(E’ lungo, forse prolisso, ma tratta due temi grossi, si
può digerire in due puntate e, giuro, per un po’ non mi farò vedere. Per
combinare il testo con le immagini andate su www.fulviogrimaldicontroblog.info. Almeno da lì nessuno può rimuovere).
Palloncino bucato
Una cosa si è confermata chiara e ha
bucato il pallone gonfiato delle fake news dei grandi media e la loro
forsennata passione per la globalizzazione di guerre, neoliberismo,
totalitarismo. Una cosa ha definitivamente sancito la scomparsa, da noi, ma
anche da molte altre parti, di quel settore della società politica che si
definiva di sinistra e coltivava il paradosso di chiamare destra l’altro
settore. Per la sedicente sinistra vale ormai al massimo il corrispettivo
linguistico al maschile.
Questa cosa ha l’aspetto di Giano
Bifronte: da un lato fulmina con occhiate di sdegno e riprovazione il trucidone
della Casa Bianca che, sfidando una
tradizione di guerre d’aggressione che risale alla fondazione del suo paese e
ne costituisce l’essenza ontologica e, ahinoi, anche escatologica, annuncia il
ritiro di truppe da Siria e Afghanistan
(vedremo poi i perché e percome); dall’altro inneggia con passione
smodata ai Supremi di casa nostra che, in occasione delle festività, ci hanno
fatto volare sul capo aerostati gonfi di pace. Nella fattispecie aria calda.
Siamo il paese dei fessi che fanno i
furbi, che tuffano il diavolo nell’acqua santa e se la cavano scegliendo la sudditanza a discapito della
cittadinanza. Arlecchino servitore di
due padroni. Don Abbondio, se di fronte c’è don Rodrigo, don Rodrigo, se si ha
a che fare con don Abbondio. Dunque, don Abbondio prima con i tedeschi, poi con
gli americani. Con tutti quelli che ci menano. E dunque con l’UE. Don Rodrigo
con quelli che possiamo menare. Di solito noi stessi. E da questa
caratteristica nazionale che nasce il prodigio di un paese, escluso il 32,7 %
degli elettori che restano in stato d’attesa, che si diverte come un bambino
sull’altalena nel parco giochi costruitogli dai potenti.
Francia o Spagna, purchè se magna
Contro il bifolco Trump, perché pare
abbandonare il massacro di Siria e Afghanistan, e con coloro che, nella Cia,
nel Pentagono, tra gli armaioli, e quindi nei media, se ne risentono. E paiono
i più forti. Di conseguenza, apertamente per la guerra, da conclamati e storici
pacifisti. Ma che è anche la guerra che il papa e il capo dello Stato aborrono,
pur cautelandosi scrupolosamente dal riferirsi a chi le fa e ci campa. Per la
democrazia del voto e del pluralismo, ma non quando il 70% dei siriani elegge
liberamente il presidente Assad e neanche quando bande di ventura curde, al servizio
degli aggressori Usa-Nato, senza essere stati votati da nessuno, uscendo dal
loro territorio (un decimo della Siria abitato dallo 0,6 dei suoi abitanti,
prima dell’afflusso di curdi turchi accolti e protetti da Damasco), occupano un
terzo della Siria facendovi pulizia etnica degli arabi.
I santi dei buoni
Quello che, a schermi ed edicole
unificate, è seguito alle omelie di fine anno di Bergoglio e Mattarella è stato
un’onda anomala di saliva abbattutasi fin sul Colle e sulla Cupola. Dal
“manifesto” al “Foglio” all“Avvenire”, fino ai main stream dei grandi
editori, puri come l’eroina Juliette del marchese De Sade, che tutti, con
grande senso dell’humour, dicendosi liberi e indipendenti, si sono profusi in osanna
ai due salmodianti da far invidia alla corte del bizantino Paleologo II. “L’equilibrio perfetto, il sorriso paterno e
luminoso, moral suasion di prossimità e familiare, ruolo pedagogico, sorriso disarmante,
un capolavoro, il vero rivoluzionario custode della ragione, il paese favola
che diventa reale, Mattarella
seppellisce tutti gli altri”…. Così il manifesto”, Corriere, Stampa,
Foglio, Messaggero, Repubblica. Nessuno dei quali si risparmia l’esaltazione
per lo share trionfale, senza precedenti, 10,2 milioni, il 40%. Per la verità,
un topino di redazione ha sussurrato: “Ma,
grazie tante, era a reti unificate, non c’era controprogrammazione, chissà come avrà fatto l’altro 60% a non
vederlo…”, ma nessuno gli ha detto retta.
