signore di Tehran
proletari a Tegucigalpa
Al momento di marciare molti non sanno / che alla loro testa marcia il nemico / La voce che li comanda / è la voce del nemico / e chi parla del nemico / è lui stesso il nemico.
(Bertold Brecht)
L’uomo muore in tutti coloro che restano silenziosi davanti alla tirannia.
(Wole Soyinka)
Il silenzio, dicono, è la voce della complicità. Ma il silenzio e’ impossibile. Il silenzio urla. Il silenzio è un messaggio, proprio come fare niente è un’azione. Fai risuonare chi sei in ogni atto e parola. Diventa quello che sei. Ciò che fai è ciò che sei. Diventa il tuo messaggio. Tu sei il messaggio. Nello spirito di Cavallo Pazzo.
(Leonard Peletier, ergastolano pellerossa)
Cari i miei generosi e pazienti interlocutori. Penso che, a vostro sollievo, da dove mi troverò non sarà facile rifilarvi le mie periodiche intemperanze. Ci risentiremo verso fine mese. Qui, un breve post su eventi che dovrebbero infliggere qualche scrupolo anche ai più pervicaci degli asinelli nel paese della cuccagna.
Non si contano i media da cui sono stato cacciato, o dai quali mi sono allontanato. E’ un rosario di fratture dalle quali, mi auguro, le mie ossa siano uscite via via rafforzate. E l’azione ne abbia guadagnato in limpidezza e verità. Paese Sera, The Middle East, la BBC, la Rai, Liberazione… E ora anche Uruknet. Uruknet è un sito-bollettino quotidiano in inglese che la scarsa anglofonia degli italiani non diffonde all’altezza dei suoi meriti (anche se sporadicamente produce versioni in italiano). In compenso ha centinaia di migliaia di affezionatissimi e grati seguaci all’estero. Non v’è dubbio che sul conflitto mediorientale, con excursus in campi anche lontani dello scontro popoli-imperialismo, sia la fonte più attendibile e ricca, un castigamatti dei bugiardi e falsari. Ne sono stato per molti anni uno dei collaboratori più assidui e, dal rilievo concessomi, mi illudo tra i più apprezzati. Poi su Uruknet si è abbattuta la “rivoluzione verde” di Tehran, vista e accanitamente propagandata anche grazie all’apporto della più astuta e disonesta disinformazione imperiale. Una caduta epocale. La giusta avversione a un governo che ha collaborato con l’imperialismo nel più sanguinario crimine del secolo, lo squartamento dell’Iraq, ha tolto a Uruknet quella lucidità di analisi e valutazione che i suoi gloriosi trascorsi avrebbero dovuto garantire. Siccome Ahmadinejad è stato il co-assassino dell’Iraq, ecco che chiunque si scagli contro di lui è apoditticamente un vindice della libertà, democrazia, giustizia. Anche se ogni evidenza grida al cielo – e Hillary Clinton non si è peritata di ammetterlo – che quei moti dell’alta borghesia iraniana, non certo la liberazione dell’Iraq reclamavano, ma un’alleanza con i devastatori imperiali del pianeta tutto. E questo, giustamente nel momento in cui l’intesa congiunturale Iran-Israele-Usa contro Iraq e arabi era andata sfilacciandosi, sostituendovi la collisione per l’egemonia regionale. L’Iran, in questa prospettiva, è l’unico grande Stato musulmano, l’unico paese tra Atlantico e Oceano Indiano, cui la cupola criminale occidentale non ha saputo sottrarre indipendenza, sovranità, ruolo geopolitico e geostrategico. Un ostacolo colossale nell’avanzata verso la frantumazione complessiva di tutti gli Stati frapposti tra il cannibalismo petrolifero e la strategia maltusiana dell’Occidente, e l’Asia centrale, “cuore del mondo”. Il semplicismo analitico, rafforzato da un approccio più emotivo che scientifico, ha fatto di Uruknet, nel suo sostegno a una sedizione Cia-Mossad, assolutamente identica alle destabilizzazioni imperialiste di molti altri paesi, incompresa nei suoi aspetti di classe, l’imbarazzante, stolto puntello a sinistra della guerra infinita rilanciata da Obama. Uruknet, dando poco peso a considerazioni deontologiche, ha smesso di pubblicare la mia versione opposta degli eventi persiani (e anche tutto il resto), ma ha dato ampio spazio alle visceralmente rancorose e diffamatorie aggressioni personali di una sua malferma collaboratrice. Che mi ha descritto in marcia con i fondamentalisti iraniani, nientemeno, con il turbante in testa. Come quando l’invettiva berlusconiana copre la requisitoria del pubblico ministero. Una bella sintonia di Uruknet e della sua corista verde con Obama, Netaniahu, La Russa e tutti i delinquenti della guerra ai “fondamentalisti islamici”. Quelli della, bene o male, tanto gloriosa quanto unica resistenza di massa ai necrocrati del nuovo colonialismo in quella regione del mondo. Chi ha la cortesia di seguirmi su questo blog non ha bisogno che io sottolinei la portata squallidamente squadrista di tale ritrattino. Bye bye Uruknet. C’è sempre tempo, comunque, per riaggiustare il tiro sul nemico. Quando c’è la buonafede…
