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Visione TV, Francesco
Toscano intervista Fulvio Grimaldi
Una panoramica su un altro versante del Grande Confronto del
quale un giornalismo sguattero, pigro, provinciale e superficiale, non sa
cogliere che gli aspetti apparentemente più clamorosi: l’Ucraina, un po’ di
Medioriente quando capita e poi gli interessi politico-economici del proprio editore
al tempo del draghismo euroatlantico di Giorgia Melonsky. Il resto è noia, tifo
e glamour.
Qui esaminiamo un arco della crisi che parte dal più grande
e conteso paese dell’Africa, il Sudan, per l’ennesima volta ributtato nel caos
da interessi neocoloniali, per arrivare al Pakistan, potenza nucleare di cruciale
importanza strategica, in piena rivolta popolare e all’orlo della guerra
civile.
Sta succedendo che con il Pakistan, il cui premier Imran Khan,
fautore del riscatto dei ceti più disagiati, ma soprattutto dell’indipendenza
del Pakistan e di rapporti di amicizia con Cina e Russia, è stato rimosso dal
parlamento manu militari, sta vivendo la più forte crisi dalla sua liberazione,
nel 1947,dal colonialismo britannico nel.
Confinante con India, Cina e Afghanistan, il Pakistan fa
parte di una cintura con la quale l’Occidente politico pensava di assediare da
sud Russia e Cina, in vista del da sempre agognato controllo sull’immenso
continente euroasiatico, conditio sine qua non, per il dominio sul
pianeta.
Ed è quella cintura, base detta di contenimento, ma
progettata per future operazioni di destabilizzazione, se non di attacco, che
si va sbriciolando. L’intervento della Cina in Medioriente, come mediatore di
una pacificazione tra grandi contendenti e rispettivi sponsor e alleati, ma
anche come partner più credibile e redditizio di quello atlantico, ha rotto l’incantesimo
di una regione a vita condannata al controllo statunitense.
Arabia Saudita e Iran hanno inaugurato rapporti costruttivi
sul piano geopolitico ed economico. Ne consegue il ritorno della Siria nel
consesso della Lega Araba, la probabile fine del massacro USA-saudita nello
Yemen, un generale disallineamento rispetto alle storiche egemonie
postcoloniali. La Turchia fa da tempo un suo gioco che si distacca dalle lealtà
dovute da un membro Nato di tale rilievo. L’Iran è saldamente in piedi, a
dispetto di rivoluzioni colorate e sanzioni. L’Afghanistan è perso ed è poco
credibile un recupero affidato ai tagliagole e terroristi dell’ISIS.
L’intera Indocina, memore di quanto ha subito dagli USA e di
cui ancora si lecca le ferite, mantiene una posizione diplomatica conciliante,
ma politicamente autonoma e più vicina ai BRICS che alla Nato.
A tutto questo prova a reagire l’Impero in prima istanza sul
piano militare. Insieme all’AUKUS, l’alleanza militare anglosassone USA-Australia-Regno
Unito, è andata configurandosi a Tokio, nella recente visita di Stoltenberg al
premier Kishida, la nuova NATO. Quella dell’Indopacifico.
E l’Italia? Ha mandato in quelle acque, per esercitazioni
congiunte, le migliori navi della nostra marina militare, Portaerei Cavour in
testa.
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