E pour cause. Se il manifesto titola “Mattarella argine contro il cattivista” (il governo) e cita il papa
che definisce la stessa “cattiveria
sintomo di debolezza” e, come tutti gli altri da posizioni politico-sociali
presuntamente opposte, inneggia all’Italia delineata dal presidente, una
ragione c’è. Sia l’uno che l’altro dei due taumaturghi, papi e presidenti di
tutti gli italiani, hanno reso omaggio a tutti gli italiani meno su per giù il
50%. Al netto dei paroloni di calorosa sostanza retorica, buoni per tutte le
omelie, dal principio alla fine, dall’accoglienza
negata alle tasse ventilate sui buoni del Terzo Settore (leggi Ong e tutti la
giungla dei sussidiari alla CL), alla denuncia dell’astio, dell’insulto,
dell’intolleranza, dell’odio settario (così ben denunciato da Boldrini e
Renzi), fino alla vecchietta sola che, a
capodanno, per avere compagnia chiama i carabinieri (purchè non siano
quelli di Cucchi, spero), quella che ci si presenta è l’Italia del bene contro
quella del male. E quali sarebbero le due Italie dell’inventore del Cottarelli
premier manidiforbice e banditore di Savona euroscettico? Indovinate. Un
aiutino ve lo dà la standing ovation di
tutti quelli che al potere c’erano prima, sinistri imperiali compresi.
Uccidono la libertà di stampa. Pensate, ce l’avevamo!
Lasciatemi chiudere questo
capitoletto, prima di passare al fatto serio del giorno -Trump, gli altri e la
Siria - con qualche citazione da quello che è diventato l’organo del PD e della guerra (ma solo in difesa dei curdi,
per carità, e contro i tiranni, come comanda Rossanda), dopo il decesso
dell’Unità. Vox clamantis in deserto,
peraltro, dato che sta in piedi grazie ai quasi 3 milioni di contributi statali
che, come i 6 all’Avvenire (giornale dei vescovi, tutti spiantati), i 3 al
Sole24Ore (della Confindustria ridotta in miseria dai gialloverdi), i 3,7 a Libero
(eh, Berlusconi non può mica mantenere tutti), il milione al Foglio (la Cia
manca di spiccioli).
Giornali che nessuno legge, ma che,
se privati dei sussidi,”muore la stampa libera e indipendente”. Visto che rimangono solo
Corriere, Repubblica, La Stampa e….. Indipendenza garantita al manifesto da una
ricca successione di paginoni pubblicitari dell’ENI, cui il “quotidiano
comunista” affianca inserti redazionali in cui una maestra amministra ai
pargoli i valori del “viaggio di studio” offerto dall’ente petrolifero tra i
salubri pozzi della Basilicata. Mentre NON produce, il manifesto, nemmeno una
riga sugli scandali delle tangenti ENI-Nigeria-Congo che occupano le giornate e
gli anni della Procura milanese.
Quel cialtrone di Dibba, quel raffinato analista di Negri
Ciò che oggi colpisce nel quotidiano
è una prima pagina che, scontata la solita gigantografia con vignetta ossessivamente
sorosiana di Biani sui migranti, migranti che quel vecchio marpione di Orlando,
con dietro qualche altro sindaco dell’acquolina in bocca in vista delle
Europee, vuole accasare, offre due perle di quella bontà e di quell’equilibrio
che tanto ha esaltato il collettivo nelle omelie citate. ”Il Misfatto Dibba c’è” titola il condirettore Di Francesco uno
spurgo di un livore che solo la più frustrata invidia può provocare. Il
bersaglio del volgare vituperio è il rientrato Alessandro Di Battista che sul
Fatto Quotidiano, in questi mesi, ci ha regalato una serie di reportages sul
Messico e sul Centroamerica seviziato dagli Usa e dai loro sguatteri locali.
