Lerner: rom sì, palestinesi no
Torniamo alle recenti assemblee della sinistra extraparlamentare, torniamo alla trasmissione “L’infedele” (rispetto a Lotta Continua?) di Gad Lerner, torniamo all’11 settembre.
Lunedì sera riprende la trasmissione di Gad Lerner, punta di diamante della lobby ebraica veltronista, un ossimoro ambulante che si indigna fino al rossore per i pogrom anti-Rom in Italia e, capovoltosi come un fante di fiori, nega perfino un’alzata di ciglio al genocidio dei palestinesi. Sarà infedele ai principi che coltivava nei suoi vent’anni della sovversione internazionalista, Gad, ma perbacco se non è rimasto fedele alla sua immagine di carta da gioco bifronte. Eravamo insieme a Lotta Continua, io direttore responsabile del quotidiano e inviato nei paesi dove c’era aria di conflitto contro i padroni, lui enfant prodige della rivoluzione, collocato nel taschino sinistro di Adriano Sofri (oggi al “Foglio” e al comando di bombardieri USraeliani). Con Gad e con Luca Zevi (nientemeno, oggi capo della Comunità ebraica) ne abbiamo organizzati di cortei per la Palestina. Io, che ero reduce dalle guerre di quel paese e Gad e Luca che erano consanguinei pentiti degli invasori, marciavamo nelle prime file, reggevamo striscioni con “Israele boia” , sventolavamo vessilli palestinesi, gridavamo “Fe-fe-fedayin” e “Palestina vince perché spara”. Poi, una volta, capitai a casa di Gad a Milano. Entrando toccava scartare per evitare una sporgenza: un abbagliante salvadanaio a strisce bianche e azzurre attaccato alla parete. La scritta al centro imponeva: “Offerte per far vivere Israele”. Da poco, con la guerra dei sei giorni, avevo visto gli espansionisti della “Grande Israele” divorare quel che restava della Palestina mutilata. Da poco il burattino di USraele, Hussein di Giordania, aveva fatto terra bruciata dei campi palestinesi in Giordania, con l’effetto collaterale di 20mila ammazzati. Da lì a qualche mese Israele sarebbe ripiombato addosso a tutti i paesi arabi confinanti: “Israele dal Nilo all’Eufrate”. Insomma, uno che passa da Lotta Continua al PD può fare queste acrobazie e peggio.
Un mondo tavalorizzato
“L’infedele” di lunedì scorso aveva un titolo trendy: “Security”, per noi trogloditi “Sicurezza”. Quella che un tempo significava sicuri del lavoro, sicuri della casa, sicuri della salute, sicuri del futuro, della vecchiaia, dell’acqua, della pace, di un’istruzione non gelminocastrante (avete sentito la consorella delle sette spade, Carfagna, proclamarsi "inorridita dalla vendita del proprio corpo di donna”? In successione sono comparsi sullo schermo Berlusconi con “mi fa orrore chi dice bugie e si tinge i capelli”, Cuffaro con “combatterò la mafia fino al’ultimo dei miei giorni”, D’Alema con “Mai conosciuto Colannino” e Veltroni con “Tra noi e Forza Italia c’è la differenza del giorno dalla notte”).