Ci hanno martellato le palle e, a ogni residuo singulto di una sedizione borghese fallita, continuano a martellarcele, sulla repressione, sui presunti brogli, sulle atrocità carcerarie, sulle confessioni a priori false dei terminali Cia-Mossad in Iran. Tutti quanti, dal mignolo destro al mignolo sinistro, passando a colpi di traveggole per la capoccia vuota di un’opinione pubblica decerebrata. La solita unanimità corale che impone la musica di chi ha la bacchetta in mano. Tutti d’accordo? Vince la destra. E’ un assioma che la storia dei padroni porta appuntato sul petto. E ora, agli assordanti schiamazzi verdi sull’Iran, ottimo sottofondo ai missili che USraele ogni paio d’ore minaccia di lanciare su quel paese, opponiamo il silenzio che si è esteso sull’ecatombe di Gaza, sulla sadica antropofagia di Israele, sull’olocausto dell’Iraq, sul genocidio afghano (fiancheggiato dal “pio pio, ritiriamo le truppe”, pigolato dagli uni, e dal “però non possiamo abbandonare gli afghani “ dei manifestini alla Sgrena), sulla nuova strategia obamiana di sbranare e triturare il Pakistan nucleare in combutta tra India, Israele e Usa. Ma, soprattutto, ponete il berciare omologo sull’Iran a confronto con la morta gora in cui si avviluppa e occulta l’Honduras. E’ questo l’internazionalismo dei nostri giorni. Delle nostre sinistre.
Mettiamo su un piatto della sbilancia l’accanimento terapeutico sul cadavere della rivolta filo-Usa in Iran e, sull’altro, gli spazi dedicati al colpo di Stato nella più derelitta della “repubbliche delle banane”, base d’intervento per tutte le sanguinarie imprese dell’imperialismo Usa, da Cuba al Nicaragua, da Grenada a Panama , dal Salvador al Guatemala, al golpe dei gorilla fascisti scaturiti dalla base Usa di Palmarola e alla resistenza assolutamente fantastica di tutto un popolo, tolta la lumpenborghesia compradora con i suoi mercenari addestrati nella Scuola delle Americhe. Una resistenza del tutto inaspettata da parte di masse contadine analfabete, represse, sprofondate nella miseria, oggetto da decenni dello sfruttamento più spietato da parte dei vampiri multinazionali, giunta a quasi cento giorni di ininterrotta lotta non armata, segnata da brutalità militari di ogni genere, con un presidente deposto, sequestrato, sbattuto fuori, che, da mite liberale dai buoni sentimenti, si è trasformato, spinto al vento della resistenza, in bandiera dell’emancipazione e della sovranità. L’Honduras, emerso dall’abiezione colonialista e oligarchica a una prodigiosa coscienza e combattività rivoluzionaria, trattato come sempre in passato gli Usa hanno trattato popoli stufi di schiavitù, da Pinochet a Videla, da Somoza a Duvalier, da Batista a Uribe, è un paradigma del nostro tempo in bilico tra planeticidio e liberazione, tra criminalità organizzata, politica, economica, culturale, e giustizia nella libertà. Come Gaza, come l’Iraq, come l’Afghanistan, come la Somalia, con un passo in più grazie alla scintilla sociale e laica che ne ha innescato l’incendio antimperialista e antifascista, scintilla trasvolata dal fuoco di fila rivoluzionario o progressista che avanza dal Cono Sud.
E’ da qui e dalle parallele sette basi militari installate dal guerrafondaio Obama(“Uomo di pace” per l’israelomaniaco Furio Colombo su “Il Fatto”), che si sta scatenando sull’America Latina il revanscismo imperialista e di classe del brigantaggio planetario statunitense. Con tanto di imprescindibile partecipazione israeliana, denunciata dallo stesso Mel Zelaya, con i suoi onnipresenti specialisti degli squadroni della morte ed esperti vuoi delle destabilizzazioni colorate, vuoi della repressione sociale. Ovvio che la classe politica europea dei sottomessi e venduti volti la faccia dall’altra parte, sostenuta nella complicità dai mezzani dei media. Agghiacciante l’ignavia o lo schifiltoso minimalismo con cui le sinistre e i loro comunicatori accompagnano questo ennesimo tentativo imperialista di annichilire un popolo in/risorto e di riequilibrare, a partire da Tegucigalpa, i rapporti di forza tra elites cannibali e resto del mondo, compromessi dall’insorgenza politica latinoamericana.
