A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Perlopiù questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente. Si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al termine della catena sta il lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finchè la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano.
(Primo Levi)
Non c’è sionismo, colonizzazione o Stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre.
(Ariel Sharon, premier israeliano, 1998)
L’unico vero viaggio di esplorazione non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.
(Marcel Proust)
(Primo Levi)
Non c’è sionismo, colonizzazione o Stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre.
(Ariel Sharon, premier israeliano, 1998)
L’unico vero viaggio di esplorazione non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.
(Marcel Proust)
A proposito della citazione da un Primo Levi, che, ironicamente, non sapeva di parlare della comunità a cui apparteneva, anche Gaza, appunto, è un lager, completo di forni crematori piovuti dall’alto e di camere a gas. Non è un “carcere a cielo aperto”, come compassionevoli erroneamente dicono. Nel carcere il prigioniero ha prima avuto un avvocato e un giudice, poi nutrimento e cura, visite dei famigliari e amici, vestiario, acqua, luce, fogne, fino all’ora d’aria. E, alla fine, libertà e autodeterminazione. Il termine “carcere” per Gaza e per il resto della Palestina è inadeguato
Le elezioni generali del 14 febbraio 2009 in Israele hanno completato l’operazione sionista-imperialista “Piombo Fuso” che aveva, tra gli altri obiettivi, quello di fondere un altro bel segmento del popolo palestinese e di con-fondere tutti quelli che nello “Stato degli ebrei” e fuori sollevavano dubbi, pochini, o manifestavano opposizione, ancor meno, circa il nuovo e ancor più drastico genocidio. Forse è l’unico risultato dell’aggressione a Gaza che la destra razzista, guerrafondaia e genocida, tra i tanti ambiti, può vantare, visto che la Resistenza è sempre in vita, che neanche un centimetro quadrato di Gaza City ha potuto essere occupato, che l’immagine dello Stato sionista ha subito a livello internazionale un tracollo tale da rappresentare una svolta. Salvo che nella società israeliana. La mobilitazione etnocida suscitata con la gara a chi, tra i successori di Olmert, era più determinato nella liquidazione, fisica dopo quella politica di Abu Mazen e dell’ANP, dei palestinesi e dei loro combattenti, ha fatto prevalere la destra di Kadima dell’ex-terrorista Mossad, Tzipi Livni, terminator in diretta, e l’estrema destra del Likud di Benjamin Netaniahu, terminator in differita, con sulla spalla l’avvoltoio da caccia Yisrael Beitenu, il partito trionfatore del conclamato nazista Avigdor Lieberman (“Buttiamo L’atomica su Gaza”, “Giuramento di fedeltà allo Stato ebraico dei palestinesi cittadini, sennò fuori dalle palle”). Il nuovo governo non durerà. La voracità e corruttela di tutti i protagonisti, epitomizzata dal malavitoso Olmert, rappresenta un’equazione in cui lo spostamento dei fattori non cambia il risultato E’ solo questione di più o meno cerone. Dai tagliagole di Lieberman alla pallidissima “sinistra di “Eretz”, stroncata da un elettorato con il pugnale fra i denti, non c’è divergenza strategica e c’è pochissima discrepanza tattica. C’è chi ha seguito le guerre al Libano e l’assalto a Gaza con serie di orgasmi, chi con calorosi battimani, chi voltandosi dall’altra parte.
Recitano tutti più parti in una commedia che ha un unico esito: i palestinesi non sono mai esistiti, non esistono, non devono esistere. C’è la candida star del “dialogo”, il furbacchione dei due Stati, il castigamatti dell’espulsione e soluzione finale. Il voto degli israeliani, riscaldato dalle fiamme di Gaza, ha prediletto quest’ultimo ruolo. Finchè c’è qualcuno di autoctono su questa terra e la rivendica, la spada di Damocle della fama di usurpatore continuerà a pendere su Israele. Finora l’hanno trattenuta e occultata l’industria della Shoa, il giochino fregoliano del carnefice che si traveste da vittima, lo psicoterrorismo dell’ ”antisemitismo”, la terroristizzazione dei palestinesi e degli islamici, l’aiuto incondizionato degli Usa, trainati più che cocchieri, la complicità del’UE e dei suoi componenti, la comunità ebraica mondiale, le ramanzine all’acqua di rose e comunque equidistanti di alcune sinistre, il profondissimo “rispetto” che si porta a uno Stato che possiede 400 atomiche e minaccia di utilizzarle. Ma a Gaza la storia è caduta da cavallo.Teorizzare soluzioni di continuità tra Bush e Obama, o, meglio, in tutta la trisecolare storia imperialista e genocida Usa, e tra Begin, Rabin, Olmert, Livni e Netaniahu, o nell’ultrasecolare storia della colonizzazione ebraica, è autodecebrazione e autolesionismo. Vuol dire non vedere l’imperialismo mentre ti colpisce come un maglio, aver perso ogni percezione della lotta tra le classi e degli interessi che la muovono.
Lieberman, di cui nessun collega nella Knesset o nelle coalizione di governo, oserebbe dire che è mandante di crimini, è con i suoi 15 seggi l’ago della bilancia degli equilibri politici israeliani. Sia che funzioni come kapò in prima persona, che come colui grazie al quale si possono far passare nefendezze antipalestinesi di altri con l’avvertimento “altrimenti arriva Lieberman” (ricordate: “altrimenti arriva Berlusconi” ?), lo psicopatico nucleare è perfettamente in linea con oltre cent’anni di storia sionista. Una continuità consacrata ancora una volta da quelle elezioni. Diceva Herzl, fondatore del sionismo, nel 1895 : “Dovremmo provare a far sparire la miserabile popolazione araba oltre i confini, magari trovandogli lavoro nei paesi vicini, ma negandogli ogni attività nel nostro paese. Sia il processo di espropriazione che la rimozione di questi miserabili devono essere realizzati in modo discreto e circospetto”. Oggi, con alle spalle la potenza Usa, la collusione europea, l’ignavia delle sinistre e 400 atomiche, Israele si è potutao disfare sia dell’incombenza di trovare lavoro a chicchessia, sia degli aggettivi “discreto” e “circospetto”. Oggi ha pensato di poter non guardare in faccia a nessuno e generare dalla sua esperienza nuovi olocausti a muso duro. Dice Israele per bocca di Lieberman: ”Devono scomparire, andarsene in paradiso, tutti quanti, e non ci può essere alcun compromesso ”. E’ la stessa voce che raccomandò a Israele di “fare ai palestinesi la stessa cosa che gli Stati Uniti fecero a giapponesi a Hiroshima e Nagasaki”. In sintonia con il processo in corso da un secolo, questo emigrato dalla Russia, decide la sorte dei palestinesi chiunque sia primo ministro nella giunta militare di Tel Aviv. E’ l’ormai conclamata e aggressiva esibizione di un obiettivo finale sino a qualche tempo fa sottoposto a correzioni cosmetiche come i negoziati di Oslo, Annapolis, Taba, o Camp David, la bufala dei due Stati per due popoli già ampiamente logorata da mezzo milione di coloni in espansione accelerata e dallo sminuzzamento delle comunità palestinesi in tronchetti separati e privi di qualsiasi agibilità. E’ l’escalation della persecuzione ed esclusione dei palestinesi cittadini israeliani, 1,2 milioni, un quinto degli abitanti dello Stato sionista, ai quali si impone l’obbligo di un giuramento di fedeltà allo Stato che li esclude e che devono subire monoetnico, teocratico, ebraico. Sennò raus! Era ben più flebile misura la richiesta del giuramento di fedeltà al fascismo fatta all’intellettualità italiana, o l’assunzione nell’amministrazione pubblica riservata ai tesserati al PNF.
Che questa masnada di invasati con la motosega raggiunga i suoi obiettivi sta in grembo a Giove.
Mentre la società israeliana va conoscendo una crisi sociale ed economica pari a quella sofferta all’apice della seconda intifada, nel 2002, con tutte le voci sociali in involuzione drammatica, la povertà oltre la soglia del quarto della popolazione, crisi in buona parte determinata dalle demenziali spese militari, dalle guerre continue, ma anche da una classe dirigente cleptocrate (vedi gli affari da furbetti del quartierino di Sharon, Olmert e dello stesso Lieberman accusato di riciclaggio), mentre senza il soccorso degli Usa il paese sarebbe immediatamente alla bancarotta, nessuno dei risultati sperati da Gaza è stato raggiunto. Se questo significa vittoria per Hamas e gli altri combattenti palestinesi, dal FPLP ai Comitati Popolari, alla Jihad e ai non rinnegati di Fatah, lo lascio decidere a qualche leguleio. Se Golia non è riuscito a schiacciare Davide, come voleva e come si era accuratamente preparato da tempo, già solo il fatto che Davide sia scampato lo fa vincitore della contesa. A Gaza, come nel Libano del 2000, prima cacciata degli occupanti israeliani, e del 2006, seconda cacciata. chi ha fallito è Israele. Mica gli Hezbollah volevano invadere Israele. Mica i palestinesi vogliono uccidere Golia. Si accontentano di non farsene togliere di mezzo. Chi ha vinto?
