domenica 20 settembre 2009

6 EROI, LOS CINCOS E MONTAZER, 6 MERCENARI, CINQUE FOLGORE E' UN AVIERE; LA NEMESI DELL'IMPERO DEL MALE











MILANO, SABATO 10 OTTOBRE 2009 MANIFESTAZIONE NAZIONALE
PER LA LIBERAZIONE DEI CINQUE CONTRO IL SILENZIO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE. LO SAPEVI CHE CINQUE CUBANI SONO INCARCERATI NEGLI STATI UNITI PER AVER COMBATTUTO IL TERRORISMO?
Corteo da Piazza Cavour (MM3 - Turati) alle ore 15.00
Al termine concerto dal vivo di musica e danze cubane in piazza Leonardo da Vinci (davanti al Politecnico).Dal 1998 cinque cubani sono detenuti negli Stati Uniti per aver monitorato, a protezione del proprio popolo, le attività terroristiche contro Cuba organizzate dalla Florida, dopo un processo definito illegale dal Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulle Detenzioni Arbitrarie.
www.italia-cuba.it, amicuba@tiscali.it, tel. 02-680862.


Un’aggressione terroristica, mascherata da “missione di pace”, giustificata con un pretesto costruito in casa e motivata da evidenti sebbene inconfessati obiettivi predatori delle élites mondiali: assicurarsi i profitti della droga, secondi solo a quelli delle armi, tenere sotto ferreo controllo Nato i paesi occidentali colonizzati o subalterni, impedire la stabilizzazione autodeterminata e sovrana di Afghanistan e Pakistan, controllare le risorse energetiche e il nodo geostrategico dell’Asia Centrale, accerchiare Russia e Cina.
Una lotta di liberazione e di emancipazione di un piccolo pacifico popolo su una piccola, libera isola, contro una potenza mondiale senza precedenti nella storia per voracità, distruttività, aggressività; una difesa contro 60 anni di terrorismo di Stato o coperto dallo Stato, attacchi, guerra biologica, sabotaggio, attentati, diffamazioni, destabilizzazioni; un esempio al mondo di giustizia sociale, dignità, indipendenza, solidarietà internazionalista, che ha promosso processi di liberazione di masse in tutto il mondo.

Ecco i due casi del giorno. Nel primo l’Italia ufficiale, del palazzo dei pregiudicati, corrotti, bugiardi, mafiosi, dei media codardi e nella quasi totalità complici (si veda la diserzione della FNSI dalla manifestazione per una libertà di stampa oggi recisa dal guitto mannaro, ma sbollita già vent’anni fa), Italia laica o clericale, di destra o di sinistra, furba o ottusa, si straccia le vesti e ciancia di “eroi” e “martiri” sulle salme di giovani che, prima, ha psicologicamente ed eticamente deformato e poi ha venduto come mercenari “autodeterminati” al comandante in capo, oggi riverniciato, perché ne facesse quello che voleva, tra mandarli a uccidere e farsi uccidere. Il capintesta del paese, alfanizzato da una Corte Costituzionale che banchetta con guitti mannari e esonerato da tutti i tribunali giuridici e mediatici della Repubblica, violando il più umano dei dettami della Repubblica, art. 11, contro ogni guerra, inneggia all’eroismo dei “nostri ragazzi” e fa il suo giuramento di marine all’ imperatore e ai burattinai che ne manovrano la scimitarra. Intanto serpeggia il sospetto che, dopo, il botto i militari, come è successo parecchie volte in Iraq e Afghanistan, totalmente fuori di testa si siano messi a sparacchiare in giro e che quindi quei 20 civili morti siano tacche nei loro fucili. Dove sta il terrorismo?

