Cari amici,
interlocutori, compagni, ora ci sarà una pausa di qualche settimana. Forse
incontrerò qualcuno di voi nelle valli o sulle pareti delle Dolomiti. Mi
perdonerete la lunghezza (prolissità?) di questo testo, forse, considerando che
non di quisquilie spero si tratti e che il tempo per leggerlo è da qui a metà
luglio. Buon tutto.
Atene, le voci dei leader della Resistenza greca.
“Dico con tutta la forza della mia
anima che il nostro paese realmente fa parte del quadro occidentale, appartiene
all’Unione nEuropea, alla NATO e questo non si mette in discussione” (Alexis Tsipras, Antenna TV, maggio
2014)
Voci Bilderberg per tenere a galla i
negrieri
L’altra sera
ho aperto la finestra di destra del canale di Urbano Cairo, quella che la sua
conduttrice e autrice definisce “progressista” alla maniera con cui il PD si definisce
di centrosinistra, Saviano di sinistra tout court, Fratoianni di estrema
sinistra e “il manifesto” quotidiano
comunista. Mi riferisco alla trasmissione della signorina
Lilli-Bilderberg-Gruber “Otto e mezzo”, che tutte le sere e anche il sabato ci
dà la misura della professionalità con la quale il giornalismo bilderberghiano
e quello subordinato affrontano le questioni dirimenti del nostro tempo. Tipo
gli eroi MSF di Aquarius, che ormai pescano migranti sul bagnasciuga libico,
per risparmiare costi e fatiche ai colleghi in terra. C’erano i soliti tre
ospiti; due a far squadra con la conduttrice, l’altro a fare da vaso di coccio,
dovendosi guardare dai due lati e anche da davanti. Equilibrio divenuto fisso
nelle tv, non solo della signorina Lilli, in queste temperie di terrorizzanti
cambiamenti di uno Status quo rimasto
tale, con interruzioni, dal Congresso di Vienna del 1815 (restaurazione) e
allargato al Sud del mondo dalla Conferenza di Berlino del 1884-5 (spartizione
delle colonie).
Bilderberg
e giornalismo: compatibili?
Nell’occasione,
a farsi sostenere dal tacco 15, dalla tinteggiatura ramata della chioma e dalla
boccuccia di rosa gonfiata dell’estasiata Gruber, testè reduce dall’annuale convention acchiappamondo della
conventicola bancario-globalista a Torino, c’erano, a completare la triade “progressista”,
Massimo Giannini, frammento laico, ma sanamente anti-5Stelle, di Eugenio
Scalfari, santone che divide le sue devozioni tra due divinità, Bergoglio e
Draghi, e tale Diego Bianchi, detto Zoro. Uno che, se non lo avete visto, siete
distratti di molto, dato che nei suoi programmi quel faccione rustico, da
paracomico rurale e cripto-agitprop “progressista”, lascia ad altre immagini lo
spazio del raccattapalle alla finale di Wimbledon tra Federer e Nadal. Accomunati, tutti e tre, da una viscerale avversione ai 5Stelle, che si
direbbe al limite della psicopatia, se non la si riconoscesse subito di stampo
bilderberghiano. Poi c’era, fuori dal coro, Andrea Scanzi, arguto editorialista
del Fatto Quotidiano.
L’argomento
era Aquarius, le nefandezze di Salvini-Toninelli, l’eroismo dei soccorritori
Medici Senza Frontiere, la disperazione di 630 sottratti al naufragio. E non
c’era partita. Con i tre progressisti che si lisciavano il pelo a forza di umanità, generosità, donne incinte
e bambini abbandonati; con lo Zoro che innescava addirittura la bomba del
Regeni torturato e ucciso da Al Sisi,
tanto per far capire che hic sunt leones:
a sud del Canale di Sicilia in mano a libici ed egiziani e in quell’inferno che
è tutta l’Africa (ma anche il Medioriente, l’Asia, tutto quello che non è
Occidente), cosa poteva dire il povero Scanzi, fatto camminare sui carboni
ardenti dei migranti a rischio annegamento?
