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A questo sito si trova un'intervista fattami da Stefano Zecchinelli che ha anche recensito con profondità, lucidità e competenza il mio ultimo libro "Un Sessantotto lungo una vita". Parliamo di temi di rilievo attuale e anche storico.
(1) Il tuo libro, Un sessantotto lungo una vita, contiene una forte critica marxista
al Partito comunista italiano i quali
burocrati ‘’facevano da cani da guardia
al capitale’’. L’opportunismo interno del PCI quali ripercussioni ha avuto nei confronti dell’internazionalismo rivoluzionario? Mi
spiego meglio: come si poneva il PCI
nei confronti delle lotte di liberazione nazionale da te seguite in prima
persona? In che modo si poneva il Partito
comunista italiano nei confronti della Resistenza palestinese?
Parto
da un’esperienza personale. Nel giugno del
1967, mentre ero alla BBC e corrispondente di Paese Sera a Londra, il
quotidiano romano vicino al PCI (suo editore) mi spedisce alla guerra dei Sei
Giorni in Palestina. In linea con il partito e con Mosca, fautori della
creazione di Israele, il giornale diretto dall’ebreo (per quanto questo non
debba necessariamente significare niente) Fausto Coen sosteneva il diritto del
ritorno degli ebrei “nella loro terra storica” e la costituzione di un loro
Stato secondo i deliberati per la
spartizione dell’ONU nel 1948. Alla vista di quanto succedeva nel corso della
guerra e subito dopo, l’assalto oltreché a Gaza tenuta dall’Egitto, ma l’avanzata
nei territori palestinesi, iniquamente ridotti rispetto alla già diseguale
suddivisione dell’ONU, con la brutale cacciata degli abitanti, la distruzione
di città e villaggi, l’occupazione illegittima di Golan e Sinai, il trattamento
durissimo dei prigionieri arabi, l’oppressione feroce degli abitanti nelle zone
occupate, i miei reportage, per quanto “ripuliti” dalla censura militare,
andavano in netta contrapposizione con la linea fino allora seguita da partito
e giornale. Ma furono pubblicati e indussero un profondo ripensamento che
arrivò addirittura al cambio di direttore, dal recalcitrante Coen al disponibile
Giorgio Cingoli (pure lui ebreo).
Chiaramente
il ripensamento, che portò poi il PCI a barcamenarsi faticosamente tra “diritto
di Israele a esistere” e diritto dei palestinesi a resistere, non poteva essere
solo frutto dei miei servizi (che, tra l’altro, mi costarono l’espulsione
dall’”unica democrazia del Medioriente”), ma fu determinato da un forte
dibattito ai vertici e soprattutto alla base del partito e, inevitabilmente,
alla luce del rapporto con Mosca a quei tempi, dalla scelta sovietica di
sostenere il movimento nazionale panarabo, a sua volta a fianco della
resistenza palestinese.
In
ogni modo l’internazionalismo del PCI è continuato a dipendere sia dagli
equilibri interni, con la componente “migliorista” di Amendola e Napolitano
pencolante verso Occidente e Israele, sia dalle giravolte del PCUS nel quadro
degli equilibri tra la spartizione delle sfere d’influenza di Yalta e la
necessità di garantirsi posizioni di forza geopolitiche. Ne derivava una linea
flessuosa, tra appoggi decisi come nelle guerre di Indocina e arretramenti,
tipo il cedimento sui missili a Cuba. Mentre sulla Palestina ci si baloccava
con l’auspicio di negoziati di pace (poi Oslo) e nella speranza che una
resistenza palestinese non violenta convincesse Israele ad accettare i
famigerati due Stati.
(2) Nel libro viene descritta la Domenica di sangue, un feroce massacro
per mano dei paramilitari inglesi nei confronti di pacifici dimostranti
irlandesi. Sulla base della tua esperienza e delle molteplici documentazioni
che hai raccolto, cosa resta, oggigiorno, della Resistenza antimperialistica
dell’Ira? Intravedi alcuni
parallelismi fra i fasulli Accordi di pace, stipulati dall’Ira col governo inglese nel 1998, e l’ambigua pacificazione
colombiana?