Per un evento di portata storica e planetaria, dalle ripercussioni infinite e pianificate, scarse e rituali cronache, commenti che si guardano bene dal vedere l’enorme potenzialità di riscatto rivoluzionario manifestato dalle masse in un incredibile maturazione politica, verificatasi in poche settimane. Ponderate analisi che arrivano a simpatizzare con la truffa del “dialogo” affidata da una Washington in difficoltà al pupazzo Usa del Costarica, Oscar Arias, e finalizzata a ricondurre tutto nell’ambito pseudodemocratico di un dominio coloniale affidato da elezioni sotto tutela al mercenariato locale. Unica eccezione, stavolta da innalzare a pietra di paragone di tutte le sinistre in fuga, le cronache e gli interventi sul dramma honduregno del PdCI. Dove sono i cortei, i presidi, le assemblee, le conferenze, le mobilitazioni di qualsiasi genere, gli appelli accorati e indignati della sgomenta intellettualità sinistra? In quale oscuro cunicolo, scampato alla frana dell’opportunismo e dell’autoconservazione, è rannicchiato un residuo di intelligenza politica e di coerenza ideologica?
Sento da mille pizzi microscopiche e ineffettuali organizzazioni di comunisti critici, uniti, dei lavoratori, piattaformali, in movimento, popolari, costituenti, rifondati, vociferare sul proprio primato nella ricostruzione del “Grande Partito Comunista Italiano”. Corrono, sotto l’infuriare di una tempesta imperialista che non avvertono e che tutto condiziona e tutto determina, appresso agli operai sui tetti o sulle gru, ai precari cacciati nel nulla, agli studenti di un’onda che assomiglia a una risacca, a terremotati per sempre senza più comunità, celebrano vittorie per una fabbrica passata da padrone delle ferriere a padrone delle ferriere. Femministe luxuriazzate celebrano messe cantate alla centralità del discorso di genere e seppelliscono sotto i vapori dei turiboli i milioni di donne abusate, violentate, mercantizzate, escluse, massacrate dai valorosi combattenti contro il velo in Iraq, Palestina, Africa, Asia, Honduras.
Al momento di marciare molti non sanno / che alla loro testa marcia il nemico / La voce che li comanda / è la voce del nemico / e chi parla del nemico / è lui stesso il nemico.
(Bertold Brecht)
L’uomo muore in tutti coloro che restano silenziosi davanti alla tirannia.
(Wole Soyinka)
Il silenzio, dicono, è la voce della complicità. Ma il silenzio e’ impossibile. Il silenzio urla. Il silenzio è un messaggio, proprio come fare niente è un’azione. Fai risuonare chi sei in ogni atto e parola. Diventa quello che sei. Ciò che fai è ciò che sei. Diventa il tuo messaggio. Tu sei il messaggio. Nello spirito di Cavallo Pazzo.
(Leonard Peletier, ergastolano pellerossa)
Cari i miei generosi e pazienti interlocutori. Penso che, a vostro sollievo, da dove mi troverò non sarà facile rifilarvi le mie periodiche intemperanze. Ci risentiremo verso fine mese. Qui, un breve post su eventi che dovrebbero infliggere qualche scrupolo anche ai più pervicaci degli asinelli nel paese della cuccagna.