L’occasione sarebbe stata d’oro perché i tre professionisti della
comunicazione si togliessero la curiosità di conoscere, da una protagonista che
c’è stata, cosa diavolo si fosse detto, letto, scritto, combinato, deciso,
nella riunione dei fenomeni dotati di superpoteri, capeggiati dai Rothschild. I
vertici di quell’1% dell’umanità che detiene il 48% delle risorse mondiali, di
quel 10% che ne detiene l’80%, avendolo rubato a quel 50% che non detiene una mazza (tra i quali anche
5 milioni di nostri concittadini che non hanno da mangiare, i 17 milioni che ne
hanno poco, i 12 milioni che non possono curarsi).
Occasione sfuggita
ai giornalisti ospiti, né offerta dalla giornalista ospitante. E’ la nuova
caratura della categoria. Della Gruber e della qualità professionale di una che
partecipa a segreti consessi di portata planetaria e poi non dice nulla a
quelli che dovrebbero essere i suoi utenti, s’è detto. Su Giannini, scriba
scalfarian-debenedettiano, nulla c’è da aggiungere. Zoro, fattosi una
credibilità politica in testate bolsceviche come “Il Riformista”, “il Venerdì
di Repubblica” e Canale 5 del Berlusca, dalla nicchia di Serena Dandini (“Parla con me”), sfottendo benevolmente
le evoluzioni del PCI-PDS-DS-PD, si guadagna i galloni per una prima serata
griffata buonismo ridanciano, migrazionista, femminista, genderista,
antipopulista, di alto gradimento sorosiano. Con Mattarella, dopo il noto
episodio di sapore golpista, si complimentano a vicenda di aver salvato
l’Italia.
Mi sono
dilungato su questo esempio di impeccabile deontologia perché si tratta di una
mera tessera, neanche tanto clamorosa, nel mosaico urlante dei media, cioè dei
padroni dei media, compostosi nei giorni
in cui la chiusura dei porti ai negrieri del moderno schiavismo
coincideva con l’epifania nei cieli d’Italia del sole Soros, maitre à penser et à financier del fenomeno migrazioni. Uno schiavismo frutto
del nuovo colonialismo che non occupa più terre, ma ne estrae le ricchezze e
non deporta più persone, ma le induce ad
autodeportarsi e poi le convoglia dove servono meglio. Magari là dove, per
abbattere le anacronistiche pretese di diritti, sovranità, pane e libertà degli
autoctoni, c’è bisogno dei collaudati eserciti
industriali (logistici e agricoli) di riserva.
Licantropi in veste di agnelli
Il
raziocinio, la chiaroveggenza, la memoria storica degli italiani è stata
travolta in questi giorni da uno strapparsi i capelli e un lacerarsi delle
vesti sulle scelleratezze anti-migranti tali da rendere bisbigli gli strepiti
di 20 secoli di prefiche calabresi. Il parossismo dell’ipocrisia nel quale,
ancora una volta, eccelleva “il manifesto” (sostituto volenteroso della defunta
“L’Unità” nella disinformazione umanitarista pro-PD), con metà del giornale
dedicata a santificare i negrieri Ong e
l’altra a sostegno delle operazioni Cia-Soros anche in America Latina
(Nicaragua) e alle escursioni culturali della tribù degli eletti. Una specie di
catarsi collettiva, una lavacro, risoltosi in un riciclaggio gigantesco della cattiva
coscienza, finalizzato a seppellire, sotto un’immensa fioritura di diritti
umani profumati all’iride, i macigni delle proprie frustrazioni e impotenze. Ma
anche i sensi di colpa, maceranti anche se non ammessi.
