Quello che segue è un messaggio da me inviato ai compagni dei Comunisti Uniti. Per chi non lo sapesse, si tratta di un’aggregazione di compagni di varia estrazione e collocazione che da più di un anno, di fronte ai fallimenti politici, ideologici, organizzativi ed elettorali dei partiti che si richiamano al comunismo, lavorano alla creazione di una costituente comunista. L’intento è di mettere in piedi una nuova formazione con basi teoriche marxiste che riunisca in un unico progetto, del tutto autonomo e alternativo ai cosiddetti “riformisti” del PD, come ai suoi nuovi puntelli svendolian-bertinottiani, compagni e militanti sciolti o anche iscritti nei partiti con falce e martello esistenti. Non riporto le premesse a questo scritto, gli interventi che lo hanno suscitato nel corso di un intenso dibattito in rete e in riunioni, sarebbe chiedere troppo alla pazienza del lettore. Ma ritengo che dalle mie argomentazioni si possano dedurre anche le ragioni sulle quali mi confronto. Sarei felice se questo spunto facesse allargare la discussione anche a coloro che, tra i miei interlocutori, vi fossero interessati.
Rompo il voto a S. Silenzio perchè devo risposte a chi mi ha con sagge riflessioni preso in considerazione. Non credo che questi scambi siano inutili, alla luce anche della scarse possibilità di riunirci tutti, purchè si mantengano nei limiti del rispetto (che non riservo alla rete dei veltronarcobalenisti) e anche della problematicità. Chi oggi come oggi spara certezze analitiche, prescrizioni e previsioni da tavole mosaiche, fa operazione apodittica e di autogratificazione, espressione delle proprie velleità, magari frustrate. Qualche volta abbiamo discusso del sesso degli angeli, a volte qualcuno spunta e schiamazza, cose inevitabili in una lista di varia umanità. Cerchiamo allora di essere seri, concreti e riflessivi. Ne è sempre un esempio Riccardo, tra gli altri.
Si è sollevato lo tsunami, specie nel manifesto, dell'anatema a chi non si è è riunito (partitini vari) e dell'invocazione a riunirsi. Sono considerazioni segnate da superficialità e approssimazione. Intanto quelli del “manifesto” e loro lettori se la prendano con l'infiltrato brogliatore Vendolotti che ha fatto la scissione con il preciso scopo di impedire un 4% comunista e di accreditarsi in guanti bianchi al futuribile banchetto del PD. L'altro rimprovero lo facciano ai trotzkisti, dall'eterna vocazione allo sminuzzamento, usciti dal PRC per costituire ben tre micro cellule tanto nobili quanto inani. Infine, l'unità dei comunisti con chi diavolo si fa? Con chi respinge non solo nome e simboli (e qui voi sapete che non mi scandalizzo), ma in maniera assai più radicale contenuti e obiettivi? Con chi ha l'irrefrenabile libidine del solipsismo puro e duro e magari settario e ottuso nei confronti di esperienze fuori dai libri sacri da loro così interpretati? Con banderuole dell'opportunismo e dell'esibizione autoreferenziale e negli anni del tutto sterile (non sanno fare che convegni, cianno li sordi) come certi vernacolari romani? Dove stanno i comunisti da riunire? In un anno quanti ne sono arrivati, quanti sono scemati perchè o sfessati, o gelosi e più sicuri del proprio consueto ambito di nicchia e di partito?