Non si contano i media da cui sono stato cacciato, o dai quali mi sono allontanato. E’ un rosario di fratture dalle quali, mi auguro, le mie ossa siano uscite via via rafforzate. E l’azione ne abbia guadagnato in limpidezza e verità. Paese Sera, The Middle East, la BBC, la Rai, Liberazione… E ora anche Uruknet. Uruknet è un sito-bollettino quotidiano in inglese che la scarsa anglofonia degli italiani non diffonde all’altezza dei suoi meriti (anche se sporadicamente produce versioni in italiano). In compenso ha centinaia di migliaia di affezionatissimi e grati seguaci all’estero. Non v’è dubbio che sul conflitto mediorientale, con excursus in campi anche lontani dello scontro popoli-imperialismo, sia la fonte più attendibile e ricca, un castigamatti dei bugiardi e falsari. Ne sono stato per molti anni uno dei collaboratori più assidui e, dal rilievo concessomi, mi illudo tra i più apprezzati. Poi su Uruknet si è abbattuta la “rivoluzione verde” di Tehran, vista e accanitamente propagandata anche grazie all’apporto della più astuta e disonesta disinformazione imperiale. Una caduta epocale. La giusta avversione a un governo che ha collaborato con l’imperialismo nel più sanguinario crimine del secolo, lo squartamento dell’Iraq, ha tolto a Uruknet quella lucidità di analisi e valutazione che i suoi gloriosi trascorsi avrebbero dovuto garantire. Siccome Ahmadinejad è stato il co-assassino dell’Iraq, ecco che chiunque si scagli contro di lui è apoditticamente un vindice della libertà, democrazia, giustizia. Anche se ogni evidenza grida al cielo – e Hillary Clinton non si è peritata di ammetterlo – che quei moti dell’alta borghesia iraniana, non certo la liberazione dell’Iraq reclamavano, ma un’alleanza con i devastatori imperiali del pianeta tutto. E questo, giustamente nel momento in cui l’intesa congiunturale Iran-Israele-Usa contro Iraq e arabi era andata sfilacciandosi, sostituendovi la collisione per l’egemonia regionale. L’Iran, in questa prospettiva, è l’unico grande Stato musulmano, l’unico paese tra Atlantico e Oceano Indiano, cui la cupola criminale occidentale non ha saputo sottrarre indipendenza, sovranità, ruolo geopolitico e geostrategico. Un ostacolo colossale nell’avanzata verso la frantumazione complessiva di tutti gli Stati frapposti tra il cannibalismo petrolifero e la strategia maltusiana dell’Occidente, e l’Asia centrale, “cuore del mondo”. Il semplicismo analitico, rafforzato da un approccio più emotivo che scientifico, ha fatto di Uruknet, nel suo sostegno a una sedizione Cia-Mossad, assolutamente identica alle destabilizzazioni imperialiste di molti altri paesi, incompresa nei suoi aspetti di classe, l’imbarazzante, stolto puntello a sinistra della guerra infinita rilanciata da Obama. Uruknet, dando poco peso a considerazioni deontologiche, ha smesso di pubblicare la mia versione opposta degli eventi persiani (e anche tutto il resto), ma ha dato ampio spazio alle visceralmente rancorose e diffamatorie aggressioni personali di una sua malferma collaboratrice. Che mi ha descritto in marcia con i fondamentalisti iraniani, nientemeno, con il turbante in testa. Come quando l’invettiva berlusconiana copre la requisitoria del pubblico ministero. Una bella sintonia di Uruknet e della sua corista verde con Obama, Netaniahu, La Russa e tutti i delinquenti della guerra ai “fondamentalisti islamici”. Quelli della, bene o male, tanto gloriosa quanto unica resistenza di massa ai necrocrati del nuovo colonialismo in quella regione del mondo. Chi ha la cortesia di seguirmi su questo blog non ha bisogno che io sottolinei la portata squallidamente squadrista di tale ritrattino. Bye bye Uruknet. C’è sempre tempo, comunque, per riaggiustare il tiro sul nemico. Quando c’è la buonafede…
Ci hanno martellato le palle e, a ogni residuo singulto di una sedizione borghese fallita, continuano a martellarcele, sulla repressione, sui presunti brogli, sulle atrocità carcerarie, sulle confessioni a priori false dei terminali Cia-Mossad in Iran. Tutti quanti, dal mignolo destro al mignolo sinistro, passando a colpi di traveggole per la capoccia vuota di un’opinione pubblica decerebrata. La solita unanimità corale che impone la musica di chi ha la bacchetta in mano. Tutti d’accordo? Vince la destra. E’ un assioma che la storia dei padroni porta appuntato sul petto. E ora, agli assordanti schiamazzi verdi sull’Iran, ottimo sottofondo ai missili che USraele ogni paio d’ore minaccia di lanciare su quel paese, opponiamo il silenzio che si è esteso sull’ecatombe di Gaza, sulla sadica antropofagia di Israele, sull’olocausto dell’Iraq, sul genocidio afghano (fiancheggiato dal “pio pio, ritiriamo le truppe”, pigolato dagli uni, e dal “però non possiamo abbandonare gli afghani “ dei manifestini alla Sgrena), sulla nuova strategia obamiana di sbranare e triturare il Pakistan nucleare in combutta tra India, Israele e Usa. Ma, soprattutto, ponete il berciare omologo sull’Iran a confronto con la morta gora in cui si avviluppa e occulta l’Honduras. E’ questo l’internazionalismo dei nostri giorni. Delle nostre sinistre.