Hamas doveva essere annichilito, o spazzato via dalla sollevazione popolare. Hamas ha resistito, tra le macerie delle sue infrastrutture amministrative, come ha resistito a vent’anni di guerra a bassa intensità. E Hamas, ammettono tutti e confermano i sondaggi, è oggi più popolare e politicamente forte che mai, sia nella martoriata Gaza, che in Cisgiordania sotto le milizie di Abu Mazen, ascari di USraele. Conta relativamente che si tratti di organizzazione religiosa. Conta che è la forza patriottica. In quel “governo di unità nazionale”, che è la soluzione “B” di Israele se non riuscisse a eliminare Hamas e che avrebbe dovuto vedere il ritorno a Gaza dei golpisti di Abu Mazen e Mohammed Dahlan, con un Hamas indebolito in posizione marginale, sarebbe ora Hamas ad avere un peso preponderante. Mahmud Abbas, che si ostina a fare il presidente palestinese in spregio alla fine del mandato il 9 gennaio 2009, non rappresenta più nessuno, se non la minuta cricca di complici del tradimento e di funzionari e pretoriani stipendiati. Ce ne vorrà, per Israele e la “comunità internazionale”, a ricostruirlo come fantoccio credibile. L’estremizzazione del suo servilismo verso il massacratore del proprio popolo, concretizzata nell’asserzione che “la colpa della tragedia di Gaza era di Hamas e dei suoi razzi”, lo ha screditato per sempre di fronte a palestinesi e arabi, salvo quelli insieme a lui appesi alla greppia colonialista. Se Mubaraq, Israele, la “comunità internazionale” si ostineranno a tenerlo in piedi, terranno in piedi un corpo ad alimentazione e idratazione forzata. I fili dai quali pende questo burattino sono diventati visibili come cime di transatlantico. Non li potranno oscurare neanche quelle forze internazionali, Nato, Ue o altro (con gli italiani ascari di prima linea), avventandosi sulle acque e ai valichi di Gaza, magari anche dentro, per ingraziarsi un Israele e un’ebraicità dalle potenti dimensioni planetarie, rigonfiando il chewing gum Abu Mazen e mettendo su Gaza le mani e sui palestinesi quelle manette che a Tsahal non sono riuscite. Per misurare la portata della sua “vittoria”, a Israele non rimane che fare il calcolo dei palestinesi ammazzati, delle distruzioni, dei mutilati, dei senzatetto, della prole incenerita, delle sofferenze inflitte agli “scarafaggi impazziti” e del genocidio al rallentatore assicurato da uranio e fosforo, fame, sete, malattia. Di fronte alla constatazione che questa illimitata ferocia, questa violazione di ogni più vago senso di umanità, non ha minimamente smosso la popolazione colpita dal suo impegno di resistenza e di liberazione, Israele è disarmato. Si sente disarmato. Sente che questi palestinesi, i quali sanno morire mentre gli israeliani no, sono incomprensibili, inafferrabili, invincibili. Il trionfo decretato agli assassini di massa nelle elezioni parrebbe un segno della disperazione. Per quella parte di Israele, per i rinnegati dell’ANP e per i gentiluomini della sinistra mondiale che si rassegnavano alla soluzione dei due stati per due popoli, la sconfitta è particolarmente irrimediabile. Gaza quella soluzione l’ha disintegrata. D’ora in poi lo Stato Unico, binazionale, democratico, pluralista, opzione araba e palestinese storica come dettavano giustizia e realismo, quello Stato che gela il sangue agli attuali propugnatori di Eretz Israel, torna all’ordine del giorno. Già ridotto ad armamentario da soffitta per pochi illusi, cresce nella consapevolezza della parte migliore, minuta ma dinamica della società israeliana, s’imporrà come necessità storica a quella più reazionaria e sciovinista, è opzione favorita da un settore crescente dell’opinione internazionale. Per quanto possano opporsi ancora per lungo tempo le resistenze psicologiche, culturali, di una disonestà intellettuale nemmeno percepita come tale, questo dato di fatto, l’unico realistico, ha la forza della giustizia, della verità e, dunque, della storia vecchia caduta da cavallo e indirizzata su un’altra strada. Come con Paolo di Tarso, ma molto meglio illuminata di lui.
Dopo Gaza, con le infinite e oceaniche manifestazioni di massa contro l’eccidio e i tiranni arabi collusi, seppure duramente represse da regimi pencolanti, gli equilibri di forza nel mondo arabo si sono modificati. Il mare, appena increspato in superficie, è agitato nel profondo. E’ inesorabile, per quanto non immediata, l’apertura dell’atto finale di questi regimi, minati fino al midollo da abissi di classe e povertà smisurata, servilismo di casta, corruzione, rigor mortis civile, arbitrio e ferocia repressiva. Farà la sua parte anche la crisi capitalista che imporrà drastici tagli alle sovvenzioni in moneta e in armi con cui l’imperialismo ha finora puntellato economie zombie. E una parte la farebbe anche Israele se, al di là delle esitazioni della cricca Obama cui i persiani servono da complici nel disfacimento dell’Iraq, dell’Afghanistan, domani forse del Pakistan, i suoi avventuristi più deliranti andassero all’attacco dell’Iran. Interessante sarebbe vedere che cosa quella miccia innescherebbe nel mondo musulmano e nel Sud tout court. Come se la caverebbero intorno al Golfo gli Usa, sia per l’obbedienza dei regimi fantoccio messi in piedi, condizionati e protetti dall’Iran, sia per le rotte del petrolio? Il momento in cui Obama farà andare le automobili e le fabbriche a pannelli solari è ancora lontano ed è credibile solo per i mitomani convinti della “diversità” di questa maschera nera sul cannibale bianco.
Coloro, i più, che insistono a non voler vedere la Palestina e la sua lotta di liberazione, che è di classe, oltrechè nazionale e geopolitica, nel contesto dell’intera nazione araba, fanno torto alla coscienza, alle aspirazioni e al destino di quei popoli. Isolare la Palestina, pur mettendola su un piedistallo, sarà romantico, ma non è di sostegno né ai palestinesi, né alle masse che ovunque stanno schierate con i palestinesi e per una liberazione di tutta la comunità araba. Come si fa a non ricordare l’unità storica di queste genti, sia sotto gli ottomani, sia sotto il colonialismo, sia nella guerra di liberazione, vittoriosa quando unita ha perseguito il progetto delle decolonizzazione. Un’unità di destino che richiama quella bolivariana dell’America Latina. La massa critica per la liberazione del pezzo di mondo tra Oceano Atlantico e Golfo arabo-persico sta nell’unità dei popoli, di classe e antimperialista. Non confiniamo i palestinesi in un particolare che, più che caro, ci è comodo. Non escludiamo, per esempio, gli iracheni che subiscono da sei anni una Gaza alla settimana e non sono domati. L’esempio di queste due resistenze è diventato un sistema arterioso di coscienza e passione in tutto il mondo arabo e ben oltre.
La prospettiva di quel “Nuovo Medio Oriente”, propalato da Condoleezza Rice, con un processo di frantumazione delle comunità nazionali ed entità statali lungo linee etnico-confessionali, per una definitiva presa di controllo e per l’ampio spopolamento (assedi, embarghi, malattie, inedia) della più significativa regione geopolitica ed economica del pianeta, è in frantumi. Regimi arabi, come il Qatar e la Mauritania, arrivano alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele, despoti tra i più trucidi, collusi e dipendenti, come Mubaraq e il saudita Abdallah, sono costretti dalla furia popolare ad adottare penosissime misure antisraeliane, come le inchieste e denunce giudiziarie per i crimini israeliani di guerra e contro l’umanità. Il vasto Sudan sta in piedi e accanto alle resistenza, a dispetto delle diffamazioni islamofobiche e dei complotti secessionisti messi in opera, dal Sud al Darfur, dai revanscisti del colonialismo. Dice il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), da sempre sulla linea della connessione strategica, che la questione palestinese è solo l’anello più incandescente della catena che unisce gli arabi e, oltre gli arabi, gli oppressi e repressi del mondo. La catena va agitata da tutti i lati.
Vediamo come si è mossa nel resto del mondo, perché è anche lì che la storia è caduta da cavallo ed è da lì che va gettato lo sguardo sul futuro. La campagna israeliana contro Gaza (che occultava quella simultanea e perenne in Cisgiordania a base di assassinii, espropri, espulsioni, arresti indiscriminati, nuovi insediamenti), doveva essere accompagnata e seguita da un uragano di propaganda dei consueti corifei, quelli scoperti alla Ferrara e quelli coperti alla Ovadia, incaricati di bilanciare i grovigli di bimbetti uccisi a Gaza, passati per le crepe dell’informazione amica, con il rumore assordante del vittimismo ebraico. Fenomenale, a questo proposito, la schizofrenia di ebrei “illuminati” alla Gad Lerner che dedicano trasmissioni intere alla riprovazione del razzismo, delle leggi razziali di Mussolini e di Maroni, e non si avvedono del parallelismo con il razzismo ontologico della loro casa madre. Si doveva dar fiato alla neolingua dell’imperialismo nella quale l’uccisione di migliaia di civili si chiama “autodifesa”, la resistenza è “terrorismo”, i razzi fatti in casa di Hamas sono “armi di distruzione di massa”, le donne e i bambini uccisi nelle incursioni o sono “reclute di Hamas”, o da Hamas sono utilizzati come “scudi umani” (l’unica documentazione di scudo umano sono ragazzi palestinesi legati ai blindati israeliani) e il blocco economico, gli assassinii mirati, gli attacchi ai pescherecci, i 700 posti di blocco, non possono che essere mirati a convincere i palestinesi dei vantaggi della pace sotto la tutela dell’ “unica democrazia del Medio Oriente”. E’ una neolingua usata da tutti i media e che è andata alla grande a Davos, al consesso della criminalità organizzata capitalista, ed è del resto ripresa con particolare entusiasmo dal partito bifronte che monopolizza la rappresentanza politica in Italia, con strascichi fin negli improvvisamente moltiplicati paginoni “della memoria” nella stampa di sinistra.