Si parlava dello scandalo intercettazioni Telecom-Sismi-investigator privati. Uno strafottente Giuliano Tavaroli (quello sotto inchiesta per aver spiato e dosseriato, insieme al capoccia Sismi Marco Mancini e alcuni spioni privati, mezza Italia) non rispondeva neanche a una delle domande dei suoi interlocutori e delle sue vittime: segreto istruttorio! Ma questo era un punto classicamente italiota, craxista, berlusconista. Il punto importante era che questa banda di cialtroni e ricattatori era la diramazione italiana di un sistema di “sicurezza” globale, partorito e padrinato dagli Usa e che non significa più casa o lavoro, ma videoriprese di ogni tuo respiro ovunque, teleascolto di ogni tuo borbottio con estrazione delle parole “eversive”, più polizia per cittadino di qualsiasi altro paese europeo, carcere ed espulsioni per chi differisce, militari sotto casa, fucilieri senza sicura agli impianti dei rifiuti, vigilantes che ti tagliano l’acqua se non paghi il vampiro privato e poi Diaz, Bolzaneto, Napoli, Chiaiano, identificazioni e perquisizioni come se piovesse e Al Qaida dappertutto. Abbiamo anche appreso che la “sicurezza” si è privatizzata a tal punto che Benetton, uno che nelle sue autostrade strangola gli automobilisti, dai suoi campi argentini elimina gli indigeni mapuche, nei sottoscala del Veneto faceva schiattare donne su telai per magliette cretine, può vantare un’armata privata di 7mila bravi. Lotito, nero padrone della Lazio, armeggia più sotto: 1.500 scherani armati. E’ la sicurezza, bellezza. A parlare corretto si chiama “sorveglianza”, “controllo sociale”, Stato di polizia. Se l’Europa, l’Occidente sono una fortezza contro quelli là fuori, anche i valvassori e valvassini devono avere fortini ed eserciti. I “contractor” Blackwater della Halliburton di Cheney e i duemila gorilla attorno ai quattro tromboni dei nostri poteri insegnano
Security o morte
La discussione all’”Infedele” rischiava di finire su binari sbagliati. Stava emergendo dalla tavarolizzazione del mondo occidentale, democratico, la realtà agghiacciante di una cittadinanza di sudditi spappolata in tutte le sue parti negli schedari di mille polizie culturalmente pronte alla delazione, al ricatto, al sospetto, a repressione, sevizie e alalà, come si vede dietro a ogni manganello. Ma provvidamente è balzata sul proscenio la parola-miracolo: 11 settembre. Ovviamente quello di 7 anni fa. Mica quello dell’esecuzione di Allende e del Cile, mica quello attuale del massacro di osseti da parte del farabutto Bushkashvili, o quello dei 90 civili (60 donne e il resto bambini) inceneriti dagli Usa in Afghanistan (da dove, sul “manifesto”, l’onesto Emanuele Giordana della dirittumanista “Lettera 22”, rimpicciolisce a 120 le centinaia di civili assassinati dall’occupante in una settimana), e neanche quello delle due bambine palestinesi arrestate e sbattute davanti a un tribunale militare, o dei pescatori palestinesi morti di fame, fatti bersaglio ai tiri della marina più democratica del mondo. Sono solo 11 settembre di effetti collaterali. Invece l’11 settembre delle Torri Gemelle, quello sì, quello del Pentagono, dell’ “America under attack”, dell’innesco alla “guerra infinita”, della lotta mortale al “terrorismo islamico” piano piano fatto epitome di sei miliardi di potenziali terroristi nel mondo. Trionfo di Tavaroli e dei parrucconi accademici che gli facevano da ghirlanda. E generale muggito di consenso da tutta la compagnia. E sì, come si fa a negare che con le Torri Gemelle e Osama ancora in giro e che sparge cloni fin tra i palestinesi, la “Sikurezza”, quella sikurezza, non è proprio evitabile. Pazienza per la privacy, la libertà. Meglio uno sgherro in casa, che un terrorista alla porta.
Qui casca l’asino. Come è facile constatare tutto, alla fin fine, è costruito sulle macerie e sulle vittime di Torri Gemelle, Pentagono e varie carneficine successive: le catene che ci mettono lavoro, nonlavoro e paralavoro, le manette virtuali e poi reali che ci trasciniamo ai polsi e alle sinapsi da quando entriamo in un’elementare di Berlinguer-Moratti-Gelmini, da quando veniamo nazificati dai videogiochi del “più morti ammazzati-più punti” ("capolavori" per il delirante "manifsto"), fino a quando sperimentiamo l’ebbrezza della tortura in qualche caserma, o veniamo presi di peso, perché sospetti, o islamici, sbattuti su un aereo Cia e infilati in un qualche divertimentificio carcerario in Egitto o a Guantanamo, o ancora finiamo nel mirino del mercenario armato che difende una discarica, il pozzo della morte sotto casa. E Amato, Rutelli, D’Alema, Veltroni, Maroni, Prodi, Berlusconi, sarebbero dove sono se non fosse per la scala mobile “sikurezza”? E non è la “sikurezza” il carburante che fa avanzare il rullo compressore del totalitarismo (per adesso bipartitico)?