C'è poi la contraddizione che nessuno pare vedere, ma che emerge in continuazione, della cosiddetta "doppia tessera": stare in un partitino e stare con i C.U. Come si fa a non rilevare che alla fin fine i militanti dei partitini pongono questi al di sopra dei sacrosanti obiettivi dei C.U. e, al primo richiamo all'ordine dei rispettivi organi, a questi danno retta, salvo incappare in rischi di esclusione, piuttosto che ai debolissimi e anche abbastanza svaccati C.U. S'è visto nella sconcertante, nei modi e nei contenuti, presentazione di "Proletari@". A parte la scandalosa mancanza, nella presentazione di un'agenzia di informazione antagonista, di ogni riferimento all'imperialismo, alla guerra e all'internazionalismo (che significa ben poco comunismo!), c'erano forse venti compagnucci nostri, molti con "doppia tessera", e 300 bravi vecchietti che lacrimavano e osannavano a ogni evocazione del "glorioso PCI". Tali sono i rapporti di forza e le relative capacità d'attrazione. Finchè ci saranno questi gruppi dirigenti, e ci saranno ancora per parecchio, o si sta con loro, o si va per more. In passato avevo già riflettuto sull'opportunità di entrare tutti nel PRC per far fronte comune con quei compagni che lì sono, mi pare, i più autentici e disponibili. Ora gira voce che li dentro tornino a riunirsi i tre, quattro spezzoni dell'ex-Ernesto, il che potrebbe significare un'egemonia degli irricevibili grassian-dilibertian-cossuttian-stalinisti. E la mia riflessione sull'ingresso "in massa" si appanna un po'.
C'è poi tra noi una spaccatura verticale tra chi, vedi Hobel e altri, guarda a quel "glorioso PCI" e pensa sostanzialmente di ricostruirlo (aggiornato? Come?) e chi, come me, pensa che quel retaggio debba essere buttato a mare, proprio per tornare al Gramsci citato da Hobel, a Lenin, a Marx, saltando a piè pari la sciagurata vicenda PCI 1945-1991, con le schifezze epigonali, ma naturali, di oggi. Voglio subito dire che Andrea sbaglia di grosso quando accantona Yalta con il pretesto che non sappia che cazzo sia il 99% degli italiani, tranne un pugno di "collezionisti di ossa" (carino). Quanti italiani sanno chi ha scritto i fondamentali "Grundrisse"? Peccato che quelle ossa, divennero gabbia controrivoluzionaria d'intesa tra chi allora si divise il mondo alla faccia dei proletari e dei fermenti rivoluzionari e di decolonizzazione in tutto il mondo. Peccato che quella gabbia fatta da ossa di carogna venne rafforzate dal cemento consociativista di Togliatti e seguenti, per chiudere in un ghetto classi e popoli di metà del mondo (quella affidata alle zanne anglosassoni) e, dopo la maledetta caduta del muro, di tutto il pianeta.
Certo il movimento di massa che ha tenuto al potere consociativo una banda mediocre di burocrati, dai cui ventri sono naturalmente sortiti i Lama, Napolitano, D'Alema, Veltroni, Fassino, Bertinotti, ha saputo conquistare, quando i margini materali c'erano, importanti spazi d'azione, importanti diritti e salvaguardie, una brillante egemonia culturale (ma a dispetto di quella banda di burocrati, ricordiamo Pavese, Vittorini, Calvino, i cineasti...). Ma a costo di vedersi tirare le briglie e azzoppare i garretti quando aveva il paese in pugno, quando se lo poteva riprendere (o almeno tentarci, mantenendo viva la fiamma della rivoluzione, cosa non da poco) dopo l'attentato a Togliatti, l'eversione di Tambroni, il '68-'77. Non avvengono catarsi per spontanea germinazione, c'è sempre un virus all'origine, per quanto lunga posa essere l'incubazione. Era ben presente il fantasma di un Togliatti antigramsciano tra i succedanei Longo e Berlinguer quando