A mio parere, in entrambi i casi si
tratta di accordi a perdere che non hanno dato soddisfazione alle istanze di
liberazione e giustizia e hanno avviato le vicende sul binario morto di una
finta normalizzazione, di soddisfazione per i vertici di entrambe le parti.
Difficile dire cosa rimanga oggi della resistenza anticolonialista e
antimperialista dell’IRA. Gli accordi di pace del Venerdì Santo firmati da
Gerry Adams e Martin McGuinness, entrambi ai vertici dell’Ira negli anni ‘70 e
’80, hanno imposto il disarmo dell’IRA, realizzato, come non lo fu quello delle formazioni
unioniste, lasciando nella popolazione repubblicana, ormai non più minoranza
nelle Sei contee, ma vicino al 50%, fortemente provata da trent’anni di lotte,
perdite e devastazioni, stanchezza, delusione, ma anche rassegnazione.
Mie recenti visite in Nordirlanda, per
testimoniare alle varie inchieste sulla strage di Bloody Sunday, confermano sia
questa situazione di arretramento, ma anche la perdurante aggressività degli
unionisti, con continue incursioni tra la popolazione repubblicana. Rimane
intatto il divario ideologico e politico
e la totale incomunicabilità tra le due comunità. Il governo provinciale di
unità nazionale, imposto da Londra dopo gli accordi, con la paradossale
coabitazione tra l’estrema destra unionista di Paisley e lo Sinn Fein di Adams,
non ha portato che un marginale riscatto economico-sociale alla da sempre
discriminata comunità repubblicana cattolica. Alla resa dell’IRA hanno reagito
alcune componenti dell’organizzazione, Real IRA, Continuity IRA, con sporadiche
operazioni contro esponenti dell’amministrazione della sicurezza, ma è
difficile rilevarne la consistenza in termini di adesione popolare.
In questa luce i parallelismi con la
soluzione del conflitto colombiano e l’analoga rinuncia alla lotta armata di
popolo in Colombia risultano abbastanza chiari. Se da questi processi, in
ultima analisi governati dalle forze della normalizzazione reazionaria e finiti
a loro vantaggio, basti vedere la debacle elettorali delle FARC nelle condizioni
impossibili date, possano venire cambiamenti in direzione emancipatrice resta altamente
dubbio. La Storia direbbe il contrario.
(3) Tu hai documentato, con grande rigore
metodologico, la liberazione dell’Eritrea, ex colonia italiana, dalla morsa
dell’imperialismo occidentale. Nel libro fai giustamente riferimento al –
vergognoso – sostegno sovietico nei confronti del colonialismo etiopico.
Secondo te, per quale ragione l’Unione Sovietica ha sovrapposto gli interessi
nazionali alla solidarietà antimperialistica tanto cara Lenin, Fidel Castro e
molti altri rivoluzionari? La politica dei Partiti comunisti europei in che
misura è stata condizionata dal ‘’revisionismo’’ sovietico?
Oltre a non avere di solito favorito
secessionismi, dei quali poteva temere il contagio nell’Unione, l’URSS ha visto
nella defenestrazione del fantoccio occidentale Haile Selassie un’occasione
senza precedenti per allargare la sua influenza in Africa, oltre Tanzania,
Angola, Algeria, Libia ed Egitto. Troppo appetitosa era la prospettiva di
mettere piede in una delle zone geopoliticamente più strategiche del mondo, il
Corno d’Africa, lo stretto di Bab el Mandeb, il Mar Rosso, il Golfo Persico,
l’Oceano Indiano, da dove passano gran parte degli scambi mondiali, in
particolare di petrolio, tra Est e Ovest e Nord e Sud. Le forze rivoluzionarie
si sono a lungo illuse che nella politica estera dell’URSS potessero prevalere
ragioni etiche e ideali. Nella realtà ha sempre prevalso, non del tutto
irragionevolmente, il pragmatismo della realpolitik.
Quanto ai partiti comunisti europei,
raramente si potevano notare divergenze da quanto indicava la casa madre. Al
più veniva lasciato qualche spazio a una pubblicistica non direttamente
emanazione dei partiti, fiancheggiatrice. Ne fu un esempio in Italia il bel
settimanale “Giorni-Vie Nuove”, una specie di Espresso rosso, nel quale a me
era consentito pubblicare i reportage sulla lotte di liberazione eritrea,
palestinese, nordirlandese.
