poi Damasco, Tehran, Ecuador-Assange, fuochi all’Ilva e autocombustioni, liquidazione del Terzo Potere e incameramento del Quarto. Grilli pensanti e grilli parlanti. Il Terzo Stato dov’è?
"Tutti noi siamo persone, non tasti di pianoforte. Nessuno può trattarci come se fossimo tasti di pianoforte. Nessuno può schiacciarci per suonare la musica che piace a loro." (Fëdor Dostoevskij)
Tempo nero che genera il tempo rosso che renderà possibile il tempo verde: la solidarietà va occupando il posto dell'avidità e della paura. Essendo capace di inventare, capace di creazione e di follia, la rivoluzione cubana va. Però nemici non le mancano. Tra i suoi nemici più temibili c'è il burocrate, devastatore come l'uragano, asfissiante come l'imperialismo: non ci sono rivoluzioni che non se lo allevino dentro. Il burocrate è l'uomo di legno, nato per errore degli dei. che lo fecero senza sangue, non ha stimoli né apatia, non ha parole da dire. Ha l'eco, ma non ha voce. Sa trasmettere ordini, non idee. Considera ogni dubbio un'eresia e qualunque contraddizione un tradimento. Confonde l'unità con l'unanimità e crede che il popolo, eterno minorenne, bisogna tirarlo su per le orecchie. E' del tutto improbabile che il burocrate si giochi la vita. E' del tutto impossibile che si giochi il posto. (Eduardo Galeano)
" La vittoria dell’economia di mercato (come chiamano oggi eufemisticamente il capitalismo) deve essere assoluta, e così la sconfitta del socialismo. Si vuole fare in modo, come diceva Hitler prima di Stalingrado, che quel nemico non si rialzi mai più. I capitalisti in effetti hanno sempre avuto un’inclinazione per l’assoluto. In tutto il mondo il capitalismo è entrato in una crisi priva di sbocchi. Non gli è rimasta altra scelta che sprofondare in un caos ecologico e sociale oppure accettare la rinuncia alla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi il socialismo. Ambedue le alternative significano la sua fine".
(Erich Honecker)
"Comprendo fin troppo bene quello che avete detto. Quello che state facendo è gettare fango su di me, sul presidente Mao Zedong e sulla Grande rivoluzione culturale proletaria, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone... Nasconderete anche questo?" (Jiang Qing, moglie di Mao)
Buongiorno e ben trovati.
“Anni Settanta”. Dipende.
Sarà un pezzo disordinato, senza capo ne coda, cavato alla rinfusa dalla montagna di ritagli, carte, documenti, email, appunti, che è cresciuta a lato della tastiera in queste settimane di blog silente (se non per i sempre validi interventi dei miei interlocutori). Avrei dovuto riordinare, scomporre, categorizzare, tematizzare, travasare in puntate, ma un po’ la canicola, un po’ la sindrome del dopo-ferie, un po’ il bassotto-ragazzino Ernesto che insiste, pena un muso di rappresaglia, a trascinarmi alle siepi dei giardinetti dove si accanisce sulle lucertole (tranquilli, grande cacciatore, non le prende mai), non ne ho né il tempo, né la voglia. Sono anche un po’ depresso per un libro del mio figlio maggiore, buona penna pensosa, che ha voluto spiattellare ai suoi lettori (gliene auguro molti) le vicende vissute col padre separato, militante di Lotta Continua, negli anni ’70, lui ragazzetto (oggi alla seconda età). Che gran peccato che di quella fioritura del ’68, dei suoi colori forti, delle sue spine e delle sue efflorescenze selvatiche, lui, pur reduce nientemeno che della “Pantera”, esile e breve ritorno di fiamma, non abbia riportato le luci indiscutibilmente abbaglianti, il calore dei fuochi esterni e interni. Ma solo un pietroso, rancoroso sarcasmo, anche squalliduccio, intossicato da ricordi falsi e impoverito da ricordi buttati, simile ai “ripensamenti” dei tanti che successivamente hanno messo la testa apposto,non lontano dalla valutazione che di quei mala tempora davano certi ambienti famigliari, tutti chiesa, banca e famiglia ristretta.