O ne parliamo o ci zittiscono su tutto
Bene, di tutto questo non c’era gran traccia nei convegni della sinistra postcataclismatica, salvo qualche accenno a una democrazia “limitata”, “minacciata” . Non essendoci granchè di mondo al di là del campanile o della ciminiera, l’11 settembre non lo si vede proprio. Anzi, alzandosi sulle punte lo si potrebbe scorgere, ma si evita di guardare. Il “manifesto” riempie due paginoni di “rievocazioni”, senza riservare neanche una cacchetta di spazio tra le righe al grande movimento di contestazione della versione ufficiale sugli attentati, sfornata da coloro che obbedivano alla bacchetta del direttore d’orchestra. Del resto l’amerikanologo filoisraeliano Marco D’Eramo è uno provetto: strafatto della sua adorata Coca Cola, ha raccontato quattro giorni di “convention” repubblicana, senza mettere fuori il naso neanche un secondo a vedere le migliaia che manifestavano contro i tagliagole Bush, McCain, Palin e le botte che prendevano, botte condivise con suoi colleghi più lucidi, come Amy Goodman. Non male per un “giornale comunista”.
Non parlando di 11 settembre, si tentenna sul “terrorismo islamico” (salvo Giuliana Sgrena, del “manifesto”, che ci da dentro con croce e femminismo d’assalto) e si stende un velo bertisconiano sull’imperialismo (abolito, ricordate, non dal Pentagono, ma dal monarca PRC già ben sette anni fa). Ora l’imperialismo è con ogni evidenza il paracadute di un capitalismo che precipita a fil di piombo, si è riaperto quando questo stava per sfracellarsi al suolo. E qual è il rastrello con cui il capitalismo elimina le erbacce e, comunque, le presenze in eccesso, se non la “security”? Abbiamo una trinità che si vanta clone diretto di quella originaria. E probabilmente, a sentire Natzinger, lo è. Il padre il capitalismo, il figlio l’imperialismo, lo spirito santo la “security”. E siccome la messa in onore della trinità si celebra a Ground Zero, o sciogliamo il nodo 11 settembre-Al Qaida, o vinceranno sempre loro.
Ci sono filmati, libri, documenti, confessioni, testimonianze, perizie tecniche, decine di migliaia di sostenitori, nel Movimento per la verità sull’11 settembre. Ci sono perfino le famiglie delle vittime. Capi di Stato, come Fidel, Evo, Chavez, perfino ministri tedeschi e parlamentari Usa, a cui va riservata una credibilità che è pari alla diffidenza dovuta a Bush o Berlusconi, hanno evidenziato crepe come la faglia di California nel bugiardino del Congresso. Da noi uno dei tre o quattro giornalisti veri d’Italia, Giulietto Chiesa, fino al giorno prima universalmente stimato e creduto, per aver dedicato alla verità un film e un libro – Zero - dalle tesi inoppugnabili (e perciò ignorate), si è visto messo a margini della professione. La nuovo “Unità” dell’osannata Concita De Gregorio veleggia invece nei venti giusti e, nel segno di un 11 settembre da far rivivere come i morti viventi di Romero, fa colare da tutta una pagina “i tentacoli di Al Qaida sul Sud Libano” . E giù con apocalittiche minacce all’Unifil, “in particolare ai soldati italiani” (quelli delle Folgore degli orgasmi di Bertinotti) “perché i più benvoluti dalla popolazione locale” (sentite un’eco di “Italiani, brava gente?). E vai con Osama e Al Zawahiri e altri spettri made in Usa e con Al Qaida che vuole destabilizzare il Libano e attaccare Israele e combinare un armagheddon finale. Le fonti? Rigorosamente anonime: “intelligence oblige”. E sotto, a corredo, si titola “McCartney, sarà sangue”, giacchè se il beatle residuo suonerà in Israele, secondo un predicatore in Libano, sarà un bagno di sangue. Sono i crostini nel brodo security.