Ha sempre funzionato, almeno fin da quando Arafat, il cui curriculum diplomatico pre-guerra infinita dei Bush aveva conservato ai diritti palestinesi un briciolo di considerazione, fu avvelenato e Fatah criminalizzata e bastonata come ora Hamas. Al punto che la cosiddetta società civile aveva finito col distinguere tra giusto e torto, pur quando gli si imprimevano sugli occhi. La truffa dell’11 settembre, poi, aveva messa buona parte del mondo in pesante disagio di fronte all’Islam. Si pensi all’indecenza fascistoide di bandire la preghiera degli immigrati davanti alle nostre chiese. Ci hanno nascosto un film dell’orrore che neanche Kronenberg, raccontandoci che Gaza non sarebbe stata rasa al suolo non fosse stato per quei razzi, anzi “missili”, Kassam (ottomila in otto anni, pari a mezz’ora di bombardamenti su Gaza, nessuno nelle settimane della tregua); che non fosse per il muro che riduce al 12% la Palestina dei palestinesi, ci sarebbero ancora donne e bambini che saltano per aria negli autobus o nei caffè: che se non avessero distrutto i tunnel tra Egitto e Gaza, Hamas avrebbe avuto i mezzi per “distruggere Israele” (se per quelle vene giugulari fossero passati missili e cannoni, e non cibo, maglioni e mattoni, com’è che i guerriglieri continuano a immolarsi da decenni con i soli mitra e qualche bazooka?). E’ un perfetto rovesciamento di causa ed effetto, dimenticando che la storia non iniziò con attentatori suicidi, ma con il furto della Palestina e che, se non ci fosse occupazione, non ci sarebbe decimazione e oppressione di un popolo e, dunque, niente resistenza.
Ma la Storia, a Gaza, è caduta da cavallo. Quattro quinti degli 8 miliardi di abitanti del mondo hanno visto che quella letale potenza d’attacco era stata concepita al momento del ritiro dei coloni da Gaza e preparata sei mesi prima, hanno saputo che la tregua, mille volte proposta da Hamas, anche per durate pluridecennali, è stata violata prima e riviolata dopo da Israele. Hanno collegato i colpi di mano del 1948 (quello che a ferro e fuoco allargò la parte israeliana della spartizione ONU), all’aggressione tripartita all’Egitto nel 1956, all’attacco a freddo del 1967 per prendersi anche la Cisgiordania, il Golan e Gaza, alle invasioni gratuite del Libano e alla rioccupazione della Cisgiordania nel 2004. I bambini frantumati a Gaza, bianchissimi nei loro sudari-fagotto, hanno richiamato le immagini dei bambini bruciati nei loro villaggi all’epoca della spartizione e di quelli cui l’Israele di Rabin spezzava le ossa nella prima Intifada e l’Israele di Sharon fucilava nella seconda. Si è dipanato un filo rosso che nella parte migliore del mondo ha saputo infilzare di netto l’occhio del ciclone della neolingua. Come era successo alla fine dell’era Bush, quando lo psicolabile omaggiato dai colonizzati europei, fu perfino da costoro, come già da tempo dal resto del mondo, sbeffeggiato per l’inettitudine economica e rinnegato per le prevaricazioni belliche. Per la prima volta governi di grandi paesi, come il Venezuela e la Bolivia, ma anche di paesi arabi reazionari e filoamericani come il Qatar e la Mauritania, hanno rotto le relazioni diplomatiche con Israele. Il Dubai, che relazioni non ne ha, ha sbertucciato il potente dominus del Medioriente negando l’ingresso a una tennista israeliana. Nel parlamento del protettorato Usa Kuwait si sono espressi anatemi contro Israele. Merito anche di quella fonte alternativa di informazione che è l’emittente Al Jazeera, appunto del Qatar, a dimostrazione della potenza di una televisione libera, professionale e onesta.
Delle manifestazioni quasi insurrezionali delle masse in tutti i paesi arabi e musulmani abbiamo detto. Anche senza una continuità in superficie, avverte i satrapi al potere dell’inarrestabile crescita della coscienza collettiva, guidata da una porzione crescente dell’intellighenzia, sollecitata dall’Afghanistan e dall’Iraq e ormai lucidissima dopo Gaza. Un colpo terribile alla posizione geostrategica di Israele lo ha portato la Turchia, alleato fondamentale e potente nell’area, quando il premier Ordagan ha stigmatizzato l’olocausto di Gaza e, nell’empireo capitalista di Davos, ha dato sulla voce al presidente israeliano Simon Peres, vecchio strumento del genocidio, Premio Nobel per la pace: “Ecco l’infanticida. Non me la sento di stare in un posto dove c’è un fottuto terrorista sionista” e lo ha piantato stravolto davanti a una platea attonita di gazzettari di casta. L’idea di attraversare lo spazio aereo turco per fare sfracelli in Iran è così svaporata. Infine, a Israele si è sciolto tra le mani il proconsole palestinese, un governo, quello di Abu Mazen, che ormai sta in piedi unicamente perché sorretto dagli affusti forniti dagli Usa. Per quanti sforzi possano fare per rimpannucciare l’ANP, tutti sanno che il rappresentante del popolo palestinese oggi è Hamas, più le sinistre del FPLP e DFLP e i non rinnegati di Fatah con Marwan Barghuti alla testa.
I tiepidi e repressi dubbi che perfino le classi dirigenti occidentali, più spiccatamente il Vaticano, concorrente dell’ebraismo in beni e proselitismo, hanno incominciato a nutrire, sono stati sospinti dalla sollevazione di interi settori e categorie di popolazione che, rincuorati dal crescente dinamismo delle forze di solidarietà con i palestinesi e con i popoli oppressi in generale, hanno assunto posizioni di condanna e di opposizione. Si moltiplicano università e ambiente accademici che proclamano il boicottaggio degli equivalenti israeliani, studenti in Gran Bretagna, Grecia e Francia occupano atenei, fiere vengono precluse a operatori israeliani (a dispetto del “manifesto” che deprecava il boicottaggio della Fiera del Libro a Torino e a Parigi), si moltiplicano i seminari sulla realtà mediorientale, aziende si ritirano dalla collaborazione, agenzie Onu, Croce Rossa, i cui aiuti agli affamati di Gaza vennero incenerite dagli F16, organizzazioni umanitarie, corpi giuridici, trovano spazio nella pubblicistica con le loro denunce dettagliate delle atrocità israeliane, tutti indifferenti al sempre più logoro stereotipo e falso tabù dell’ “antisemitismo”. I greci, sudditi Nato, imitati dai portuali sudafricani, hanno impedito che spedizioni Usa di armi per l’assassinio di massa di Gaza passassero dal porto di Astakos (poi transitate per i compiacenti porti della colonia Italia). In molti paesi sono state comprate impensabili pagine intere dei giornali per denunciare dettagliatamente i crimini israeliani. Perfino il maggiordomo Usa all’ONU, Ban Ki Moon, ha detto tra i frantumi di Gaza: “Mi si è spezzato il cuore”. Lo spietato, criminale uso di armi illegali e mirate alla gente, ha aperto molti più occhi di quanti ne abbia chiuso a Gaza. Ha fatto pensare: “ma questi allora sono anche pronti a buttare l’atomica (che secondo un consigliere alla Difesa israeliano “può raggiungere tutte le grandi città europee”.
Un sondaggio globale della BBC ha trovato che Israele è considerata uno dei due paesi che esercitano la peggiore influenza sul mondo. Tutt’a un tratto ci si è ricordati che Israele è lo Stato, peggio del Sudafrica dell’apartheid, che non adempie a nessuna delle leggi internazionali e nemmeno alle risoluzioni dell’ONU e dei tribunali internazionali e che è l’unico al mondo, con gli Usa, ad aver legalizzato la tortura con tanto di impunità per tutto questo. Quella che si definisce la “comunità internazionale” e che non è che un circolo di mercanti, banchieri, guerrafondai, mafiosi tutti, appare sempre più come “un nome d’arte che gli Usa si mettono quando fanno teatro ” (Eduardo Galeano). Le si para davanti, secondo quanto prevede Naomi Klein, un nuovo movimento globale come quello che pose fine all’apartheid. Un movimento che, insieme al presidente dell’Assemblea dell’ONU e a paesi progressisti propugna sanzioni, boicottaggio, disinvestimento e isolamento dello Stato sionista e di chi lo frequenta e vi si associa. Un movimento che si mobilita contro gli accordi economici e militari tra UE e Israele in continua espansione.
Quando mai prima s’era visto tutto questo, quando ogni pulizia etnica, occupazione, massacro, distruzione, devastazione, soperchieria, barbarie, veniva definita moralmente giusta e di “autodifesa dai terroristi” ? Si sorvola con sempre più disinvoltura sul fatto che Unione Europea, Canada e gli Usa elencano quasi tutti i movimenti di liberazione nazionale nella categoria delle “organizzazioni terroristiche”, puntando a criminalizzare ogni forma di resistenza e a intimidire e poi neutralizzare i governi, le forze e comunità che sostengono i palestinesi e i i popoli in lotta. Particolarmente efficace la voce degli ebrei dissidenti, antisionisti, antioccupazione, capeggiati da nomi prestigiosi come Pappe, Chomsky, Warshawsky che, meno in Israele nonostante il grande coraggio dei refusenik, ma in grande crescita e vigore nel mondo occidentale, assumono posizioni non più meramente difensive e riduttrici, ma di aperta dissociazione, condanna e, sempre più, di appoggio all’inevitabile Stato unico. Una rottura nella solidarietà, fin qui quasi incondizionata, della diaspora che apre spazi sottratti alla già invincibile lobby ebraica. Il rapporto di forze, al di là dei tank e dei continui attacchi israeliani, sta lentamente mutando a favore dei palestinesi. E questo fa dei palestinesi e di tutti i combattenti antimperialisti l’avanguardia de deboli e oppressi.
