Circola una molto strumentale interpretazione dei recenti eventi
afghani che ha come principale obiettivo di salvare la
faccia a un imperialismo USA e NATO, impietosamente
sconfitto anche in Afghanistan(dopo la luna serie di contraccolpi in Iraq,
Libia, Siria, Egitto, Venezuela, Bolivia, Myanmar e andare), proponendo l’infantile
versione di un accordo con i “terroristi islamici afghani” negoziato a Doha da
Trump e attuato da Biden. Versione che serve a ridare Washington il ruolo di
dominus degli eventi e ai Taliban quello dei presunti liberatori del paese che,
sotto sotto, non sarebbero che pedine e complici delle strategie USA, ancora
una volta i meglio fighi del bigoncio.
Naturalmente questa costruzione geopolitica sulla sabbia si sfarina
alla prima constatazione dello spaventoso colpo
inflitto dalla facile vittoria dei Taliban alla credibilità e autorevolezza
dell’Impero e dei suoi ragazzi di bottega europei, alla
ridicolizzazione di un potere fantoccio, politico e militare fallimentare,
perché costruito sulla stessa corruzione e totale mancanza di sostegno popolare
che inficia gli invasori.. Gli “effetti avversi” di questo crollo d’immagine e
di perdita di potenza avranno visibili conseguenza disastrose interne agli USA,
nelle regioni del mondo che si affidano alla “protezione” USA e NATO, e nelle
forze di resistenza, ovviamente galvanizzate. Già se ne intravvedono i
segni nel totale scombussolamento dei gruppi dirigenti all’interno delle
tradizionali alleanze.
Il tentativo di ovviare a un enorme fiasco dell’Occidente nel suo
ennesimo, sanguinario e ottuso rilancio neocolonialista, tramite bombe,
ladrocinio e ONG, come tale pianto, deplorato e subìto con incontenibile livore
da tutti i gazzettieri dell’Impero come dai loro danti causa politici ed
economici, è portato avanti senza basi fattuali e senza logica, oltreché con
totale sconoscenza dei fondamenti sociali e culturali delle parti in contesa.
Il giornalismo d’accatto che si avventura in simili
mistificazioni e che, di norma, si esprime nei residui circoli di una sinistra
senza né sinistra, né capo, né coda, perfeziona poi la
sua difesa di un “patto scellerato” tra Impero e Taliban, con un’altra via di
fuga dalla realtà fattuale, evidente e pianificata: le drammatiche scene delle
decine di migliaia di “disperati in fuga dai Taliban all’aeroporto di Kabul,
sono l’unico elemento della vicenda sfuggito al controllo degli occupanti
occidentali” (Franco Fracassi).
Simili analisti sembrano aver perso il lume che rischiara una lunga
storia delle messe in scena allestite per gabbare il popolo credulone
(ricordate la Piazza Verde di Tripoli ricostruita nel deserto del Qatar e che
poi viene filmata mentre viene invasa da finte milizie ribelli islamiste!).
L’apocalisse umana dell’aeroporto di Kabul è stata con cura mediatica
costruita facendo circolare la prospettiva di orrori talibani e di confortevoli
sistemazioni in Occidente. Senza farci mancare la sceneggiata dell’aereo
inseguito e assalito da cittadini afghani in fuga (spesso festanti e ridenti:
vedere fotogramma dopo fotogramma), dei bimbetti lanciati in braccio ai
Marines, è l’affannoso tentativo di riportare un’opinione pubblica smarrita a
condividere le operazioni degli ex-occupanti del paese finalizzate a rifarsi della
debacle. Cerca di rimediare alla figuraccia fatta con sconfitta e fuga,
esponendo al mondo in commozione la tragedia di un popolo che cerca di salvarsi
dall’orrore di un regime “che compie esecuzioni sommarie, dà la caccia alle
magistrate donne per ucciderle, cerca i collaboratori casa per casa, violenta i
cadaveri delle proprie vittime” (sic i nostri
media).
Tra miopia e malafede si cerca di impietosire
l’opinione pubblica occidentale (e dell’Iran) perché si acconci a farsi
destabilizzare (progetto globalizzazione e Great Reset) da masse
incontrollabili di profughi (si parla di milioni) che, al tempo stesso, come
succede con tutto il fenomeno della tratta di migranti, privano i paesi
d’origine delle generazioni giovani, dei suoi professionisti e quadri,
ingegneri, insegnanti, medici, tecnici, indispensabili a ricostruire uno Stato
Nazione (orribile prospettiva per i globalizzatori. Uno Stato che, magari in
partnership con altri, svolga il ruolo che gli spetta davanti al proprio popolo
e al consesso umano.
Poi, se dopotutto i Taliban, grazie all’appoggio popolare e al disgusto
di tutti verso gli ex-occupanti narcotrafficanti e bombaroli, dovessero
reggere, contenere le deportazioni e inserirsi in un rapporto produttivo con
paesi vicini (e lontani), agli USA rimarrebbe sempre un’arma. Quella adoperata
fin dall’11 settembre, in Europa e nel mondo: l’ISIS.
Fulvio
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