l'ultimo, grande tentativo di rottura con il sistema capitalista e il garante Nato, esploso a dispetto e contro quei vertici di partito, la lunga, insanguinata campagna del '68-'77, fu prima utilizzato per modificare, con l'autunno caldo, i rapporti di forza del consociativismo a favore dei capi PCI, del revisionismo controrivoluzionario e dei loro terminali finanziario-economici, e poi ferocemente antagonizzato quando minacciava di mettere a repentaglio, appunto, quello Stato di consociazione subordinata che Togliatti aveva voluto costruire fin da Salerno. Stanno sulla coscienza dei bonzi PCI, alla Pecchioli e Berlinguer, tanti anni di carcere di bravi compagni (non parlo delle manipolatissime BR), tanti compagni uccisi dagli sbirri. Imperdonabile, per sempre. Vi figurate se il PCI si fosse schierato con il "movimento" rivoluzionario per il recupero di strati ignorati e disprezzati, per la mobilitazione e coscentizzazione di sottoproletari, periferie, soldati, carcerati, donne, bambini, i primi immigrati, contro la subconoscenza borghese, con antisviluppisti, combattenti dell'ambiente, contro Nato e distensione, per l’apparentamento internazionalista con i nuovi Vietnam in Irlanda, Portogallo, il Cile difeso da Pinochet solo dal MIR, Palestina, libano, mondo arabo e africano, tutti? C’era chi allora aveva già capito un dato nuovo e dimostratosi vero, oggi così formulato da Leonardo Boff: la rivoluzione verrà con l’assedio delle favelas alle metropoli. Anche delle favelas di casa nostra. C’è chi punta sugli otto milioni di operai di fabbrica che abbiamo in Italia, costituente certa del “nuovo grande blocco sociale” per il rovesciamento del capitalismo. Gli ha chiesto, a quegli otto milioni se vogliono rovesciare il capitalismo, o piuttosto essere “padroni a casa loro” e i primi negli asili nido? Il PCI li ha lavorati bene. E’ se nell’autunno caldo sono stati poche migliaia di giovani contadini arrivati dal Sud e non contaminati dall’inseguimento del tinello e, soprattutto, la giovane intellettualità di scuole e università a trascinare molti alla ritrovata autonomia di classe, oggi quale potrà essere quella locomotiva? Quale è stata in Iraq, dove quelli con la falce e martello, gemellati con la banda Bertinotti, aiutano gli occupanti e i fantocci a annegare nel sangue la Resistenza e il suo popolo? Quale in Bolivia, dove gli stessi hanno pugnalato un Che Guevara vincente alle spalle? Quale in Argentina, dove falce e martello hanno assistito il golpista Videla? Lì la rivoluzione si chiamava Baath ed era colorata di nero, rosso e bianco, si chiamava cocaleros e Movimento al Socialismo, si chiamavva ERP e Montoneros. E potrei andare avanti girando l'universo mondo.
Sono grato a Riccardo e ad altri per non aver gridato allo scandalo per le mie riflessioni-provocazioni sulla scarsa funzionalità aggregatrice oggi di simboli, falce e martello, e nome, comunista. Non credo che ci possa essere una riunificazione dei comunisti oggi organizzati, nè dall'alto, nè dal basso. Lavoriamoci pure, contro ogni probabilità. Lo faceva anche il Che. Che ha vinto 40 anni dopo. Ma penso che per ora ci dobbiamo tenere il mite Ferrero per quanto si può e dargli una mano, ma che l'unità si dovrà fin d'ora cercare nell'antagonismo sociale, appunto a Vicenza, in Val di Susa, a Novara, negli scontri locali per la salvezza del territorio e del pianeta, tra i precari, avendo l'originalità di ricordare a tutti che se queste cose ci succedono è perchè c'è un burattinaio sanguinario in alto che si chiama imperialismo, Nato, basi, e che la prima cosa è lottare contro la nostra condizione di colonia.