Frustrazioni
e impotenze per aver subito, subito ancora, risubito e non essere stati capaci
di reagire, di concepire, proporre, far passare l’alternativa alla tirannia del
pensiero e modo unico. Alternativa che si sa bene indispensabile per prolungare
il cammino della specie, delle specie, su questo pianeta. Sensi di colpa per essere stati e voler continuare ad essere registi e
attori di un cannibalismo dall’esito letale per tutti (ma per loro un po’ dopo),
per aver celato sotto una teatrale virulenza anti-razzista, il razzismo vero,
genocida, delle guerre Nato condotte in combutta con l’UE buro-oligarco-fasciocratica,
strumento continentale della cupola mondialista.
Diceva Alexis de Tocqueville che la storia è una galleria di
quadri dove ci sono pochi originali e molte copie. Non per caso mi sono
riferito prima al Congresso di Vienna. Sconfitto il messaggio napoleonico, pur
sanguinario, della legge uguale per tutti e della costituzione dei popoli in
nazioni, le monarchie assolute imperiali, compresa quella ecclesiale, provano a riavvoltolare la Storia. A ogni
decennio successivo moti popolari, memori dell’89, alzano barricate contro la
restaurazione: anni ’20, ’30, il ’48 in tutta Europa e a Roma con Garibaldi.
Risorgimento italiano, tedesco, Comune di Parigi. Ne saranno eredi, un secolo
dopo, le nazioni in lotta di liberazione dal colonialismo, Algeria, Cuba,
Vietnam, mezza Africa, Egitto, Libia, Siria, Iraq, Afghanistan…. Tutte nello sconveniente
nome di “patria”.
E’ la
solita storia: quelli del Congresso di Vienna contro quelli della Repubblica
Romana
Le comunità omogenee, unite da storia, lingua, cultura,
progetto sociale, desiderio di democrazia e sovranità si stabilizzano in
nazioni. Le monarchie si estinguono. Ma non quelle forze, in costante
cospirazione per la rivincita, oggi come allora costituitesi sulla base della
ricchezza rapinata. Il mundialismo si è dotato di tecnologie di persuasione e
controllo senza precedenti dai tempi di inferni e paradisi minacciati e
promessi, di armi di sterminio, di formidabili quinte colonne nel campo
avverso. Ma ha conservato e aggiornato l’arma della tratta degli schiavi, oggi anche di 68 milioni di migranti, sfollati, bombardati, rapinati, pronti a essere
spostati e riposizionati dove occorra annientare resistenze fondate su
coscienza di sé, del proprio passato e del proprio futuro. E’ in vista un nuovo
Congresso di Vienna, la restaurazione si chiama mondialismo e guarda al Sud del
mondo come gli spartitori di Berlino 1884.
Da noi gli facilitano il compito gli assist agli zombie del
PD e della “sinistra sradicale” di un trucidone come Matteo Salvini e dei suoi
detriti parafascisti, della cui identità e del cui ruolo vero resta da dubitare
fortemente. Del resto, più questo energumeno vernacolare viene spernacchiato
dai Lerner, Boldrini, Zucconi, Speranza, noti
combattenti per il proletariato, e più il furbo bifolco cresce. E’
questa l’intenzione? Se ne diano una ragione i 5 Stelle, se qualche bagliore in
quegli astri è rimasto e saltino il fosso prima che quello ve li faccia
affogare.
