venerdì 19 maggio 2023

DAL SUDAN AL PAKISTAN, ALL’IMPERO NON GLIENE VA BENE UNA

 

 https://youtu.be/LIZCycoQ_Ac

https://www.youtube.com/watch?v=LIZCycoQ_Ac

Visione TV,  Francesco Toscano intervista Fulvio Grimaldi

 

Una panoramica su un altro versante del Grande Confronto del quale un giornalismo sguattero, pigro, provinciale e superficiale, non sa cogliere che gli aspetti apparentemente più clamorosi: l’Ucraina, un po’ di Medioriente quando capita e poi gli interessi politico-economici del proprio editore al tempo del draghismo euroatlantico di Giorgia Melonsky. Il resto è noia, tifo e glamour.

Qui esaminiamo un arco della crisi che parte dal più grande e conteso paese dell’Africa, il Sudan, per l’ennesima volta ributtato nel caos da interessi neocoloniali, per arrivare al Pakistan, potenza nucleare di cruciale importanza strategica, in piena rivolta popolare e all’orlo della guerra civile.

Sta succedendo che con il Pakistan, il cui premier Imran Khan, fautore del riscatto dei ceti più disagiati, ma soprattutto dell’indipendenza del Pakistan e di rapporti di amicizia con Cina e Russia, è stato rimosso dal parlamento manu militari, sta vivendo la più forte crisi dalla sua liberazione, nel 1947,dal colonialismo britannico nel.

Confinante con India, Cina e Afghanistan, il Pakistan fa parte di una cintura con la quale l’Occidente politico pensava di assediare da sud Russia e Cina, in vista del da sempre agognato controllo sull’immenso continente euroasiatico, conditio sine qua non, per il dominio sul pianeta.

Ed è quella cintura, base detta di contenimento, ma progettata per future operazioni di destabilizzazione, se non di attacco, che si va sbriciolando. L’intervento della Cina in Medioriente, come mediatore di una pacificazione tra grandi contendenti e rispettivi sponsor e alleati, ma anche come partner più credibile e redditizio di quello atlantico, ha rotto l’incantesimo di una regione a vita condannata al controllo statunitense.

Arabia Saudita e Iran hanno inaugurato rapporti costruttivi sul piano geopolitico ed economico. Ne consegue il ritorno della Siria nel consesso della Lega Araba, la probabile fine del massacro USA-saudita nello Yemen, un generale disallineamento rispetto alle storiche egemonie postcoloniali. La Turchia fa da tempo un suo gioco che si distacca dalle lealtà dovute da un membro Nato di tale rilievo. L’Iran è saldamente in piedi, a dispetto di rivoluzioni colorate e sanzioni. L’Afghanistan è perso ed è poco credibile un recupero affidato ai tagliagole e terroristi dell’ISIS.

L’intera Indocina, memore di quanto ha subito dagli USA e di cui ancora si lecca le ferite, mantiene una posizione diplomatica conciliante, ma politicamente autonoma e più vicina ai BRICS che alla Nato.

A tutto questo prova a reagire l’Impero in prima istanza sul piano militare. Insieme all’AUKUS, l’alleanza militare anglosassone USA-Australia-Regno Unito, è andata configurandosi a Tokio, nella recente visita di Stoltenberg al premier Kishida, la nuova NATO. Quella dell’Indopacifico.

E l’Italia? Ha mandato in quelle acque, per esercitazioni congiunte, le migliori navi della nostra marina militare, Portaerei Cavour in testa.

 

 

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