Scusate, ma dobbiamo star zitti solo perché qualche sciroccato e succube giornaletto o politichetto dell’ altrimenti già dimostrata pseudosinistra, o canta a piena voce nel coro imperialista “11 settembre”, o si limita a sorvolare, non ci deve essere chi si sporca le proprie impopolari mani con questa Al Qaida? Lo sanno tutti che Al Qaida è stata inventata e gestita dai servizi USraeliani fin da quando le hanno caricato il loro 11 settembre, da quando l’hanno gestita in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Algeria, Milano, fino a quando Israele non ha tentato di infiltrarla tra i palestinesi (ed è stato scoperto e smascherato), fino a quando si è scoperto che la cellula “Fatah al Islam” di Al Qaida, che ha combinato il casino di Nahr el Bared in Libano, era organizzata e finanziata dal boss filoamericano e filosaudita Hariri. E’ così difficile il due più due fa quattro?
Lottiamo contro la base di Vicenza? Ma la base di Vicenza non è uno strumento dell’imperialismo? E l’imperialismo di cosa si nutre se non della “sikurezza”? E la sicurezza da quale pancia è uscita? Andate a Ground Zero, vi troverete ancora frammenti di placenta. A guadar bene si vedono alcune stelle e strisce. Tacere è morire.
Torniamo alle recenti assemblee della sinistra extraparlamentare, torniamo alla trasmissione “L’infedele” (rispetto a Lotta Continua?) di Gad Lerner, torniamo all’11 settembre.
Lunedì sera riprende la trasmissione di Gad Lerner, punta di diamante della lobby ebraica veltronista, un ossimoro ambulante che si indigna fino al rossore per i pogrom anti-Rom in Italia e, capovoltosi come un fante di fiori, nega perfino un’alzata di ciglio al genocidio dei palestinesi. Sarà infedele ai principi che coltivava nei suoi vent’anni della sovversione internazionalista, Gad, ma perbacco se non è rimasto fedele alla sua immagine di carta da gioco bifronte. Eravamo insieme a Lotta Continua, io direttore responsabile del quotidiano e inviato nei paesi dove c’era aria di conflitto contro i padroni, lui enfant prodige della rivoluzione, collocato nel taschino sinistro di Adriano Sofri (oggi al “Foglio” e al comando di bombardieri USraeliani). Con Gad e con Luca Zevi (nientemeno, oggi capo della Comunità ebraica) ne abbiamo organizzati di cortei per la Palestina. Io, che ero reduce dalle guerre di quel paese e Gad e Luca che erano consanguinei pentiti degli invasori, marciavamo nelle prime file, reggevamo striscioni con “Israele boia” , sventolavamo vessilli palestinesi, gridavamo “Fe-fe-fedayin” e “Palestina vince perché spara”. Poi, una volta, capitai a casa di Gad a Milano. Entrando toccava scartare per evitare una sporgenza: un abbagliante salvadanaio a strisce bianche e azzurre attaccato alla parete. La scritta al centro imponeva: “Offerte per far vivere Israele”. Da poco, con la guerra dei sei giorni, avevo visto gli espansionisti della “Grande Israele” divorare quel che restava della Palestina mutilata. Da poco il burattino di USraele, Hussein di Giordania, aveva fatto terra bruciata dei campi palestinesi in Giordania, con l’effetto collaterale di 20mila ammazzati. Da lì a qualche mese Israele sarebbe ripiombato addosso a tutti i paesi arabi confinanti: “Israele dal Nilo all’Eufrate”. Insomma, uno che passa da Lotta Continua al PD può fare queste acrobazie e peggio.