(4) Tu ha hai giustamente definito
‘’sociocida’’ e ‘’nazionicida’’ l’’’operazione migranti’’ la quale è stata
pianificata dalle fazioni ‘’liberal’’, ben analizzate nei tuoi articoli,
dell’imperialismo USA. Pensi che l’ideologia immigrazionista debba essere
inquadrata come l’altra faccia del colonialismo occidentale? Secondo te, quale
rapporto intercorre fra l’’’operazione migranti’’ e la fine delle lotte di
liberazione nazionale, la decolonizzazione radicale che per noi è l’unico antirazzismo
reale?
Permettimi qui di rispondere con un
brano dalla seconda edizione del mio libro “Un Sessantotto lungo una vita”. Tre
sono le grandi operazioni con cui la cupola finanzcapitalista persegue nel
terzo millennio il dominio totalitario politico, militare, economico e
culturale sull’umanità. Lo Stato unico della sorveglianza e del controllo senza
spiragli o crepe. Hanno tutte origine nel cosiddetto riflusso degli anni ’80
del Novecento, risposta all’onda insurrezionale del decennio precedente e
prodromo dell’offensiva scatenata vent’anni dopo, a partire dalla
“normalizzazione-passivizzazione” delle coscienze e dei saperi con gli
strumenti hi-tech degli apprendisti stregoni di Silicon Valley. La diffusione
della droga per la guerra alla droga; la diffusione del terrorismo per la
guerra al terrorismo; la migrazione di massa finalizzata a un unico superstato
che persegue la distruzione di ogni statualità attraverso la creazione di
masse, estratte dal proprio contesto storico, omologate dall’abbandono, dalla
disperazione, dalla perdita di anima e nome collettivi e da un destino di
subalternità irrimediabile.
Strategia di distruzione dei diritti
umani (intesi come libertà, riservatezza, lavoro, autonomia, rapporti sociali),
se va bene sostituiti da diritti detti civili (perlopiù intesi come superamento
di quelli biologici) e dal diritto di muovere guerra e distruzione a chi si
pretende di accusare di violazione dei diritti umani. In ogni caso gli effetti
collaterali, ovviamente voluti, sono spopolamento, impoverimento generale,
rafforzamento di un élite finanziaria sovranazionale, familistica,
eminentemente anglosassone. Attraverso l’accumulo di ricchezze, impensabili nel
quadro della vecchia lotta di classe e
con gli strumenti tecnologici di cui mantiene il monopolio, si assicura una
concentrazione di potere senza precedenti nella storia della vita su questo
pianeta.
Che questo processo abbia potuto
avanzare senza incontrare grandi ostacoli, almeno nello spazio occidentale, è
dovuto anche al supporto, fino alla complicità esplicita, di soggetti,
formazioni, giornali che si qualificano di sinistra. Un fiancheggiamento in
parte pienamente consapevole, in parte inconsapevole, dovuto alla
sclerotizzazione della propria visione dei rapporti di classe, alla mancata
comprensione dei mutamenti radicali avvenuti, alla decerebrazione indotta dalla
propaganda dei dominanti. Molto ci è rivelato da come le varie parti in
commedia hanno affrontato il fenomeno delle migrazioni, senza mai indagarne
l’origine e la strategia colonialista che le innesca e che punta a privare
paesi dalle risorse predabili delle energie giovanili che ne garantissero il
controllo e lo sviluppo e, al tempo stesso, con il dumping sociale nei paesi
d’arrivo, abbassassero condizioni e pretese degli autoctoni, promuovendo
ulteriori trasferimenti di ricchezza dal basso verso l’alto.
5)
Nel
libro dai un giudizio positivo sulle lotte riguardanti l’emancipazione
sessuale, un sacrosanto movimento di protesta contro il conformismo cattolico
del padronato democristiano. Come mai quelle legittime rivendicazioni, decenni
dopo, sono state strumentalizzate e stravolte dalle lobby lgbt? La (falsa)sinistra, tanto nella ‘’operazione migranti’’
quanto nell’avvallare le lobby pro-‘’gay
americanizzati’’, in che misura s’è resa complice del lobbismo atlantico?