Chissà se questo uomo ormai maturo, nel senso di quello Zeitgeist che si è dato il titolo di ”società civile”, “nonviolenza”, “diritti umani” (da Bertinotti al “manifesto” a Zanotelli a Marcos), nel lamentare il prezzo che avrebbe pagato per quegli anni e il loro, di Zeitgeist, risolvendo tardivamente il rapporto col padre, accanto a quel prezzo un giorno ci metterà anche un introito. La percezione che il mondo non era solo fatto di tinelli, oratori, posate apposto, cappottini, “mangia che grasso è florido”, “attento alle brutte compagnie”, famiglia e maestre. Che c’erano visioni dall’alto che abbracciavano tutto il mondo e, soprattutto, gli altri, i diversi. Che comportamenti “estremi” non potevano non corrispondere ad attacchi estremi subiti. Gli incontri, frequenti negli anni dell’adolescenza, che avrebbero unito lui, suoi amici (allora “compagni”) e suo padre in una combriccola che, una decade più tardi, avrebbe vissuto con passione e convinzione l’eredità di quegli anni dai capillari gonfi, dai pugni chiusi, dai ragazzi palestinesi con il mitra, dagli sguardi che volavano oltre la Varesina e arrivavano fino in Nordirlanda, fino in Cile.
Ricordo una lettera: “Caro amico ti scrivo…” Se se ne rammentasse, la sua corsa verso la felicità farebbe un balzo. Infelici i genitori che non sanno farsi perdonare sbagli e stronzate. Ma, come diceva, credo, Nietzsche, maturo il figlio solo quando abbia perdonato i suoi genitori. Quanto a me, ci metto poco a passare sopra quel che riguarda la mia persona. Più doloroso e difficile è passare sopra un’idea di quegli anni che, più che quella di un bambino di allora e dell’uomo che ne è scaturito, pare l’acida rievocazione di un PD a cui di quell’epoca “of wine and roses” e pugni chiusi è sfuggito il soffio.
Iran, “l’asse del male” prolifera
Per la prima volta il Consiglio di Sicurezza non ha condannato un attentato contro l’ONU E ora andiamo per vicende pubbliche. E’ in corso il Vertice dei Nonallineati a Tehran, in Iran. Vi partecipano tutti i paesi membri dell’organizzazione, 120 più 21 osservatori, almeno 50 capi di Stato, il resto primi ministri e ministri, due re. Un trionfo di immagine e di rilevanza politica. Mancano gli Usa, l’UE e poco altro. Si nascondono dietro ai loro sguatteri del Medio Oriente. Il più fresco di loro, ansioso di crediti scolastici, si è buttato subito nella mischia. Stonando rispetto a una maggioranza che credeva opportuno e giusto tutt’altro, il neo-presidente egiziano Mohammad Morsi ha latrato contro l’oppressore Assad e ha definito l’appoggio ai ribelli “dovere morale e necessità politica e strategica”. Il vertice va dal 26 al 31 agosto. Quando, a quel punto, i siriani hanno lasciato la sala, sono stati accompagnati da applausi e incoraggiamenti. Cinque giorni nei quali l’Iran, bestia nera dell’Occidente, programmato come epilogo della campagna per radere al suolo quanto resta dopo Libia, Siria, Egitto, Tunisia, Yemen, Somalia, a dispetto dell’occultamento mediatico, è al centro della scena mondiale.
Con la presidenza dei non allineati assume la guida di un movimento che, per buona parte, da segni di ritorno allo spirito di Bandung, dei Tito, Sukarno, Nehru, Nkrumah, Boumedienne… Si tratta nuovamente di far saltare la trasmissione del bulldozer imperialcolonialista, mentre si avventa su quanto mondo non gli si offre spontaneamente, sulla pira o nelle stanze della servitù. Al momento non si sa come andrà a finire, quanto di un richiamo all’ordine e al diritto internazionale, contro le guerre d’aggressione, contro il terrorismo planetario occidentale, contro il mostruoso arsenale nucleare delle potenze, farà breccia sui vassalli dell’ Impero intrufolatisi nell’alleanza. Ma il mondo, con in prima fila il fantoccio ONU degli Usa, Ban Ki Moon, operatore ai freni del nonallineamento, visto che gli psicopatici nazisionisti latrano minacce di sfracelli atomici e i media bilderberghiani (9 su 10) colludono a botte di menzogne e demonizzazioni, ha visto riunirsi nella capitale del paese-canaglia oltre due terzi dei rappresentanti dell’umanità. Molti dei quali atterriti dal dilagare del terrorismo totalitario, economico e bellico, istigato da Usa e Israele. Si è visto un protagonista. Con notevole seguito. Mentre i colorati verdi della “rivoluzione del rimmel” non li caga più nessuno. Ma non era isolato l’Iran?