Basta
vedere, ascoltare i greci
La Grecia, che ho raccontato nel docufilm “O la Troika o la vita – Non si uccidono così
anche i paesi?” ha subito, grazie a quelle famose quinte colonne, la sorte
che in America Latina viene attualmente riservata alle nazioni dell’arco
antimperialista. E’ stata la prima e ci sono tutti i segni che noi se ne debba
seguire la sorte. Forse, a dare la precedenza ai figli dei classici, è la
saldezza e la forza di una civiltà che ha insegnato all’uomo e alle comunità
coesione, dignità e bellezza e che non rinuncia ad ergersi, come Zeus padre, a
denunciare la ferinità dei barbari. Il boia della Grecia, idolo delle
eurosinistre migrantifere e genderiane, ha ridotto il suo popolo allo stremo. Ne
ha svenduto tutto. Giorni fa, ligio al diktat della Troika, Tsipras ha dato un
altro giro al cappio sulla gola dei pensionati e lavoratori. Ma stavolta,
innescato anche dalla rabbia del cedimento tsiprasiano alla Macedonia slava del
nome usurpato al greco per eccellenza Alessandro Magno, rinuncia finalizzata a permettere al vicino
del Nord l’ingresso nei lager UE e Nato, il popolo greco, nelle sue varie
componentidi popolo, si è mosso. Manifestazioni imponenti come quelle del
grande ciclo 2010-2015 si sono riviste nelle maggiori città. Le guida una
sinistra vera, qualcuno direbbe populista. L’abbiamo ascoltata.
ATENE
Alekos
Alavanos, economista, psicoterapeuta, già presidente di Synaspismos e poi capogruppo di
Syriza, oggi segretario della formazione “PLAN B”, staccatasi da Syriza dopo il
referendum.
F.G. Cos’è il Plan B?
A.A. E’ un’idea alternativa per una politica totalmente
diversa rispetto a quelle dettateci da Bruxelles, Francoforte e Berlino e che
hanno distrutto la società e l’economia della Grecia. Non siamo io e altri
compagni che abbiamo cambiato idea, è stata Syriza a cambiare totalmente. La
rottura avviene nel 2011 quando Syriza sostiene che non era possibile avere una
linea autonoma nel quadro dell’eurozona e dell’UE.
F.G. Che Grecia sarebbe
quella del Piano B?
A.A. Nessuno può pensare che ogni cosa possa essere fatta
senza correre rischi, trappole, difficoltà. Proponiamo una cosa molto semplice:
le politiche che la maggioranza dei paesi evoluti ha attuato dopo una
prolungata recessione. Significa liquidità, domanda, salari e pensioni in grado
di far girare la ruota. Significa un ruolo diverso dello Stato, creativo e
dinamico, una politica di bilancio opposta a quella dell’UE.
F.G. Pensi che ci possa
essere vita fuori dall’UE?
A.A. Certamente c’è vita fuori dall’Europa. Ma non c’è alcuna
Europa, non è Europa. Per oltre vent’anni sono stato un membro del Parlamento
europeo, amo l’Europa, tengo al confronto con gli altri paesi, le altre forze
politiche. Abbiamo bisogno di cooperazione in Europa. Ma deve essere una
cooperazione basata sulla solidarietà, sul mutuo beneficio, sul rispetto. Se
vuoi essere filo-Europa devi essere contro l’UE e la sua valuta. Siamo
all’ennesimo memorandum: ancora tagli, riduzione delle pensioni, più tasse,
meno esenzioni. Tutto questo mentre già stiamo in una gravissima depressione.
F.G: Il popolo greco
aveva deciso diversamente…
A.A. Il venerdì, prima del referendum della domenica in cui
vinse il no alla Troika, vidi la Merkel in tv che diceva che se i greci avessero
votato no, il lunedì non sarebbero più stati membri dell’UE e dell’euro. Ci
minacciò. Usano campagne terroristiche, ora anche in Italia, di fronte alla
rivolta della gente. I greci non si fecero intimidire: oltre il 60% votarono
no. Poi furono traditi, ingannati. Se io voto no e il governo il giorno dopo
dice sì, ciò che si perde sono l’autostima, la fiducia, la prospettiva, la
dignità morale.
F.G. E adesso?
A.A. Credo che ci siano dei buoni segni, che non ci vorrà
molto prima che il popolo greco si svegli e riprenda in mano il fucile, il
fucile della politica.
F.G. Anche noi abbiamo
vinto un referendum contro i desideri della Troika. Credi che l’UE abbia per
l’Italia un progetto come quello imposto a voi?