Un’ attenzione a parte meritano le procedure giudiziarie avviate e in fieri che hanno per capo d’accusa i crimini contro l’umanità e di guerra commessi da Israele a Gaza. L’imputazione condivisa da magistrati e tribunali è quella sintetizzata in un’agghiacciante documento pubblicato su The Lancet, la più prestigiosa rivista medica del mondo. Parte dai 1.350 direttamente uccisi a Gaza, con tanti altri a venire per contaminazioni o mutilazioni, di cui il 60% bambini, dai quasi 6.000 gravemente feriti, di cui il 40% bambini, contro zero vittime di razzi Kassam nell’anno prima e 28 negli otto anni precedenti. Nel Sudafrica dell’apartheid l’atrocità maggiore fu l’eccidio di Sharpeville nel 1960 in cui la polizia sudafricana uccise 69 manifestanti neri. Alle vittime dell’aggressione il giornale aggiunge dati derivanti dall’occupazione e dall’assedio economico e sanitario. A queste cause va attribuita la morte annuale di 3000 bambini sotto i 5 anni per un totale di 4.286 morti palestinesi evitabili all’anno, 35.360 dal settembre 2000 in aggiunta ai 6.200 direttamente assassinati dalle forze israeliane. The Lancet guarda oltre. Tra il 1967 e il 2009 sono morti per cause legate all’occupazione 300mila palestinesi, mentre i morti ammazzati sono stati circa 10mila. Alle spalle di costoro ci sono i 35mila prigionieri di guerra arabi del 1967 giustiziati da Israele, a fianco gli 11mila palestinesi detenuti senza giusta causa e sottoposti a tortura. E mettendo in campo questa ininterrotta pulizia etnica, questa pervicace violazione di ogni diritto, queste punizioni collettive culminate con la carneficina di Gaza, che molti attori del sistema giuridico mondiale hanno giudicato Israele uno Stato fuorilegge, da espellere dall’ONU, e i suoi delitti meritevoli di un tribunale come quello di Norimberga contro i gerarchi nazisti. Procuratori in molti paesi che posseggono giurisdizione sui crimini contro l’umanità compiuti ovunque, come Spagna, Belgio, Inghilterra, Turchia, hanno avviato indagini e imputazioni. Lo ha fatto perfino il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja aprendo un fascicolo su crimini israeliani denunciati da centinaia di proponenti. Girano in rete elenchi di facce e biografie dei maggiori responsabili politici e militari israeliani da sottoporre a giudizio. Tanto preoccupa la cose i governanti sionisti da averli mossi a mettere in atto un apparato difensivo per i loro militari, a sconsigliarli dall’ avventurarsi in paesi con quella giurisdizione universale, a occultarne tardivamente l’identità, fino a farli apparire con le facce oscurate in televisione. Diversi alti ufficiali hanno dovuto cancellare le loro visite a paesi europei perché già indagati. E a rischio d’arresto. L’impunità incrinata è la ferita più grave inflitta da Gaza, con il suo sacrificio, a Israele.
Sono cose che un mese prima di Gaza sarebbero parse inconcepibili quanto l’assalto dei giacobini a chiese e monasteri. Fu una delle volte che la Storia cadde da cavallo e prese un’altra strada.
Forse il nuovo quadro geopolitico, culturale, strategico si vede meglio qui che da Gaza. Dove la protervia israeliana continua a pensare di potersi permettere di tutto. Chi vuol perdere, iddio lo acceca. Qui ci si misura con un assedio che non cessa, con il continuo rischio di incentivare l’ossessione omicida dei generali israeliani, con centinaia di corpi che si sbriciolano per effetto del fosforo, dell’uranio, delle bombe Dime che ti lasciano intatto fuori, sventrato dentro e incurabile, con grandi famiglie ridotte a un paio di sopravvissuti, con madri senza figli, con figli senza padri, con tende e anfratti ricavati tra le macerie, con gli ospedali che non funzionano più, con malattie che a Gaza non si possono curare, ma che si è impediti dal trattare fuori da Gaza. In questo Auschwitz levantino ti si nega ogni mattone che costruisce l’edificio vita. Ma a Gaza si sa anche che Israele ha fallito, sia nel rovesciare l’arcinemico, sia nel convincere la popolazione alla resa. E si percepisce anche che l’offensiva, per come ha indebolito i collaborazionisti dell’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, ha rinsaldato l’unità dei palestinesi nei territori occupati e in Israele e anche quella con le grandi masse arabe e del Sud del mondo. La regione è in ebollizione è non tornerà facilmente al prima di Gaza.
Il bicchiere può sempre essere visto anche mezzo vuoto. La potenza militare di Israele resta integra e rifornita all’infinito dagli Usa del nuovo garante Obama. Altre incursioni e stragi si abbatteranno su Gaza. La metastasi colonialista si allarga incessantemente in Cisgiordania. La Nato, reinventata con D’Alema come strumento di rapina e sottomissione della “comunità internazionale”, si fa tutrice degli interessi USraeliani anche a ridosso di Gaza ed è pronta ad affiancare altre guerre di conquista imperialiste, in Asia, in Medio Oriente, in Africa. L’Italia, meretrice senza inibizioni e senza limiti opposti dalle sinistre, con nuovi comandi e forze di proiezione continentale per l’Africa, il Medio Oriente e l’Est stabiliti nelle nostre città e nei nostri porti, si fa catapulta di guerre verso popoli che, da amici, potrebbero salvarci la pelle e la civiltà. Se ne fanno garanti quelli che pretendono di essere un governo dello Stato, come quelli che se ne pretendono l’opposizione. E’ in vista uno sconquasso che costerà ancora molto all’umanità nelle spire della piovra morente. Ma è dal letame che nascono i fiori, come diceva De Andrè, e negli sconquassi si aprono i varchi verso il cielo.
Non sarà più facile credere che Israele, questo Israele, potrà integrarsi in un mondo arabo che è fatto da oltre 300 milioni di persone e di poche centinaia di notabili. Eppure in quel mondo integrarsi dovrà. Si potranno contare sulle punta delle dita i cittadini arabi che si aspettano dagli Usa democrazia e benessere. E questo gli costa il cambio del paradigma e del metodo. Sicuramente noi potremmo agevolare quel cambio: boicottaggio (il codice a barre 729, segno di prodotto israeliano), disinvestimento, sanzioni, procedimenti penali e tantissima informazione. E prima ancora il rifiuto della neolingua dell’imperialismo, a partire dalla criminalizzazione degli agnelli sacrificali con il teorema del terrorismo. Se anche da noi si capirà, come lo si è capito nel mondo non lobotomizzato, cosa è successo l’11 settembre a New York e a Washington, chi davvero è terrorista, sarà molto dura per Israele e per il suo padrino nordamericano accreditarsi ancora come fronte della civiltà contro il terrorismo. E la nuova generazione partorita dalla Storia caduta da cavallo avrà davanti a sé una strada più libera. Nessuno potrà più chiamare “terrorista” il combattente per la libertà, sua e dell’uomo. Di resistenza si vince.
Le elezioni generali del 14 febbraio 2009 in Israele hanno completato l’operazione sionista-imperialista “Piombo Fuso” che aveva, tra gli altri obiettivi, quello di fondere un altro bel segmento del popolo palestinese e di con-fondere tutti quelli che nello “Stato degli ebrei” e fuori sollevavano dubbi, pochini, o manifestavano opposizione, ancor meno, circa il nuovo e ancor più drastico genocidio. Forse è l’unico risultato dell’aggressione a Gaza che la destra razzista, guerrafondaia e genocida, tra i tanti ambiti, può vantare, visto che la Resistenza è sempre in vita, che neanche un centimetro quadrato di Gaza City ha potuto essere occupato, che l’immagine dello Stato sionista ha subito a livello internazionale un tracollo tale da rappresentare una svolta. Salvo che nella società israeliana. La mobilitazione etnocida suscitata con la gara a chi, tra i successori di Olmert, era più determinato nella liquidazione, fisica dopo quella politica di Abu Mazen e dell’ANP, dei palestinesi e dei loro combattenti, ha fatto prevalere la destra di Kadima dell’ex-terrorista Mossad, Tzipi Livni, terminator in diretta, e l’estrema destra del Likud di Benjamin Netaniahu, terminator in differita, con sulla spalla l’avvoltoio da caccia Yisrael Beitenu, il partito trionfatore del conclamato nazista Avigdor Lieberman (“Buttiamo L’atomica su Gaza”, “Giuramento di fedeltà allo Stato ebraico dei palestinesi cittadini, sennò fuori dalle palle”). Il nuovo governo non durerà. La voracità e corruttela di tutti i protagonisti, epitomizzata dal malavitoso Olmert, rappresenta un’equazione in cui lo spostamento dei fattori non cambia il risultato E’ solo questione di più o meno cerone. Dai tagliagole di Lieberman alla pallidissima “sinistra di “Eretz”, stroncata da un elettorato con il pugnale fra i denti, non c’è divergenza strategica e c’è pochissima discrepanza tattica. C’è chi ha seguito le guerre al Libano e l’assalto a Gaza con serie di orgasmi, chi con calorosi battimani, chi voltandosi dall’altra parte.
