Presstitute di
vocazione e di occasione
C’è la callgirl, ragazza-squillo, che tra le tante
professioni possibili sceglie quella che le risulta più connaturata, o facile,
o remunerativa, o perché non ha gli strumenti per fare altro. E c’è la signora irreprensibile
che, pissi pissi bau bau, la molla a Weinstein e affini, anche in altri campi,
per fare quel film, quella carriera, ottenere quella celebrità, quella
promozione, mettere all’angolo quella collega. Per poi magari arruolarsi tra le
#me too per la guerra al maschio in
quanto tale (sia detto con ogni rispetto per chi ha subito violenza). Le due
categorie, ma storicamente di più la seconda, possono anche essere interpretate
al maschile.
Qualcuno di lessico anglosassone, sempre fertile di azzeccati
neologismi, riferendosi al mondo del giornalismo, ha coniato “presstitute”, dove la desinenza che
richiama il termine con cui si definisce il cosiddetto più antico mestiere del
mondo è preceduta dalla scritta che, di questi giorni, vediamo stampata sui
giubbetti antiproiettile di coloro che
si avvicendano tra tiratori scelti israeliani e infermiere palestinesi da
squarciare sghignazzando. Il lemma si carica di peso specifico maggiore quando
riferito alla categoria delle fraschette
amatoriali e di peso minore nel caso della battona professionale. La
prestatrice d’opera amatoriale, mimetizzata da vergine dei sette veli, invece,
vanta un indice di presstitutismo più alto, giacchè, ci frega: passata per
Weinstein,.giura di aver lavorato esclusivamente con Ermanno Olmi.
La metafora sarà arzigogolata, ma calza. Parliamo con ogni
evidenza dei giornaloni e delle
televisionone di regime, nel primo caso e, nel secondo, di chi si presenta in
edicola inalberando il vessillo della critica, della diversità, del fuori-dai-giochi-del-potere.
E la metafora diventa addirittura trasparente se veniamo a due fatti di oggi,
uno domestico, l’altro estero. Quello di rilevanza internazionale è la sommossa
in corso in Nicaragua. Incredibilmente trattata alla stessa stregua dai media
di regime, che fanno il loro mestiere (vedi prima categoria) e dalla stampa
sedicente di sinistra, che parrebbe storicamente più vicina a Fidel che al generale Pinochet. Per entrambi
la versione è univoca e inconfutabile: genocidio del proprio popolo per mano dell’ennesimo
dittatore comunista, rivoluzionario sandinista partito dalle stelle e finito
alle stalle. Ne parleremo più sotto. Partiamo con le cose di casa nostra.
Soros deflagra a
Trento: Salvimaio al servizio dello zar!
Nel mio ultimo articolo “Populisti
ante portas, globalisti nel panico” mi sono ritrovato solo soletto, con il
titoletto “Mamma, li russi!”, ad
attribuire l’avversione di Mattarella e dei suoi sponsor euroamericani al
governo Lega-Cinque Stelle, non tanto a conti e coperture, non tanto all’eurologo
impertinente Savona, alla Flat Tax, o alla demolizione della Fornero, quanto ad altre, più gravi ragioni:
l’apertura ai russi, il rifiuto delle sanzioni. la collaterale ostilità alle
missioni militari (tutte intimamente anti-russe) e l’opposizione alla valanga
migratoria.
“Sono i russi a interferire e a pagarli”
Ricordate la foto del sorridente incontro tra il premier
Gentiloni e George Soros, inaspettatamente schizzato fuori dal caveau di rapinatore
più ricco del mondo (o quasi) e piombato a Palazzo Chigi per porre freno a
quello che “il manifesto”, le varie monadi “di sinistra”, il papa e le
cooperative prosperate sui migranti, consideravano il più grave crimine contro
l’umanità dai tempi delle leggi razziali e di Auschwitz? Il sacrilegio che
aveva precipitato l’arrivo dell’alto sacerdote della non-interferenza negli
affari altrui era l’inaudita incriminazione
di alcune procure delle Ong per aver trafficato con i trafficanti e il
modesto tentativo di Minniti di porre sotto sorveglianza giudiziaria e
finanziaria il naviglio di queste Ong. Empia profanazione, poi, era stato il
trasferimento a organismi pubblici, lo Stato italiano e la Guardia Costiera
Libica, per quanto male in arnese, del controllo di un fenomeno sociale finito
in mani private. In particolare di quelle prensili, artigliate e palmate sue,
di Soros.