A.A. Spero che i poteri sistemici in Italia non si comportino
come i nostri e le sinistre come le nostre sinistre. In effetti l’Italia è un
boccone grosso. Ma potrebbe anche essere la leva per cambiare l’intera Unione.
Le recenti elezioni, chiunque governi ora, hanno espresso una chiara volontà
della maggioranza contro quanto all’Italia viene imposto. L’Europa non può
sopravvivere nella forma e con i contenuti di adesso. Brexit è la soluzione.
Spero che i popoli italiano e greco ritrovino la propria autostima e lottino,
insieme ai francesi, ai tedeschi, a tutti, per un’Europa diversa, senza la BCE,
senza questa valuta tossica. Un’Europa della libertà, creatività e della
capacità sovrana dei popoli di autogovernarsi.
F.G. Vedi un filo che
corre dalla vostra guerra contro i nazifascisti, alla guerra civile, a quella
partigiana contro i britannici, alla dittatura Nato di Papadopulos, fino alla
Troika?
A.A. C’è un filo, un filo assai pericoloso. E’ il filo della
dipendenza, della subordinazione, militare, politica, anche psichica. La
Grecia, inizio e simbolo della nazione che resiste, fin dall’800, è un simbolo
increscioso, intollerabile. Dobbiamo farla finita. Non siamo agli inizi
dell’800, quando qui comandavano i sultani. Sai, non c’è più sovranità
nazionale. Una sovranità che non sarebbe in contraddizione con la collaborazione
internazionale. Anzi. C’è sovranità
nazionale quando il popolo si autogoverna e quando la cooperazione internazionale
rispetta e favorisce una sovranità nazionale democratica. Il frutto è sull’albero.
Lasciamolo maturare. Arriverà sulle nostre tavole.
Panagiotis
Lafazanis, segretario di “Unità
Popolare”, già dirigente del KKE (PC greco) e ministro nel primo governo Tsipras,
poi staccatosi da Syriza
F.G. Sembra che in
Grecia rinasca una resistenza.
P.L. Per la prima volta dopo molto tempo si sono viste
manifestazioni popolari di massa davanti al parlamento e in molte città contro
la Troika, l’alleanza con Israele di un paese da sempre vicino ai palestinesi,
la cessione del nome Macedonia (“Macedonia del Nord”), nome greco di terra
greca, al vicino slavo. E si è vista la brutalità della repressione di un
governo che si dice di sinistra, per quanto alleato all’estrema destra.
Pensiamo che il movimento risponderà e si rafforzerà, in vista anche di una
data molto importante, quella del referendum vittorioso contro l’austerità e la
Troika, il 5 luglio.
F.G. Come siete messi,
dopo l’ennesimo memorandum?
P.L. La condizione della società greca è catastrofica, una
situazione in cui non ci si vuol far vedere nessun futuro. Il 34,6% della
popolazione vive sotto la soglia della povertà, 3.796.000 persone su 10
milioni. E il debito che dovremmo pagare con questo strangolamento continua a
crescere. E’ ancora forte la sensazione che tutto è perduto. Ma c’è anche
l’altra faccia della luna: resta un potenziale sociale in grado di riprendere
in mano la situazione e reagire. Insomma, c’è un corpo sociale che si convince
di essere fottuto e un altro che è deciso a uscire dal vicolo cieco impostoci
da Tsipras.
F.G. Basteranno le sole
forze greche, o ci vorrà il concorso di altri paesi?
P.L. In effetti, perché il popolo greco possa liberarsi, gli
occorre il concorso di altri popoli europei, in prima linea di quello italiano.
Però a noi tocca l’impegno di non aspettare che si muova un popolo vicino.
Dovremo comunque essere i primi a rompere le sbarre del carcere tedesco. Forse
saremmo l’ispirazione per altri, fino all’affondamento di tutta l’eurozona,
come di questa Unione Europea.
F.G. Qual è il progetto
strategico dei vostri nemici?