Un mondo tavalorizzato
“L’infedele” di lunedì scorso aveva un titolo trendy: “Security”, per noi trogloditi “Sicurezza”. Quella che un tempo significava sicuri del lavoro, sicuri della casa, sicuri della salute, sicuri del futuro, della vecchiaia, dell’acqua, della pace, di un’istruzione non gelminocastrante (avete sentito la consorella delle sette spade, Carfagna, proclamarsi "inorridita dalla vendita del proprio corpo di donna”? In successione sono comparsi sullo schermo Berlusconi con “mi fa orrore chi dice bugie e si tinge i capelli”, Cuffaro con “combatterò la mafia fino al’ultimo dei miei giorni”, D’Alema con “Mai conosciuto Colannino” e Veltroni con “Tra noi e Forza Italia c’è la differenza del giorno dalla notte”).
Si parlava dello scandalo intercettazioni Telecom-Sismi-investigator privati. Uno strafottente Giuliano Tavaroli (quello sotto inchiesta per aver spiato e dosseriato, insieme al capoccia Sismi Marco Mancini e alcuni spioni privati, mezza Italia) non rispondeva neanche a una delle domande dei suoi interlocutori e delle sue vittime: segreto istruttorio! Ma questo era un punto classicamente italiota, craxista, berlusconista. Il punto importante era che questa banda di cialtroni e ricattatori era la diramazione italiana di un sistema di “sicurezza” globale, partorito e padrinato dagli Usa e che non significa più casa o lavoro, ma videoriprese di ogni tuo respiro ovunque, teleascolto di ogni tuo borbottio con estrazione delle parole “eversive”, più polizia per cittadino di qualsiasi altro paese europeo, carcere ed espulsioni per chi differisce, militari sotto casa, fucilieri senza sicura agli impianti dei rifiuti, vigilantes che ti tagliano l’acqua se non paghi il vampiro privato e poi Diaz, Bolzaneto, Napoli, Chiaiano, identificazioni e perquisizioni come se piovesse e Al Qaida dappertutto. Abbiamo anche appreso che la “sicurezza” si è privatizzata a tal punto che Benetton, uno che nelle sue autostrade strangola gli automobilisti, dai suoi campi argentini elimina gli indigeni mapuche, nei sottoscala del Veneto faceva schiattare donne su telai per magliette cretine, può vantare un’armata privata di 7mila bravi. Lotito, nero padrone della Lazio, armeggia più sotto: 1.500 scherani armati. E’ la sicurezza, bellezza. A parlare corretto si chiama “sorveglianza”, “controllo sociale”, Stato di polizia. Se l’Europa, l’Occidente sono una fortezza contro quelli là fuori, anche i valvassori e valvassini devono avere fortini ed eserciti. I “contractor” Blackwater della Halliburton di Cheney e i duemila gorilla attorno ai quattro tromboni dei nostri poteri insegnano
Security o morte
La discussione all’”Infedele” rischiava di finire su binari sbagliati. Stava emergendo dalla tavarolizzazione del mondo occidentale, democratico, la realtà agghiacciante di una cittadinanza di sudditi spappolata in tutte le sue parti negli schedari di mille polizie culturalmente pronte alla delazione, al ricatto, al sospetto, a repressione, sevizie e alalà, come si vede dietro a ogni manganello. Ma provvidamente è balzata sul proscenio la parola-miracolo: 11 settembre. Ovviamente quello di 7 anni fa. Mica quello dell’esecuzione di Allende e del Cile, mica quello attuale del massacro di osseti da parte del farabutto Bushkashvili, o quello dei 90 civili (60 donne e il resto bambini) inceneriti dagli Usa in Afghanistan (da dove, sul “manifesto”, l’onesto Emanuele Giordana della dirittumanista “Lettera 22”, rimpicciolisce a 120 le centinaia di civili assassinati dall’occupante in una settimana), e neanche quello delle due bambine palestinesi arrestate e sbattute davanti a un tribunale militare, o dei pescatori palestinesi morti di fame, fatti bersaglio ai tiri della marina più democratica del mondo. Sono solo 11 settembre di effetti collaterali. Invece l’11 settembre delle Torri Gemelle, quello sì, quello del Pentagono, dell’ “America under attack”, dell’innesco alla “guerra infinita”, della lotta mortale al “terrorismo islamico” piano piano fatto epitome di sei miliardi di potenziali terroristi nel mondo. Trionfo di Tavaroli e dei parrucconi accademici che gli facevano da ghirlanda. E generale muggito di consenso da tutta la compagnia. E sì, come si fa a negare che con le Torri Gemelle e Osama ancora in giro e che sparge cloni fin tra i palestinesi, la “Sikurezza”, quella sikurezza, non è proprio evitabile. Pazienza per la privacy, la libertà. Meglio uno sgherro in casa, che un terrorista alla porta.