Il mondialista Soros, cui ogni epifania di sovranità, ovunque
si manifesti fuori da Washington o Tel Aviv, fa lo stesso effetto di un cespuglio
di aglio a Dracula, con le zanne che gli si arrotano e le rughe dei suoi vizi
di killer monetario che gli si aggrovigliano, si è riprecipitato in Italia
domenica a Trento, al congeniale Festival dell’Economia. Qui si è manifestato
in pubblico con un tonitruante discorso su quanto fosse centrale ciò che a me
era parso arguire dal pigolìo anti-Salvimaio di Mattarella e dagli ululati
antitaliani dal Nord Europa. “Salvini e
Di Maio sono la longa mano di Mosca e rappresentano una minaccia mortale alla
comunità internazionale (intesa come Occidente, anzi come Nato).
Dobbiamo sapere se il nuovo governo è a libro paga di Putin, un uomo che
non vuole distruggere l’Europa, perchè ne ha bisogno (compra il suo gas), ma la
vuole dominare, per cui Salvini e il nuovo governo sono da ascrivere ai nemici
interni dell’Europa”. Ovviamente un misto pestifero di balle, illazioni,
calunnie, ricatti, tipico del figuro. Un’accusa a Mosca di interferire, magari
pure con i soldi, nelle vicende politiche italiane, mossa da uno come Soros
che, per conto degli Usa, non c’è angolo del mondo dove non abbia messo i suoi
soldi e le sue Ong mercenarie, significa, perdonatemi l’eleganza, davvero avere
quella faccia di rospo incartapecorito come il suo culo.
Al megabotto di Soros, cocotte e mignotte hanno subito
aggiunto i propri petardi, segno di quanto terrore suscita nel gangsterismo
occidentale l’epifania di qualcuno che prospetta – solo prospetta! - di far
qualcosa contro mafie, corruzione, speculazione, spoliazione, impoverimento, invasioni,
guerre, sopraffazione, asservimento. Imbattibili i tabloid scandalistici (nel
senso che non vi si fa giornalismo, ma scandalo) della stampa d’ordine: richiami
in prima, peana editoriali alla denuncia della tremenda minaccia dell’unno del
Cremlino e analisi terrorizzanti, per pompare il “j’accuse” dell’ebreo ungherese. Quello che testè è stato
salutarmente cacciato dal suo paese d’origine e da altri latinoamericani dove,
come al solito, sobillava. E non certo nell’interesse dei magiari.
La transustanziazione dell’uomo con i padroni della stampa
occidentale, di destra e sinistra, ci si presenta nel nome di solidarietà,
fratellanza, integrazione. Ciò che non si vede tra tanta bontà è il segno di
un’operazione colonialista intesa alla riproposizione di quanto passò nell’Inghilterra dell’800, nelle sue
colonie e nelle filande di Manchester. O anche a farci rivivere i fasti di chi venne strappato dalla sua qualità di
uomo in Africa per farsi ridurre a schiavo nei campi di cotone.
Un filantropo che nella
sua sciaguratamente lunga attività ha fatto saltare la banca d’Inghilterra per
ridurla al servizio della Federal Reserve, che, insieme a Draghi e Andreatta,
nel ’92, ha attaccato e fatto svalutare del 30% la lira, facendo bruciare a
Ciampi 40mila miliardi, onde permettere a premier fedifraghi di svendere,
ridotta a saldi, la migliore parte del nostro apparato produttivo. E’ da tale
soggetto che si lasciano reclutare, istigare, finanziare le varie Ong
vendipatria nei paesi da destabilizzare e quelle che servono la strategia
mondialista dello sradicamento dei popoli dalle terre da depredare, per farne
rifiuti da riciclare nella discarica Italia (già sono iniziati gli annegamenti ricattatori,
vedrete come aumenteranno). Un energumeno del finanz-banditismo che ha rovinato
economie di intere nazioni speculando sulle valute nazionali, che ha finanziato
tutti le rivoluzioni colorate, i golpe e i regime
change dell’imperialismo, a partire dalla Belgrado di Otpor e di radio
B-92, cara al “manifesto” e a Casarini, alla Maidan ucraina fino e all’attuale sovversione nicaraguense.
“Il manifesto” con
Soros in Nicaragua
Non alla Siria, che resiste a 7 anni di stragi, non al
Venezuela sabotato nella sopravvivenza del suo popolo, non a Kiev nel pantano
della corruzione attraversato da caimani nazisti, non al Donbass da prendere
con la fame, non al Congo decimato dai mercenari delle multinazionali, non
all’Iran nella morsa delle sanzioni e delle minacce, non alla Grecia con
l’ulteriore stretta del cappio della Troika al collo. No, il massimo spazio,
fino a due paginoni zeppi di immagini spezzacuore di vittime della repressione
di Ortega, le pagine estere del “manifesto” le impegnano sul Nicaragua. Sulla
bellissima rivoluzione democratica e pacifica e sulla demonizzazione della sua
direzione politica: Daniel Ortega e la moglie Rosario Murillo. E i reportages,
firmati da Gianni Berretta, fanno apparire quelli della stampa di regime, pur
veementemente antisandinista, analisi problematiche, con innesti di voci
alternative.
