Cosa ne viene da Sochi
Del miscione che gli arnesi stampati e videoriprodotti del
colonialismo 2.0 ci rifilano,
confondendo in obnubilante simmetria rivolte contro il Potere e sommosse
gestite dal Potere, da Libano e Iraq a Ecuador, Cile e Bolivia, parleremo nel
prossimo articolo. Prima, ci interessa evidenziare con grande soddisfazione la
rabbia da rettili pestati sulla coda con cui i media reagiscono agli esiti
della soluzione (positiva, ma parziale, s’intende) che Putin, con il concorso
obtorto collo di Erdogan, ha saputo imporre al branco di sbranatori della
Siria. Media tra i quali riconosciamo il ruolo da mosca cocchiera al
giornaletto anticomunista “il manifesto”. La vocina vernacolare del Governo
Parallelo Usa (obamian-clintoniani, Intelligence, Pentagono, Wall Street, lobby
talmudista), si è distinta per accanimento a stigmatizzare come imperialismo
russo la difesa vincente della (quasi) integrità territoriale e della stessa
sopravvivenza della Siria, aggredita e maciullata, e il ridimensionamento
drastico degli appetiti degli aggressori (Turchia, illuministi coronati del
Golfo, esportatori di diritti umani americani e israeliani).
Il grande lamento degli amici degli amici
Per questo pifferaio di carta, che è riuscito a trascinare
nel baratro la colonna sperduta dei bambinelli di sinistra, l’esito del vertice
di Sochi è una catastrofe planetaria. Catastrofe, ovviamente, per chi si
riprometteva, come l’augusta fondatrice Rossanda ai tempi della Libia, uno
Stato libero, sovrano, prospero ed equo cancellato dalla faccia della terra per
mano di sicari tagliagole, scatenatigli contro dal meglio delle pluto-mafio-psicopatocrazie
occidentali.
La tragedia, come rappresentata da questo portavoce
dell’unipolarismo mediatico nell’era delle Grande Finzione, si articola in
questi punti:
- Il
fallimento del progetto, formulato esplicitamente da Parigi anni fa, di
costituire in un terzo della Siria, zona di ricchezze petrolifere e agricole,
un mini-Israele curdo, assimilabile, in quanto “democratico, libertario,
inclusivo, femminista ed ecologista”, all’ “Unica Democrazia del Medio Oriente”
e con esso in combutta per frantumare la Siria. Il fallimento del progetto è
completato dalla riduzione degli invasori e pulitori etnici curdi del Rojava
alla zona di loro origine di Qamishli, nell’estremo Nord-Est della Siria, unica
zona in cui vi è una maggioranza curda.
- La
sostituzione delle forze armate Usa e Nato – abusive poiché mai invitate - con
le rispettive basi nell’area più ricca di risorse della Siria, dal confine
turco a Raqqa, nel cuore del paese, con l’Esercito Arabo Siriano, forza armate
del governo legittimo, sostenuto da unità russe, legittimate dall’invito di
Damasco.
- La
riduzione della “zona di sicurezza” turca su territorio siriano dai 440 x 32 km
concordati con Washington, a soli 100 x 10 km, da Tell Abyad a Ras al-Ayn, pattugliati
da unità congiunte turco-russe, con il resto del confine sotto controllo
governativo siriano e pattuglie congiunte russo-siriane, a garanzia contro
reviviscenze jihadiste (vedi mappa).
Per la
proprietà transitiva, dovrebbero essere considerati, dal felice connubio
mediatico destro-sinistro, sviluppi da sostenere: il trasferimento in Iraq
delle unità Usa costrette a lasciare la Siria, affrontate peraltro
dall’inspiegabile insoddisfazione degli iracheni che, tramite governo, hanno
chiesto ai nuovi ospiti di togliere il disturbo entro 30 giorni; la permanenza
di una grande base Usa in Siria, ad Al Tanf, centro di raccolta e addestramento
di mercenari Isis disoccupati; il presidio militare conservato da Trump intorno
al petrolio siriano, così che non se ne approfitti il dittatore per ricostruire
con i proventi il paese dagli stessi aggressori distrutto; la persistente
occupazione della provincia di Idlib da parte di truppe turche e loro mercenari
Al Qaida-Isis, per mantenere aperta la possibilità di una riconquista turca di
Aleppo, indebitamente sottratta approfittando della caduta dell’impero ottomano;
l’annessione israeliana di un altro pezzo di Golan, dal quale insegnare a
siriani e Assad, a forza di missili, che il troppo di sovranità ed integrità
nazionale stroppia.
