Negazionisti
brutti, affermazionisti belli
Viaggiamo nei paradossi. A ogni negazionista corrispondono
inevitabilmente uno o più affermazionisti. A loro volta questi, a dispetto
loro, risultano negazionisti riguardo a
quanto affermano i negazionisti, divenuti a loro volta affermazionisti. Ma lo Zeitgeist imperante fa sì che agli
affermazionisti che si confrontano con i negazionisti vengono attribuiti a
priori la ragione, il vero e il giusto, così come vengono assicurati consenso e
buona ragione ai negazionisti delle affermazioni dei negazionisti. E’ tutto
questione di prospettive. Ma di una cosa possiamo tutti essere certi: che dei
negazionisti gli affermazionisti hanno una paura fottuta. La caccia alle
streghe negazioniste si spiega solo con il terrore che degli affermazionisti si
possa scoprire cose gravissime. Ricordate che cosa succedeva a certi nostri
temerari antenati che, con ancora granelli di libertà classica nelle vene,
mettevano in discussione, che so, la transustanziazione dal corpo di Cristo
nell’ostia, o, al Concilio di Nicea I, che padre e figlio fossero della stessa
sostanza, in senso aristotelico, o non piuttosto due distinti esseri divini?
Anche lì la paura dei dogmatici in fieri si estrinsecava in “eretici” bruciati
o sepolti vivi da imperatori cristiani o vescovi. Oggi al negazionista, in
sempre più paesi, ci si limita col carcere. Cosa si teme?
Giornata
del ricordo…strabico
Confusione? Passiamo a un esempio, uno di tendenza: le foibe.
Chi nega che in quei buchi sul Carso siano stati gettati, solo dai feroci
partigiani titini, solo innocenti cittadini, solo perchè italiani e, magari,
non comunisti, è un negazionista messo alla gogna dall’affermazionista che
invece sancisce quella narrativa e, inesorabilmente diventa a sua volta
negazionista della versione affermata dalla controparte. La quale versione potrebbe, per modo di dire, essere fondata su
documenti che, grazie alla ricerche di storiche eminenti come Claudia Cernigoi
e Alessandra Kersevan, mai contraddette e non contraddicibili perché
documentate, che nelle foibe finirono per primi sloveni e croati rastrellati
dai fascisti nelle loro terre. O che tra il 1941 e il 1943 il regime di
Mussolini invase e si annettè vasti territori di questi due popoli, che i
fascisti condussero in Istria e Dalmazia sanguinarie pulizie etniche, che i
campi di concentramento in cui chiusero chi, per esempio, non rinunciava a
parlare la sua lingua, non avevano niente da invidiare a quelli tedeschi, o a
quelli di Graziani in Libia che dettero un cospicuo contributo, insieme a pozzi
avvelenati e villaggi inceneriti, all’eliminazione di un terzo della
popolazione di quel paese. O che i partigiani slavi, o anche solo i civili di
quelle nazioni in lotta di liberazione dai nazifascisti sotto la guida del
maresciallo Tito, catturati dagli oppressori fascisti, venivano sommariamente
passati per le armi.
E che, in risposta a tutto ciò e del dato storico che nessuna
rivoluzione, o guerra di liberazione può essere un pranzo di gala, quella di
Tito e degli jugoslavi, per la loro parte delle foibe, fu reazione, risposta,
contrapasso rispetto a un immenso torto subito. Cosa che i patriottardi a
corrente alternata, a partire dal loro capo istituzionale supremo, animato dal
Sacro Fuoco di Vesta, preferiscono ignorare, occultare, sottacere. Un conto è
sdraiarsi ai piedi di Trump, Macron e addirittura di un tagliagole delle guarimbas venezuelane, sostenere una
tratta di merce umana sottratta alla sua terra, messa da potenti operatori a
servizio di mafie e grandi distribuzioni (di cui i caporali sono i terminali) a
scapito degli autoctoni; e un conto è raddrizzarsi ed ergersi fieri contro la
barbarie slava, in nome della civiltà “dell’Istria e della Dalmazia italiane”.
Chi partì,
chi rimase: la mia Istria
Di questa storia delle terre ex-irridente, me ne intendo un po’.