Nel secondo caso l’Italia ufficiale è composta dalle note scimmie che non vedono, non sentono, non odono. Non piangono. Ma appresso a loro l’Italia dall’occhio abbacinato, che invece lacrima su un grottesco vessillifero della telecorruzione e del telerincoglionimento nazionali e, perciò, funeralizzato di Stato. Orbi dall’occhio annebbiato e accecatori celebrano imbandierate esequie marciando verso camere ardenti sopra strade lastricate da due milioni di ammazzati iracheni, un popolo genocidato in Palestina, popoli sterminati in Asia, Africa, America Latina, popoli centroamericani a cui sicari fascisti dell’imperatore stavolta cercano di spezzare il collo con una dittatura ogni giorno più sanguinaria. Niente deve turbare una società di escort raccolta nei festini, o sotto il tavolo a guaire, dove, se semmai ci si pensa, si sghignazza sui passatempi praticati a Guantanamo, Bagram, Abu Ghraib, sugli 11mila, patrioti o inconsapevoli, rinchiusi e torturati senza processo e senza fine nei lager di un primo ministro che, la sera dell’11 settembre, si è rallegrato: “E’ buona cosa per Israele”, sui 60mila negli anni finiti nello stesso buco nero in Iraq, sui non dissimili diversivi nelle carceri italiane e, ultimo spunto, sui 18 tentativi falliti di iniettare il veleno mortale a un detenuto da 25 anni morente nel braccio della morte imperiale.

Ma c’è un pezzo d’Italia, di mondo, che non ci sta. Che di questo scenario allucinato e mostruoso ha individuato un simbolo che in sé tutto lo racchiude, nella sua tesi e nella sua antitesi e ne fa la l’obiettivo-sintesi di una campagna di contrasto e di verità. La tesi è l’infamia della condanna a cinque eroi della difesa del proprio paese, della pace e dell’umanità tutta. L’antitesi è il disvelamento dei delinquenti con il tocco in testa e la toga sulle vergogne, nonché dei loro mandanti. La sintesi è, deve essere, l’identificazione di chi, terrorista supremo, teorizza e pratica “guerra a terrorismo” mentre distrugge paesi e nega giustizia e liberazione.
Dal 12 settembre 1998 cinque cubani sono detenuti negli Stati Uniti con condanne dai 15 anni a un doppio ergastolo. Condannati da una giuria di Miami, scaturita dall’ambiente che da decenni, oggi in Honduras, spedisce in giro sicari per l’America Latina per ottemperare agli ordini di mattanza del proprio padrino e riuscire a tornare a imbandire il proprio mattatoio sociale. Il loro delitto: essersi infiltrati tra le bande terroristiche della mafia cubana per sventare ulteriori complotti contro il proprio popolo e la sua sopravvivenza. Non hanno commesso violenza, non hanno intaccato la sicurezza degli Usa, non hanno violato nessuna legge. Anzi, a difesa della presunta ostilità al terrorismo dello Stato terrorista, hanno comunicato alle autorità investigative del governo che da 60 anni minaccia e aggredisce Cuba, oltreché alle proprie, le trame criminali che si tessono in quelle associazioni a delinquere, anche, quanto meno, a danno dell’immagine che gli Stati Uniti vorrebbero darsi.