Recitano tutti più parti in una commedia che ha un unico esito: i palestinesi non sono mai esistiti, non esistono, non devono esistere. C’è la candida star del “dialogo”, il furbacchione dei due Stati, il castigamatti dell’espulsione e soluzione finale. Il voto degli israeliani, riscaldato dalle fiamme di Gaza, ha prediletto quest’ultimo ruolo. Finchè c’è qualcuno di autoctono su questa terra e la rivendica, la spada di Damocle della fama di usurpatore continuerà a pendere su Israele. Finora l’hanno trattenuta e occultata l’industria della Shoa, il giochino fregoliano del carnefice che si traveste da vittima, lo psicoterrorismo dell’ ”antisemitismo”, la terroristizzazione dei palestinesi e degli islamici, l’aiuto incondizionato degli Usa, trainati più che cocchieri, la complicità del’UE e dei suoi componenti, la comunità ebraica mondiale, le ramanzine all’acqua di rose e comunque equidistanti di alcune sinistre, il profondissimo “rispetto” che si porta a uno Stato che possiede 400 atomiche e minaccia di utilizzarle. Ma a Gaza la storia è caduta da cavallo.Teorizzare soluzioni di continuità tra Bush e Obama, o, meglio, in tutta la trisecolare storia imperialista e genocida Usa, e tra Begin, Rabin, Olmert, Livni e Netaniahu, o nell’ultrasecolare storia della colonizzazione ebraica, è autodecebrazione e autolesionismo. Vuol dire non vedere l’imperialismo mentre ti colpisce come un maglio, aver perso ogni percezione della lotta tra le classi e degli interessi che la muovono.
Lieberman, di cui nessun collega nella Knesset o nelle coalizione di governo, oserebbe dire che è mandante di crimini, è con i suoi 15 seggi l’ago della bilancia degli equilibri politici israeliani. Sia che funzioni come kapò in prima persona, che come colui grazie al quale si possono far passare nefendezze antipalestinesi di altri con l’avvertimento “altrimenti arriva Lieberman” (ricordate: “altrimenti arriva Berlusconi” ?), lo psicopatico nucleare è perfettamente in linea con oltre cent’anni di storia sionista. Una continuità consacrata ancora una volta da quelle elezioni. Diceva Herzl, fondatore del sionismo, nel 1895 : “Dovremmo provare a far sparire la miserabile popolazione araba oltre i confini, magari trovandogli lavoro nei paesi vicini, ma negandogli ogni attività nel nostro paese. Sia il processo di espropriazione che la rimozione di questi miserabili devono essere realizzati in modo discreto e circospetto”. Oggi, con alle spalle la potenza Usa, la collusione europea, l’ignavia delle sinistre e 400 atomiche, Israele si è potutao disfare sia dell’incombenza di trovare lavoro a chicchessia, sia degli aggettivi “discreto” e “circospetto”. Oggi ha pensato di poter non guardare in faccia a nessuno e generare dalla sua esperienza nuovi olocausti a muso duro. Dice Israele per bocca di Lieberman: ”Devono scomparire, andarsene in paradiso, tutti quanti, e non ci può essere alcun compromesso ”. E’ la stessa voce che raccomandò a Israele di “fare ai palestinesi la stessa cosa che gli Stati Uniti fecero a giapponesi a Hiroshima e Nagasaki”. In sintonia con il processo in corso da un secolo, questo emigrato dalla Russia, decide la sorte dei palestinesi chiunque sia primo ministro nella giunta militare di Tel Aviv. E’ l’ormai conclamata e aggressiva esibizione di un obiettivo finale sino a qualche tempo fa sottoposto a correzioni cosmetiche come i negoziati di Oslo, Annapolis, Taba, o Camp David, la bufala dei due Stati per due popoli già ampiamente logorata da mezzo milione di coloni in espansione accelerata e dallo sminuzzamento delle comunità palestinesi in tronchetti separati e privi di qualsiasi agibilità. E’ l’escalation della persecuzione ed esclusione dei palestinesi cittadini israeliani, 1,2 milioni, un quinto degli abitanti dello Stato sionista, ai quali si impone l’obbligo di un giuramento di fedeltà allo Stato che li esclude e che devono subire monoetnico, teocratico, ebraico. Sennò raus! Era ben più flebile misura la richiesta del giuramento di fedeltà al fascismo fatta all’intellettualità italiana, o l’assunzione nell’amministrazione pubblica riservata ai tesserati al PNF.
Che questa masnada di invasati con la motosega raggiunga i suoi obiettivi sta in grembo a Giove.
Mentre la società israeliana va conoscendo una crisi sociale ed economica pari a quella sofferta all’apice della seconda intifada, nel 2002, con tutte le voci sociali in involuzione drammatica, la povertà oltre la soglia del quarto della popolazione, crisi in buona parte determinata dalle demenziali spese militari, dalle guerre continue, ma anche da una classe dirigente cleptocrate (vedi gli affari da furbetti del quartierino di Sharon, Olmert e dello stesso Lieberman accusato di riciclaggio), mentre senza il soccorso degli Usa il paese sarebbe immediatamente alla bancarotta, nessuno dei risultati sperati da Gaza è stato raggiunto. Se questo significa vittoria per Hamas e gli altri combattenti palestinesi, dal FPLP ai Comitati Popolari, alla Jihad e ai non rinnegati di Fatah, lo lascio decidere a qualche leguleio. Se Golia non è riuscito a schiacciare Davide, come voleva e come si era accuratamente preparato da tempo, già solo il fatto che Davide sia scampato lo fa vincitore della contesa. A Gaza, come nel Libano del 2000, prima cacciata degli occupanti israeliani, e del 2006, seconda cacciata. chi ha fallito è Israele. Mica gli Hezbollah volevano invadere Israele. Mica i palestinesi vogliono uccidere Golia. Si accontentano di non farsene togliere di mezzo. Chi ha vinto?
Hamas doveva essere annichilito, o spazzato via dalla sollevazione popolare. Hamas ha resistito, tra le macerie delle sue infrastrutture amministrative, come ha resistito a vent’anni di guerra a bassa intensità. E Hamas, ammettono tutti e confermano i sondaggi, è oggi più popolare e politicamente forte che mai, sia nella martoriata Gaza, che in Cisgiordania sotto le milizie di Abu Mazen, ascari di USraele. Conta relativamente che si tratti di organizzazione religiosa. Conta che è la forza patriottica. In quel “governo di unità nazionale”, che è la soluzione “B” di Israele se non riuscisse a eliminare Hamas e che avrebbe dovuto vedere il ritorno a Gaza dei golpisti di Abu Mazen e Mohammed Dahlan, con un Hamas indebolito in posizione marginale, sarebbe ora Hamas ad avere un peso preponderante. Mahmud Abbas, che si ostina a fare il presidente palestinese in spregio alla fine del mandato il 9 gennaio 2009, non rappresenta più nessuno, se non la minuta cricca di complici del tradimento e di funzionari e pretoriani stipendiati. Ce ne vorrà, per Israele e la “comunità internazionale”, a ricostruirlo come fantoccio credibile. L’estremizzazione del suo servilismo verso il massacratore del proprio popolo, concretizzata nell’asserzione che “la colpa della tragedia di Gaza era di Hamas e dei suoi razzi”, lo ha screditato per sempre di fronte a palestinesi e arabi, salvo quelli insieme a lui appesi alla greppia colonialista. Se Mubaraq, Israele, la “comunità internazionale” si ostineranno a tenerlo in piedi, terranno in piedi un corpo ad alimentazione e idratazione forzata. I fili dai quali pende questo burattino sono diventati visibili come cime di transatlantico. Non li potranno oscurare neanche quelle forze internazionali, Nato, Ue o altro (con gli italiani ascari di prima linea), avventandosi sulle acque e ai valichi di Gaza, magari anche dentro, per ingraziarsi un Israele e un’ebraicità dalle potenti dimensioni planetarie, rigonfiando il chewing gum Abu Mazen e mettendo su Gaza le mani e sui palestinesi quelle manette che a Tsahal non sono riuscite. Per misurare la portata della sua “vittoria”, a Israele non rimane che fare il calcolo dei palestinesi ammazzati, delle distruzioni, dei mutilati, dei senzatetto, della prole incenerita, delle sofferenze inflitte agli “scarafaggi impazziti” e del genocidio al rallentatore assicurato da uranio e fosforo, fame, sete, malattia. Di fronte alla constatazione che questa illimitata ferocia, questa violazione di ogni più vago senso di umanità, non ha minimamente smosso la popolazione colpita dal suo impegno di resistenza e di liberazione, Israele è disarmato. Si sente disarmato. Sente che questi palestinesi, i quali sanno morire mentre gli israeliani no, sono incomprensibili, inafferrabili, invincibili. Il trionfo decretato agli assassini di massa nelle elezioni parrebbe un segno della disperazione. Per quella parte di Israele, per i rinnegati dell’ANP e per i gentiluomini della sinistra mondiale che si rassegnavano alla soluzione dei due stati per due popoli, la sconfitta è particolarmente irrimediabile. Gaza quella soluzione l’ha disintegrata. D’ora in poi lo Stato Unico, binazionale, democratico, pluralista, opzione araba e palestinese storica come dettavano giustizia e realismo, quello Stato che gela il sangue agli attuali propugnatori di Eretz Israel, torna all’ordine del giorno. Già ridotto ad armamentario da soffitta per pochi illusi, cresce nella consapevolezza della parte migliore, minuta ma dinamica della società israeliana, s’imporrà come necessità storica a quella più reazionaria e sciovinista, è opzione favorita da un settore crescente dell’opinione internazionale. Per quanto possano opporsi ancora per lungo tempo le resistenze psicologiche, culturali, di una disonestà intellettuale nemmeno percepita come tale, questo dato di fatto, l’unico realistico, ha la forza della giustizia, della verità e, dunque, della storia vecchia caduta da cavallo e indirizzata su un’altra strada. Come con Paolo di Tarso, ma molto meglio illuminata di lui.