Quanta ironia tra noi e sul manifesto su Di Pietro! Ci, gli, rode il culo, tutto qui. E allora dagli con il "populista" (che cazzo vuol dire? Populisti sono Lega e Berlusconi), "questurino", "giustizialista", "di destra". Urli dell'impotenza. Io non so cosa farà Di Pietro domani, c'è da regolarsi di conseguenza a quel punto, ma come ha scritto un lettore del “manifesto”, so con chiarezza solare che è colui che meglio di tutti affronta la "CONTRADDIZIONE PRINCIPALE", lo sfascio della legalità che ancora tutela le masse giudiziariamente, socialmente, legalmente, culturalmente, per introdurre qualcosa che è peggio del fascismo mussoliniano. Dopodichè avremo chiuso per secoli, come i pagani, o se volete i laici, da Costantino a Lorenzo il Magnifico e a Giordano Bruno, un millennio. Ditemi dei nomi, in altri partiti, di candidati dalla dignità e affidabilità di quelli messi in lizza dal'IDV!
Per finire, non vedrò una società comunista in questo paese data l'avanzatissima età, ma ci voglio lavorare, possibilmente con compagni e anche persone che partano dalle contraddizioni reali, dalle catene più pesanti, dalle minacce più incombenti, dall'esempio di altri, in altri mondi, con altri nomi, più avanti di noi. Certuni tra noi a ogni loro risveglio si stroppicciano gli occhi per la luce abbacinante che gli piove addosso dall'alba di una rivoluzione che solo loro vedono e che, a furia di non arrivare, li vedrà rassegnarsi a qualche tranquilla consigliatura di provincia. Non c'è di peggio per se stessi e per i compagni che seminare illusioni palingenetiche la cui dissoluzione ti lascia in ginocchio. Anzi, c'è di peggio: voler resuscitare un’esperienza minata da fallimenti, tradimenti, opportunismi, voltagabbanismi come, dopo la guerra partigiana, fu quella del PCI.
Quanto a nome e simboli, caro Riccardo, non si tratta di mettere i carri davanti ai buoi, ma nemmeno di seguire omini di burro che ci trascinano al paese dei balocchi. Molto è da ricordare. Ma è intervenuto un problema: il passaggio ad un’altra forma di linguaggio, con la perdita di senso. Abbiamo conosciuto un processo di de-semantizzazione rispetto a quanto avevamo prima. Si è rovesciato tutto. La perdita di senso ha provocato una perdita di passione politica e di giudizio. Questo percorso ha favorito lo smarrimento della memoria: cosa vuoi ricordare se ricordi il rovescio (il PCI)? Siamo di fronte a un problema teorico che riguarda il linguaggio e i paradigmi in generale. Serve una rivoluzione epistemologica, nel pensiero e nel linguaggio politico. Non solo dentro l’Europa, ma insieme ai paesi del Sud e a paesi ex-colonizzati. Credo che certe cose ci verranno dal Sud. Anche dall’Est forse, cioè dalle parti non egemoniche del pianeta. Sotto questo profilo anche l’Est, perfino l’Afghanistan, si trova a Sud. Chiamiamoci pure C.U., ma prova a vedere cosa succede se ti presenti con una bandiera rossa e la falce e il martello a Susa, a Vicenza, a Chiaiano, alla Telecom, a Pomigliano, a Sigonella, ad Acerra, in Palestina. Con chi parlerai? Col 6%, forse. Ieri, oggi, domani. Mi pare che quello che conta sia arrivare n queste situazioni con il migliore discorso possibile, magari anonimo, se serve. In questo senso ritengo che i C.U. dovunque si trovano, oggi hanno un'occasione per farsi sentire e per influire: banchetti, volantini, convegni, manifesti, piazzate, blitz, per l'astensione al referendum pro-fascismo.
Magari come comitato partigiano contro il nuovo fascismo.