Ci sono stato e ristato. Ci ho girato servizi e scritto articoli (che, se fossero
usciti oggi nel TG3, avreste avuto modo di sentire rabbrividire l’intero
Quirinale). Sono rimasti in circa trentamila, nei centri lungo le coste. In
alcuni paesi, come San Gallicano, sono addirittura la maggioranza ed esprimono
il sindaco. In altri, Parenzo, Rovigno, Pola, Fiume, sono ridotti al lumicino e
si battono per l’identità, specie se erano rimasti perché comunisti e Tito gli
andava meglio di De Gasperi o Andreotti. Anche perché Tito, con i serbi che da
soli si erano liberati dal nazifascismo, andava costruendo una nazione
fieramente indipendente dai vassallaggi mafio-atlantici a cui veniva destinata
l’Italia. Nel rispetto di tutte le minoranze. Erano i tempi della bella Jugoslavia.
Dopo Tito, Milosevic. Al Centro Italiano di Rovigno ho conosciuto due
bravissimi deputati italiani, comunisti. Nella Croazia di oggi non sono più
ammessi. Gli chiudono i circoli, gli devastano i cimiteri, gli proibiscono
eventi culturali, fosse anche solo un coro di vecchie canzoni. Sotto Tito e
Milosevic non succedeva.
Sono quelli che sono rimasti, quando altri 300mila sono partiti,
un po’ per paura del comunismo, ad arte indotta da voci della madrepatria che
poi di loro, spiaggiati in Italia, nei campi, abbandonati alla cattiva o buona
sorte, se ne sono fregati due volte. Un po’ per non diventare stranieri a casa
loro. Non lasciavano terre italiane, quelle erano perlopiù abitate da slavi,
contadini; lasciavano città italiane, quelle dove s’erano impiantate prima Roma
e poi Venezia per garantire le proprie rotte. Nessun ricordo della vergogna di
come fossero stati indotti all’esodo, vicenda sempre straziante, tragica, degna
della massima solidarietà, cura, del massimo rimedio e della massima ricompensa
all’amor patrio. Fu diversa l’accoglienza, l’assistenza riservata dalla
Germania ai suoi 12 milioni (dodici) di
espulsi da terre tedesche, Slesia, Pomerania, Prussia Orientale, Brandeburgo….
L’Italia
si volta dall’altra parte, Simone Cristicchi no.
Del risentimento tramutatosi, nei lunghi anni dell’imbarazzo e
della trascuratezza di regime, in tristezza e poi in rassegnata ma mai sopita malinconia,
dell’amara dolcezza della nostalgia, qualcosa traspira nelle bellissime canzoni
del polano Sergio Endrigo. Ma chi ne ha
tratto il racconto più vero, tragico e di condanna nei confronti dell’ignavia
italiota, è stato Simone Cristicchi con lo spettacolo “Magazzino 18”: un
accorato, sensibile, sacrosanto itinerario nelle vite dimenticate di questo
esodo, mediato dagli oggetti, carte, mobili, fotografie, ammassati in
un deposito triestino e mai più recuperati. Forse per evitare altro dolore.
Curiosamente mi è rimasto vivo nella memoria, tra tanti
impalliditi, il ricordo di due manifestazioni di ottusità “sinistra”. Quanto un
dotto esploratore dei testi sacri del marxismo-leninismo definì “coglione
fascista” , il più intelligente e rivoluzionario indagatore dell’animo umano della prima metà
del secolo scorso, il più spietato demolitore della borghesia italiana e della
sua sclerosi, Luigi Pirandello. Per il mio interlocutore contava solo che
avesse indossato la camicia nera. Il resto, cioè il tutto, non lo capiva. E poi
quando, pubblicato in Facebook e nel blog il mio apprezzamento per il lavoro di
Cristicchi, una canea “sinistra” mi investì con indignato biasimo per non avere
denunciato la sostanziale omertà dell’autore perché non aveva detto dei crimini
fascisti. Come se la tragedia di un esodo potesse essere in qualche modo
inquinata, forse addirittura ridimensionata dal fatto che tra gli esuli e in
chi li accompagnava narrandoli, potevano esserci connivenze, vicinanze con le atrocità
nazifasciste. Erano 300mila sradicati e dispersi, porco mondo! Come i
palestinesi. Cristicchi, benevolo e paziente, aggiunse al copione una sequenza
su quelle colpe.