P.L. Per la Grecia è
la distruzione del paese, non c’è dubbio. Per l’Europa si tratta di una nuova
feudalizzazione che elimini i soggetti nazionali in modo da riunire sotto il
controllo dell’oligarchia tutte le ricchezze dei singoli paesi. Per noi del Sud
si tratta dell’applicazione di classici criteri colonialisti. Sono questi i
caposaldi del progetto europeo. Sono caposaldi razzisti, ma a dispetto del
suo razzismo, l’Europa sta conoscendo l’inserimento massiccio nel suo seno di
altre popolazioni spodestate e sradicate e chi nutre dubbi sull’onestà del
fenomeno, che non nasconda qualcosa di letale, viene accusato di xenofobia.
F.G. Potrebbe trattarsi
di una strategia dei globalisti finalizzata a svuotare delle proprie generazioni
giovani il Sud del mondo, ricco di risorse appetite dall’imperialismo?
P.L. Evidentemente. Ma si noti che i paesi costretti a
ricevere queste masse di migranti sono la Grecia e l’Italia. Non è un caso. E
si prevede che queste masse aumenteranno man mano che l’Africa viene impoverita
e si diffondono altre guerre. Non per nulla gli Usa e la Nato hanno
intensificato in questi giorni i bombardamenti su Iraq e Siria, mentre si
accentua la militarizzazione dell’Africa. Di questi sviluppi Grecia e Italia
sono le grandi vittime.
F.G. Siamo tutti figli
della civiltà greca. E’ per questo che la Grecia deve essere punita?
P.L. E’ da qualche secolo che ci si vendica della nostra
civiltà. Poi, per le élite euro-atlantiche punire la Grecia alla vista di tutti
gli altri ha lo scopo di fornire un esempio. Se voi non accettate
incondizionatamente l’impero, sarete puniti come i greci. Ma potrebbe anche
succedere che la Grecia si riveli il tallone d’Achille di questo progetto.
Grigoriou
Panagiotis, antropologo, sociologo, economista, giornalista, autore di “Asimmetrie” sulla
vicenda UE-Grecia, intellettuale di
punta della sinistra greca
F.G. Anche qui per
certe finte sinistre del neoliberismo globalista la parola sovranità è
diventata reazionaria e sovranismo sinonimo di destra?
G.P. Posso solo dirti
che il governo Tsipras ha ceduto controllo e sovranità del paese, compresi i
beni pubblici, ai creditori, titolari di un debito sistematicamente creato da
dominanti esterni e complici interni. E questo per 99 anni. Si è perso il 40%
dell’industria, il 40% del commercio, il 30% del turismo, tutti i porti, tutti
gli aeroporti. Il 30% dei greci sono esclusi dalla sanità pubblica e al 30% è
anche la disoccupazione reale. Per un po’ si è ricevuta un’indennità di 450
euro, poi più niente. Tutto questo si chiama effetto Europa, effetto euro. L’ingresso
della Grecia nell’UE e nell’euro ha comportato il progressivo smantellamento
della nostra economia produttrice. Importiamo addirittura gran parte dei nostri
viveri. E’ una condizione di totale dipendenza. Non c’è patria, non c’è
autodeterminazione e, ora con il vicino slavo titolato “Macedonia del Nord”,
non ci sono più neppure gli spazi e confini della nazione greca. Un processo
che interessava a UE e Nato che ora possono incorporare anche Skopje.
F.G. Come e più dell’Italia
questo massacro sociale ed economico è
stata aggravato dall’afflusso di decine di migliaia di migranti da Siria e
altri paesi.
G.P. Un gravame terribile, insostenibile e sicuramente non
innocente da parte della Turchia e di coloro che hanno messo queste persone in
condizione di dover fuggire. E’ sconcertante come a questi profughi sia
garantita, giustamente, un minimo di copertura sociale, mentre a milioni di greci
è stata tolta. Le Ong straniere sollecitano l’immigrazione, per esempio
affittando abitazioni a basso prezzo e riempiendole di migranti, cui pagano
anche elettricità, gas e acqua. Migliaia di greci rimangono senza casa e senza
niente.