Dopo Gaza, con le infinite e oceaniche manifestazioni di massa contro l’eccidio e i tiranni arabi collusi, seppure duramente represse da regimi pencolanti, gli equilibri di forza nel mondo arabo si sono modificati. Il mare, appena increspato in superficie, è agitato nel profondo. E’ inesorabile, per quanto non immediata, l’apertura dell’atto finale di questi regimi, minati fino al midollo da abissi di classe e povertà smisurata, servilismo di casta, corruzione, rigor mortis civile, arbitrio e ferocia repressiva. Farà la sua parte anche la crisi capitalista che imporrà drastici tagli alle sovvenzioni in moneta e in armi con cui l’imperialismo ha finora puntellato economie zombie. E una parte la farebbe anche Israele se, al di là delle esitazioni della cricca Obama cui i persiani servono da complici nel disfacimento dell’Iraq, dell’Afghanistan, domani forse del Pakistan, i suoi avventuristi più deliranti andassero all’attacco dell’Iran. Interessante sarebbe vedere che cosa quella miccia innescherebbe nel mondo musulmano e nel Sud tout court. Come se la caverebbero intorno al Golfo gli Usa, sia per l’obbedienza dei regimi fantoccio messi in piedi, condizionati e protetti dall’Iran, sia per le rotte del petrolio? Il momento in cui Obama farà andare le automobili e le fabbriche a pannelli solari è ancora lontano ed è credibile solo per i mitomani convinti della “diversità” di questa maschera nera sul cannibale bianco.
Coloro, i più, che insistono a non voler vedere la Palestina e la sua lotta di liberazione, che è di classe, oltrechè nazionale e geopolitica, nel contesto dell’intera nazione araba, fanno torto alla coscienza, alle aspirazioni e al destino di quei popoli. Isolare la Palestina, pur mettendola su un piedistallo, sarà romantico, ma non è di sostegno né ai palestinesi, né alle masse che ovunque stanno schierate con i palestinesi e per una liberazione di tutta la comunità araba. Come si fa a non ricordare l’unità storica di queste genti, sia sotto gli ottomani, sia sotto il colonialismo, sia nella guerra di liberazione, vittoriosa quando unita ha perseguito il progetto delle decolonizzazione. Un’unità di destino che richiama quella bolivariana dell’America Latina. La massa critica per la liberazione del pezzo di mondo tra Oceano Atlantico e Golfo arabo-persico sta nell’unità dei popoli, di classe e antimperialista. Non confiniamo i palestinesi in un particolare che, più che caro, ci è comodo. Non escludiamo, per esempio, gli iracheni che subiscono da sei anni una Gaza alla settimana e non sono domati. L’esempio di queste due resistenze è diventato un sistema arterioso di coscienza e passione in tutto il mondo arabo e ben oltre.
La prospettiva di quel “Nuovo Medio Oriente”, propalato da Condoleezza Rice, con un processo di frantumazione delle comunità nazionali ed entità statali lungo linee etnico-confessionali, per una definitiva presa di controllo e per l’ampio spopolamento (assedi, embarghi, malattie, inedia) della più significativa regione geopolitica ed economica del pianeta, è in frantumi. Regimi arabi, come il Qatar e la Mauritania, arrivano alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele, despoti tra i più trucidi, collusi e dipendenti, come Mubaraq e il saudita Abdallah, sono costretti dalla furia popolare ad adottare penosissime misure antisraeliane, come le inchieste e denunce giudiziarie per i crimini israeliani di guerra e contro l’umanità. Il vasto Sudan sta in piedi e accanto alle resistenza, a dispetto delle diffamazioni islamofobiche e dei complotti secessionisti messi in opera, dal Sud al Darfur, dai revanscisti del colonialismo. Dice il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), da sempre sulla linea della connessione strategica, che la questione palestinese è solo l’anello più incandescente della catena che unisce gli arabi e, oltre gli arabi, gli oppressi e repressi del mondo. La catena va agitata da tutti i lati.
Vediamo come si è mossa nel resto del mondo, perché è anche lì che la storia è caduta da cavallo ed è da lì che va gettato lo sguardo sul futuro. La campagna israeliana contro Gaza (che occultava quella simultanea e perenne in Cisgiordania a base di assassinii, espropri, espulsioni, arresti indiscriminati, nuovi insediamenti), doveva essere accompagnata e seguita da un uragano di propaganda dei consueti corifei, quelli scoperti alla Ferrara e quelli coperti alla Ovadia, incaricati di bilanciare i grovigli di bimbetti uccisi a Gaza, passati per le crepe dell’informazione amica, con il rumore assordante del vittimismo ebraico. Fenomenale, a questo proposito, la schizofrenia di ebrei “illuminati” alla Gad Lerner che dedicano trasmissioni intere alla riprovazione del razzismo, delle leggi razziali di Mussolini e di Maroni, e non si avvedono del parallelismo con il razzismo ontologico della loro casa madre. Si doveva dar fiato alla neolingua dell’imperialismo nella quale l’uccisione di migliaia di civili si chiama “autodifesa”, la resistenza è “terrorismo”, i razzi fatti in casa di Hamas sono “armi di distruzione di massa”, le donne e i bambini uccisi nelle incursioni o sono “reclute di Hamas”, o da Hamas sono utilizzati come “scudi umani” (l’unica documentazione di scudo umano sono ragazzi palestinesi legati ai blindati israeliani) e il blocco economico, gli assassinii mirati, gli attacchi ai pescherecci, i 700 posti di blocco, non possono che essere mirati a convincere i palestinesi dei vantaggi della pace sotto la tutela dell’ “unica democrazia del Medio Oriente”. E’ una neolingua usata da tutti i media e che è andata alla grande a Davos, al consesso della criminalità organizzata capitalista, ed è del resto ripresa con particolare entusiasmo dal partito bifronte che monopolizza la rappresentanza politica in Italia, con strascichi fin negli improvvisamente moltiplicati paginoni “della memoria” nella stampa di sinistra.
Ha sempre funzionato, almeno fin da quando Arafat, il cui curriculum diplomatico pre-guerra infinita dei Bush aveva conservato ai diritti palestinesi un briciolo di considerazione, fu avvelenato e Fatah criminalizzata e bastonata come ora Hamas. Al punto che la cosiddetta società civile aveva finito col distinguere tra giusto e torto, pur quando gli si imprimevano sugli occhi. La truffa dell’11 settembre, poi, aveva messa buona parte del mondo in pesante disagio di fronte all’Islam. Si pensi all’indecenza fascistoide di bandire la preghiera degli immigrati davanti alle nostre chiese. Ci hanno nascosto un film dell’orrore che neanche Kronenberg, raccontandoci che Gaza non sarebbe stata rasa al suolo non fosse stato per quei razzi, anzi “missili”, Kassam (ottomila in otto anni, pari a mezz’ora di bombardamenti su Gaza, nessuno nelle settimane della tregua); che non fosse per il muro che riduce al 12% la Palestina dei palestinesi, ci sarebbero ancora donne e bambini che saltano per aria negli autobus o nei caffè: che se non avessero distrutto i tunnel tra Egitto e Gaza, Hamas avrebbe avuto i mezzi per “distruggere Israele” (se per quelle vene giugulari fossero passati missili e cannoni, e non cibo, maglioni e mattoni, com’è che i guerriglieri continuano a immolarsi da decenni con i soli mitra e qualche bazooka?). E’ un perfetto rovesciamento di causa ed effetto, dimenticando che la storia non iniziò con attentatori suicidi, ma con il furto della Palestina e che, se non ci fosse occupazione, non ci sarebbe decimazione e oppressione di un popolo e, dunque, niente resistenza.
Ma la Storia, a Gaza, è caduta da cavallo. Quattro quinti degli 8 miliardi di abitanti del mondo hanno visto che quella letale potenza d’attacco era stata concepita al momento del ritiro dei coloni da Gaza e preparata sei mesi prima, hanno saputo che la tregua, mille volte proposta da Hamas, anche per durate pluridecennali, è stata violata prima e riviolata dopo da Israele. Hanno collegato i colpi di mano del 1948 (quello che a ferro e fuoco allargò la parte israeliana della spartizione ONU), all’aggressione tripartita all’Egitto nel 1956, all’attacco a freddo del 1967 per prendersi anche la Cisgiordania, il Golan e Gaza, alle invasioni gratuite del Libano e alla rioccupazione della Cisgiordania nel 2004. I bambini frantumati a Gaza, bianchissimi nei loro sudari-fagotto, hanno richiamato le immagini dei bambini bruciati nei loro villaggi all’epoca della spartizione e di quelli cui l’Israele di Rabin spezzava le ossa nella prima Intifada e l’Israele di Sharon fucilava nella seconda. Si è dipanato un filo rosso che nella parte migliore del mondo ha saputo infilzare di netto l’occhio del ciclone della neolingua. Come era successo alla fine dell’era Bush, quando lo psicolabile omaggiato dai colonizzati europei, fu perfino da costoro, come già da tempo dal resto del mondo, sbeffeggiato per l’inettitudine economica e rinnegato per le prevaricazioni belliche. Per la prima volta governi di grandi paesi, come il Venezuela e la Bolivia, ma anche di paesi arabi reazionari e filoamericani come il Qatar e la Mauritania, hanno rotto le relazioni diplomatiche con Israele. Il Dubai, che relazioni non ne ha, ha sbertucciato il potente dominus del Medioriente negando l’ingresso a una tennista israeliana. Nel parlamento del protettorato Usa Kuwait si sono espressi anatemi contro Israele. Merito anche di quella fonte alternativa di informazione che è l’emittente Al Jazeera, appunto del Qatar, a dimostrazione della potenza di una televisione libera, professionale e onesta.