Mettiamo su un piatto della sbilancia l’accanimento terapeutico sul cadavere della rivolta filo-Usa in Iran e, sull’altro, gli spazi dedicati al colpo di Stato nella più derelitta della “repubbliche delle banane”, base d’intervento per tutte le sanguinarie imprese dell’imperialismo Usa, da Cuba al Nicaragua, da Grenada a Panama , dal Salvador al Guatemala, al golpe dei gorilla fascisti scaturiti dalla base Usa di Palmarola e alla resistenza assolutamente fantastica di tutto un popolo, tolta la lumpenborghesia compradora con i suoi mercenari addestrati nella Scuola delle Americhe. Una resistenza del tutto inaspettata da parte di masse contadine analfabete, represse, sprofondate nella miseria, oggetto da decenni dello sfruttamento più spietato da parte dei vampiri multinazionali, giunta a quasi cento giorni di ininterrotta lotta non armata, segnata da brutalità militari di ogni genere, con un presidente deposto, sequestrato, sbattuto fuori, che, da mite liberale dai buoni sentimenti, si è trasformato, spinto al vento della resistenza, in bandiera dell’emancipazione e della sovranità. L’Honduras, emerso dall’abiezione colonialista e oligarchica a una prodigiosa coscienza e combattività rivoluzionaria, trattato come sempre in passato gli Usa hanno trattato popoli stufi di schiavitù, da Pinochet a Videla, da Somoza a Duvalier, da Batista a Uribe, è un paradigma del nostro tempo in bilico tra planeticidio e liberazione, tra criminalità organizzata, politica, economica, culturale, e giustizia nella libertà. Come Gaza, come l’Iraq, come l’Afghanistan, come la Somalia, con un passo in più grazie alla scintilla sociale e laica che ne ha innescato l’incendio antimperialista e antifascista, scintilla trasvolata dal fuoco di fila rivoluzionario o progressista che avanza dal Cono Sud.
E’ da qui e dalle parallele sette basi militari installate dal guerrafondaio Obama(“Uomo di pace” per l’israelomaniaco Furio Colombo su “Il Fatto”), che si sta scatenando sull’America Latina il revanscismo imperialista e di classe del brigantaggio planetario statunitense. Con tanto di imprescindibile partecipazione israeliana, denunciata dallo stesso Mel Zelaya, con i suoi onnipresenti specialisti degli squadroni della morte ed esperti vuoi delle destabilizzazioni colorate, vuoi della repressione sociale. Ovvio che la classe politica europea dei sottomessi e venduti volti la faccia dall’altra parte, sostenuta nella complicità dai mezzani dei media. Agghiacciante l’ignavia o lo schifiltoso minimalismo con cui le sinistre e i loro comunicatori accompagnano questo ennesimo tentativo imperialista di annichilire un popolo in/risorto e di riequilibrare, a partire da Tegucigalpa, i rapporti di forza tra elites cannibali e resto del mondo, compromessi dall’insorgenza politica latinoamericana.
Per un evento di portata storica e planetaria, dalle ripercussioni infinite e pianificate, scarse e rituali cronache, commenti che si guardano bene dal vedere l’enorme potenzialità di riscatto rivoluzionario manifestato dalle masse in un incredibile maturazione politica, verificatasi in poche settimane. Ponderate analisi che arrivano a simpatizzare con la truffa del “dialogo” affidata da una Washington in difficoltà al pupazzo Usa del Costarica, Oscar Arias, e finalizzata a ricondurre tutto nell’ambito pseudodemocratico di un dominio coloniale affidato da elezioni sotto tutela al mercenariato locale. Unica eccezione, stavolta da innalzare a pietra di paragone di tutte le sinistre in fuga, le cronache e gli interventi sul dramma honduregno del PdCI. Dove sono i cortei, i presidi, le assemblee, le conferenze, le mobilitazioni di qualsiasi genere, gli appelli accorati e indignati della sgomenta intellettualità sinistra? In quale oscuro cunicolo, scampato alla frana dell’opportunismo e dell’autoconservazione, è rannicchiato un residuo di intelligenza politica e di coerenza ideologica?
Sento da mille pizzi microscopiche e ineffettuali organizzazioni di comunisti critici, uniti, dei lavoratori, piattaformali, in movimento, popolari, costituenti, rifondati, vociferare sul proprio primato nella ricostruzione del “Grande Partito Comunista Italiano”. Corrono, sotto l’infuriare di una tempesta imperialista che non avvertono e che tutto condiziona e tutto determina, appresso agli operai sui tetti o sulle gru, ai precari cacciati nel nulla, agli studenti di un’onda che assomiglia a una risacca, a terremotati per sempre senza più comunità, celebrano vittorie per una fabbrica passata da padrone delle ferriere a padrone delle ferriere. Femministe luxuriazzate celebrano messe cantate alla centralità del discorso di genere e seppelliscono sotto i vapori dei turiboli i milioni di donne abusate, violentate, mercantizzate, escluse, massacrate dai valorosi combattenti contro il velo in Iraq, Palestina, Africa, Asia, Honduras.