Mi sembra che sia proprio la questione
del cosiddetto “gender” o “transgender” a rivelare l’estensione e la profondità
della complicità tra quanto si pretende di sinistra e quanto esprime strategia
ed obiettivi dell’élite restauratrice mondialista. L’operazione di
valorizzazione LGBT, a implicito discapito dell’eterosessualità e della
famiglia come basilare unità sociale e produttrice di vita, dovrebbe essere
vista accanto all’altra campagna martellante in cui agiscono di conserva forze
dell’establishment finanzcapitalista e sedicenti sinistre nel nome dei
cosiddetti “diritti civili”, quella dell’esaltazione delle donne, “a
prescindere” e della demonizzazione del maschio, a prescindere. Come effetto,
collaterale, ma di notevole portata, l’enfasi sui diritti civili – matrimoni
gay, famiglie unisex, stepchild adoption, anche jus soli – relega nell’ombra i
diritti sociali e il principio di eguaglianza. Quello che era un segno del
progresso umano, la conquista di diritti per i subordinati e sottoprivilegiati,
uniti nella lotta oltre le differenze di genere, etniche, confessionali,
nazionali, viene sostituito dalla palingenesi attribuita alle donne in posizione
di potere, lasciando intatta la struttura di tale potere e il suo rapporto con
la società. L’ossessivo slogan di “una donna primo presidente degli Stati
Uniti”, che era la linea di forza della candidatura di Hiillary Clinton, una
donna peraltro agghiacciante, ne erano l’esemplificazione.
Nel tempo del più brutale assalto
della minoranza elitista al resto dell’umanità, del più feroce trasferimento di
ricchezza dal 99% all’1%, della catastrofe ecologica perseguita con crescente
accanimento e incoscienza, l’innesco di una guerra tra uomini e donne realizza una
formidabile arma di distrazione di massa e il principale, tra i tanti,
soprattutto hi-tech, strumento di frantumazione della coesione sociale.
Premessa per la dispersione di ogni opzione di alternativa e opposizione. Non
solo, l’intesa felice che tra donne e uomini aveva realizzato la liberazione
sessuale, annichilendo millenni di repressione e contrapposizione imposti
tramite ipocrisia, tabù, sensi di colpa, finzione, menzogna, aveva già iniziato
a corrodersi e intossicarsi di sospetti con la mega-operazione dell’Aids. Una
malattia negata da un numero di Premi Nobel della medicina e che ha prodotto il
picco della mortalità a causa di un farmaco distruttore delle difese
immunitarie, l’AZT con cui sono stati trattati 300 milioni di pazienti e che ha
portato nelle casse della Glaxo-Wellcome 3000 miliardi di lire l’anno, Visto
che quasi tutti i trattati con questo farmaco morivano, dal 1996, dopo 15 anni
di utilizzo su vasta scala, è stato ritirato, avendo ormai causato un efficace sfoltimento
umano e un’ efficace paranoia nei rapporti tra i sessi.
Ma temo che l’obiettivo centrale abbia
una terrificante connotazione maltusiana ed eugenetica. Guerra tra i sessi,
rendere di tendenza e centrale nei temi di comunicazione, spettacolo, arti e
letteratura comportamenti e strutture associative che abbiano come
esito la sterilità della specie non corrisponde a un intento di ridurre
drasticamente la dimensione della presenza umana sul pianeta, di sbarazzarsi di
popolazioni giudicate parassitarie e in eccesso? Si ritiene forse che la via a
un potere totalitario dei pochissimi, a un’economia che non debba più tener
conto di elevati numeri di deboli e bisognosi, a un ambiente in cui la
riduzione dei consumi, limitata a quelli di lusso, rimetta in carreggiata
l’ecosistema, venga spianata dall’eliminazione di popolazioni con tali metodi,
oltreché con guerre, terrorismi, droga, farmacopea, fame, sete?
1 commento:
Video interessante, parla di questioni note ai più attenti ma credo che sia sempre utile ricordare chi siano certi "medici umanitari".
https://www.youtube.com/watch?v=79gAGGpVvuw
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