Delle manifestazioni quasi insurrezionali delle masse in tutti i paesi arabi e musulmani abbiamo detto. Anche senza una continuità in superficie, avverte i satrapi al potere dell’inarrestabile crescita della coscienza collettiva, guidata da una porzione crescente dell’intellighenzia, sollecitata dall’Afghanistan e dall’Iraq e ormai lucidissima dopo Gaza. Un colpo terribile alla posizione geostrategica di Israele lo ha portato la Turchia, alleato fondamentale e potente nell’area, quando il premier Ordagan ha stigmatizzato l’olocausto di Gaza e, nell’empireo capitalista di Davos, ha dato sulla voce al presidente israeliano Simon Peres, vecchio strumento del genocidio, Premio Nobel per la pace: “Ecco l’infanticida. Non me la sento di stare in un posto dove c’è un fottuto terrorista sionista” e lo ha piantato stravolto davanti a una platea attonita di gazzettari di casta. L’idea di attraversare lo spazio aereo turco per fare sfracelli in Iran è così svaporata. Infine, a Israele si è sciolto tra le mani il proconsole palestinese, un governo, quello di Abu Mazen, che ormai sta in piedi unicamente perché sorretto dagli affusti forniti dagli Usa. Per quanti sforzi possano fare per rimpannucciare l’ANP, tutti sanno che il rappresentante del popolo palestinese oggi è Hamas, più le sinistre del FPLP e DFLP e i non rinnegati di Fatah con Marwan Barghuti alla testa.
I tiepidi e repressi dubbi che perfino le classi dirigenti occidentali, più spiccatamente il Vaticano, concorrente dell’ebraismo in beni e proselitismo, hanno incominciato a nutrire, sono stati sospinti dalla sollevazione di interi settori e categorie di popolazione che, rincuorati dal crescente dinamismo delle forze di solidarietà con i palestinesi e con i popoli oppressi in generale, hanno assunto posizioni di condanna e di opposizione. Si moltiplicano università e ambiente accademici che proclamano il boicottaggio degli equivalenti israeliani, studenti in Gran Bretagna, Grecia e Francia occupano atenei, fiere vengono precluse a operatori israeliani (a dispetto del “manifesto” che deprecava il boicottaggio della Fiera del Libro a Torino e a Parigi), si moltiplicano i seminari sulla realtà mediorientale, aziende si ritirano dalla collaborazione, agenzie Onu, Croce Rossa, i cui aiuti agli affamati di Gaza vennero incenerite dagli F16, organizzazioni umanitarie, corpi giuridici, trovano spazio nella pubblicistica con le loro denunce dettagliate delle atrocità israeliane, tutti indifferenti al sempre più logoro stereotipo e falso tabù dell’ “antisemitismo”. I greci, sudditi Nato, imitati dai portuali sudafricani, hanno impedito che spedizioni Usa di armi per l’assassinio di massa di Gaza passassero dal porto di Astakos (poi transitate per i compiacenti porti della colonia Italia). In molti paesi sono state comprate impensabili pagine intere dei giornali per denunciare dettagliatamente i crimini israeliani. Perfino il maggiordomo Usa all’ONU, Ban Ki Moon, ha detto tra i frantumi di Gaza: “Mi si è spezzato il cuore”. Lo spietato, criminale uso di armi illegali e mirate alla gente, ha aperto molti più occhi di quanti ne abbia chiuso a Gaza. Ha fatto pensare: “ma questi allora sono anche pronti a buttare l’atomica (che secondo un consigliere alla Difesa israeliano “può raggiungere tutte le grandi città europee”.
Un sondaggio globale della BBC ha trovato che Israele è considerata uno dei due paesi che esercitano la peggiore influenza sul mondo. Tutt’a un tratto ci si è ricordati che Israele è lo Stato, peggio del Sudafrica dell’apartheid, che non adempie a nessuna delle leggi internazionali e nemmeno alle risoluzioni dell’ONU e dei tribunali internazionali e che è l’unico al mondo, con gli Usa, ad aver legalizzato la tortura con tanto di impunità per tutto questo. Quella che si definisce la “comunità internazionale” e che non è che un circolo di mercanti, banchieri, guerrafondai, mafiosi tutti, appare sempre più come “un nome d’arte che gli Usa si mettono quando fanno teatro ” (Eduardo Galeano). Le si para davanti, secondo quanto prevede Naomi Klein, un nuovo movimento globale come quello che pose fine all’apartheid. Un movimento che, insieme al presidente dell’Assemblea dell’ONU e a paesi progressisti propugna sanzioni, boicottaggio, disinvestimento e isolamento dello Stato sionista e di chi lo frequenta e vi si associa. Un movimento che si mobilita contro gli accordi economici e militari tra UE e Israele in continua espansione.
Quando mai prima s’era visto tutto questo, quando ogni pulizia etnica, occupazione, massacro, distruzione, devastazione, soperchieria, barbarie, veniva definita moralmente giusta e di “autodifesa dai terroristi” ? Si sorvola con sempre più disinvoltura sul fatto che Unione Europea, Canada e gli Usa elencano quasi tutti i movimenti di liberazione nazionale nella categoria delle “organizzazioni terroristiche”, puntando a criminalizzare ogni forma di resistenza e a intimidire e poi neutralizzare i governi, le forze e comunità che sostengono i palestinesi e i i popoli in lotta. Particolarmente efficace la voce degli ebrei dissidenti, antisionisti, antioccupazione, capeggiati da nomi prestigiosi come Pappe, Chomsky, Warshawsky che, meno in Israele nonostante il grande coraggio dei refusenik, ma in grande crescita e vigore nel mondo occidentale, assumono posizioni non più meramente difensive e riduttrici, ma di aperta dissociazione, condanna e, sempre più, di appoggio all’inevitabile Stato unico. Una rottura nella solidarietà, fin qui quasi incondizionata, della diaspora che apre spazi sottratti alla già invincibile lobby ebraica. Il rapporto di forze, al di là dei tank e dei continui attacchi israeliani, sta lentamente mutando a favore dei palestinesi. E questo fa dei palestinesi e di tutti i combattenti antimperialisti l’avanguardia de deboli e oppressi.
Un’ attenzione a parte meritano le procedure giudiziarie avviate e in fieri che hanno per capo d’accusa i crimini contro l’umanità e di guerra commessi da Israele a Gaza. L’imputazione condivisa da magistrati e tribunali è quella sintetizzata in un’agghiacciante documento pubblicato su The Lancet, la più prestigiosa rivista medica del mondo. Parte dai 1.350 direttamente uccisi a Gaza, con tanti altri a venire per contaminazioni o mutilazioni, di cui il 60% bambini, dai quasi 6.000 gravemente feriti, di cui il 40% bambini, contro zero vittime di razzi Kassam nell’anno prima e 28 negli otto anni precedenti. Nel Sudafrica dell’apartheid l’atrocità maggiore fu l’eccidio di Sharpeville nel 1960 in cui la polizia sudafricana uccise 69 manifestanti neri. Alle vittime dell’aggressione il giornale aggiunge dati derivanti dall’occupazione e dall’assedio economico e sanitario. A queste cause va attribuita la morte annuale di 3000 bambini sotto i 5 anni per un totale di 4.286 morti palestinesi evitabili all’anno, 35.360 dal settembre 2000 in aggiunta ai 6.200 direttamente assassinati dalle forze israeliane. The Lancet guarda oltre. Tra il 1967 e il 2009 sono morti per cause legate all’occupazione 300mila palestinesi, mentre i morti ammazzati sono stati circa 10mila. Alle spalle di costoro ci sono i 35mila prigionieri di guerra arabi del 1967 giustiziati da Israele, a fianco gli 11mila palestinesi detenuti senza giusta causa e sottoposti a tortura. E mettendo in campo questa ininterrotta pulizia etnica, questa pervicace violazione di ogni diritto, queste punizioni collettive culminate con la carneficina di Gaza, che molti attori del sistema giuridico mondiale hanno giudicato Israele uno Stato fuorilegge, da espellere dall’ONU, e i suoi delitti meritevoli di un tribunale come quello di Norimberga contro i gerarchi nazisti. Procuratori in molti paesi che posseggono giurisdizione sui crimini contro l’umanità compiuti ovunque, come Spagna, Belgio, Inghilterra, Turchia, hanno avviato indagini e imputazioni. Lo ha fatto perfino il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja aprendo un fascicolo su crimini israeliani denunciati da centinaia di proponenti. Girano in rete elenchi di facce e biografie dei maggiori responsabili politici e militari israeliani da sottoporre a giudizio. Tanto preoccupa la cose i governanti sionisti da averli mossi a mettere in atto un apparato difensivo per i loro militari, a sconsigliarli dall’ avventurarsi in paesi con quella giurisdizione universale, a occultarne tardivamente l’identità, fino a farli apparire con le facce oscurate in televisione. Diversi alti ufficiali hanno dovuto cancellare le loro visite a paesi europei perché già indagati. E a rischio d’arresto. L’impunità incrinata è la ferita più grave inflitta da Gaza, con il suo sacrificio, a Israele.
Sono cose che un mese prima di Gaza sarebbero parse inconcepibili quanto l’assalto dei giacobini a chiese e monasteri. Fu una delle volte che la Storia cadde da cavallo e prese un’altra strada.