Battaglie condivisibili? Certo, perlomeno quelle che si pongono l’obiettivo di un frammento di giustizia sociale. Ma battaglie inesorabilmente sterili quando a guardare il bosco non si vedono che singoli alberi. Quando non si vogliono riconoscere i propri alleati, la trincea, lunga quanto il mondo, nella quale inserire, a fianco dello schiavo bananiero honduregno, l’operaio della gru e la sua rivendicazione di lavoro e dignità. C’è più sinistra nel più pio dei Taliban, nel più rigoroso militante di Hamas, nel pirata o Shahaab somalo, nel più saddamita o islamico dei guerriglieri iracheni, in ogni singolo campesino, studente, o sottoproletario honduregno che da 100 giorni marcia contro fascismo e imperialismo. C’è più sinistra, forse l’unica rimastaci, in chi a Vicenza ancora capisce di Nato e di base di controllo assoluto e di sterminio. Con il golpista Micheletti, detto Gorilletti e Pinochetti dagli scamiciati dei barrios e del campo, è partita l’operazione roll-back Usa nei confronti di un continente che ha proiettato sullo schermo del futuro una nuova società, una nuova umanità, per una nuova via rivoluzionaria E’ la vecchia talpa che ha scavato, si è moltiplicata e sta fuoruscendo al sole in America Latina e di qua e di là nel mondo. Lasciandosi dietro lombrichi senza luce a masticare terreni irranciditi da crittogamici scaduti.
Golpe pinochettista e stadio d’assedio in Honduras, la Colombia dell’indispensabile narcoprofitto trasformata in piattaforma d’assalto a Venezuela e Ecuador, innesco di sedizioni reazionarie etniche in Ecuador e Bolivia, attivazione della IV Flotta Usa nelle acque del continente, tambureggianti invenzioni mediatiche e Cia di un “terrorismo islamico” scaturito nelle regioni delle risorse ambite (Amazzonia, Aquifero Guarany della triplice Frontiera, petrolio venezuelano, gas boliviano). L’uomo del change sta davvero compiendo un cambio. Non quello attribuitogli da corifei e gonzi. Si riparte da Pinochet e dall’Operazione Condor. Punto di partenza, oggi, Tegucigalpa. Punto d’arrivo? Credo che lo stabiliranno le masse latinoamericane e le altre che, non importa dove, si alzano in piedi e bruciano le maledette bandiere. Loro sanno che stanno in trincea con noi. Ma noi? L’alternativa è tra un mondo dove mille torri gemelle vengono scagliate sulle parti spendibili dell’ umanità e il bunker sotto la cancelleria di Berlino. E Norimberga. Norimberga non gestita dai vittoriosi tra i criminali. Norimberga degli esclusi, dei popoli.
Golpe pinochettista e stadio d’assedio in Honduras, la Colombia dell’indispensabile narcoprofitto trasformata in piattaforma d’assalto a Venezuela e Ecuador, innesco di sedizioni reazionarie etniche in Ecuador e Bolivia, attivazione della IV Flotta Usa nelle acque del continente, tambureggianti invenzioni mediatiche e Cia di un “terrorismo islamico” scaturito nelle regioni delle risorse ambite (Amazzonia, Aquifero Guarany della triplice Frontiera, petrolio venezuelano, gas boliviano). L’uomo del change sta davvero compiendo un cambio. Non quello attribuitogli da corifei e gonzi. Si riparte da Pinochet e dall’Operazione Condor. Punto di partenza, oggi, Tegucigalpa. Punto d’arrivo? Credo che lo stabiliranno le masse latinoamericane e le altre che, non importa dove, si alzano in piedi e bruciano le maledette bandiere. Loro sanno che stanno in trincea con noi. Ma noi? L’alternativa è tra un mondo dove mille torri gemelle vengono scagliate sulle parti spendibili dell’ umanità e il bunker sotto la cancelleria di Berlino. E Norimberga. Norimberga non gestita dai vittoriosi tra i criminali. Norimberga degli esclusi, dei popoli.
13 commenti:
Opportunismo e autoconservazione: in due parole il grande Furio definisce e liquida la sedicente sinistra italiana.
Bello anche il passaggio sul mondo in bilico tra planeticidio e liberazione, sintetizza perfettamente la fase storica attuale.
Intanto lo zio Tom di Washington oggi becca un razzo dritto in c**o: le Olimpiadi 2016 vengono assegnate a Rio de Janeiro e non alla natia (di lui) Chicago. Oltre che possibile pietra tombale sulle ambizioni del mandato presidenziale obamiano, auspichiamo che questo sia un segnale forte del destino per il futuro prossimo.