Politeismo
della libertà, monoteismo del dogma
Torniamo al fenomeno del negazionismo, anatema dei tempi che
corrono. Non crimine in sé, ovviamente, dato che è una scienza inoppugnabile come la
storiografia che lo giustifica. Ma crimine per colui che afferma, sostiene e
impone il dogma, pensiero unico, in ciò facilitato dal pensiero unico globale
partito qualche millennio fa dalla Palestina, lì poi ribadito e infine sussunto
anche da altre fedi monoteiste. Colonna portante del capitalismo. Parliamo
della catastrofe umana che ha posto fine alla civiltà greco-romana, quando alla
molteplicità delle religioni e degli dei, tutti reciprocamente tollerati, anzi
cooptati in un pluralismo che, anziché annullare le identità, le esaltava nel
rispetto e nello scambio, senza livellare nulla in quello che oggi demenzialmente
si auspica nel cosiddetto meticciato multiculturale. Alla filosofia
sostituirono la teologica, all’ umano si impose il metafisico, al corpo di terra il divino del cielo, alla
dialettica il dogma.
E i negazionisti? Già allora al rogo. Massacri inauditi per
secoli. Per ora a negare qualcosa, i vaccini, le foibe, si viene seppelliti dal
discredito. Ma anche solo ad avanzare il dubbio, connaturato alla storiografia
e alla scienza, in molti paesi si rischia l’esclusione, il dimensionamento, il
carcere, la morte civile. La storiografia, o è compatibile con chi dirige
l’orchestra, o è cacofonia da sopprimere. La scienza, ontologicamente ricerca
tra opzioni diverse, è diventata tavola della legge quando favorisce un sentire
comune indotto da pubblicità e consensi comprati o imposti. E’ discutibile,
opponibile, addirittura rigettabile quando non lo fa. Tipo quando delude e
blocca i mazzettari e speculatori del TAV. O incide con le rivelazioni nel
blocco mafie-Stato.
Con uno
sforzo immane di poche intelligenze eravamo riusciti, in felici momenti storici,
a rompere il dogma e a recuperare la dignità del confronto insegnatoci dai
classici. E fu l’umanesimo e il rinascimento in Italia, l’età dei lumi e della rivoluzione in Francia, quella dei
filosofi in Germania, le lotte di liberazione laiche e socialiste dei
colonizzati nel nome dell’unica verità e dell’unica civiltà, tutti i momenti
alti di laicità e secolarismo. Momenti in cui, disobbedendo al dogma,
sottraendoci a quanto altri pretendevano da noi, avevamo ritrovato l’anima.
Esattamente come Vitangelo Moscarda nel Pirandello dell’ “Uno, nessuno, centomila”, quando si libera della “verità”
costruitagli addosso da coloro a cui conveniva.
Ora le tenebre tornano. E la Chiesa non può non stare con i
golpisti del pensiero unico neoliberista, diritto-umanista, globalista nel
quale si avvolgono l’imperialismo, i suoi scherani, i suoi sacerdoti, i suoi
sguatteri..E’ dogma, come piace ad essa e a chi ne sta fuori può essere
impartito di tutto, come praticava e imponeva l’Inquisizione di Torquemada.
Così il negazionismo trionfa, brandito dagli affermazionisti succedutisi da
Mosè fino al processo di Norimberga e al prof. Borioni.
TINA, l’arma
fine del mondo
I negazionismi criminosi e criminogeni assediano la società civile.
Qualsiasi dubbio sull’accertato e accettato rasenta il terrorismo. Non gli si
può che rispondere che con l’undicesimo comandamento, che oggi è anche il
primo: TINA, There is no alternative,
non esiste alternativa. Viene, come al solito, dal protagonista della commedia
scritta e diretta dal grande burattinaio, gli Stati Uniti di cui l’UE si fa
eco. TINA per il latte o il pomodoro pagato il costo di produzione dai grandi
distributori, a costo di schiavi
africani e pastori sardi; TINA per il TAV, devastazione inutile, tanto che, per
bocca della commissaria UE Violeta Bulc, la impongono anche le lobby che la
tengono al guinzaglio; TINA per la democrazia nel senso di golpe, dall’Ucraina
all’Honduras, dal Paraguay al Venezuela. TINA, dunque, per le nostre massime
autorità, custodi della Costituzione, quando riconoscono e glorificano la
disintegrazione della costituzione altrui. Bel precedente per il futuro della
nostra di costituzioni. TINA per le banchi centrali in mano ai bancarottieri e
speculatori di quelle private. TINA per RtP, Responsibility to Protect, la responsabilità di proteggere, come gli
Usa definiscono gli interventi che culminano
nei genocidi. TINA per il gruviera ammuffito che è la versione dei mandanti
dell’11 settembre.