Un po’ me ne intendo e posso dire
che articoli di tale competenza, conoscenza, profondità di analisi, sensibilità
politico-sociale e, soprattutto umana, ne ho letto pochi. Ma per la prosa
pernacchiosa del poeta Di Francesco, che non figurerà mai in un’antologia, ma
nella storia dei Balcani sì, per aver definito Milosevic “despota ultranazionalista” e quindi aver dato una manina al
disfacimento di quel paese e alla morte del suo presidente, “Di Battista è un “esperto di tutto ma di nulla” e quello che ha
fatto nelle Americhe non è che un “camel
trophy dell’eroe dei due mondi dal mood garibaldino e da guida turistica”.
Secondo il giornalista che ha permesso che il manifesto si imbrattasse per
giorni con le veline dei peggiori arnesi dei golpe striscianti, in occasione
del fallito colpo di Stato contro il Nicaragua sandinista, l’incarico adatto al
più temuto dei Cinque Stelle sarebbe quello di “commissario del popolo al turismo”.
Degna apertura di un giornale che
resta perfettamente sul suo binario imperial-diffamatorio con Alberto Negri,
che, finge un’analisi della mossa di Trump, per tirare un grottesco quanto
maligno parallelo tra le vite di Erdogan e del tre volte-autocrate Assad,
dittatori che vanno a braccetto. Quello dei “sopravvissuti Assad ed Erdogan, sono regimi che non si riformano”,
sentenzia il chissà perché sovrastimato commentatore del manifesto, estrazione
Sole24Ore.Tout se tien.
Vae pauperibus!
Guai ai poveri, auspica nel racconto
della giornata di segno comunista Roberto Ciccarelli, caro a chi sa lui per
aver garantito per Osama bin Laden quale autore dell’attentato alle Torri
Gemelle. Qui si accanisce sul reddito di cittadinanza in quanto “il più razzista dei provvedimenti e il più
punitivo nei confronti dei poveri”. Speriamo che i poveri, all’arrivo dei
750 euro, se ne accorgano. Chiude in bellezza il solito tentativo di riesumare il
bluff zapatista del Chapas, ricordandone la cavalcata di 35 anni fa a San Cristobal
de las Casas con in testa il subcomandante Marcos. Il quale, dopo aver tentato
di sabotare due volte l’elezione di Lopez Obrador alla presidenza del Messico,
s’è dato da sub per rientrare insalutato ospite nell’ordine delle cose.
Anche stavolta i nuovi subcomandanti
hanno cercato di far passare per grande truffa l’unica speranza di riscatto
disponibile nel Messico per grande truffa. E stanno attaccando Obrador
ferocemente, prima ancora che abbia dato il suo primo buongiorno dal palazzo
presidenziale. Il bue che dà del cornuto all’asino. Intanto i miseri resti
della rivoluzione galattica se ne stanno rinchiusi a “ben governare” nei loro
cinque villaggi e strepitano con rabbia contro la ferrovia che, al posto delle
carrarecce di fango, dovrebbe finalmente collegarli al mondo. Non gli dà retta
più nessuno, da anni. Venerano Luca Casarini, il Masaniello di Padova. Prima in
Chapas con Marcos, poi a Belgrado a sostegno degli infiltrati Otpor e della
radio di Soros B-52, poi con gli scudi di polistirolo a minacciare pioggia di
rane sulla Genova del G8, oggi su un’imbarcazione Ong nel Mediterraneo. Sempre
dalle parti di Soros.Tout se tien
anche qui.
Tiritiri? O tiritero?
Passando alle cose serie. Sul ritiro
in 100 giorni di tutte le truppe Usa dalla Siria (5000, tra Forze Speciali e
bombaroli) e della metà di quelle che bombardano e trafficano oppio in
Afghanistan, poi estesi a quattro mesi, vista la malaparata con lo Stato
Profondo (Cia, Pentagono, Wall Street, Lockheed Martin, media). Malloppone
guerrafondaio furibondo, capeggiato da “Cane Pazzo” Mattis, dimessosi da
ministro della Guerra per non aver potuto ripetere in Siria il bagno di sangue
e fosforo di Fallujah (Iraq 2004) e per essere stato privato del suo massimo
godimento, così da lui espresso:”Cosa c’è
di più divertente che sparare a qualcuno”. Per inciso, il noto quotidiano
pacifista, il manifesto, ne ha deplorato la dipartita e lo ha qualificato
“elemento razionale e di equilibrio” nella compagine trumpiana.
