giovedì 7 marzo 2019

Signora mia, i golpe non sono più quelli di una volta… VENEZUELA-IRAN-ALTRI : POPOLO VINCE, POPOLO PERDE



La nostra società è governata da dementi per obiettivi demenziali. Credo che siamo governati da maniaci per scopi maniacali e penso che rischio di essere rinchiuso come pazzo per aver detto questo” (John Lennon)

La notte dei morti viventi neocon
A Piazza Santi Apostoli in Roma, il 23 febbraio, ci siamo trovati in un centinaio a manifestare per il Venezuela bolivariano e contro l’ennesima aggressione Usa tramite golpe, terrorismo e fantocci. PRC, PaP, Militant. NoNato, cani sciolti… Cento meschinelli che avevano, però, più buone e giuste ragioni dei 200mila di Milano in marcia appresso a Ong, Boldrini, Zingaretti e Bersani, impegnati a coprire, sotto il lenzuolo iride della pace e dell’antirazzismi, i più efferati crimini di sanzioni, di guerra e contro l’umanità, cioè di vero razzismo ricco, bianco, cristiano, dalla Siria al Venezuela, dallo Yemen all’Afghanistan, alla Somalia, alla Corea del Nord, all’Iran, a mezza latinoamerica, a tutta l’Africa.



In compenso constatiamo con soddisfazione un dato che ai 200mila di Milano e loro guide spirituali non ha fatto per nulla piacere: il colpo di Stato lanciato dagli Usa contro il legittimo e democratico governo bolivariano di Nicola Maduro, utilizzando un teppista da guarimbas, ai primi di marzo, oltre un mese dopo risulta fallito. Il fantoccio  che pare la controfigura di un modello di Dolce e Gabbana, percorre invano le Americhe, cercando conforto da altri compari nel lupanare del neoliberismo colonialista. Invano, perché nessuno vuole corroborare una mannaia che, domani, la banda neocon che fa ballare Trump, potrebbe far calare su lui stesso. La False Flag dell’incendio di un camion di soccorsi sul ponte in Colombia è stato risolto nel suo contrario, quando dei video hanno dimostrato che ad appiccare il fuoco erano stati gli scagnozzi di Guaidò. Il rientro del teppista, riconosciuto presidente dalle cancellerie del settore più vergognoso del pianeta (europei e qualche cliente afrolatino, per un totale di 40 su 190 paesi) non ha suscitato oceanici affollamenti che, invece, in queste ore festeggiano la resistenza bolivariana che ha bucato il pallone  con cui Trump e i suoi guardiani neocon avevano pensato di vincere la partita.

Rubio? Un modello!


Marco Rubio, senatore Repubblicano spuntato da sotto qualcosa  sparando agghiaccianti fascisterie alle primarie Usa, ideologo dei gusanos cubani e guida “morale” dell’assalto neocon ai paesi progressisti del subcontinente, ha postato una foto di Gheddafi vivo e una di Gheddafi morente, mentre veniva linciato dai sicari di Hillary Clinton. Ci ha aggiunto la promessa a Maduro che avrebbe fatto quella fine. Non basta per capire di che pasta siano fatti coloro, che, ai vertici nostri ed europei, danno retta a uno come Rubio? E, si parva licet componere magnis, non vi troviamo la stessa evidenza della vera natura di un giornale come il “manifesto”, che si riflette in tutto ciò che di politico si oppone al primo provvedimento per 5 milioni di poveri assoluti mai visto e, al contempo, suona le trombe imperiali della russofobia, della sinofobia e della difesa delle donne afghane da parte dei marines e dei nostri alpini?