Per sturare sorde orecchie e far levare palpebre ostinatamente abbassate, quel pezzo di mondo sfuggito a complicità e narcosi, da dieci anni si batte e non desiste, forte del fatto che addirittura una solitamente remissiva ONU ha definito illegale il processo e le condanne. Dieci Premi Nobel, parlamenti di paesi sfuggiti alla pandemia della menzogna, l’unica vera, singoli parlamentari, istituzioni internazionali, organizzazioni dei diritti umani, associazioni di giuristi e migliaia di personalità di ogni valore vitale, hanno chiesto invano la revisione del processo, con la prova di connivenze, menzogne, protezioni e pressioni che hanno falsificato gli esiti della farsa. In tutto il mondo da un decennio folle di rivoluzionari, di militanti per la solidarietà la giustizia, resistenti alle illegalità e ai soprusi, democratici, persone perbene, manifestano con regolare periodicità contro questo monstrum antidemocratico, esercitano pressioni sui loro rappresentanti politici e sindacali, assediano le ambasciate Usa, con i circoli dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba in costante mobilitazione per Cuba e per i Cinque. Quando succederà in Italia, che squarci la cappa dell’ignavia e della mistificazione un nostro sindacato e solleciti proteste e provvedimenti degli organismi internazionali, come hanno fatto le centrali sindacali britannica, irlandese e sudafricana che hanno deciso il boicottaggio, i disinvestimenti e le sanzioni per lo Stato israeliano? E il capo manipolo dei terroristi anticubani e anti-latinoamericani, pluriomicida bombarolo, confesso mandante killer anche del nostro Fabio di Celmo all’Avana, il cinquantennale agente CIA Luis Posada Carilles, gira libero, protetto e vezzeggiato per gli Stati Uniti e, in questi giorni ha riattivato, insieme al compare Otto Reich (responsabile per Hillary Clinton per l’America Latina), le proprio funzioni terroristiche a difesa dei golpisti honduregni e a repressione della grande resistenza di popolo alla dittatura.
I cinque eroi cubani, si chiamano:

• Gerardo Hernández Nordelo: N°. 58739-004, U.S.P. Victorville – California;
• Antonio Guerrero Rodríguez: N° 58741-004, U.S.P. Florence – Colorado;
• Ruben Campa: N° 58733-004 (aka Fernando Gonzalez) F.C.I Oxford – Wisconsin;
• Luis Medina, N° 58734-004 (aka Ramon Labañino), U.S.P Beaumont Federal Prision – Texas;
• René González N° 58738-004 F.C.I, Marianna, Florida.