Rompo il voto a S. Silenzio perchè devo risposte a chi mi ha con sagge riflessioni preso in considerazione. Non credo che questi scambi siano inutili, alla luce anche della scarse possibilità di riunirci tutti, purchè si mantengano nei limiti del rispetto (che non riservo alla rete dei veltronarcobalenisti) e anche della problematicità. Chi oggi come oggi spara certezze analitiche, prescrizioni e previsioni da tavole mosaiche, fa operazione apodittica e di autogratificazione, espressione delle proprie velleità, magari frustrate. Qualche volta abbiamo discusso del sesso degli angeli, a volte qualcuno spunta e schiamazza, cose inevitabili in una lista di varia umanità. Cerchiamo allora di essere seri, concreti e riflessivi. Ne è sempre un esempio Riccardo, tra gli altri.
Si è sollevato lo tsunami, specie nel manifesto, dell'anatema a chi non si è è riunito (partitini vari) e dell'invocazione a riunirsi. Sono considerazioni segnate da superficialità e approssimazione. Intanto quelli del “manifesto” e loro lettori se la prendano con l'infiltrato brogliatore Vendolotti che ha fatto la scissione con il preciso scopo di impedire un 4% comunista e di accreditarsi in guanti bianchi al futuribile banchetto del PD. L'altro rimprovero lo facciano ai trotzkisti, dall'eterna vocazione allo sminuzzamento, usciti dal PRC per costituire ben tre micro cellule tanto nobili quanto inani. Infine, l'unità dei comunisti con chi diavolo si fa? Con chi respinge non solo nome e simboli (e qui voi sapete che non mi scandalizzo), ma in maniera assai più radicale contenuti e obiettivi? Con chi ha l'irrefrenabile libidine del solipsismo puro e duro e magari settario e ottuso nei confronti di esperienze fuori dai libri sacri da loro così interpretati? Con banderuole dell'opportunismo e dell'esibizione autoreferenziale e negli anni del tutto sterile (non sanno fare che convegni, cianno li sordi) come certi vernacolari romani? Dove stanno i comunisti da riunire? In un anno quanti ne sono arrivati, quanti sono scemati perchè o sfessati, o gelosi e più sicuri del proprio consueto ambito di nicchia e di partito?
C'è poi la contraddizione che nessuno pare vedere, ma che emerge in continuazione, della cosiddetta "doppia tessera": stare in un partitino e stare con i C.U. Come si fa a non rilevare che alla fin fine i militanti dei partitini pongono questi al di sopra dei sacrosanti obiettivi dei C.U. e, al primo richiamo all'ordine dei rispettivi organi, a questi danno retta, salvo incappare in rischi di esclusione, piuttosto che ai debolissimi e anche abbastanza svaccati C.U. S'è visto nella sconcertante, nei modi e nei contenuti, presentazione di "Proletari@". A parte la scandalosa mancanza, nella presentazione di un'agenzia di informazione antagonista, di ogni riferimento all'imperialismo, alla guerra e all'internazionalismo (che significa ben poco comunismo!), c'erano forse venti compagnucci nostri, molti con "doppia tessera", e 300 bravi vecchietti che lacrimavano e osannavano a ogni evocazione del "glorioso PCI". Tali sono i rapporti di forza e le relative capacità d'attrazione. Finchè ci saranno questi gruppi dirigenti, e ci saranno ancora per parecchio, o si sta con loro, o si va per more. In passato avevo già riflettuto sull'opportunità di entrare tutti nel PRC per far fronte comune con quei compagni che lì sono, mi pare, i più autentici e disponibili. Ora gira voce che li dentro tornino a riunirsi i tre, quattro spezzoni dell'ex-Ernesto, il che potrebbe significare un'egemonia degli irricevibili grassian-dilibertian-cossuttian-stalinisti. E la mia riflessione sull'ingresso "in massa" si appanna un po'.