I curdi? Ingrassano con chi vince.
Da noi, affetti dalla solita
ipocrisia clericomafiosa, si piagnucola sull’abbandono dei curdi, “avanguardia
democratica, laica, ecologista, femminista, LGBTI”, con tanto di majorettes in
armi. Si sorvola su queste milizie curde YPG arrivate in massima parte dalla
Turchia che, mascherate da Federazione Democratica Siriana (solo la Cruciati
del manifesto li vuol far passare per coalizione multinazionale di arabi, assiri,
turcomanni, puffi e curdi), grazie all’aiuto degli Usa dall’alto, si sono
sostituiti all’Isis come fanteria Nato contro la Siria. Si ignora che, se sono
passati da meno di un milione a parecchi di più è perché la Siria di Assad li
ha accolti, insieme al leader Ocalan, profughi dalla Turchia. In compenso si
sono fatti mercenari dell’aggressore in sostituzione dell’Isis e, assumendo il
progetto dello squartamento della Siria, si sono presi un terzo del paese, imponendo,
sfrattando, incarcerando e uccidendo gli autoctoni.
Ora, abbandonati dai loro danti
causa, forse, pressati dai turchi che, alla faccia loro, ma anche di quella del
popolo siriano, vorrebbero prendersi almeno una gran striscia di confine, con
dentro i più ricchi giacimenti petroliferi, le più fertili terre e ricche acque
della Siria, buttano la mimetica a stelle e strisce e con stella di David e, giurando
di rispettare l’integrità territoriale del paese, invocano aiuto da Damasco.
Che fa bene a darglielo e ad accorrere con la Guardia Nazionale e la Divisione
Tigre a Manbij. Che tornino nel loro angolo di Siria e vadano a prendersela
oltre confine con chi li ha maltrattati davvero.
Chi taglia il nodo gordiano?
Qui la situazione è intorcinata. Ci
stanno i turchi, che già avevano scacciato i curdi dal cantone di Afrin, in
piena e tollerante vista degli americani, ci stanno i curdi, ci stanno i
militari Usa da ritirare, nel tempo, e sono arrivati i siriani. Cosa faranno
gli uni e gli altri? Qui non soccorrono le ambiguità e le indecenti equivalenze
tra Assad ed Erdogan di Alberto Negri. Qui vanno visti gli attori e i loro
interessi. Per primo Trump che ha accelerato alcune mosse per riprendere i temi
della sua campagna elettorale: riduzione dell’impegno e della spesa militari globali,
accomodamento con i russi, dialogo con i nordcoreani, sordina agli attacchi
all’Iran e alla Cina dei dazi. Non stona con tutto questo la sorprendente e
sacrosanta affermazione dell’avvocato di Trump, Rudi Giuliani, che ad Assange
di Wikileaks, recluso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, non c’è proprio
nessun reato da contestare. In compenso, dall’altra parte, i Democratici hanno
eletto alla presidenza della Camera la collaudata Nancy Pelosi, espressione
arcigna e inflessibile dell’apparato guerresco statunitense. E di Julian
Assange, eroe della libera informazione, i Democratici vorrebbero fare polpette
da servire a Mattis.