Frenata alla ricolonizzazione USA-UE dell’America Latina
Gli è andata bene con i dollari, le Ong, i media ascari e USAID. A volte, come in Honduras e Paraguay con colpi di Stato, a volte con giudici assoldati, come in Brasile, o con presidenti in saio, ma proni al neoliberismo e al Pentagono, come in Uruguay (Pepe Mujica), o con i narcos in Colombia, Messico e Afghanistan. Il primo gioco l’avevano vinto. Nel secondo, tuttavia, visto che né la Bolivia, né, a dispetto del “manifesto”, il Nicaragua, cedevano, che la sempre indomita Haiti si rivoltava a sostegno di Caracas e che in Messico, svaporata l’arma di distrazione di massa zapatista, si imponeva Obrador e, or ora, che il Venezuela imponeva una battuta d’arresto alle ingerenze golpiste più massicce mai tentate dopo Kiev, tutto si riapriva. Chi alla fine si assicurerà game, set e partita resta da vedere.

La Russia ha fatto sapere che un’invasione di truppe Usa non gli sta bene per niente e questo, siccome qualsiasi nequizia siano disposti a commettere i neocon, salvo confrontarsi sul terreno con i russi, lascia spazio solo a due opzioni. Spedizione di mercenari latinoamericani sul modello Isis-Al Qaida in Libia, Siria e Iraq, che in men che non si  dica verrebbero appesi ai propri pantaloni da una popolazione e un esercito dimostratisi tuttora compatti dietro al loro legittimo governo, a dispetto dei 20mila dollari offerti a ogni militare che passasse ai golpisti e che hanno ottenuto la colossale defezione di circa 60 soldati e di un alto ufficiale. Oppure guerra civile strisciante sul modello del 2014 e 2017 con, di nuovo, un rapporto di forze tale da assicurare caos prolungato, ma non vittoria definitiva. Che il Venezuela, per ora in piedi in virtù dell’evoluzione morale e politica del suo popolo e della determinata guida dei suoi leader, al netto di errori e ritardi (diversificazione produttiva, corruttele), abbia davanti tempio durissimi non è dubbio.


Il Venezuela caro al Colle e quello caro ai venezuelani
L’Iran rappresenta una minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti” (Barack Obama, Ordine Esecutivo, 2015)
Dubbio però è che il complotto prevalga alla luce dei dati che vantano gli uni e gli altri. Dalla parte di chi, dal Colle fino all’Hulk padano, anzi, al suo cartonato, dal biumvirato europeo Merkel-Macron ai loro garzoni di bottega a Bruxelles, dall’arrapato dal martirio di Gheddafi ai mastini da guerra Bolton, Pompeo, Abrams, sta molta roba. Un secolo di colonia Usa, sotto dittatori sanguinari o autocrati ladroni e, dunque, il paese più ricco e la più spaventosa diseguaglianza sociale delle Americhe. Tutto il petrolio agli Usa, con una cresta ai feudatari locali, spesso italiani. Dalla parte, invece, di coloro cui sfrigola in testa ancora qualche barlume di diritto, risulta: milioni di dollari e armi all’opposizione terrorista, sanzioni genocide, serie di golpe, tentativi di assassinare Chavez e Maduro, contro il paese della minore diseguaglianza sociale del continente, la più bassa mortalità infantile, le elezioni più frequenti e corrette, istruzione e sanità per tutti, sostegno alimentare ai bisognosi per mille tonnellate al giorno, il 70% del bilancio alle spese sociali, povertà ridotta dal 40 al 7%, malnutrizione calata dal 21 al 5%, analfabetismo debellato al 100%, petrolio nazionalizzato e concesso a condizioni di favore ai paesi in difficoltà, compresi cittadini Usa privi di riscaldamento. Roba da inquietare profondamente tutti i colli e tutti i Viminali d’Europa.


Una partita tra armi e sentimenti. Occhio a schierarsi, 5Stelle!
All’operazione Condor degli anni ’70-’80, con dittature feroci disseminate da Kissinger &Co in tutto il subcontinente per soffocare gli aneliti  di liberazione anticoloniale e antifeudale, ha fatto seguito un generale risveglio di massa, coronato in molti paesi da scatti di emancipazione sociale e geopolitica. Ora siamo alla risacca. Ma i tempi della Storia si vanno accorciandosi quanto quelli della comunicazione e degli spostamenti nello spazio. Si provi a fare un’indagine onesta sui sentimenti dei latinoamericani nei confronti degli Usa. Anzi, non solo dei latinoamericani, dei popoli del mondo. Nei tempi del neoliberismo dei 40 energumeni capitalisti che posseggono quanto 3,5 miliardi di poveri e della violenza imperiale appena ti dissoci, i risultati di quell’indagine sono scontati. Puoi aprire quanti fronti vuoi. Più ne apri, e più dimostri la tua debolezza. Corri in giro come un pazzo a tappare buchi.