Definire rivoltante queste cronache di una unilateralità
pro-rivoltosi di stampo orwelliano, di una totale assenza di dubbi, di un
livore anti-sandinista senza controllo, che offenderebbero il più lasco concetto
di deontologia giornalistica, è poco. Definisce un evidentissimo pogrom,
scattato ad aprile, con il pretesto di un provvedimento sulla previdenza,
compensato da altre misure, elogiativamente “rivoluzioni colorata”, nella linea
di un “quotidiano comunista” che le
“rivoluzioni colorate” di CIA, NED e Soros,.le ha sostenute tutte. Per
Berretta, la rivolta è formata da società civile, impresa privata (sic!) e
studenti. Che l’impresa privata sia la Confindustria e gli studenti siano tutti
delle università private e scuole cattoliche e non delle statali, non suscita
interrogativi. Le forze di polizia e militari attaccherebbero i pacifici
contestatori, laddove a tali forze
Ortega ha ordinato di non usare armi da fuoco, per cui gli oltre 100 morti di
due mesi di rivolta dovrebbero far
pensare ai “manifestanti non violenti” di Kiev, Bengasi e Deraa in Siria. Naturalmente non una riga viene dedicata alle
manifestazioni in appoggio al governo, sebbene di decine di migliaia di
persone.
In Berretta i termini “dittatura,
corruzione, potere patologico, massacri…” pervadono come un vaiolo una
cronaca che si fa forte dell’evidente sostegno dell’episcopato agli insorti
(come ovunque nell’America Latina di Bergoglio), seppure mistificato dall’invito
al dialogo tra le parti, invito poi unilateralmente dalla Chiesa interrotto,
perché “Ortega non ritira la polizia
dalle strade”, lasciando campo libero alla teppa armata. Questo formidabile
interprete della politica estera del “manifesto” riesce a marchiare la
rivoluzione sandinista, per quanto annacquata, ma comunque responsabile di una
grandiosa eliminazione delle diseguaglianze e del riscatto di milioni di
poveri, di “analogia e continuismo con la dittatura di Somoza”, l’arnese più
brutale e scellerato che gli yankees abbiano imposto all’America Latina. Quello da cui passava le sue vacanze Santa Madre Teresa di Calcutta.
Ovviamente passa sotto silenzio e del tutto irrilevante
l’interesse che potrebbero avere gli Usa a rovesciare un governo che già
aveva inflitto una sconfitta ai
mercenari Contras finanziati con la droga e il traffico d’armi con
l’Iran. Un governo che impedisce la
normalizzazione del Centroamerica, iniziata con il golpe in Honduras e ormai
affermata dal Messico alla Colombia. Un governo
che, facendosi costruire dai cinesi – orrore! - il nuovo canale tra i due oceani minaccia di
mettere fuori mercato quello amerikano del Panama. Quisquilie che non valgono
certo un regime change. Che un
abbattimento del governo Ortega significhi, come successo in Honduras, Brasile,
Argentina, Ecuador e come tentato in tutto il subcontinente, una catastrofe sul
piano geopolitico per i popoli in cerca di emancipazione, è un dato che non
interessa al “manifesto”. O forse sì. Ma dall’altro lato.
Dal 23 aprile manipoli di estremisti di destra uccidono
sostenitori del governo e passanti, attaccano e incendiano uffici
amministrativi e stazioni di polizia, vandalizzano e saccheggiano il piccolo
commercio, distruggono autobus, taxi veicoli privati, allestiscono posti blocco
alla maniera delle guerimbas venezuelane.
Ortega accetta le quattro condizioni chieste dall’Episcopato, salvo il
ritiro delle forze dell’Ordine, pur disarmate.. Il cardinale Brenes sospende il
negoziato. Le sommosse bloccano l’economia, gli scambi, il commercio.
L’obiettivo è chiaramente il collasso del paese e del governo.
In prima fila nella mobilitazioni sono Ong legate agli Usa.