Diventa sempre più difficile sbranare la Siria. E’ per questo, e per le parallele vittorie dell’esercito e del popolo sui ratti invasori, che a Washington e Londra si sta dando di matto, che a Tel Aviv si manda nel panico la gente con discorsi sul “danno accettabile” in caso di rappresaglia iraniana e si avvitino le spolette sulle 400 bombe termonucleari nel Neghev. Il guru spirituale del partito ultrareligioso Shas, rabbino Ovadia Yosef, sul cui fanatismo si appoggia Netaniahu, è arrivato a intimare agli ebrei di pregare per “l’annientamento dell’Iran e di Hezbollah”: nazionicidio e genocidio, come prescrive il Talmud. Rispetto alla quale dichiarazione quella di Ahmadinejad, che auspicava la scomparsa di quel concentrato di razzismo e terrorismo che è il “regime sionista” (non il popolo ebraico), è correttissima difesa dei diritti umani e della Carta dell’ONU. La confusione nel campo dell’aggressione è pari alla paralisi. Fra poco si vota negli Usa, ma anche in Germania, ma anche in Italia, ci sono scadenze cameroniane in Gran Bretagna, ma anche in paesi da destabilizzare, come il Venezuela, o da meglio incatenare, come Honduras e Paraguay. E ai vari fantocci reggenti del corporate power, da Obama a Merkel, da Hollande a Cameron, non è stato ancora chiarito se gli conviene buttarsi a destra o a sinistra, mostrare le zanne dell’assalto, o i brindisi dei negoziati-truffa. C’è, tra questi, anche il paggio Giulio “Pierino” Terzi, ministro tecnico degli Esteri. Lui, invece, non è confuso. Da bravo tecnico del suono, udito da lontano uno squillo di tromba a destra. subito ha intimato: armiamoci e partite! Quisquilie, tutte queste. Roba, per Ferrero, Vendola, Di Pietro, i sinistri guru del “manifesto”.Da non farci caso. Se non si bada alla guerra, forse la guerra se ne va. Trovare nei loro piani, suggerimenti, programmi, appelli, un accenno a “effetti collaterali”del capitalismo 2000, come guerra, Nato, basi, terrorismo USraeliano, è come trovare petrolio nelle buche che mi trivella il bassotto Ernesto tra le margherite.
Ecuador. Londra si spara sul piede.
Non ho grande simpatia per Julian Assange. Non mi convince. Troppo unanime e d’ufficio la sua difesa. Ho scritto in tempi non sospetti (non che non sia sospetta la bufala degli stupri in Svezia, hanno fatto di meglio con Strauss Khan e la zoccola di New York) che la caterva dei suoi dispacci diplomatici, al meglio era banale e scontata, al peggio era occasione per un ricambio di quadri di regime. Nel mezzo, quando si sputtanavano governanti amici o subalterni, si bilanciavano rischi e benefici: amico o vassallo avvisato, mezzo salvato. Scambi tra ambasciata e Dipartimento di Stato che gettavano il ridicolo o la stilettata su Mubaraq e altri proconsoli ben potevano, come s’è visto, essere l’inizio di un processo di dismissioni. Non condividevo la commozione e l’incenso con cui tanti bravi comunicatori antagonisti, il grande John Pilger in testa, chiamavano Assange, glaucopide e dalla chioma cangiante alla Morgan, vindice di tutti gli occultamenti politico-mediatici, alfiere della libertà d’espressione, martire, forse, della verità.
