giovedì 2 maggio 2024

DAL VIETNAM ALLA PALESTINA, LA SVEGLIA AL MONDO


Byoblu/Mondocane 3/22. In onda domenica 21,30. Repliche, salvo imprevisti, lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 9.00

 

Cosa ci occulta la bolsa retorica che ci ha intossicato in occasione del 25 aprile e del 1.maggio? Forse non tanto l’abbandono, la violazione, il tradimento di tutto ciò che queste date erano state chiamate a ricordare e proiettare, quanto il futuro a cui ci sollecitano. Ne siamo in gran parte consapevoli. Lo dimostra il significato che vi hanno dato gli studenti del mondo nelle strade e nelle università. I demagoghi e imbroglioni delle alte sfere, i corifei e sicofanti della bassa forza, ce l’hanno messa tutta, con trombe e corone, inni stazzonati e sepolcri imbiancati, a oscurare l’unica bandiera che, nella contingenza, ha celebrato il senso universale di quelle due date. La bandiera che sta quissù, nel titolo e che svetta in cima alla guerra mondiale che nessuno si aspettava, quella di liberazione.

Un nuovo ’68? Popoli come quelli che gridavano Giap-Giap-Ho Ci Minh e marciavano per schiantarci? Sono terrorizzati. Il ricordo di un decennio nel corso del quale una generazione in quasi tutto l’Occidente ha messo in forse la prosecuzione delle gerarchie abusive e dello sfruttamento nelle sue infinite forme, alimenta la ferocia di un establishment in tutte le sue espressioni: politiche, accademiche, militari, mediatiche. Si espellono, ostracizzano, bastonano, gassano, criminalizzano studenti e docenti che protestano pacificamente contro il genocidio di un popolo. Hanno capito che quel genocidio è un modello che, all’occorrenza, non avrà limiti di applicazione.

Si sono risolti, i poteri supremi, a uscire addirittura dai loro recessi tenebrosi e a mostrarsi alla vista. Con le minacce dei Rothschild, cofondatori e perenni finanziatori dell’abominio fuorilegge e guerrafondaio sionista, all’Università La Sapienza (“Perderete il grading se rinunciate alla collaborazione con Israele”), intese a impedire che l’ateneo segua l’esempio di altri e ceda alla richiesta studentesca di annullare gli accordi militari con Israele, si è capito quale è la posta in gioco. Come forse soltanto s’era capito al passaggio dalla civiltà polifonica classica ai monoteismi teocratici, o alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, o, ancora, al lancio delle prime bombe atomiche sull’umanità, sentiamo di trovarci alla soglia di qualcosa che determinerà i destini del mondo.

Un culto di morte pervade in misura parossistica gli intenti e i comportamenti di una civiltà al collasso e che cerca scampo nell’alienazione tecnocratica e nel killeraggio di massa. 35 milioni sono i morti che dal 1945 gli Stati Uniti, frequentemente con il concorso di governi mercenari, nemici interni dei propri popoli, hanno provocato con le proprie scorribande militari dal 1945 a oggi. E non si calcolano le vittime, infinitamente più numerose, del sistema economico e sociale imposto dal capitalimperialismo là dove ha potuto far prevalere i suoi strumenti extra-militari: sfruttamento, oppressione, debito, manipolazione, fame, miseria.

La sollevazione del popolo più debole e isolato del mondo, generosità, eroismo, giustizia, a fronte di un genocidio perpetuato nei decenni e ora perseguito come soluzione finale, ha lacerato il velo di Maia tessuto dagli evangelizzatori dell’apocalisse intorno all’inversione dei valori di vero e falso, giusto e ingiusto, vita e morte.

La rivoluzione palestinese, da noi per decenni placidamente ridotta a pietismo e assistenzialismo nei confronti di vittime dal destino segnato, ha rimesso in questione ogni cosa. E ne ha stabilito i termini. Da un lato, con il mostro tricefalo USA-UE-SION, i governi, i media, le polizie e i teppisti sionisti di complemento, che affiancano le operazioni genocide in atto in Palestina, sollecitate ad estendersi per non soccombere, sull’ultima spiaggia di un’epoca in agonia. Arma estrema e totale: la violenza illimitata. Dall’altro, noi. E, davanti a noi, una generazione che ha dato al suo futuro e a quello degli esseri umani i colori della Palestina.

Chiamando polizia e forze militarizzate a intervenire, con incontrollata brutalità,  contro l’accampamento nonviolento di studenti e docenti, la presidente della Columbia University di New York, Minouche Shafik, ha dato vita a un movimento di portata nazionale e transnazionale. La rivolta è in atto in oltre 40 campus.

La scelta è facile ed è d’obbligo, se si crede alla vita. Intesa come vita. E siamo fortunati che, a costoro, la Storia non ha insegnato niente.

Nello specifico attuale, la nequizia disperata degli antiumani del profitto arriva al punto di scaricare la colpa dell’olocausto su chi ha provato, dal 7 ottobre, a porvi fine. Tutti, da Blinken all’ultimo tergiculo politico-mediatico, a proclamare l’irriducibilità insensata di Hamas che non accetta la “generosa offerta” di un occupante tanto ben disposto da intimare: in ogni caso entreremo a Rafah. Cioè, che accettiate, o no, lo scambio tra gli ostaggi in vostra mano con gli ostaggi nella nostra, noi continueremo a massacrare il vostro popolo. Quello che si ostina a non morire di fame. A Gaza come in Cisgiordania. Ottimo affare. Hanno la faccia peggio del culo.

Stanno mettendo posti di blocco tutt’intorno a Rafah. Le donne e i bambini che ci arriveranno saranno lasciati uscire, sempre che prima non li squarti qualche bomba o fucilata. Coloro che restano verranno considerati tutti terroristi e abbattuti. Per chi sopravvive c’è la salvezza: essere convogliati sul molo galleggiante costruito da Biden su input di Netaniahu e venire dispersi ai quattro venti del pianeta.

Come dovrà succedere ai poveri, ai non potenti del mondo: tutti coloro che non si chiamano Rothschild, o non ne sono la servitù. I giovani dei campus hanno capito tutto questo. Per questo alla CNN li chiamano “Camicie brune”. Naturalmente è sempre la solita lotta di classe.

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