Liberal per liberare i cani di guerra
Poi i nemici dell’outsider strambo,
scatenati contro ognuno di questi obiettivi, tanto da rovesciare sul presidente
accuse di alto tradimento per aver incontrato Xi, Putin e Kim Jong Un e
inventarsi la bufala galattica del russiagate,
ovviamente ripresa dai loro sodali e sguatteri in Europa. Nemici riuniti nello Stato
Profondo Usa rappresentato politicamente da uno schieramento bipartisan
Democratici-Repubblicani, ma con forte prevalenza dei primi, dalla banda
guerrafondaia Obamian-Clintoniana, dai neocon, insomma da tutti coloro che
hanno inventato, creato e nutrito Al Qaida e l’Isis, dalla Siria all’lraq alla
Libia all’Egitto all’Africa e all’Afghanistan. In sostanza l’élite statunitense
plutocratica e perennemente in guerra, sostenuta da media e think tank di puntellamento, che vede
sfidata la sua dottrina di base: una strategia di dominio militare e
neoliberista mondiale, fondata su quasi mille basi militari, un’egemonia (sub)culturale
onnipervasiva e l’assalto, con sanzioni, guerre, terrorismi, a chiunque vi si
sottragga, o opponga modelli incompatibili. Vanificata da loro stessi
l’equivoca alternativa del PCI e di forze simili, tutto ciò che si pretendeva
di sinistra si è inserito in questo Zeitgeist,
visione del mondo. La riprova è la solidarietà di chi ha lo stomaco di
condividere con questa èlite la furia contro il ritiro delle truppe Usa da un
teatro di massacri.
Ritiro che tale belluina reazione ha
già costretto il malleabile cerchiobottista della Casa bianca a estendere da un
mese a cento giorni e più. Ed è aperto a ogni ipotesi ciò che l’una e l’altra fazione in campo, sullo sfondo dei probabili
contenziosi russo-turchi sul che fare dei curdi e di quel pezzo di Siria,faranno
e otterranno in questi quattro mesi. Sempre che i plutocrati in armi degli Usa
non si rassegneranno e si accontenteranno del loro nuovo pivot: Africa e
America Latina, dove sono in corso le altre loro grandi manovre imperialiste a
contrasto di Russia e Cina. Difficile, però, che Israele non li tiri per la
collottola. Quel che è certo è che sul Donald vanno a esercitarsi pressioni mai
viste, con dentro anche gli sceicchi del Golfo e tutta la potenza lobbistica e ricattatoria di Israele. E’
probabile che, come altre volte, soccomberà.
Geopolitica, ma anche petrolio
Perché Trump ha osato tanto? Può
darsi che, più di un suo spirito conciliatorio, sia stata la prospettiva di uno
scontro tra Usa-curdi nel cosiddetto Rojava, sottratto alla Siria e ambito da
tutti e tre gli usurpatori in campo, e il bastione turco della Nato, alle porte
di Iran e Russia, a sollecitare il ritiro di Trump. Se questo ritiro, con
conseguente occupazione turca di larghe
fasce siriane, ha comportato la messa in crisi della triplice
Russia-Turchia-Iran, oggi a capo della strategia mediorientale, la
cancellazione dell’acquisto del sistema anti-aereo S400 russo e, chissà, la
sospensione del gas-oleodotto Turkish Stream, allora lo scenario delle alleanze
rischia ancora una volta di essere sovvertito. E quello che, secondo le
colleriche geremiadi dei globalisti occidentali e di Israele, sarebbe stato un
regalo a Russia e Iran, potrebbe ben rivelarsi una trappola mortale proprio per
Mosca e Tehran. E Siria. Presto, dunque, per cantare vittoria.
Si vedrà. Intanto tra forze
governative siriane, quelle che davvero hanno debellato il terrorismo
jihadista, altro che la finta guerra all’Isis dei complici Usa e curdi, e a cui
ora apre la strada il voltafaccia di sopravvivenza pro-Damasco degli stessi curdi,
e reparti jihadisti al soldo di Erdogan trasferiti da Idlib, è in corso la gara
a chi si prende Manbij. Dove ci sono ancora americani a custodire la porta
d’accesso a quello che in chiave colonialista è chiamato Kurdistan siriano,
moltiplicato per dieci rispetto alla sua dimensione storica, ai suoi pozzi
petroliferi, alle sue terre agricole e alle 18 basi che gli Usa vi hanno
stabilito. Senza dimenticare che da quelle parti c’è ancora una consistente
presenza di Isis che gli Usa hanno estratto dalle macerie di Raqqa da loro
polverizzata e cosparsa di fosse comuni delle migliaia di civili siriani frantumati
dalle loro bombe.