C'è poi tra noi una spaccatura verticale tra chi, vedi Hobel e altri, guarda a quel "glorioso PCI" e pensa sostanzialmente di ricostruirlo (aggiornato? Come?) e chi, come me, pensa che quel retaggio debba essere buttato a mare, proprio per tornare al Gramsci citato da Hobel, a Lenin, a Marx, saltando a piè pari la sciagurata vicenda PCI 1945-1991, con le schifezze epigonali, ma naturali, di oggi. Voglio subito dire che Andrea sbaglia di grosso quando accantona Yalta con il pretesto che non sappia che cazzo sia il 99% degli italiani, tranne un pugno di "collezionisti di ossa" (carino). Quanti italiani sanno chi ha scritto i fondamentali "Grundrisse"? Peccato che quelle ossa, divennero gabbia controrivoluzionaria d'intesa tra chi allora si divise il mondo alla faccia dei proletari e dei fermenti rivoluzionari e di decolonizzazione in tutto il mondo. Peccato che quella gabbia fatta da ossa di carogna venne rafforzate dal cemento consociativista di Togliatti e seguenti, per chiudere in un ghetto classi e popoli di metà del mondo (quella affidata alle zanne anglosassoni) e, dopo la maledetta caduta del muro, di tutto il pianeta.
Certo il movimento di massa che ha tenuto al potere consociativo una banda mediocre di burocrati, dai cui ventri sono naturalmente sortiti i Lama, Napolitano, D'Alema, Veltroni, Fassino, Bertinotti, ha saputo conquistare, quando i margini materali c'erano, importanti spazi d'azione, importanti diritti e salvaguardie, una brillante egemonia culturale (ma a dispetto di quella banda di burocrati, ricordiamo Pavese, Vittorini, Calvino, i cineasti...). Ma a costo di vedersi tirare le briglie e azzoppare i garretti quando aveva il paese in pugno, quando se lo poteva riprendere (o almeno tentarci, mantenendo viva la fiamma della rivoluzione, cosa non da poco) dopo l'attentato a Togliatti, l'eversione di Tambroni, il '68-'77. Non avvengono catarsi per spontanea germinazione, c'è sempre un virus all'origine, per quanto lunga posa essere l'incubazione. Era ben presente il fantasma di un Togliatti antigramsciano tra i succedanei Longo e Berlinguer quando l'ultimo, grande tentativo di rottura con il sistema capitalista e il garante Nato, esploso a dispetto e contro quei vertici di partito, la lunga, insanguinata campagna del '68-'77, fu prima utilizzato per modificare, con l'autunno caldo, i rapporti di forza del consociativismo a favore dei capi PCI, del revisionismo controrivoluzionario e dei loro terminali finanziario-economici, e poi ferocemente antagonizzato quando minacciava di mettere a repentaglio, appunto, quello Stato di consociazione subordinata che Togliatti aveva voluto costruire fin da Salerno. Stanno sulla coscienza dei bonzi PCI, alla Pecchioli e Berlinguer, tanti anni di carcere di bravi compagni (non parlo delle manipolatissime BR), tanti compagni uccisi dagli sbirri. Imperdonabile, per sempre. Vi figurate se il PCI si fosse schierato con il "movimento" rivoluzionario per il recupero di strati ignorati e disprezzati, per la mobilitazione e coscentizzazione di sottoproletari, periferie, soldati, carcerati, donne, bambini, i primi immigrati, contro la subconoscenza borghese, con antisviluppisti, combattenti dell'ambiente, contro Nato e distensione, per l’apparentamento internazionalista con i nuovi Vietnam in Irlanda, Portogallo, il Cile difeso da Pinochet solo dal MIR, Palestina, libano, mondo arabo e africano, tutti? C’era chi allora aveva già capito un dato nuovo e dimostratosi vero, oggi così formulato da Leonardo Boff: la rivoluzione verrà con l’assedio delle favelas alle metropoli. Anche delle favelas di casa nostra. C’è chi punta sugli otto milioni di operai di fabbrica che abbiamo in Italia, costituente certa del “nuovo grande blocco sociale” per il rovesciamento del capitalismo. Gli ha chiesto, a quegli otto milioni se vogliono rovesciare il capitalismo, o piuttosto essere “padroni a casa loro” e i primi negli asili nido? Il PCI li ha lavorati bene. E’ se nell’autunno caldo sono stati poche migliaia di giovani contadini arrivati dal Sud e non contaminati dall’inseguimento del tinello e, soprattutto, la giovane intellettualità di scuole e università a trascinare molti alla ritrovata autonomia di classe, oggi quale potrà essere quella locomotiva? Quale è stata in Iraq, dove quelli con la falce e martello, gemellati con la banda Bertinotti, aiutano gli occupanti e i fantocci a annegare nel sangue la Resistenza e il suo popolo? Quale in Bolivia, dove gli stessi hanno pugnalato un Che Guevara vincente alle spalle? Quale in Argentina, dove falce e martello hanno assistito il golpista Videla? Lì la rivoluzione si chiamava Baath ed era colorata di nero, rosso e bianco, si chiamava cocaleros e Movimento al Socialismo, si chiamavva ERP e Montoneros. E potrei andare avanti girando l'universo mondo.