Qui casca l’asino. Come è facile constatare tutto, alla fin fine, è costruito sulle macerie e sulle vittime di Torri Gemelle, Pentagono e varie carneficine successive: le catene che ci mettono lavoro, nonlavoro e paralavoro, le manette virtuali e poi reali che ci trasciniamo ai polsi e alle sinapsi da quando entriamo in un’elementare di Berlinguer-Moratti-Gelmini, da quando veniamo nazificati dai videogiochi del “più morti ammazzati-più punti” ("capolavori" per il delirante "manifsto"), fino a quando sperimentiamo l’ebbrezza della tortura in qualche caserma, o veniamo presi di peso, perché sospetti, o islamici, sbattuti su un aereo Cia e infilati in un qualche divertimentificio carcerario in Egitto o a Guantanamo, o ancora finiamo nel mirino del mercenario armato che difende una discarica, il pozzo della morte sotto casa. E Amato, Rutelli, D’Alema, Veltroni, Maroni, Prodi, Berlusconi, sarebbero dove sono se non fosse per la scala mobile “sikurezza”? E non è la “sikurezza” il carburante che fa avanzare il rullo compressore del totalitarismo (per adesso bipartitico)?
O ne parliamo o ci zittiscono su tutto
Bene, di tutto questo non c’era gran traccia nei convegni della sinistra postcataclismatica, salvo qualche accenno a una democrazia “limitata”, “minacciata” . Non essendoci granchè di mondo al di là del campanile o della ciminiera, l’11 settembre non lo si vede proprio. Anzi, alzandosi sulle punte lo si potrebbe scorgere, ma si evita di guardare. Il “manifesto” riempie due paginoni di “rievocazioni”, senza riservare neanche una cacchetta di spazio tra le righe al grande movimento di contestazione della versione ufficiale sugli attentati, sfornata da coloro che obbedivano alla bacchetta del direttore d’orchestra. Del resto l’amerikanologo filoisraeliano Marco D’Eramo è uno provetto: strafatto della sua adorata Coca Cola, ha raccontato quattro giorni di “convention” repubblicana, senza mettere fuori il naso neanche un secondo a vedere le migliaia che manifestavano contro i tagliagole Bush, McCain, Palin e le botte che prendevano, botte condivise con suoi colleghi più lucidi, come Amy Goodman. Non male per un “giornale comunista”.
Non parlando di 11 settembre, si tentenna sul “terrorismo islamico” (salvo Giuliana Sgrena, del “manifesto”, che ci da dentro con croce e femminismo d’assalto) e si stende un velo bertisconiano sull’imperialismo (abolito, ricordate, non dal Pentagono, ma dal monarca PRC già ben sette anni fa). Ora l’imperialismo è con ogni evidenza il paracadute di un capitalismo che precipita a fil di piombo, si è riaperto quando questo stava per sfracellarsi al suolo. E qual è il rastrello con cui il capitalismo elimina le erbacce e, comunque, le presenze in eccesso, se non la “security”? Abbiamo una trinità che si vanta clone diretto di quella originaria. E probabilmente, a sentire Natzinger, lo è. Il padre il capitalismo, il figlio l’imperialismo, lo spirito santo la “security”. E siccome la messa in onore della trinità si celebra a Ground Zero, o sciogliamo il nodo 11 settembre-Al Qaida, o vinceranno sempre loro.