La partita resta aperta a Washington
come in Medioriente. Di sicuro c’è solo una cosa, anzi due. Che Trump è quello
che è, ma resta comunque il pannocchione eterodosso che, per la seconda volta in 70 anni, ha
pronunciato la parola “ritiro” e ha familiarizzato col russo L’altra volta, con Nixon e il cinese, si sa
com’è andata finire. E che, per la seconda volta in 70 anni, un governo
italiano ha sorriso a Mosca, ha tagliato qualche spesuccia militare, non si
manifesta entusiasta delle guerre e delle sanzioni, non condivide l’estrazione
dall’Africa di schiavi, piace a Trump e non agli altri. E si sa come è andata a
finire la prima volta.
Fate tutti i distinguo che volete,
ma quelli che ci sono stati prima e che ora sbraitano, in entrambi i casi, sono
peggio. La speranza è gialla. Che i gialli la mantengano!
E per tirarci su, ecco un link in
onore del meglio che l’Europa l’anno passato ha saputo offrirci: i gilet
gialli. Lunga vita!
https://www.facebook.com/ilcorsaro.altrainformazione/videos/1150264541683275/ Bella Ciao suonata
e cantata a Parigi a sostegno dei manifestanti contro la riforma del lavoro di
Macron (l’hanno blaterata davanti a Montecitorio quelli che da noi quella
riforma l’hanno fatta: eterogenesi dei fini).
8 commenti:
mi scuso con me stesso e con le infanzie buttate sui gommoni grigi delle portaerei americane (presumibilmente) del mediterraneo ma andando le cose a colpi di -baby shields- rimango in attesa di comunicati sinistri sul Venezuela stile Almagro o Mujica sul Nicaragua (dalla Svizzera dell'america latina sostentata da yacht e allevamenti bovini)
https://edition.cnn.com/videos/spanish/2018/09/21/almagro-venezuela-crisis-oea-intv-conclusiones-fernando-rincon.cnn
L'immagine diffusa è quella di un'Africa crudele con i suoi figli e le sue figlie e l'incapacità di fieri popoli di resistere e guidarsi, vivere e viaggiare, scegliere ed emigrare in sicurezza (lontani anni 80-90). Parlare di Europa è quindi superfluo, avendo bene in mente il quadro generale dell'impero che nazifascisticamente assaltava l'Africa per liberarla dalle dominazioni delle parentele coronate. Throw me corn but Me no call no fowl. B.M. (a breve le manderò un mio punto di vista su quello che fu il contributo di Marcus Garvey e Marley alle idee di emancipazione con i pro ed i contro e le necessità imposte dalla evangelizzazione/biblica dell'africa che in maniera fuorviante, anche considerando l'epoca e l'informazione di allora, li portò a focalizzare una delle difese del variegato mondo del -negro movement- verso Selassiè, spostando quindi la prospettiva dal politico al popolare folkloristico che aveva comunque funzione strategica tra mille implicazioni e codici culturali lontani dal mondo dell'europa e cioè ciò che per loro era babylon (babies alone/baby lion? ecc.) è diametricamente considerabile Zion da un punto di vista occidentale. Sempre senza entrare nel merito delle autodeterminazioni dei popoli tanto variegate nelle varie fondamenta e da non contaminare proprio per fedeltà al principio delle diversità. -Manley e Seaga in Jamaica (per la pacificazione necessaria e strategica in salvezza dei ghetti dalla polizia della 'scuola delle americhe' ) e Mugabe nel nuovo Zimbabwe (a celebrare la decolonizzazione) furono e sono due eventi troppo snobbati da chi vede nel reggae (oggi in mano a vivendi universal e sony) pace e amore o quanto meno solo questo. -lungi da me una provocazione su questione eritrea ed etiope, dighe ed acque del Nilo, così come non rincalzerò con le opere delle multinazionali e la loro etica strategia di sostenibilità e cose del genere cercando invece di guardare come da una finestra senza vetri. Se riuscirò, se vuole: senza ricerca di pubblicazione ma solo per piacere di condivisione. Saluti a lei ed Ernesto.