Forse il nuovo quadro geopolitico, culturale, strategico si vede meglio qui che da Gaza. Dove la protervia israeliana continua a pensare di potersi permettere di tutto. Chi vuol perdere, iddio lo acceca. Qui ci si misura con un assedio che non cessa, con il continuo rischio di incentivare l’ossessione omicida dei generali israeliani, con centinaia di corpi che si sbriciolano per effetto del fosforo, dell’uranio, delle bombe Dime che ti lasciano intatto fuori, sventrato dentro e incurabile, con grandi famiglie ridotte a un paio di sopravvissuti, con madri senza figli, con figli senza padri, con tende e anfratti ricavati tra le macerie, con gli ospedali che non funzionano più, con malattie che a Gaza non si possono curare, ma che si è impediti dal trattare fuori da Gaza. In questo Auschwitz levantino ti si nega ogni mattone che costruisce l’edificio vita. Ma a Gaza si sa anche che Israele ha fallito, sia nel rovesciare l’arcinemico, sia nel convincere la popolazione alla resa. E si percepisce anche che l’offensiva, per come ha indebolito i collaborazionisti dell’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, ha rinsaldato l’unità dei palestinesi nei territori occupati e in Israele e anche quella con le grandi masse arabe e del Sud del mondo. La regione è in ebollizione è non tornerà facilmente al prima di Gaza.
Il bicchiere può sempre essere visto anche mezzo vuoto. La potenza militare di Israele resta integra e rifornita all’infinito dagli Usa del nuovo garante Obama. Altre incursioni e stragi si abbatteranno su Gaza. La metastasi colonialista si allarga incessantemente in Cisgiordania. La Nato, reinventata con D’Alema come strumento di rapina e sottomissione della “comunità internazionale”, si fa tutrice degli interessi USraeliani anche a ridosso di Gaza ed è pronta ad affiancare altre guerre di conquista imperialiste, in Asia, in Medio Oriente, in Africa. L’Italia, meretrice senza inibizioni e senza limiti opposti dalle sinistre, con nuovi comandi e forze di proiezione continentale per l’Africa, il Medio Oriente e l’Est stabiliti nelle nostre città e nei nostri porti, si fa catapulta di guerre verso popoli che, da amici, potrebbero salvarci la pelle e la civiltà. Se ne fanno garanti quelli che pretendono di essere un governo dello Stato, come quelli che se ne pretendono l’opposizione. E’ in vista uno sconquasso che costerà ancora molto all’umanità nelle spire della piovra morente. Ma è dal letame che nascono i fiori, come diceva De Andrè, e negli sconquassi si aprono i varchi verso il cielo.
Non sarà più facile credere che Israele, questo Israele, potrà integrarsi in un mondo arabo che è fatto da oltre 300 milioni di persone e di poche centinaia di notabili. Eppure in quel mondo integrarsi dovrà. Si potranno contare sulle punta delle dita i cittadini arabi che si aspettano dagli Usa democrazia e benessere. E questo gli costa il cambio del paradigma e del metodo. Sicuramente noi potremmo agevolare quel cambio: boicottaggio (il codice a barre 729, segno di prodotto israeliano), disinvestimento, sanzioni, procedimenti penali e tantissima informazione. E prima ancora il rifiuto della neolingua dell’imperialismo, a partire dalla criminalizzazione degli agnelli sacrificali con il teorema del terrorismo. Se anche da noi si capirà, come lo si è capito nel mondo non lobotomizzato, cosa è successo l’11 settembre a New York e a Washington, chi davvero è terrorista, sarà molto dura per Israele e per il suo padrino nordamericano accreditarsi ancora come fronte della civiltà contro il terrorismo. E la nuova generazione partorita dalla Storia caduta da cavallo avrà davanti a sé una strada più libera. Nessuno potrà più chiamare “terrorista” il combattente per la libertà, sua e dell’uomo. Di resistenza si vince.
7 commenti:
Grazie Fulvio per avermi dimostrato che il vero giornalismo esiste ancora. Ti seguivo anni fa alla rai ma poi ti epurarono e io non me accorsi.
Personalmente sono da sempre stato per la nascita di uno Stato palestinese, libero e indipendente. Ma quando c'è un gruppo vizioso come Hamas che attacca Israele dopo il ritiro di Gaza e che spara da otto anni su civili israeliani, questo non è accettabile.
Da otto anni, i razzi degli islamici di Hamas hanno causato la morte di tantissime persone in territorio israeliano, per non parlare delle migliaia di morti causati dai kamikaze in scuole, autobus, pizzerie ecc. In tre settimane, Tsahal elimina 1300 persone fra cui una maggioranza di civili e di numerosi bambini… Ho penato a comprendere. E' chiaro, lo scopo non era di uccidere civili, ma fermare il fuoco di Hamas. Se si vogliono uccidere civili per uccidere civili, come lo fa Hamas, si possono uccidere anche a decine di migliaia.
Prima, quando Hamas era in guerra contro l'occupazione, aveva secondo molti il diritto di sparare, ma non dopo il ritiro unilaterale di Gaza.
Ma tutto questo, nella mente di Fulvio Grimaldi, ottenebrata dal cieco odio anti-israeliano e imbevuta di propaganda figlia dei protocolli dei savi di Sion, non importa: l'essenziale è riproporre il suo solito polpettone.
Una domanda per Fulvio Grimaldi ora la faccio io, e attendo una risposta realista e non intrisa di ideologia complottista.
Visto che quando Israele tolgie le colonie (come avvenuto nel 2005 a Gaza) anziché dire “grazie, molto bene, si inizia a lavorare„, Hamas ha detto “lasciateli stare! Ci penseremo noi, tireremo razzi più potenti!„, com'è possibile convincere il popolo israeliano a ritirarsi dalla Cisgiordania?
Criticare una guerra è normale, svisare la realtà e odiare, invece no. Si criticano il Pakistan e l’India per il conflitto sul Kashmir, si critica la Spagna quando si parla di Baschi, la Russia dei Ceceni, l’Inghilterra ai tempi del conflitto acuto con l’Irlanda. Ma qualcuno di questi Paesi è mai stato sottoposto all’accusa permanente di essere un paese razzista, aggressivo, avido di sangue umano, nazista? Forse solo gli Usa sono perseguitati da uno stigma permanente. Ma nessun altro Paese, se non Israele, viene sottoposto a un odio costante per il conflitto in cui si trova: nessuno vede la sua stessa identità messa in discussione, nessuno viene messo in dubbio nella sua legittimità, i suoi leader vilipesi, i suoi soldati e i suoi cittadini trattati da assassini, i leader rappresentati coperti di sangue su giornali e tv di tutto il mondo. Questo non c’entra con la guerra, c’entra con la menzogna e con quell’antisionismo che il presidente Giorgio Napolitano denunciò come la forma palese di un occulto antisemitismo.
Caro Fulvio, il lungo elenco delle sofferenze delle popolazioni palestinesi è, mi sembra, arcinoto: da anni non si sente né si vede altro, specialmente in periodi come quest'ultimo, alludo all'operazione "piombo fuso"; per cui mi sfugge la novità della notizia. Quanto al merito: forse, se i palestinesi e i loro vari rappresentanti avessero voluto una volta in tutti questi decenni accettare una pace con Israele, invece di praticare la violenza, gli attentati e il terrorismo, i valichi, anzi, i confini sarebbero liberi, la loro economia, finalmente di pace, fiorirebbe e, chissà, se lo avessero voluto, forse avrebbero potuto darsi anche una democrazia atta a difendere i loro diritti.
Tanto so che non lascerai mai comparire questo commento sul tuo blog.
Rispondo brevemente a una grandinata di commenti sionisti al mio ultimo post "Battaglioni", ovviamente anonimi. C'è in tutto questo la carenza di qualche domandina:
- Chi ha occupato la terra altrui, ne ha scacciato e decimato la popolazione,partendo dai bambini?
- Chi fa una guerra dopo l'altra ai vicini, invadendo e devastando?
- Un territorio, liberato dagli intrusi illeggitimi, non continua ad essere sotto occupazione quando, contro ogni legge internazionale (del resto sempre ignorata da Israele, Stato degli ebrei e basta),viene sottoposto per anni a blocco genocida, incursioni stragiste, guerre di sterminio?
- Chi ha violato la tregua il 4 novembre ammazzando con missili sei palestinesi, mentre dall'inizio Hamas non ha sparato neanche un razzetto?
- Non ti viene il sospetto che Israele, pratico come nessun altro di provocazioni (basti pensare a come istruisce in America Latina tutt i governi e le destre fascisti), possa aver lanciato lui stesso i razzi post-tregua per giustificare la continuità dell'olocausto di Gaza? E' quanto affermano a Gaza, e, per consolidata esperienza credo più a Hamas che a criminali di guerra come Olmert o Livni. SDono in buona compagna israeliana e ebrea: Warshawski, Avnery, Halevi, Chomsky,Neta Golan, Cantarutto, Finkelstein, Pappe.....
La trita accusa di antisemitismo rivolgila a Israele il cui razzismo antisemita (anti-arabo) ha superato ogni razzismondi ogni epoca?
Fulvio
Si sperava che almeno qui gli esponenti della cosiddetta "informazione corretta" ci potessero lasciare in pace, e invece eccoli qua a ripetere per l'ennesima volta quanto ripetuto a pappagallo su tutti i forum del pianeta. Evabbè, sopporteremo, tanto lo sappiamo come stanno veramente le cose. Fulvio, comunque questo è segno che il tuo blog inizia ad avere un seguito significativo e che di questo qualcuno da qualche parte evidentemente si è preoccupato. Per ora si presentano come amici ("caro Fulvio etc. etc.") poi magari più avanti inizieranno con le offese e le invettive, li conosciamo bene.
Ah sì, chiunque spende una parola non necessariamente anti-israeliana è da bollare come parte di un odioso complotto demoplutogiudaicomassonico...ovviamente, chi (come il sottoscritto) ne sarebbe parte, ovviamente prima o poi getterà la propria maschera, mostrando il suo vero volto di incivile insultante...
Vedo che a sinistra lo spirito critico e di dialogo civile è merce rara.
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