di chiedere alla platea chi avesse meno di trent’anni. Si levarono quattro mani. I detentori di quelle mani vennero da Marinella e me, nell’intervallo, a dirci che su Siria e Libia stavano con noi e che sorvolare su Siria, Libia e altri paesi, prima ancora che di opportunismo, di ottusità eurocentrica e perciò inconsapevolmente colonialista, è segno di nebbia morale.

Il comunicato finale della Conferenza dice tra l’altro: “Consideriamo che le circa 1000 basi USA/NATO dislocate nel mondo e che costituiscono i pilastri del dominio imperialista globale di Usa, Nato e UE e la principale minaccia alla pace e all’umanità, debbano essere tutte chiuse. Le basi Nato sono l’espressione militare degli interventi nelle vite di paesi sovrani, al servizio degli interessi finanziari, politici ed economici dominanti e in chiara violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite”.

E’ stata una buona conferenza, a dispetto di certi “buchi”. La voce contro la macchina di distruzione e morte è stata levata forte e chiarissima. Le scadenze future dovrebbero vederci crescere. Ed è stato per molti di noi un vero e proprio sollievo, dopo tanto agitar di femminismo, populismo, razzismo, xenofobia, LGBTQ, patriarcato, violenza maschile, diritti umani, matrimoni e adozioni gay e altri depistaggi, muoverci in un vento che portava parole antiche e giovani come non mai: imperialismo, basi, Nato, militarismo, resistenza, lotta, crimini di guerra, multinazionali, capitalismo, sovranità, internazionalismo, popoli, élites, plutocrazia, ricchi e poveri, dominanti e dominati. Perfino rivoluzione.

Da Marinella Correggia
1) intervento di Fulvio sulle basi militari, 
2) la delegazione del Comitato No guerra No Nato ha proiettato il video sempre sulle basi militari e sul ruolo vergognoso dell'Italia a codazzo Usa, ed è intervenuta in plenaria
3) la Wilfp con Giovanna Pagani ha insistito nella riunione fra gli europei sulla necessità di coinvolgere gli ambientalisti stabilendo il netto ecopax (e sono d'accordissimo dal...1991, soprattutto quanto alla faccenda clima e guerre) 
4) Presente in rappresentanza del Comitato contro la guerra di Milano, Giampiero Tartabini  ha lanciato a titolo personale l'idea che, come a Okinawa, la presenza delle basi sia sottoposta a referendum
5) Giovanna Vitrano che ora vive a Dublino ma ha lavorato con i No Muos ha parlato appunto della lotta in Sicilia e anche dei vari arresti e vessazioni che ha subito
6) la sottoscritta ha ricordato brevemente (fingendo di fare una domanda... era il momento delle questions&answers, non ce n'erano altri!) il punto di svolta della guerra Nato alla Libia, e durante i sette mesi di  bombe il silenzio del movimento per la pace (compresi credo la grande maggioranza dei 300 presenti, salvo negli Usa) e il ruolo egregio dei paesi dell'Alba, un vero riferimento. 

Questo solo sulla presenza italiana
Ovviamente chi era presente potrà dire meglio di me