F.G. Stavo filmando un
gruppo di persone dell’OIM (Organizzazione Internazionale Migranti), un
organismo a metà tra Onu e privati. Non gradivano essere ripresi. Poi mi è
piombato addosso un arcigno poliziotto che mi ha intimato di cancellare quelle
riprese, se no mi avrebbe addirittura arrestato. Cosa significa tutto questo?
G.P. Non appena si affrontano queste cose si viene accusati
di razzismo. Qui abbiamo una strategia contro certi paesi del Sud. Da un lato
la gente viene indotta a lasciare casa sua dalla violenza o dalla miseria importate
a forza; dall’altro, chi li riceve non deve sentirsi più padrone a casa sua. Tanto
meno, in quanto forze ed enti esterni assumono il controllo della tua economia
nazionale. E qui, a difenderla, sei tacciato di nazionalismo. I greci pensano a
ragione di aver perduto la loro sovranità. E’ come essere sotto occupazione. Di
nuovo un’occupazione tedesca. Pensa che in tutti i settori dello Stato ci sono
dei controllori della Troika! Ricevono i
ministri all’Hotel Hilton. Della Costituzione non c’è più traccia e neppure i
diritti fondamentali del lavoro sanciti dall’UE sono rispettati.
F.G. Perché si
impedisce di filmare migranti e chi se ne occupa? Cosa si vuole nascondere?
G.P. Il fatto è che altri decidono sulle sorti del tuo paese
e che devi fare o non fare quello che vogliono loro. Sempre di più la vicenda
dei migranti, come in Italia, diventa un segreto. Un segreto delle ONG e dei loro finanziamenti
occulti o, comunque, finalizzati a fargli assumere un ruolo che non è il loro e
che sottrae prerogative allo Stato nazionale, uno Stato che non è più padrone
delle proprie frontiere, del proprio territorio, delle persone che vuole o può
accogliere. Tutte queste decisioni sono prese altrove, con le Ong che
gestiscono un fenomeno, in effetti nella piena illegalità, dato che non esiste
un quadro giuridico entro le quali farle agire. Dobbiamo integrare chi non lo vorrebbe quando dalla
nostra comunità nazionale, costituzionale, espelliamo tre quarti dei greci? A cosa
ti fa pensare un paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa,
Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne
sono la rovina definitiva?
F.G. All’Italia.
Abbiamo sentito parole come sovranità, nazione, patria, identità, confini .… Che i
dirigenti della Sinistra radicale greca, quella che lotta contro UE, euro, BCE,
Berlino, Nato, FMI, ONG speculatrici, per salvare la Grecia, possano essere di
destra, nazionalisti, razzisti, xenofobi, compari di Orban?
4 commenti:
Che ne dite della reazione scomposta del Sionboy Saviano alla frase del ministro Salvino riguardo alla sua scorta?