Sono grato a Riccardo e ad altri per non aver gridato allo scandalo per le mie riflessioni-provocazioni sulla scarsa funzionalità aggregatrice oggi di simboli, falce e martello, e nome, comunista. Non credo che ci possa essere una riunificazione dei comunisti oggi organizzati, nè dall'alto, nè dal basso. Lavoriamoci pure, contro ogni probabilità. Lo faceva anche il Che. Che ha vinto 40 anni dopo. Ma penso che per ora ci dobbiamo tenere il mite Ferrero per quanto si può e dargli una mano, ma che l'unità si dovrà fin d'ora cercare nell'antagonismo sociale, appunto a Vicenza, in Val di Susa, a Novara, negli scontri locali per la salvezza del territorio e del pianeta, tra i precari, avendo l'originalità di ricordare a tutti che se queste cose ci succedono è perchè c'è un burattinaio sanguinario in alto che si chiama imperialismo, Nato, basi, e che la prima cosa è lottare contro la nostra condizione di colonia.
Quanta ironia tra noi e sul manifesto su Di Pietro! Ci, gli, rode il culo, tutto qui. E allora dagli con il "populista" (che cazzo vuol dire? Populisti sono Lega e Berlusconi), "questurino", "giustizialista", "di destra". Urli dell'impotenza. Io non so cosa farà Di Pietro domani, c'è da regolarsi di conseguenza a quel punto, ma come ha scritto un lettore del “manifesto”, so con chiarezza solare che è colui che meglio di tutti affronta la "CONTRADDIZIONE PRINCIPALE", lo sfascio della legalità che ancora tutela le masse giudiziariamente, socialmente, legalmente, culturalmente, per introdurre qualcosa che è peggio del fascismo mussoliniano. Dopodichè avremo chiuso per secoli, come i pagani, o se volete i laici, da Costantino a Lorenzo il Magnifico e a Giordano Bruno, un millennio. Ditemi dei nomi, in altri partiti, di candidati dalla dignità e affidabilità di quelli messi in lizza dal'IDV!
Per finire, non vedrò una società comunista in questo paese data l'avanzatissima età, ma ci voglio lavorare, possibilmente con compagni e anche persone che partano dalle contraddizioni reali, dalle catene più pesanti, dalle minacce più incombenti, dall'esempio di altri, in altri mondi, con altri nomi, più avanti di noi. Certuni tra noi a ogni loro risveglio si stroppicciano gli occhi per la luce abbacinante che gli piove addosso dall'alba di una rivoluzione che solo loro vedono e che, a furia di non arrivare, li vedrà rassegnarsi a qualche tranquilla consigliatura di provincia. Non c'è di peggio per se stessi e per i compagni che seminare illusioni palingenetiche la cui dissoluzione ti lascia in ginocchio. Anzi, c'è di peggio: voler resuscitare un’esperienza minata da fallimenti, tradimenti, opportunismi, voltagabbanismi come, dopo la guerra partigiana, fu quella del PCI.