Ci pensino quelli gialli, del nostro governo, quando, anziché mantenere un lungimirante riserbo, si mettono sull’attenti davanti a Nato e UE, comprano gli F35, traccheggiano sul Venezuela, permettono al cartonato di Hulk di dare del terrorista a Hezbollah e cercano di arrivare primi a Washington.

Pensino alla protezione di chi si affidano, quando vedono che i risultati elettorali di un voto presidenziale in Venezuela vengono validati da osservatori internazionali di ogni colore e di cui il Centro Carter dice che è il sistema migliore del mondo, per poi accorgersi che l’ennesimo prodotto di un colpo di Stato Usa, Poroshenko, in Ucraina, rifiuta osservatori internazionali tedeschi, russi e di qualunque paese che non appartenga alla Nato. Alla faccia della pretesa di imparzialità di quella vetrina dell’Atlantic Council e del Dipartimento di Stato che è l’OCSE.

Perso l’Afghanistan, prendersela con il Pakistan “cinese”
Netaniahu, Modi

A proposito di sempre nuovi fronti aperti dagli Usa, non gli bastano i loro: si precipitano anche su quelli degli altri. Nel 1946, i britannici, tanto per non smentirsi e preparare futuri bagni di sangue, proficui per industrie d’armi e recuperi coloniali, divisero il Kashmir islamico tra zona sotto il Pakistan, islamico e, impropriamente, zona sotto l’India, eminentemente indù e fortemente antislamica. Le due zone sono divise dalla “LoC”, Linea di Controllo. Inevitabilmente ne vennero tre guerre. Ora lampeggia la quarta. Tra due potenze nucleari. Un attentato nella zona occupata e ferocemente repressa dagli indiani, ha causato la morte di 40 soldati di Delhi. Viene rivendicato da Jaish e-Mohammed, dubbia organizzazione islamista basata in Pakistan, ma puzza molto di False Flag.

Un fetore alimentato sia da Bolton, Consigliere per la Sicurezza, che da Pompeo, Segretario di Stato: entrambi si sono precipitati ad appoggiare “il diritto dell’India all’autodifesa contro il terrorismo”. Adagio nato e collaudato in Palestina, quando si fa fuoco su ragazzi che minacciano lo Stato ebraico muniti di copertoni i cui fumi gli evitino di morire. Israele che, guarda caso, non fornisce armi al Pakistan, ma tante all’India, tra cui l’avanzatissimo sistema antiaereo “Barak 8”. India, Usa e Israele hanno tutti un sogno: che l’India si prenda tutto il Kashmir, elimini così la frontiera tra Cina e Pakistan e la comunicazione vitale dalla Cina al Mare Arabico che eliminerebbe i problemi dell’insidioso Stretto di Malacca, costellato di basi e navi Usa.


 
Come sapete, sono seguite incursioni aeree indiane all’interno del Pakistan, per punire i “terroristi” (bombe su rocce e arbusti, un jet abbattuto, pilota riconsegnato) e altre pachistane, più caute, sul Kashmir “indiano”. Poi scambi di colpi di artiglieria lungo la LoC. Il premier indiano, Narendra Modi, a capo di un partito indù fortemente integralista, fra poco deve affrontare le elezioni. La galvanizzazione nazionalista e antislamica serve. 
Imran Khan, giovane presidente e popolarissimio ex-campione di cricket, ha commesso due errori: ha chiesto agli Usa di smetterla di bombardare indiscriminatamente le aree pachistane di frontiera, facendo stragi di civili col pretesto di colpire forze vicine ai Taliban afghani; e ha avvicinato drasticamente il suo paese alla Cina, che gli ha offerto grandi investimenti infrastrutturali e un proficuo coinvolgimento in quella Via della Seta che, al mondialismo  della prepotenza neoliberista e militare Occidentale, oppone un mondialismo degli scambi e delle comunicazioni. OneBelt One Road intollerabili per gli Usa, al punto che hanno incominciato a fare pressioni  sul governo italiano perché si astenga dal partecipare in qualsiasi misura alla colossale impresa.

