TURCHIA:
FANNO TUTTO DA SOLI – E SONO CAPACI DI
TUTTO (1)
“La mente è come un
paracadute, non funziona se non si apre.” (Frank Zappa)
“Siamo gli strumenti e i servi di
uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi
balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la
proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali”. (John Swinton, direttore del “New York
Tribune”, 1880).
Partiamo
dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco,
destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie
di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi
perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito,
magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una
dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da
nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che
nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici
antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola
militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro
dittatura mondiale.
Lo
sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto
tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai
lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare
contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni
islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e
nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti
americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere
dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so,
sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma
mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia,
ai confini della Russia che delenda est,
una forza militare che è la seconda
dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso
da migrazioni l’’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?
E
allora tutti, da Obama al “manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra
a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti
civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal
sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini
più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano
cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare
scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie
etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra
affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma
anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come
a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli
erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono
ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso
dagli sgherri del democraticamente eletto. Divertente poi la linea a balzelloni
del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla
sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di ENI,
Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri
sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di
contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno,
mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in
grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che
riunioni di redazione fanno?
Torniamo
al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “manifesto” e tanta stampa (un
po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la “centralità del parlamento e del ruolo
fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico” (sic!):
esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio
della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della
Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in
basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama
Mogherini.
Ebbene
qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni
qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a
repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto
di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato
la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la CNN
turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe,
cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di
Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano
assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla
Vergine di Norimberga in cui
progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada.
Non
hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non
hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno
occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande
visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a
“difendere la democrazia”. Non hanno occupato alcuna via di comunicazione
strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le
prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per
finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di
vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel
tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo
produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i
social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene
intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a
notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente
sveglia e per strada. E così le CNN e le tv associate al disegno del despota
hanno potuto riprendere strade e piazze
con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi
moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi,
simulando una rivolta di massa contro i carri.
Soldati frustati dai difensori della
democrazia
Poi
è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i
3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata
contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima
ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del
doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo
sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una
Turchia degna dell’ingresso nell’UE,vero modello avanzato di quanto si ha in
mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e TTIP, tanto
per assicurarci sulla “centralità del parlamento turco e dei partiti come
attori fondamentali del gioco democratico”, come titola il foglio cripto-Nato
su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino.
Cosa
può essere successo? Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come
ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a
passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito,
per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo
con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava
isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei
gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si
incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio
euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori
clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati
dietro popolo e armate.
Tutti
a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel,
Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe,
interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe
vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma , davanti all’immagine
del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in
tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore
del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori
senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato
nel suo comunicato il “ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e
la pace e amicizia con tutti i popoli vicini”. Ovviamente anatema per la Nato e
per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella
stessa direzione.
Pensate
se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari
al “manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e
Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai
colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di
sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà
imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti
suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e
dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di
decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di
autodeterminazione popolare e nazionale.
Quelle
che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver
assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici,
sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un
voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui
manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane,
trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili,
funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono
nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.
Avessero
vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di
sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati “la centralità del parlamento turco e dei
partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico”, come
temeva il “manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi
lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli
arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano,
difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul
avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del
popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’MI6,
la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero
esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto.
8 commenti:
Semplicemente il trionfo del "democratically correct" su base occidentalista basato su di un pregiudizio antimilitarista che e' andato da Pechino nel 1989 (dove simostro' una versione angelizzata di tutti I manifestanti, anche quelli fecero spogliare ed umiliarono I militari entrati inizialmente senza armi al centro della piazza per non parlare di quelli bruciati dentro I camion a pochi chilometri) a Belgrado 1999, per finire a Kiev due anni fa, quando quasi nessuno si preoccupo' della "centralita' del parlamento e delle sue prerogative democratiche" mostrando molto piu' entusiasmo per quel golpe contro "il dittatore filorusso". Sono pero' sicuro che in TurchiaI conti non sono del tutto chiusi.
Una questione che forse non c'entra nulla, ma qui a Firenze è stata sentita un po' di più. Riguarda il processo per la morte di Magherini, causata dall'arresto della polizia del malcapitato, le quali hanno anche allontanato un'ambulanza che era stata allertata per i soccorsi. Secondo molti giornali "è stata fatta giustizia" con le condanne ad otto e sette mesi (con la condizionale, probabilmente) per due agenti. E con l'assoluzione dall'imputazione di tortura per l'agente che lo prendeva a calci mentre era disteso per terra. Avrei molto ritegno a chiamarla "giustizia".