TINA per la scienza, che
è solo quella quando sacralizza e impone dieci vaccini, ma è pseudoscienza
quando ne sottolinea i pericoli e danni. TINA contro i negazionisti che, in memoria e onore di Galileo,
Copernico e Madame Curie, come un tempo le femministe per l’utero, osano ancora
pretendere, con la Costituzione, “il
corpo è mio e lo gestisco io” (alla faccia di Grillo, squinternato
firmatario del manifesto Borioni, il Landini dei vaccini). TINA per le
migrazioni di deportati da Ong e illusioni per lasciare il posto a Exxon, Monsanto e
dalla Legione mineraria di Macron; TINA per petrolio, trivelle, gas- e oleodotti
e, dunque TINA, per la fine della vita tra 10 anni; TINA per l’UE, che sennò si rompe il
meccanismo del travaso dal basso in alto di ogni bene e, al posto dell’etero-
determinazione per volere di abusivi obbedienti a lobbisti, potrebbe tornare l’autodeterminazione
dei popoli; TINA per la cancellazione dell’INF, il trattato che rimuoveva i
missili USA mirati dall’Europa ai russi, e i missili russi da lanciare
sull’Europa. Vuol dire TINA ad Armageddon.
Italia
rotta e regalata ai cavernicoli
TINA, e
questa è la sciagura suprema, per la fine dell’Italia. Dai migranti che
preludono allo schiavismo di tutti, alla secessione dei ricchi, con tre regioni
in mano a rinnegati della Costituzione, dello sforzo millenario di una grande,
tormentata, indomita comunità e dei suoi sacrifici per darsi un nome, un volto,
un’unità, l’anima. Tre avvoltoi, con altre regioni becchine che sbavano all’idea
di appropriarsi anch’esse della mostruosità di farsi più soldi, la propria
sanità, cementificare il proprio suolo, sterminare la biodiversità a fucilate, inquinare
il proprio ambiente, aeroporti, porti, strade e ferrovie pagate dagli italiani
tutti, insegnare a scuola una subcultura da clava del neolitico, perpetuare il
sogno di Cavour che relegava il Meridione a serbatoio di manodopera a basso
costo per l’industria del Nord, di soldati
per le guerre del Nord, di valvola di sfogo emigratorio da una miseria
che doveva restare tale. L’egoismo all’ennesima potenza come regola del vivere incivile.
TINA, perciò, all’aggregazione, in funzione di cane da guardia periferico, di
un pezzo d’Italia al neo-impero carolingio sancito ad Aquisgrana da Merkel e
Macron. I due euro-imperatori per grazia della Banca, che oggi brindano all’uccisione
del padre.
E così, a forza di TINA, siamo arrivati a un minuto da
mezzanotte. E mi fanno ridere quelli che in questi anni mi sbertucciavano per
le mie simpatie per il M5S e andavano
favoleggiando sui fili tirati da oscuri potentati, da nefaste
conventicole del finanzcapitalismo mafiomassonico, ai quali sarebbero appesi i
Cinque Stelle. Spesso bene, spesso male, spesso così così, i 5Stelle sono gli
unici che al TINA hanno provato a dire
no, a volte ni. Sono negazionisti. Al rogo! Quelli dell’affermazionismo,
invece, sono tutti gli altri, stanno tutti lì, addosso a loro, con in pugno il
TINA, a mo’ di ghigliottina.
Amici
5Stelle, avete già accettato un miserabileTINA sul Venezuela democratico, emancipato,
progressista e per questo affamato fino alla morte. Se mollate sull’Italia
unita e sulla sovranità nazionale siete fritti.