Poi, visto che si sa come all’Occidente siano graditi più gli estremisti, i radicali, dell’Islam, al punto da farsene fucina contro i laicismi (Libia, Iraq, Siria, Egitto, Algeria), ecco che Imran Khan ha fatto un altro faux pas. Ha difeso e protetto Asia Bibi, la donna cristiana condannata  e poi assolta dall’accusa di blasfemia e che gli integralisti volevano giustiziata, facendola espatriare e garantendone la sicurezza.


Iran,  si riapre la partita tra “moderati” e “radicali”?
Ultimo capitoletto, l’Iran. Grande turbolenza interna, per quanto poco notata, vista la grancassa con cui la propaganda occidentale ci assorda sulle nefandezze dell’Iran integralista, misogeno e terrorista. Noi, con il documentario “Target Iran”, abbiamo provato  a intaccare quel cumulo di falsità. Ma falso non è il rinnovato scontro tra quelli che la nostra dotta stampa distingue tra moderati, o innovatori, o riformisti, e conservatori, o radicali, o estremisti”. Si legga la prima categoria come la classe benestante, favorevole all’apertura economica e politica all’Occidente; la seconda, come la popolazione lavoratrice nella produzione industriale e agricola. Con i commercianti del Bazar ondeggianti in mezzo. I primi hanno vinto le ultime elezioni presidenziali con Rouhani, un prete, i secondi si sono affermati grazie alla voce politica e un rilevante progresso sociale, guadagnati nei due mandati dell’amico di Chavez, Ahmadinejad, un laico.

Il botto l’ha fatto il ministro degli esteri Javad Zarif, dimettendosi dopo “l’offesa” di un incontro tra Khamenei, Guida Suprema, il generale Qassem Soleimani, mitico capo dei Pasdaran e Bashar Assad, per la prima volta a Tehran, senza che ne fosse stata data notizia e tanto meno invito a Zarif, ministro degli esteri. Uno sgarbo. Uno schiaffone. Preoccupazione per la sicurezza di Assad, secondo i sostenitori dell’intervento iraniano in Siria, non garantita dal personale di  un ambiguo Zarif, e consapevolezza che  a questo ministro la Siria e Assad stanno pesantemente sulle gonadi. Poi lo scontro è rientrato, apparentemente e per il momento, con il ritiro delle dimissioni su richiesta dell’amico Rouhani.

Rouhani e più ancora Zarif (educato negli Usa e con due figli tuttora lì), oltre a non aver mai visto di buon occhio l’impegno di Soleimani in Iran e Iraq, sono stati gli artefici della più grande debacle nazionale dall’epoca della rivoluzione khomeinista: l’accordo che ha smantellato un’avanzatissima industria nucleare che, per energia e medicina, arricchendo l’uranio al 20% (per la bomba ci vuole il 90%), avrebbe liberato il paese dalla dipendenza dal petrolio. Un ricatto in cambio della cancellazione delle sanzioni. L’Iran ha mantenuto il suo impegno e, contrariamente alla Corea del Nord, nucleare, può essere minacciato e aggredito quanto pare a Israele e agli Usa. Gli Usa, manco per niente: le sanzioni rimangono, si aggravano e il paese, minacciato di armageddon un giorno sì e l’altro pure, deve essere ridotto alla fame. In attesa che a Netaniahu parta il dito sul pulsante. Fallimento totale della linea Rouhani-Zarif. Arretramento sociale e civile.