Mi sbaglierò, ma Assange mi ricorda Saviano. Wikileaks una delle tante ONG dei diritti umani con in tasca un ordine di servizio della Cia. Tutti si agitano in difesa della libertà del soggetto (dal look rapato o lungochiomato, biondo o argentato) e fanno bene. A Londra Assange, magari immeritatamente, è stato elevato a simbolo di giustizia dalla grossolanità ottusa di un regime energumeno che si ritiene impunibile. Qual è l’onesto operatore della comunicazione che non si schiererebbe contro questo Golìa? Semmai stona un po’ la trafelata corsa alle armi dell’eulogia per l’offeso e del raccapriccio per l’offesa, rispetto al totale occultamento della vicenda, pure Wikileaks, che però riguarda un fatto e un personaggio, evidentemente più seccante. Bradley Manning, giovanissimo soldato Usa in Iraq addetto all’informatica, nel maggio 2010 non trasmette a Wikileaks solo un flusso di comunicazioni diplomatiche a livello di pettegolezzo, ma anche un terrificante filmato in cui due Apache Usa, istruiti da lontano, inceneriscono un gruppo di civili iracheni in disperata fuga. Filmato che ha fatto il giro del mondo e ha rivelato anche a milioni di menati per il naso la vera faccia della democrazia occidentale esportata. Bradley Manning è da allora in un carcere militare, seviziato da isolamento per 13 ore al giorno, con le luci costantemente accese, controllato ogni cinque minuti, nudo sotto una coperta che è un ruvido tappeto, costretto a camminare in tondo nell’ “ora d’aria”, incatenato durante le visite e sottoposto ad abusi legali di ogni genere. Con la prospettiva, se sopravvive, della condanna capitale per “alto tradimento” e “collusione col nemico”. Non ne parla nessuno. Imbarazza.
Ma di e per Assange, che evidentemente imbarazza di meno, parlano tutti, cattivi e buoni. I cattivi, un po’ per celia e un po’ per riconoscenza per il lavoro in neretto che il diffusore ha inserito tra i caratteri normali delle ovvietà: tipo Al Qaida ha fatto l’11 settembre, il Pakistan è da far fuori perché connive con i Taliban, Gheddafi s’è messo in tasca i proventi del petrolio, gli iraniani puzzano di nucleare e nel Sahel impazza Al Qaida. Proprio come quando Saviano, da potenti schermi, ci ammannisce il suo disgusto per Hugo Chavez, Putin, Fidel, Gheddafi, i cinesi, in perfetta sintonia con Hillary Clinton, detta la “Belva umana”. Di e per Assange si parla. Come di e per Roberto Saviano (la cui ultima prodezza sono stati tre paginoni di “Repubblica” in cui ogni guaio, tutta la crisi, vengono addebitati alle mafie, preferibilmente, russe e balcaniche, che governi lindi e pugnaci si adoperano a combattere). Della sinergia e dell’intreccio organico mafia-capitalismo, criminalità organizzata e criminalità di Stato, nulla sa Saviano. Neanche quando da Palermo appare, in tutte le sue rigogliose e perverse ramificazioni, la foresta sconfinata, da almeno settant’anni coltivata, della collusione politico-economico nell’SpA mafia-classe dirigente. Assange come Saviano. Il primo, però, al contrario del secondo, appare perseguitato. Ma con Obama che stila ogni martedì la lista dei fastidiosi da eliminare extra giudizialmente, con drone o squadrone della morte, con Israele che sparge polonio sugli avversari, se Assange fosse quel nemico della patria che si dice, figurati se non lo avrebbero da tempo tolto di mezzo. C’è anche l’ipotesi che l’australiano sia lo strumento della lotta interna tra cosche rivali nel Potere Usa. O che se ne sia prediposta la fuga nell’ambasciata dell’Ecuador, per rimettere al centro del bersaglio uno o tutti i paesi disobbedienti dell’America Latina, colpevoli di alimentare una forsennata campagna contro la democrazia, americana e in toto.