Salve, mi chiamo Saverio e seguo regolarmente il suo blog. Come al solito, sono d'accordo con il 99% di quello che scrive. Non mi convincono però due cose: la prima è l'esaltazione di garibaldi, che a mio parere non fu altro che un agente britannico (per di più massone) incaricato da Londra di spazzare via il regno delle due sicilie, che si era reso inviso all'impero a causa del suo sostegno alla russia durante la guerra di crimea, ed al contempo di scongiurare l'eventualità che nell'italia meridionale si costituisse uno stato filofrancese, magari guidato da un discendente di murat. da questo punto di vista, un'italia unificata sotto lo scettro dei savoia, massoni ed anglofili (come si dimostrerà puntualmente nel 1915 e nel 1943) costituiva per l'inghilterra il male minore. nessuna impresa di garibaldi, e meno che mai quella dei "mille", sarebbe mai stata possibile senza l'appoggio e la copertura offertagli in ogni occasione dai vari consolati britannici e dai vari altri agenti e simpatizzanti dell'impero che fu il diretto progenitore (nei fini e nei metodi) di quello statunitense di oggi. la seconda cosa che non mi convince è il ripudio del nome "macedonia" per definire lo stato con capitale skopje, che suona un po' a vetero-nazionalismo greco. io non so se gli attuali abitanti del paese in questione debbano considerarsi una nazione a sé stante oppure una parte del popolo bulgaro (anzi, propenderei per questa seconda ipotesi), ma di certo sono slavi, e altrettanto di certo sono lì dal sesto secolo d.c. quando nel 1912 il regno di grecia occupò la parte meridionale della macedonia ottomana e la tracia occidentale, inglobò nei suoi confini non meno di 200.000 bulgari/macedoni, considerandoli alla stregua di una razza inferiore e sottoponendoli ad un trattamento di snazionalizzazione, condito da massacri ed espulsioni, che non fu dissimile da quello subito dagli sloveni e dai croati della venezia giulia ad opera del regime di mussolini, tanto che nella guerra civile greca del 1946-1949 essi si arruolarono in massa nell'esercito democratico (comunista), costituendone anzi la punta di diamante. dopo la sconfitta la vendetta del regime para-fascista di atene, sostenuto da londra e washington, fu terribile: molti furono costretti a cercare riparo nella repubblica popolare di macedonia o in altri paesi del blocco socialista, e ancora oggi le autorità greche oppongono molte resistenze a consentire il loro ritorno a casa, oltre ad osteggiare l'insegnamento della loro lingua. con tutto ciò non voglio assolutamente prestarmi ad essere uno strumento del nazionalismo di skopje (sono anzi propenso a sposare la tesi secondo cui l'identità nazionale macedone sia un prodotto artificiale della jugoslavia di tito e che i macedoni appartengano in realtà al popolo bulgaro, non essendoci differenza tra le due lingue) ma solo ribadire che in macedonia gli slavi sono stati storicamente (parlo degli ultimi due secoli) i perseguitati ed i greci i persecutori
Una sola domanda all'ottimo fulvio Grimaldi: lei che, giustamente, si batte per il riscatto dei Sud del mondo, perché non ha cuore le sorti del Sud Italia?
Perché si rifiuta di discutere sull'essenza del cosiddetto "Risorgimento" e continua a presentarlo come processo di formazione e liberazione dell'Italia?
Le risulta che i contadini meridionali potessero condividere le esigenze borghesi di unificazione doganale, avendo già capito che sarebbero stati ridotti, come puntualmente è avvenuto, al rango di una colonia interna? E i massacri compiuti dai fratelli piemontesi di inermi cittadini come li giustifica? le fucilazioni sommarie senza nemmeno il simulacro di un processo? Le spoliazioni del banco di Napoli, dei macchinari industriali, delle Regge, da cui furono trafugati perfino i tegami?
Inutile continuare. Lei sicuramente conosce il giudizio di Antonio Gramsci (cito a memoria): "Lo stato italiano ha massacrato , sepolti vivi i contadini del Sud e poi li ha definiti briganti...". E, infine, se mi volesse dire quali sono stati i vantaggi per i terroni di essere annessi allo stato sabaudo....
Ferdinando Ricciardi
nandoricciardi@
Esistono rivoluzioni senza delitti, errori, orrori? Non c’è dubbio che tanti ne sono stati inflitti al Sud, ma altrettanti e peggio alla Vandea e ad altri vittime delle unificazioni nazionali. Ma senza quel processo, nei quali c’erano socialisti e patrioti sinceri come Pisacane e quelli delle varie repubbliche e vespri massacrati. Saremmo entrani nella modernità con i feudatari siculi e con Ferdinando II?
Il dato è che ora c’è l’Italia e mi pare inutile recriminare. Il meglio di questa nazione lo auspicava dai tempi di Dante. Tagliare le radici fa seccare gli alberi e le “sinistre”, seppellendo il Risorgimento, hanno creato un albero secco.
Fulvio
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