La leader dell’opposizione, Violeta Granero, è ufficialmente pagata da
Washington. Tre “studenti” stanno attualmente girando il mondo (ora in Svezia)
a sostegno della rivolta. Una è Jessica Cisneros , del Movimiento Civico de Juventude (MCJ) Creato, finanziato come parte
integrale dell’Istituto Democratico Nazionale (NDI) statunitense, presieduto
dalla famigerata Madeleine Albright, distruttrice della Jugoslavia. Insieme
alla NED (National Endowment for
Democracy) e a USAID, si tratta del massimo
organismo del Partito Democratico per le infiltrazioni nelle “società civili”
dei paesi non subalterni agli Usa. Il segretario generale del MCJ è Davis Jose
Lopez che è al tempo stesso coordinatore del NDI per il Nicaragua. Yerling
Aguilera, altra studentessa peripatetica, esponente del movimento femminista è
una dirigente dello IEEPP, associazione che lavora per “la migliore
informazione del pubblico” ed è
finanziata dalla NED. Esponente dei
verdi e delle femministe è anche la terza studentessa, Madelaine Caracas. Si
vanta il NDI: “Per assicurarci che la
prossima generazione di leader sia in grado di governare il Nicaragua in maniera democratica e
trasparente, dal 2010 abbiamo addestrato ben 2000 leader giovanili.
I finanziatori delle Ong, associazioni, istituti scolastici,
enti di cooperazione,che regolarmente risultano matrice e fucina dei sovvertitori
di governi considerati non obbedienti da Washington, sono sia di Stato, NED, NDI,
la CIA, USAID, sia privati. Primo e ubiquo, davanti a Fondazioni come Ford e
Rockefeller, c’è sempre lui: George Soros. A Roma come a Managua, a Kiev come a
Caracas. E lui e i suoi sodali nei media hanno l’audacia di denunciare
interferenze russe.
Imitando i terroristi libici, i rivoltosi in Nicaragua hanno
sostituito alla gloriosa bandiera rossonera della rivoluzione sandinista,
quella bianca e azzurra dei tempi coloniali. Quella di Somoza. L’uomo di cui
Roosevelt disse: “Sarà un bastardo, ma è
il nostro bastardo”. Vale per tanti altri, in Nicaragua, da noi, nel mondo.
5 commenti:
Interessante articolo. Storie che
abbiano visto in diretta alla TV
Reagan,lo scandalo Iran-contras,
Ortega, sembra ieri...
http://alcesteilblog.blogspot.com/2018/06/beppe-grillo-la-bocca-della-verita.html?m=1
Il passacarte
Il Manifesto prende soldi pubblici, per questo tiene Manlio Dinucci per darsi la patina di anti-atlantico e per il resto si allinea alla canea russofoba, anti-chavista, anti-cinese, naziliberista, globalista ecc. con qualche sponda dei soliti utili idioti trozkisti qua e là. Se non fa questo, i suoi padroni gli tolgono i fondi pubblici, avranno minacciato di toglierli quando hanno decapitato Geraldina Colotti.
MA VA A LAVURA' BARBUN!
Ieri sera sono andato ad un incotro sulla situazione in Siria. È intervenuto un siriano arrivato in Italia nel 2014, fiero oppositore di Assad che lo avrebbe costretto a lasciare il paese. Al di là delle bordate contro il presidente (che accusa addirittura di un attacco ad un carcere per liberare delinquenti da mischiare ai "pacifici ribelli" per avere la scusa per poterli bombardare) mi ha colpito la sua descrizione della Siria prima della guerra. Un paese dove non esistevano differenze religiose. Un paese dove non esisteva la povertà. Un paese abitato da un popolo colto e solidale. Poi ci ha raccontato un episodio avvenuto all'inizio della guerra, a Damasco. Lui faceva la guida turistica accompagnando gruppi di turisti italiani e, scendendo dal monte che domina la città, uno dei turisti lo informò che in Italia i media avevano parlato di un'esplosione in una piazza, proprio sulla loro strada. Quando sono passati di lì era tutto tranquillo, il traffico regolare. Due ore dopo ha chiamato un albergo vicino alla piazza e mentre erano al telefono è avvenuta l'esplosione annunciata dai media occidentali. E lui ha concluso dicendo che non sapeva chi c'era dietro, ma che fin dal principio la "sollevazione" è stata "programmata". Gli altri presenti erano tutti sconvolti. Io pensavo al tuo bel documentario "Armageddon sulla via di Damasco". Quello che per loro era nuovo, tu 6 anni fa ce lo avevi raccontato. Grazie Fulvio.
La bandiera bianca e azzurra è la bandiera nazionale e di Stato del Nicaragua, mai cambiata in 150 anni. La bandiera rossonera è quella del partito FSLN e non ha mai sostituito l'altra.
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