Rafael Correa
Fosse vera quest’ultima, la Gran Bretagna, pur esperta di palombelle rosse che ti prendono alle spalle, si è sparata quattro volte sul piede. Quando ha suscitato la grancassa di sostegno ad Assange, al tempo degli arresti domiciliari su cauzione di 264mila sterline (versata dai bamba che si sono fidati, allegramente bruciata); quando, o facendo la furba, o facendo fiasco, Assange gli è scappato sotto il naso per raggiungere l’ambasciata dell’Ecuador; quando, sbroccando del tutto (effetto collaterale della tracotanza), ha annunciato di mettere a ferro e fuoco tale sede, protetta da immunità assoluta. Ha travalicato una volta di troppo la frontiera che custodisce i brandelli del diritto internazionale, della sovranità nazionale, della non-interferenza, delle buone maniere, sopravvissuti alla passata della falce imperialista dopo l’11 settembre; e infine, quando, di fronte alla sollevazione di tutta l’America Latina, dei suoi popoli, dei governi più riluttanti, osservata con strizzata d’occhio dal resto dell’umanità fuori dall’1% cannibale, Londra ha dovuto rivoltarsi come un calzino e, da dietro la lavagna, ha dovuto promettere “non lo farò più”. Splendida figura, grande acquisizione di prestigio internazionale da parte del subcomandante imperiale: un’altra spintarella a sinistra e verso l’integrazione, con Correa sostenuto addirittura dalla washingtoniana Organizzazione degli Stati Americani (OSA), dopo i più convinti Mercosur, Unasur e ALBA, per il “Continente della Speranza”.
Qui la figura stramediatica di Assange viene sovrastata da quella di Rafael Correa, presidente dell’Ecuador e protagonista con Chavez, Morales, Ortega, Castro, della rinascita e del processo di integrazione progressista e antimperialista latinoamericana. Chiunque sia davvero Assange, i popoli liberi e angheriati del mondo hanno visto nella risposta a muso duro, da Correa tirata in faccia agli epigoni di Churchill con la concessione dell’asilo politico, non un gradino, ma un’intera scalinata scavalcata di botto nella corsa alla neutralizzazione dei necrofagi. Intanto l’Ecuador, rinfocolando gli spiriti patriottici e unitari dei popoli, latinoamericani per primi, ha dato una mano a chi, come Hugo Chavez, elezioni presidenziali il 7 ottobre, deve mobilitare la gente in difesa della rivoluzione-pilota bolivariana, contro le manovre terroristiche Usa in atto e quelle di destabilizzazione programmate per il dopo-elezioni (a dispetto del fatto che Chavez viaggia attualmente con 20 punti di vantaggio sul rappresentante della vecchia oligarchia e degli Usa, Capriles). Correa ha reso a Chavez ciò che il “socialista del XXI secolo” ha trasmesso in questi anni all’America Latina e al mondo: giustizia sociale, diritti umani, democrazia vera, indipendenza, unità, lotta all’imperialismo, pace. Meritando 12 vittorie su 13 in elezioni oneste.
Armstrong come Gesù Cristo
L’uno l’hanno fatto risorgere, l’altro, di più, lo hanno fatto atterrare sulla luna. Tutt’una ancora stupefatta umanità a ricelebrare l’evento a ogni anniversario di una bufala che regge il confronto con l’11 settembre e la discesa dello Spirito Santo. Stavolta i peana trionfali si sono dovuti mescolare con l’eulogia funebre per il “primo uomo sulla luna”: effetto amerikano doppio. Riconosciamo al TG3 il soprassalto deontologico di aver mostrato dignitosamente e senza ironia anche gli argomenti dei “negazionisti”, anime dannate. Milioni di pagine e di immagini hanno dimostrato la fabbricazione dell’allunaggio, degli allunaggi, su un set cinematografico, probabilmente nel lunare Nevada: la bandiera Usa che sventola impetuosa su un corpo celeste del tutto privo di alitazione; le ombre degli astronauti che cadono dalla parte sbagliata perché provocate da fari, la serie di proiettori che si riflette sulla calata del casco di Armstrong… il fatto che non ci siano mai tornati per prendersi i celebrati minerali, o bombardare da lì la Russia. Comunque ci sanno fare: con analogo espediente televisivo – ricostruzione della Piazza Verde di Tripoli negli studi cinematografici del Qatar, poi riempita di “ribelli” trionfanti – hanno mostrato al mondo, e ai libici, che Tripoli, ancora sotto controllo gheddafiano, era invece caduta. La prossima della serie potrebbe essere una mossadata fuori ordinanza: un bell’incidente da armi chimiche in Siria, o Israele, in mezzo a migliaia di persone, da attribuire a colpa, o dolo, di Assad. Chi potrebbe più fermarli, i “protettori dei civili siriani” con missile Hellfire innestato?