Quanto a nome e simboli, caro Riccardo, non si tratta di mettere i carri davanti ai buoi, ma nemmeno di seguire omini di burro che ci trascinano al paese dei balocchi. Molto è da ricordare. Ma è intervenuto un problema: il passaggio ad un’altra forma di linguaggio, con la perdita di senso. Abbiamo conosciuto un processo di de-semantizzazione rispetto a quanto avevamo prima. Si è rovesciato tutto. La perdita di senso ha provocato una perdita di passione politica e di giudizio. Questo percorso ha favorito lo smarrimento della memoria: cosa vuoi ricordare se ricordi il rovescio (il PCI)? Siamo di fronte a un problema teorico che riguarda il linguaggio e i paradigmi in generale. Serve una rivoluzione epistemologica, nel pensiero e nel linguaggio politico. Non solo dentro l’Europa, ma insieme ai paesi del Sud e a paesi ex-colonizzati. Credo che certe cose ci verranno dal Sud. Anche dall’Est forse, cioè dalle parti non egemoniche del pianeta. Sotto questo profilo anche l’Est, perfino l’Afghanistan, si trova a Sud. Chiamiamoci pure C.U., ma prova a vedere cosa succede se ti presenti con una bandiera rossa e la falce e il martello a Susa, a Vicenza, a Chiaiano, alla Telecom, a Pomigliano, a Sigonella, ad Acerra, in Palestina. Con chi parlerai? Col 6%, forse. Ieri, oggi, domani. Mi pare che quello che conta sia arrivare n queste situazioni con il migliore discorso possibile, magari anonimo, se serve. In questo senso ritengo che i C.U. dovunque si trovano, oggi hanno un'occasione per farsi sentire e per influire: banchetti, volantini, convegni, manifesti, piazzate, blitz, per l'astensione al referendum pro-fascismo.
Magari come comitato partigiano contro il nuovo fascismo.
5 commenti:
Francamente NON condivido tutta questa "ammirazione" per Di Pietro.
Come si può dimenticare che è stato grazie a costui che NON si è potuta fare la commissione d'inchiesta parlamentare sul G8 di Genova e che la società per il ponte sullo stretto di Messina NON si è potuta sciogliere.
Non condivido molte altre cose che scrivi, così come ne condivido altre, ma ti leggo sempre volentieri.
Karl
Bene! Un altro che si deve buttare in politica perchè sennò lo mandano in galera per debiti...Guarda che scherzo, Fulvio. Sarai una calamita. Spenditi! Ciao Lopez
Se in Italia c'è un politico pericoloso, quello è proprio Antonio Di Pietro.
Pedina del NWO, negli anni 90 fu l'artefice del colpo di Stato chiamato tangentopoli.
Politicamente non esito a definirlo un fascista, e ritengo che vada fermato.
Pur prendendo le distanze dal commento sciocco di NeoProg, comunque ritengo che il grosso dei voti sottratti alle sinistre cosiddette "radicali", sia andato a Di Pietro, compreso il tuo, Fulvio. La sinistra deve liberarsi dalla logica della Galera , la sinistra è libertà, la destra invece è per la galera e la Sicurezza. Che brutto vedere questa "sinistra" che parla di ergastoli, 41 bis, di aumento delle pene per i reati e che vota insieme ai nazi-fascio-leghisti i decreti sullo stupro e sullo Stalking. Che squallore!!!!
Comunque io ritengo che la democrazia elettorale sia la più grande truffa mai escogitata dall'umanità, perchè da sempre ha portato al potere farabutti, criminali in giacca e cravatta,e-in Italia- mignotte e piduisti mafiosi.
Io l'ho risolto il problema, sono 4 anni che non voto, e giammai voterò più.
Non ho espresso ammirazione da nessuna parte. E NON ho votato Di Pietro. Per favore leggere bene.
Fulvio
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