Da qui il ritorno possente sulla scena dei sostenitori di Ahmadinejad e della dignità nazionale. Quando l’Iran si faceva rispettare. L’umanità ne ha bisogno, quanto del Venezuela, della Siria, della Libia, della Russia e della Via della Seta, piuttosto che di supereroi tipo bar di Guerre Stellari. Se son rose…..

5 commenti:

Brolin ha detto...

A quanto pare si sta aprendo un ulteriore fronte in Algeria. Si prepara una nuova rivoluzione colorata/primavera araba/intervento umanitario? Un mio amico palestinese solitamente ben informato sostiene che gli Stati Uniti finanziano da anni il separatismo berbero in Cabilia, lei ne sa qualcosa? E saprebbe darci dei ragguagli sull'oscuro passato di Bouteflika?

Fulvio Grimaldi ha detto...

Brolin@
Non mi pare la classica "rivoluzione colorata" alla Soros. La denuncia di queste masse davvero enormi è ben fondata sulla stagnazione di una paese che, superata la crisi del terrorismo islamista, non ha saputo avanzare nè socialmente, nè economicamente, nè dari assetti più partecipativi.
Sicuramente il colonialismo di ritorno, specialmente quello francese, attivissimo nelle ex-colonie, punta da sempre sul secessionismo berbero, fomentato dalla borghesia filofrancese di quella etnia, ma non credo che c'entri con questa protesta. Anche sicuramente forze spurie esterne cercheranno di metterci le mani.
Bouteflika è un rottame umano, valido compagno nella lotta di liberazione di Ben Bella e Boumedienne, viene tenuto sulla poltrona come simbolo della lotta di liberazione, da un gruppo di notabili che temono le incognite del cambiamento e degli effetti di questo sulle loro posizioni di potere e privilegio. Non dia retta alla bigotta cattolica Giuliana Sgrena del "manifesto".

Brolin ha detto...

Non leggo mai il "Manifesto". Io leggo praticamente solo lei, Comidad, l'Antidiplomatico e Rete Voltaire (in realtà confesso che qualche volta do uno sguardo anche a quello che scrive Maurizio Blondet quando non è in crisi mistica). Sull'Algeria però non ho trovato molte informazioni in giro, per questo volevo sapere la sua opinione, dato anche che lei conosce molti retroscena del passato di questi Paesi e che invece sono preclusi a chi non ha avuto un'esperienza diretta di quegli avvenimenti. L'idea che mi ero fatto era che l'Algeria fosse un regime militare laico, moderatamente progressista e semi-socialista simile alla vecchia Libia (anche nella ricchezza di risorse naturali), e per questo inviso all'occidente, patrocinatore dell'ondata terroristica degli anni '90. In questo schema non mi tornava però molto la figura di Bouteflika, che mi risulta abbia avuto un ruolo abbastanza ambiguo nella guerra di liberazione ed abbia risieduto per molto tempo all'estero. Mi piacerebbe approfondire la questione con lei, anche in altra sede se questo blog non le sembra quella più appropriata

Fulvio Grimaldi ha detto...

Brolin@
L'Algeria è comunque invisa all'Occidente e a Israele perchè non si è mai schierata con i nemici occidentali e reazionari dei paesi arabi laici e progressisti aggrediti: Iraq, Libia, Siria, Yemen.
Inoltre ha ricchezze di idrocarburi.Desiderabili e in concorrenza con fornitori occidentali.

alex1 ha detto...

Proprio poco fa un servizio "pilotato" su Raitre circa le gallerie della TAV, dove una Annunziata al limite del ridicolo, chiede al tecnico in cantiere sulle "penali" da pagare ed arriva a dire a Giorgetti, ospite della trassmissione "come si fa a fermare un opera quasi finita?", e persino lo stesso Giorgetti, favorevole all'opera ha dovuto precisare che "e' appena iniziata e c'e' moltissimo ancora da fare"...ogni commento all'onesta' intellettuale di certe trasmissioni RAI penso sia superfluo. Ma il nuovo direttore della Rai cosa fa?