Ci sono filmati, libri, documenti, confessioni, testimonianze, perizie tecniche, decine di migliaia di sostenitori, nel Movimento per la verità sull’11 settembre. Ci sono perfino le famiglie delle vittime. Capi di Stato, come Fidel, Evo, Chavez, perfino ministri tedeschi e parlamentari Usa, a cui va riservata una credibilità che è pari alla diffidenza dovuta a Bush o Berlusconi, hanno evidenziato crepe come la faglia di California nel bugiardino del Congresso. Da noi uno dei tre o quattro giornalisti veri d’Italia, Giulietto Chiesa, fino al giorno prima universalmente stimato e creduto, per aver dedicato alla verità un film e un libro – Zero - dalle tesi inoppugnabili (e perciò ignorate), si è visto messo a margini della professione. La nuovo “Unità” dell’osannata Concita De Gregorio veleggia invece nei venti giusti e, nel segno di un 11 settembre da far rivivere come i morti viventi di Romero, fa colare da tutta una pagina “i tentacoli di Al Qaida sul Sud Libano” . E giù con apocalittiche minacce all’Unifil, “in particolare ai soldati italiani” (quelli delle Folgore degli orgasmi di Bertinotti) “perché i più benvoluti dalla popolazione locale” (sentite un’eco di “Italiani, brava gente?). E vai con Osama e Al Zawahiri e altri spettri made in Usa e con Al Qaida che vuole destabilizzare il Libano e attaccare Israele e combinare un armagheddon finale. Le fonti? Rigorosamente anonime: “intelligence oblige”. E sotto, a corredo, si titola “McCartney, sarà sangue”, giacchè se il beatle residuo suonerà in Israele, secondo un predicatore in Libano, sarà un bagno di sangue. Sono i crostini nel brodo security.
Scusate, ma dobbiamo star zitti solo perché qualche sciroccato e succube giornaletto o politichetto dell’ altrimenti già dimostrata pseudosinistra, o canta a piena voce nel coro imperialista “11 settembre”, o si limita a sorvolare, non ci deve essere chi si sporca le proprie impopolari mani con questa Al Qaida? Lo sanno tutti che Al Qaida è stata inventata e gestita dai servizi USraeliani fin da quando le hanno caricato il loro 11 settembre, da quando l’hanno gestita in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Algeria, Milano, fino a quando Israele non ha tentato di infiltrarla tra i palestinesi (ed è stato scoperto e smascherato), fino a quando si è scoperto che la cellula “Fatah al Islam” di Al Qaida, che ha combinato il casino di Nahr el Bared in Libano, era organizzata e finanziata dal boss filoamericano e filosaudita Hariri. E’ così difficile il due più due fa quattro?
Lottiamo contro la base di Vicenza? Ma la base di Vicenza non è uno strumento dell’imperialismo? E l’imperialismo di cosa si nutre se non della “sikurezza”? E la sicurezza da quale pancia è uscita? Andate a Ground Zero, vi troverete ancora frammenti di placenta. A guadar bene si vedono alcune stelle e strisce. Tacere è morire.
2 commenti:
Beh, l'11 settembre, madre di tutte le questioni, continua ad essere il caposaldo di cerca di rovesciare la realtà. Come Bifo Berardi, tanto per fare un nome.
Smascherarlo su indymedia citando Fulvio è il minimo che si possa fare.
Saluti
Apo
Ben detto Fulvio.
Tacere è morire...
Mi permetto di aggiungere che dobbiamo tornare ad indignarci, mi pare che oggi non ne siamo più capaci ed accettiamo qualunque schifezza senza batter ciglio
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