Cmq: "Colombia says 'no' to US bases"
http://iraqwar.mirror-world.ru/article/207311
Mi dispiace di quello che ti è accaduto; l'evento è ancora una volta da ricondurre alla totale disintegrazione del pensiero e delle capacità di analisi del c.d. "popolo di sinistra". Non è inutile ricordare ancora una volta come sia prioritario affrontare la questione dell'influenza dei mass media borghesi, che ormai sono arrivati a imporre non solo visioni deliranti della realtà, ma persino le parole d'ordine ("rivoluzione verde"). I padroni del mondo hanno da tempo capito che per stemperare in anticipo le rivolte di classe, coscienziose e organizzate, bisogna offrire alle masse, nel senso bieco del termine, delle valvole di sfogo pseudo rivoluzionarie e riescono a centrare l'obiettivo, perchè queste pseudorivoluzioni sono in parte accomodanti, ci lusingano nella nostra superiore civiltà (illuminismo, diritti umani, ecc.), non ci mettono troppo in discussione, ci fanno apprezzare la nobiltà del "pensiero libero borghese", allontanandoci dall'unico obiettivo di lotta e progresso dell'umanità, l'unione dei lavoratori e di tutti i popoli. Resisti Fulvio.
Daniele
Conosco Uruknet ma non sapevo della sua presa di posizione nei riguardi della cosiddetta "rivoluzione verde", e sinceramente sono allibita. Era a dir poco palese l'intervento della CIA, che fra l'altro ha semplicemente seguito schemi triti e ritriti, e mi riesce davvero difficile pensare che a Uruknet nessuno l'abbia capito.
Uruknet ha un grave difetto, l'eccessiva eticità nell'analisi politica.
Solo perché il governo iraniano ha assistito gli Yankees nello squartamento del vicino Iraq, non significa che non sia anche anti imperialista. Solo perché ha ucciso, stuprato e perseguitato tanti iracheni, non significa che non sia anche un faro di giustizia e uguaglianza per i popoli oppressi. Solo perché coopta gli sciiti dei paesi arabi e fomenta conflitti settari, non significa che non sia anche un amico della causa araba. Solo perché pratica un capitalismo sfrenato, non significa che non sia anche un modello per i proletari di tutto il mondo. Solo perché uno è nero, non significa che non sia anche bianco.
In verità, quelli di Uruknet dovrebbero imparare il relativismo etico ed essere più sofisticati e machiavellici nella loro analisi politica, altro che sentimentalismi umanistici.
L'Iran un faro di uguaglianza e giustizia per i popoli oppressi? Ma andate a lavorare.
ma sei proprio sicuro che ci siano solo i borghesi dietro alle proteste di piazza in Iran? Ci saranno sicuramente state delle manipolazioni, ma mi sembra evidente che molti iraniani non ne possono più di Ahmadinejad & C e che è un po' riduttivo classificare la situazione iraniana come un tentativo della borghesia benestante di conservare o rinnovare i propri privilegi.
Caro Fulvio, io leggo spesso i tuoi articoli e ti considero uno dei giornalisti più onesti e competenti che ci siano in giro e soprattutto non hai paura di dire le cose come stanno a differenza di tanti tuoi pseudo-colleghi. Ma devo purtroppo dirti che nel caso dell'Iran hai preso un bel granchio e da come ne parli temo che tu non abbia mai visitato questo paese. Essendoci stato di persona posso smentire sia le frottole sparate dai media occidentali sia le tue lodi a questo paese sicuramente non meritate. Infatti non riesco a capire come fa a considerare l'Iran un bastione dell'anti-imperialismo e della causa araba, niente di più inesatto!
Gli iraniani, o almeno la maggioranza di essi, sono fortemente razzisti nei confronti degli arabi. Ci sono svariati insulti, barzellette e improperi dedicati agli arabi e non è certo l' "alta borghesia" di Tehran ad emanarli, ma il popolo.
Per farti un esempio, il razzismo ( non so come altro chiamarlo ) che c'è in Iran nei confonti degli arabi è pari a quello che c'è in Italia nei confronti dei rom.
Alla gente comune non gliene frega niente della Palestina e di Israele, chi ha i soldi pensa a farsi l'ultimo vestito alla moda e chi non ce l'ha pensa a come tirare la carretta, il medio oriente è l'ultimo dei loro problemi. Le vetrine dei negozi sono piene zeppe di prodotti occidentali, il traffico è spaventoso e l'inquinamento atmosferico è alle stelle, a volte talmente alto che non si può uscire di casa. Sorvolo sulla condizione delle donne perché ci si potrebbe scrivere un libro. Ahmadinejad è un pupazzo che non ha nemmeno tutto questo potere come vogliono farci credere, visto che in Iran è tutto in mano ai preti. Le elezioni le ha probabilmente vinte lui davvero, ma non è per niente esatto dire che il popolo è con lui e la borghesia contro. I venditori di frutta che ho incontrato non erano certo simpatizzanti di Ahmadinejad. Mi hanno detto pure che il nord dell'Iran che è molto povero è prevalentemente abitato da turchi che detestano a morte il presidente. Quindi il quadro che hai fatto per la prima volta non corrisponde alla realtà, questo lo dico senza togliere nulla ai tuoi articoli sul medio-oriente.