La Siria recuperata
Il presidente Assad, pur dichiarando di approvare i
risultati del vertice di Sochi, ha aggiunto che “la Turchia deve smettere di
rubare terra siriana e che il governo siriano sosterrà ogni formazione che
attuerà resistenza popolare contro l’aggressione turca”. Nel che si può
individuare l’ennesima divergenza tra le istanze nazionali di Damasco e
l’approccio compromissorio, o magari solo gradualista, di Mosca. Naturalmente
Assad fa bene a ribadire l’irrinunciabilità dell’integralità territoriale
siriana, confermata a parole anche da Mosca e Ankara, e a cautelarsi contro
certe espressioni di realpolitik russa, anche alla luce dell’incredibile
tolleranza dei russi vis a vis le incessanti incursioni aeree israeliane e il
silenzio sull’annunciata annessione del resto del Golan occupato nel 1967. Ma
il dato acquisito che i turchi si dovranno limitare a una fetta di Siria di
soli 10 km di profondità e 100 km di lunghezza, oltre tutto controllata
congiuntamente con i militari russi, e che il resto dell’agognato cuscinetto di
32 x 440 verrà invece reso alla sovranità siriana, a sua volta garantita da
forze siriane e russe, è sicuramente un passo avanti.
… e da ricuperare
Rimane da vedere in che misura i russi saranno disposti a
sostenere l’indispensabile offensiva siriana per recuperare anche l’area di
Idlib, controllata da truppe turche in alleanza con la peggiore feccia
jihadista e dalla quale, perduta Aleppo e relativa provincia, Al Qaida e Isis
continuano a operare incursioni terroristiche contro la città liberata e in
fase di rapida ricostruzione. Rimane anche da vedere se i quasi due milioni di
profughi siriani nei campi turchi, selezionando tra rifugiati jihadisti e
famiglie fuggite all’aggressione, verranno concentrati nella “fascia di
sicurezza” turca, per costituire anche da lì una perenne minaccia, sia
terroristica alla Siria, sia di ondate migratorie verso l’Europa, o se gli si
darà modo di tornare alle proprie case, distribuendosi in tutto il paese.
Incognite che vanno sorvegliate e poi risolte, ma che non negano l’evoluzione
in direzione di giustizia e pace ottenute dal valore dei resistenti siriani e
dall’abilità diplomatica di Putin.
Confrontiamo il quadro di oggi, con quello che si
presentava in Medioriente solo un anno fa. Gli Usa non solo hanno dovuto restituire
alla Siria una vasta fetta del proprio territorio, l’espansionismo neo-ottomano
di Erdogan ha subito una robusta battuta d’arresto, la Siria sta rientrando
gradualmente nei propri confini. E’ in stagnazione quella che avrebbe dovuto
essere, nelle intenzioni di un Netaniahu - oggi detronizzato e a rischio di
galera per una sfilza incredibile di reati - e dei suoi complici
obamian-clintonian-neocon, l’eliminazione del principale alleato dell’Iran e
l’assalto a quest’ultimo. Dopo quasi 5 anni dall’attacco di Arabia Saudita ed
Emirati, orchestrato da Pentagono e Cia, e 9 anni dall’inizio dell’insurrezione
popolare yemenita, gli Huthi a dispetto di blocco totale, colera, fame,
distruzione di una delle meraviglie storiche e ambientali del mondo, controllano
la maggior parte del paese. Vedono i due paesi aggressori azzannarsi tra loro.
Con la distruzione della metà della capacità produttiva dell’Arabia Saudita,
hanno inflitto al massimo alleato degli Usa nella regione un colpo, se non
mortale, probabilmente decisivo per l’esito del conflitto, ma anche per la
strategia reazionaria e imperialista di lunga lena.