A onor del vero l’ezln ha sempre mantenuto la bandiera messicana proprio rivendicandone l’appartenenza storica così come le farc, seppure la candidatura ed il nuovo corso di quest’ultime riservino dubbi (politici) su quanto abbiano perso in termini di visibilità. Per altro esperienze come Euskadi, Catalunha, Saharawi spesso vengono accumulate e accomunate dal nuovo municipalismo indipendentista come se fossero identiche le istanze e le condizioni con le vicissitudini storiche (le prime due sono oggi motori trainanti finanziari ed economici come il sahara marocchino è un banchetto appetitoso per il petrolchimico europeo.) Ci sono spostamenti di visione ben orchestrati dalle sapienti confraternite della destra pirata masterizzata nei Tavinstock institute travestiti da centri di analisi consulenza e ricerca (skull and bones o buona scuola? ) che ha ben assorbito l’affare lgbt patinato telavivizzandone i contenuti storici come per l’affare antiproibizionista da impresa ecofriendly (una sorta di 'Ecofascismo: Lezioni Dall’Esperienza Tedesca' abusato da federfauna nella criminalizzazione all’inverso dell’ecologismo e vegetarianesimo, tipo prendi una foca e vestila da elefante) . Come quando nei vuoti del –pubblico- si avventa il –privato- e magari laico velatamente cattolico - nello stile monsanto/bayer avvelena e cura cavalcando il –sfamiamo e curiamo il mondo.
ognuno può ben trarne le conclusioni sul chi è ostaggio di chi ma l'unica cosa certa è che tale presenza non ha scusanti né sul terrorismo né sulle emigrazioni disperate ed i campi lager. Il gioco è tetro e all'africana mentre l'attivismo sociale occidentale, con base italia, cerca partecipazione e visibilità nella speranza di indottrinare il capitale umano. https://www.africom.mil/ Si può ben pensare che si fugga dalla militarizzazione dell'africa ma finora l'ufficio stampa delle varie 'society' parla di guerre, carestie, dittature. C'è da aspettare allora qualche centinaia di milioni di esodant@. Sempre al loro fianco, se c'è da esaltare le ipocrite buone azioni di sedicenti antirazzist@ assenti nei campi di arance e pomodori e nelle tendopoli a condividerne il vissuto, il lavoro e il pasto nel nuovo mondo per loro oscuro. Forse in attesa del morto di turno.
Altro bell'articolo con tanto di denuncia dell'ipocrisia dominante sopratutto riguardo alla gestione dei "migranti". Una considerazione sulle varie obiezioni di coscienza, non in quanto tali, ma per l'uso politico. Un sindaco che ritiene inapplicabile una legge dovrebbe, penso, spiegare le ragioni ed entrare in una mediazione con chi ha la competenza di legiferare. Cercare di lavorare con lui per ottenere un decreto attuativo decente. Al massimo potrebbe emettere delle ordinanze per ridurre gli effetti negativi ed ingiusti di una legge. Invece ho l'impressione che venga sollevata l'obiezione per ottenere visibilità politica e per tentare di rovesciare un governo, piaccia o meno. Una questione sollevata contro il sindaco di Roma e' sempre quella dell'immondizia, questione sicuramente esistente da anni, ma adesso ingigantita a dismisura dai media, in quanto pure io ho trovato il centro storico in uno stato decisamente dignitoso. Oggi ho sentito su LA7 e su RAI3 che addirittura alcuni presidi di Roma vorrebbero tenere le scuole chiuse per "protestare contro i rifiuti non ancora rimossi dai cassonetti in zone limitrofe alle scuole". Dicono di avere sollevato la questione alle ASL competenti. Ma il dare l'autorizzazione per l'agibilità sanitaria dei locali scolastici non e' competenza delle ASL? Non sarebbe un abuso di potere degli stessi presidi? E chi risponderebbe dei giorni di scuola non erogati alla comunità?
Anonimo@
Intuisco concetti cui vorrei rispondere plaudendo e integrando, ma confesso che prosa e punteggiatura mi intimidiscono e affaticano le mie già deboli sinapsi.
....Mai e poi MAI troppo lungo!!! Grazie per avere fatto un po' di ordine...Ancora una volta!!!
Rossana
Rossana@
Grazie a te per la pazienza. Aver fatto un po' di ordine è un bel complimento.
Complimenti. Per fortuna esiste ancora il vero giornalismo.
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