A proposito del "granchio" attribuitomi da un gentile e competente interlocutore. Ho l'impressione che abbia letto un altro articolo, dato che non mi riconosco in nulla di quanto mi ha attribuito, mentre mi riconosco in molto di quanto lui attribuisce all'Iran. Intanto faccio presente che in quel paese ci sono stato ripetute volte. Nego di averne mai fatto le lodi e di averlo descritto come un bastione della causa araba. Anzi, in innumerevoli scritti, libri, articoli, videodocumentari, ne ho descritto la costante anti-araba, che data da millenni e ha assunto massima virulenza con l'assalto e lo squartamento del nobilissimo Iraq. Ho sottolineato la strumentalità dell'ergersi persiano a difensore degli arabi contro Israele e gli Usa, finalizzato unicamente all'egemonia iraniana e scita sulla resistenza antimperialista araba. D'altro canto non vedere che oggi, dopo lunghi episodi di connivenza, l'Iran si trova in una situazione di collusione con l'imperialismo USraeliano per l'egemonia della regione e che difende, ultimo grande paese musulmano non dominato o corrotto dagli USA, la sua sovranità, indipendenza e anche il suo subimperialismo. vuol dire non comprendere bene la geopolitica dell'area. Un'ultima osservazione, se Ahmadinejad ha vinto le elezioni, come le ha vinte, vuol dire che la maggioranza proletaria del paese sta con lui, a ragione o a torto. Non mi piace poi un granche' il termine generalizzante "gente comune". Non è una categoria politica. Ho incontrato moltissimi giovani in buonafede a cui della Palestina e dell'imperialismo gliene fregava assai.Comunque ringrazio della generosa attenzione.
Fulvio
giochi a mani basse... brutto.
Ho parlato con i miei amici iraniani, piuttosto disillusi su quanto sta avvenendo, che mi confermano nell'idea che di conflitto interno al regime si tratti. Più libertà e benessere non rappresentano una piattaforma politica: il regime non é messo in discussione perché garantisce l'indipendenza e, se vuole, sa essere tollerante con i vizi privati. I verdi vogliono riformarlo, non abbatterlo. Concordo con l'analisi di Fulvio e sospetto ci sia un po' di "razzismo" in quella di Uruknet.
Gent. Grimaldi, anche oggi, 25/10 attentati furiosi in Iraq, la conta macabra stima 150 persone, per ora.
Ma ad "opera" di chi sono, queste carneficine? Parli di resistenza iraqena, ma io vedo solo decine di attentati che ammazzano il popolo; tutti compiuti da USraeliani-iraniani destabilizzatori? e di che? La Grande Spartizione non è già avvenuta? Inutile ricordare che i combattenti partigiani, di ogni paese, dall'Italia al Vietnam al Mozambico all'Uruguay, attaccavano il nemico-invasore-occupante, non facevano stragi nei mercati. Aiutami a capire.
Grazie e buon lavoro.
Edoardo
Rispondo a Edoardo.
Bisogna distinguere e soprattutto non bisogna credere a una parola dei media ufficiali e sinistri. La Resistenza irachena ha preso più volte le distanze dai massacri di civili nei mercati e alle moschee e si è impegnata a evitarli sempre. Sa benissimo che è la condizione per il vitale appoggio popolare. Quando gli attacchi sono contro le roccaforti dell'occupante o dei suoi fantocci, si deve presumere che siano della Resistenza. Tutti gli altri sono apocrifi. Specie quando, attribuiti all'inesistente Al Qaida, sono opera di Mossad, Cia e rivali interni di Al Maliki. Negli ultimi mesi la Resistenza, scomparsi gli Usa dalle strade, ha concentrato i suoi attacchi quotidiani contro le forze militari e poliziesche del regime fantoccio e contro i collaborazionisti in genere. Gli attacchi contro i Ministeri nella ultraprotetta Zona Verde sono con ogni probabilità della Resistenza, dimostratasi sempre più forte. Quando i media parlano di stragi di civili, perlopiù si tratta di poliziotti o soldati del regime e di funzionari collaborazionisti (come lo sono tutti quelli che lavorano nella Zona Verde, costantemente avvertiti dalla Resistenza di non collaborare col nemico, se non a proprio rischio).
Fulvio
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