L’esito finale del grande rimescolamento
mediorientale non è certo la vittoria definitiva della Siria, che da molte
sognanti parti si sente proclamare. E’di sicuro una formidabile affermazione della
giustizia che il piano iniziale della cancellazione della Siria sovrana e unita
sia fallito, per merito in prima linea del popolo siriano e della sua
dirigenza. Ma la questione dell’egemonia nella regione non è di certo risolta e
la Turchia di Erdogan non è minimamente disposta ad abbandonarla. In
prospettiva, lo scontro tra Turchia e Siria rimane inevitabile, che è anche lo
scontro tra l’integralismo da Fratelli musulmani e laicità. Saprà la Russia,
con i suoi piedi in tante staffe (Siria, Turchia, Iran, Saudia) contenere
l’urto o, in alternativa, volgerlo a vantaggio di un equilibrio non islamista e
non reazionario della regione? E i neocon obamian-clintoniani, con il loro
retroterra di Intelligence e Pentagono, si rassegneranno all’uscita di scena? O
costringeranno, con nuovi ricatti e nuove bufale alla Russiagate, il volatile
Trump a rimangiarsi le tentazioni isolazionistiche?
Dagli amici dovrei guardarmi io
Meritano un paragrafo finale i cocchi del nostro sistema
mediatico unipolare. La questione curda, nel suo profilo storico è manipolata e
in quello attuale rovesciata nel suo contrario. Diversamente dalle realtà
anticolonialiste africane, arabe e persiane, o di quelle latinoamericane da
Bolivar a Guevara-Castro a Chavez, i curdi non hanno mai saputo elaborare un
progetto di società autenticamente unitario, inclusivo, plurietnico ed
emancipatorio, che superasse la loro struttura feudale, clanista, regressiva,
rigidamente patriarcale. Alle origini della loro mancata realizzazione di uno
Stato unitario, non sta tanto la mancata implementazione del trattato di Sèvres
del 1920, quanto la separatezza tribale e culturale tra i segmenti divisi tra i
quattro paesi ospitanti, Turchia, Iraq, Iran e Siria, e, al loro interno, una
costante di arcaiche faide interfamigliari e intertribali. Con la conseguente
assenza di un teoricamente solido movimento unitario irridentista.
In tutto questo, i curdi sono, insieme ai guerrafondai nel
regime Usa (che ora ripuntano all’Iraq), i sicuri perdenti. Non è chiaro se
l’ipotesi del loro inserimento nelle forze armate siriane, per la comune difesa
contro terroristi e invasori, sopravviverà all’accordo russo-turco per il loro
disarmo totale e per il rientro nel territorio storicamente da loro abitato, a
Qamishli. Certa è invece la scomparsa dallo scenario mediorientale di una
riedizione curda in Siria di quanto inflitto alla Palestina nel 1948 e
seguenti. Ai dirigenti dell’YPD-YPG, in effetti del PKK, rimane da riflettere
sulla saggezza di un’alleanza con i nemici dei popoli liberi al fine di
acquisire vasti territori, che non gli spettano, a forza di violente pulizie
etniche. Riflettere anche sulla convenienza di aver ripetuto in Siria, magari
su scala minore, quanto gli viene addebitato dagli armeni quando, al tempo di
quel genocidio turco, si rivelarono tra i massacratori più feroci. Oppure sulla
scelta, sempre praticata, di ricorrere per raggiungere i propri obiettivi,
contro uno Stato unitario, a complicità subalterne con padrini interessati solo
allo sfruttamento di mercenari per scopi coloniali e imperialisti.
Ho frequentato per decenni i paesi nei quali è divisa
l’etnia curda ed ho esperienza diretta di quanto scrivo. In particolare per ciò
che concerne il carattere retrogrado della struttura sociale che, di
conseguenza, si è sempre appoggiata, per la realizzazione degli interessi dei
propri capiclan, più che del popolo nel suo insieme, a forze esterne parimenti
reazionarie, ma perdipiù colonialiste e imperialiste. Come gli Usa e la Cia,
con in Iraq il capoclan Mustafà Barzani e poi suoi figlio Massud, entrambi
strumenti Cia per la destabilizzazione dell’Iraq. O come con Israele,
principale alleato e massimo proprietario immobiliare nel Kurdistan iracheno,
affidato a feudatari narcotrafficanti, come i Barzani o i Talabani, in perenne
conflitto tra di loro. Il vittimismo curdo è sempre stato lo strumento
propagandistico occidentale, di sinistra come di destra, per perseguire
obiettivi di revanchismo coloniale.