Ciao Fulvio!
concordo. Oltre alle scelte di tempo completamente sbagliate, all'approssimazione organizzativa, alla troppo sospetta ingenuità nella conduzione di tutta l'operazione, fosse stato un colpo di stato militare vero e proprio, due jet militari - per esempio - avrebbero "scortato" l'aereo di Erdogan per poi arrestarlo, oppure lo avrebbero tirato giù senza troppi complimenti. Probabilmente a qualcuno, di cui si conoscevano ampiamente le intenzioni, è stato detto, gli è stato fatto credere, qualcosa che gli è stato fatto mancare subito dopo, lasciandolo scoperto, bruciato, predestinato a fare da vittima sacrificale per una delle più violente repressioni della storia recente turca che, altrimenti, sarebbero state impossibili. Altra cosa, per esempio, che fatico a spiegarmi altrimenti, sono le liste di proscrizione per militari e giudici, già pronte il giorno dopo, se non il giorno stesso. Decade, a maggior ragione, anche l'ipotesi del complotto pilotato dall'esterno: o sopravvaluto, mitizzo troppo i servizi segreti occidentali e i loro "consiglieri", o c'è stato troppo dilettantismo. Ed Erdogan è stato capace, in tutti i sensi, di provocare il suo incendio del Reichstag, un "autogolpe", che non solo non si sia tramutato in un "autogol", ma che abbia legittimato un'ondata repressiva, quella in corso, senza precedenti. Sempre peggio.
Ciao
Paolo
A posteriori posso dire anche io che sicuramente Erdogan e gli ambienti a lui vicini hanno indotto ambienti ostili dell'esercito a credere di poter realizzare un colpo di stato contro di loro, prendendoli in trappola e avendo gia' pronta le successive epurazioni che in effetti sembrano essere state immediate.
Resta comunque il dilettantismo di questi sprovveduti che non arrestano subito il presidente e non mettono sotto controllo radio e tv e che anzi quando entrano alla tv di stato vengono sopraffatti dagli stessi giornalisti manco fossero un manipolo di contestatori dei centri sociali.
Confesso che per un attimo venerdi' sera avevo creduto che ci saremmo liberati del fratello Erdogan come del fratello Morsi 3 anni fa....peccato, era solo un' illusione.
Ps ridicoli gli appelli dei pupazzi dei nostri governanti acrispettare la democrazia e l'esito elettorale in Turchia quando Erdocan e non e' un errore di battitura, mi scuso coi cani e con Fulvio, e' il primo che se ne fotte delle vere regole democratiche chiudendo giornali a lui ostili e sbattendo in galera i giornalisti per lui scomodi.
......che periodo ragazzi!ricordo un cartellone all'uscita dell aereoporto dell'Avana a Cuba recava la foto del presidente degli USA con sotto una gigantesca scritta:" CHI é AMICO DEI TERRORISTI é UN TERRORISTA".
Io come sai sono un sostenitore di Putin ,considerandolo il piu' importante baluardo contro la cupola dei serial killer usisraelenato e le loro milizie di tagliagole .
Putin sicuramente e' uno che non disdegna la realpolitik,si parla di un suo avvicinamento ad Ankara in chiave difensiva verso gli aggressori nato.Pero' non credo si possa assolutamente fidare di un soggetto come Erdogan ,che mi sembra dare segni continui di squilibrio.Che ne pensi Fulvio ?
Ciao e bentornato.
Luca.
In effetti da quanto viene fuori da alcune fonti sembra che ci possa essere stato l'appoggio dei alcuni settori del Pentagono al tentato golpe. Pur non prendendo nulla per oro colato, possiamo escluderlo? O che, essendoci le elezioni negli U.S.A. dove si scontrano line strategichediverse anche in politica estera, che una componente tenti di "guadagnare terreno" rispetto ad un altra? O che un certo cambiamento di linea in politica estera (le scuse alla Russia per l'aereo abbattuto, un possibile riavvicinamento con la Siria) non siano state gradite? Perche' queste accuse cosi'esplicite agli Stati Uniti?
Autogolpe e' la giusta parola e dice tutto. Studiato ideato e messo a punto dallo stesso " sultano".
I soldati nelle strade erano convinti di partecipare ad un addestramento, infatti una volta realizzato hanno subito deposto le armi. Questo e' trapelato dalle primissime interviste avute dai "soldati catturati. Per quanto riguarda Gulen non concordo con la tua analisi, "il Gulen Movement" e' un movimento non violento e usa l'arma dell'educazione: "scienza e religione possono convivere", per quanto riguarda l'Islam il movimento verte sul Sufismo e non Radicalismo.
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