8 commenti:
Piu' che TINA sembra la versione riveduta e corretta del MADE (Manifest Destiny).
Ho visto questo video dell'unicef il quale si accorge dello stato in cui vivono gli abitanti ed i bambini in particolare del Donbass (chiamato chissa'perche' "Ucraina Orientale"). Cita mai chi sono i responsabili? Pure fu lo stesso Poroshenko a dire che avrebbe vinto la guerra, perché "i bambini vivranno come topi e non potranno, al contrario dei bambini residenti nell'Ucraina controllata dai golpisti, andare a scuola. Come fosse una calamita' naturale.
https://www.facebook.com/UNICEF-Italia/videos/474499576288226/UzpfSTEwMDAwMTg4NjY4MDMzNToyNDY0ODg0NDkwMjUxMDgz/
Concordo sui croati: c'è un odio terribile nei nostri confronti. Si può o meno esser dei nostalgici ma lasciare sordamente proliferare tali sentimenti per decenni indica solo la cialtronaggine e la codardia di chi ci ha governato: se sono cattolici come gli italiani al gran completo che lo dimostrino una buona volta... Concordo anche sul politeismo: gioia di vivere elevata e purificata elidendo dall'anima i sentimenti iniqui che l'offuscano: in primis quello del rifiuto della 'carnalità'. In realtà le due cose si completano a meraviglia: basti pensare al 'dio d'amore' dei cattolici che sbrana chiunque non si sottometta a farsi suo orrendo pasto. La teologia prudentemente, sapendolo, afferma che anche il maligno ha il suo ruolo 'benefico': costringere i riottosi a convertirsi ed in cambio ne avrà premio eterno. Più coerentemente, la storia stessa di questa immonda superstitio dimostra la sua adesione al maligno, inteso come 'dio padre', la cui volontà ha da esser fatta specie se nel sangue e nell'odio.
Vale.
Manca una voce autorevole e libera in Sardinnya.
A innantis cun sa batalla - avanti con a battaglia
A si biri cun saludi
Amsicora
https://www.sardiniapost.it/culture/musica/video-la-solidarieta-del-rap-militante-ajo-pastores-non-bos-arrendezas/
Amsicora
Salve, volevo aggiungere qualcosa sul tema del confine orientale e dell'Istria, che conosco abbastanza bene anche per vicende familiari (mia nonna era di Pirano): accanto alle motivazioni della paura indotta del comunismo e di diventare stranieri in casa propria, che lei giustamente cita, ce ne fu anche un'altra, più inconfessabile, all'origine dell'esodo degli italiani (esodo che personalmente ritengo più vicino alle 200.000 che non alle 300.000 persone): il disprezzo razzista nei confronti degli slavi (gli "schiavi" di d'annunzio), considerati alla stregua di barbari. gli italiani nell'area adriatica erano infatti stai per secoli la "razza padrona", urbana e "civile", mentre agli slavi contadini e "selvaggi" non restava altra scelta che l'assimilazione forzata nella superiore "civiltà" italiana. non a caso, non appena gli sloveni di trieste alzarono la testa, sviluppando il proprio nazionalismo, l'irredentismo italiano partorì il fascismo snazionalizzatore. tali pregiudizi antislavi, grazie anche all'instancabile propaganda fascista del ventennio, erano purtroppo piuttosto diffusi tra la popolazione italiana dell'Istria dopo il 1945 (ovviamente con tutte le eccezioni del caso), e l'assoluto rifiuto di larghi strati della popolazione di "stare sotto gli slavi" (inteso proprio in senso gerarchico, come rovesciamento dei ruoli storici e "naturali") non determinò da solo, ma concorse a determinare l'esodo. è infatti importante ricordare che, a differenza dei tedeschi di slesia, pomerania, prussia orientale e sudeti, gli italiani non vennero affatti espulsi dalla jugoslavia, e ancora oggi, nonostante il riemergere di un nazionalismo croato aggressivo e fascistoide, i comuni costieri dell'istria sono ufficialmente bilingui
Brolin@
Commento prezioso, contributo validissimo. Grazie davvero!
https://youtu.be/RCXmbXUQUUc
Scontra a Porta a Porta tra Bruno Vespa e una storica che contesta la retorica sulle Foibe.
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