Obamney contro Rombamba
A certi decerebrati statunitensi con la bava alla bocca, in basso come in alto, le sette guerre del liberal Obama, la sua desertificazione dei diritti civili in Usa e dei diritti umani nel mondo, il suo elenco settimanale di “sospetti” da assassinare, i suoi campi d’internamento senza processo per disturbatori, la sua Guantanamo, la tortura legalizzata, non bastano più. Una delle uscite dall’incubo “Occupy Wall Street” e di altre insubordinazioni sociali è quella che porta dritta all’irrigidimento belluino, all’escalation fascista. L’altra condurrebbe a una riduzione delle spese militari a favore di istruzione, salute, lavoro, il ripristino dello sgretolato habeas corpus, la mordacchia a banche e finanzieri, basta guerre: mission impossible, per chi si nutre dei biscotti delTea Party e da li prende a noleggio per la vicepresidenza un piccolo Goebbels che si è fermato alle elementari. Mission impossible, comunque, sia per Romney che per Obama, visto come è strutturata la dittatura smart (fica) statunitense. Sono talmente rintronati buona parte degli statunitensi che gli pare salvifico un figuro (e il suo sottopancia nazista) di cui si sa che, alla faccia del contribuente, sguazza in paradisi fiscali ed evade tutte le tasse, ha nel guardaroba il cappuccio del Ku Klux Klan e sul bavero la stella di David, prepara roghi per abortisti, gay, coppie di fatto, eutanasisti e demolizioni controllate di quanto resta della sanità pubblica Usa, è un integralista religioso e, nel nome di dio, vanno fatte tutte le guerre che Israele comanda. A Russia e Cina per ora pensano Kasparov e un po’ di zoccole Riot. Ci arriviamo nel secondo mandato.
Questo Romney si colloca oltre la lista di Sciascia che enumerava uomini, mezzi uomini, ominicchi, ruffiani, quaquaraqà. Ma di meriti ne deve avere davvero tanti, visto che le più grandi corporation fanno il tifo per lui, che Wall Street lo paga il doppio di Obama e che, sorprendente solo per i farlocchi, alla convention repubblicana gli è arrivatoil regalo kolossal della preferenza della Chiesa, il cardinale cattolico di New York, Timothy Dolan, capo di tutti i vescovi Usa, in persona. E’ entrato nel bordello è si è offerto procacciatore di 10 milioni di voti cattolici. E pazienza se guidati da tanti pastori pedofili. C’è però da dubitare che tutti quei 10 milioni si sentano vocati al ruolo di cocotte. Il fatto significativo qui è che ‘sto Dolan non si sarebbe mai permesso di incensare Romney, se non avesse avuto l’ordine di servizio del papa. Già, quello che all’Angelus: “Ci rivolgiamo principalmente al governo siriano perché ponga fine alle violenze…”. Quello cui è caro Monti e, dunque, Romney. Quello che meglio fondamentalisti islamici, che cristiani con l’ubbia della democrazia e della coesistenza come praticata in Libia e Siria. Che sorpresa è?
Negli Usa è costume, cultura, tradizione. Ci pensa la Cupola: una volta ne mette uno dai modi perbene, dagli orizzonti rosati, dialogante, fascinoso, buono sportivo, anche un po’ sbarazzino. Quando, dopo un po’, la retorica si fa lisa, il soggetto appare logoro, i fatti non corrispondono agli annunci, si cambia. Al pubblico insoddisfatto e disilluso si offre l’alternativa forte, quella con mascella rigida e pugnale tra i denti, quella del riscatto e del “destino manifesto” del popolo americano, quella che a ognuno è offerta la possibilità del sogno americano. Salvo ai perdenti. E fuori lo Stato dai coglioni e dentro il privato, le banche, le imprese). E’ il ricambio di Pulcinella dopo Arlecchino, il burattinaio è sempre lui, il coacervo degli interessi industrial-militar-finanziari che si articola in Bilderberg, nel FMI e nella BCE. E la strategia, interna o esterna, non cambia, che al popolo bue si faccia un buco di eroina rassicurante, o di cocaina galvanizzante. Di solito, dopo aver spremuto un burattino scemo, ma zannuto, fino al limite estremo della credibilità, si innesta uno che ci sa fare, balla bene e dà pacche sulle spalle, garantendo però di tirare fuori, al momento opportuno, i miliardi per le banche, per i missili e per i Consigli d’amministrazione. E le mazzate agli insofferenti. Lo spettacolo deve offrire cambi di scena e di attori, il canovaccio resta. Nixon dopo Johnson, Carter dopo Nixon, Reagan dopo Carter, Clinton dopo Bush padre, Obama dopo Bush figlio, Romney dopo Obama. Vedete voi chi era il rozzo e chi il fino. Intanto lo Stato canaglia più canaglia della storia procede in perfetta continuità strategica.