Sono rimasti in isolamento per anni, li hanno riprocessati e ricondannati ad Atalanta, gli si rende la detenzione il più penosa possibile ponendo arbitrari ostacoli alle visite dei congiunti, addirittura di madri, mogli e figli. Viene violato ogni emendamento legale e umanitario della Costituzione Americana. Della loro liberazione Cuba ha fatto la battaglia primaria, uno per tutti, tutti per uno, nel segno della solidarietà, dell’amore di cui è intessuta quella società che con medici, insegnanti, tecnici la estende al mondo esterno, ovunque ci sia da dare una mano al riscatto di popoli e comunità dei bisognosi.
E’ proprio questo messaggio, che da Cuba si diffonde da sempre nel mondo e, con la lotta per i Cinque, ha guadagnato ulteriore impeto e ne ha allargato la portata, che la controparte del dominio, della prevaricazione, della necrofilia vuole soffocare. E’ per questo che i Cinque diventano una cartina di tornasole e rovesciano il paradigma del terrorismo che si vorrebbe mosso contro gli Stati Uniti e contro di noi, anziché dagli Stati Uniti contro chi non ci sta e va per la sua di strade. Lottare per i Cinque significa far rinascere una logica unificante, a superamento di una dissociazione impropria e perdente. La vicenda dei Cinque non è solo dei Cinque, è paradigmaticamente di tutti, al cupo imbrunire delle conquiste di civiltà faticate negli ultimi secoli. Ne può diventare l’alba. La dimensione epocale dell’ingiustizia perpetrata ai fini di perpetuare quel paradigma che deve giustificare ogni sorta di aggressione, racchiude in sé le vicende di tutti i sequestrati a fini di menzogna, intimidazione, eliminazione. Cubani, iracheni, palestinesi, honduregni, colombiani, messicani che siano. La fermezza, serenità, il coraggio, la tenerezza che questi cinque uomini, già giovani e provati da ininterrotte nequizie processuali, abusi carcerari, frustrazioni affettive, speranze da rinfocolare eternamente, hanno dimostrato al mondo con i loro scritti, le poesie, le lettere, gli incoraggiamenti, mi permettono di aggiungere al loro nome anche quello di un altro eroe-epitome, un fratello.
Muntazer al Zaidi
il trentenne giornalista iracheno, uno di cinque o sei giornalisti su piazza nel mondo oggi, che, all’atto dell’addio del presidente dal paese e dalla città che aveva massacrato, sulla testa del serial killer fiondò le sue scarpe, accompagnate dal voto dei milioni di vedove e di orfani che aveva prodotto. Lo hanno pestato a morte, lo hanno torturato, è uscito con costole e naso rotti, organi menomati, ma non ha mai scritto la lettera di scuse a Bush che gli sbirri di regime volevano fargli firmare. Lo hanno dovuto rilasciare per la risonanza, coscienza, mobilitazione che la sua espressione fisica di un’esigenza planetaria hanno suscitato. A significare che una certa forza, quando sa di esserlo e si muove, è invincibile. Hai voglia droni, F-16 o blocchi cinquantennali della vita di un popolo.
Forse il momento è buono. Vero che Obama, l’uomo fascinoso del change, del cambio, ha perpetuato per un altro anno l’embargo a Cuba. I fronzoli cosmetici dell’alleggerimento di ostacoli alle visite, rimesse, corrispondenze tra Usa e Cuba, glie l’ha sollecitato, per scopi suoi, l’insostituibile bacino elettorale di spie e provocatori della diaspora cubana (e magari anche per occulti, ma intellegibili, scopi Cia, o dei mercatisti internazionali). Ma aspettative si sono accese, nuovi spazi aperti, il fronte della contestazione al colonialismo yankee si è grandemente allargato. Gli Usa reagiscono alla rinfusa, hanno perso tempo, risorse e occasioni in Iraq, Jugoslavia e Afghanistan. Un colpo alla botte e una al cerchio, a seconda di quale delle mute di sciacalli, dette lobby negli Usa, manovra la mazza. Minacce a Chavez, Morales, Correa, ritiro della base dall’Ecuador e sette nuove basi nella Colombia del compare di narcotraffico e di interventismo Uribe, colpo di Stato contro un germogliante processo di emancipazione sociale e democratica in Honduras, ma ritiro della mano dopo il lancio del golpe di fronte a una compatta rivolta politica latinoamericana e l'imbarazzante presa di distanza del vassallo più importante, l'UE, che sospende la conclusione del Trattato di Associazione UE-Centroamerica; riattivazione della IV Flotta, dormiente dal ’50, per penetrare le acque territoriali e interne (l'Aquifero Guaranì) del Cono Sud, tolleranza verso l’avanzata delle nuove sinistre latinoamericane, con l’arrivo al potere dei guerriglieri Farabundo Martì e Sandinisti, in varia forma e portata, rispettivamente in San Salvador e Nicaragua. L’assordante istanza di giustizia e democrazia che gli arriva dalla fermezza che il “liberale” Manuel Zelaya continua a infliggergli da Managua, sostenuto in Honduras da una mobilitazione di massa indomabile che, incredibilmente, sta raggiungendo il terzo mese di ininterrotta lotta, con un consenso che abbraccia tutto il Sud del mondo.
Washington sa che con la liberazione dei Cinque combattenti contro il terrorismo il re resta nudo. Ma forse sa che è già scoperto fino allo scheletro, per quanto rimpannucciato di “democrazia”. Da sei settimi dell’umanità. Potrebbe ritenere che quel prezzo è forse assorbibile quando nel conto ci metti che qualcuno si rimetterà a pensare a Obama come a quello del yes, we can. La exit strategy sta venendo di moda. Imposta dal lotte invincibili. Imponiamogli quella dei Cinque. Alla fine sarà anche la nostra.

1 commento:

Eliolibre ha detto...

Ieri all'avana 1.150.000 cubani hanno partecipato al Concierto por la Paz sin Fronteras, ballando e cantando sotto il sole cocente per dire no alle guerre ed agli odi generati dall'imperialismo criminale. Anche se il TG1 ha sostenuto che è stata una denuncia contro la dittatura.... Ed hanno il coraggio di chiamarsi giornalisti questi cialtroni venduti ai loro padroni. Che schifo! Davvero non si rendono conto di essere loro sotto dittatura?