Il tanto propagandato e osannato progressismo curdo sotto
tutela Usa-Nato in Siria, basilarmente diffondendo immagini di ragazze in
mimetica e racconti di foreign fighters in Siria, tesi a occultare
l’operazione di occupazione e smembramento della Siria araba e multietnica, ha
la stessa valenza del “sovranismo” di un Salvini, tanto patriota da voler staccare
dall’Italia le regioni più prospere per porle a disposizione della centralità
imperiale franco-tedesca.
Tutto questo non è andato a discapito solo degli Stati
multietnici e multiconfessionali, laici e sovrani, usciti vittoriosi e uniti
dalla lotta anticolonialista, ma anche delle stesse popolazioni curde, finite
sistematicamente soggette a ceti dirigenti corrotti e opportunisti e a
protettori stranieri, al dunque meri utilizzatori finali del sangue, delle
speranze e degli interessi di quelle comunità. Il bel risultato è stato, nella
contingenza specifica, l’avallo dell’aggressione occidentale, israeliana, turca
e del Golfo a uno degli Stati più emancipati della regione, l’ennesimo
fallimento dell’aspirazione all’entità nazionale monoetnica, l’utilizzo per
un’ignobile pulizia etnica in territori abusivamente occupati, reminiscente di
quella sugli armeni, l’abbandono del protettore imperiale e il rientro nel
proprio territorio originale.
Sia chiaro, quando qui si parla di “curdi”, ci si riferisce
a chi, nelle varie fasi, ne ha assunto la direzione, affidandosi
sistematicamente al peggio del peggio del quadro geopolitico, per realizzare i
propri interessi di ceto dominante. Al popolo curdo spetta al massimo la
“colpa” di essersi fatto rendere alibi per le mire razziste, colonialiste e
imperialiste dell’Occidente. Ma chi siamo noi per lanciare la prima pietra?
2 commenti:
E' di stamattina la notizia rilanciata da tutti i media del coro imperiale dell'uccisione del mitico Al Baghdadi, presunto capo del gia' defunto Isis nonche' successore della personificazione del male dopo la programmata fine di Bin Laden 8 anni fa per mano del Nobel per la pace con all'attivo piu'guerre dei suoi predecessori, Obama.
Che sia il suggello finale sulla fine della suddetta Isis fino alla prossima invenzione del verminaio uccidentale?
Intanto mi rallegro che la Siria e il suo presidente siano ancora in piedi dopo 8 anni della piu' grande aggressione condotta tramite tagliagole di tutte le risme da Europa, Usa, Israele, petromonarchie arabe e dalla stessa Turchia del sultano ottomano Erdogan.
Sembra poco ma poco non e'.
Oggi l'Argentina va al voto e se tutto va secondo le previsioni tornera' a essere guidata dai peronisti con Fernandez presidente e Cristina vice; oggi mi sento ottimista.
A volte anche alla Cupola criminale mondialista le ciambelle non escono col buco.
Angolo della misandria: Il corriere pubblica un articolo su di un episodio,il quale, a parti invertite, sarebbe stato classificato come vile "femmicidio" con tanto di starnazzamento delle associazioni contro la "violenza di genere", richiesta di leggi per la donna, alcune delle quali già approvate (ad esempio esiste una legge per il risarcimento ai figli delle donne vittime di femmicidio, ma non esiste nulla di analogo per i figli di vittime per "maschicidio" come pure le donne, e solo le donne, denuncianti violenze di genere o molestie possono avere diritto a tre mesi di congedo retribuito), Qui invece si parla dello stato in cui è stata trovata l'assassina "stato di shock", e delle probabili motivazioni causa del brutale assassinio.
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/19_ottobre_30/anzio-avvocato-ucciso-ex-moglie-contesa-le-figlie-6dad69b0-fae4-11e9-b1c6-a381abba5d9f.shtml
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