Pawla Kuczynskiego
E’ da dementi pensare che il tirannosauro trilionario degli interessi finanziari Usa sottoponga ogni quattro anni il suo fato collettivo ai capricci e alle ubbie di masse ignoranti, disinformate, manipolate, rese del tutto impotenti. Da loro come da noi, il rito delle schede e delle urne, quando non falsato dai brogli tipo quelli delle due elezioni di Bush, è del tutto predeterminato nei risultati. Un po’ grazie all’intossicazione mediatica, un po’ col terrorismo economico, un po’ col clientelismo, un po’ con la collaborazione dei partner mafiosi, un bel po’ con fondi passati sottobanco, ma soprattutto attraverso i meccanismi di voto, a partire dalla legge elettorale, come ben si vede ora dalle nostre parti, o come si esprime negli arzigogoli burocratici Usa che eliminano dalle liste i sospettati di votare male. Basta guardare ai gabinetti delle ultime presidenze Usa: tutti affollati da lobbisti e dirigenti delle megabanche e multinazionali, per lo più con la menorah a sette braccia sul caminetto e Goldman Sachs a capotavola. Vediamo a novembre se, in vista dell’eliminazione della Siria, ultimo superstite nello schieramento panarabo laico e progressista, antisraeliano e anticolonialista, e dell’assalto a Iran e il resto, si preferirà uno che occulta i genocidi imperiali sotto la pelle nera, i modi garbati e i matrimoni gay, oppure se, alla vista della crescente insubordinazione sociale e delle nazioni, serpeggiante un po’ ovunque, non si punti piuttosto a un matamoros da manicomio criminale, che non ci metta niente ad avventarsi su popoli, culture, habitat, donne, studenti, lavoratori e froci. La scelta del Vaticano potrebbe essere un’indicazione.
Primavere inquinate
Avevo intitolato un docufilm su rivolgimenti nel mondo arabo “Maledetta Primavera”. Conseguentemente, quello successivo si chiamava “Armageddon sulla via di Damasco”. Il “maledetta” implicava due concetti: maledetta, per i tiranni fantocci dell’imperialismo in Egitto, Tunisia, altrove, dunque per l’imperialismo. E maledetta per l’abuso infame del termine quando veniva stuprato per descrivere la cannibalizzazione della Libia o della Siria. Abbiamo visto per mesi, poi per anni, masse egiziane incazzate, radicate in una lunga storia di lotte operaie, studentesche, degli intellettuali e giuristi, invadere Cairo e altre città, esprimere la volontà di cacciare non solo il despota, ma anche i suoi sponsor, complici interni ed esteri e il loro sistema globalizzato (si è anche assaltata l’ambasciata israeliana). E da subito i soliti grilli parlanti della sinistra, supportati dagli amici del giaguaro mediatici, hanno sparlato della “rivoluzione” dicendola manovrata dagli Usa con i consueti strumenti Cia, Ned, Freedom House, USAID, ecc. I primi per pura gelosia, classica dei custodi emme-elle delle sacre leggi, e per loro innata avidità di perdere. I secondi, per screditare il movimento , “tigre di carta”, e deprimerci dipingendo tutto come irrimediabilmente contaminato. Io, noi, per la verità ci siamo forse sbilanciati un po’ troppo nell’accreditare la drastica diversità, anzi il suo contrario, rispetto alle amerikane “rivoluzioni colorate”. Perché di inquinamento ce n’era. E sta venendo fuori a valanga.
Manufacturing Dissent, fabbricare dissenso
Di questo inquinamento c’è un simbolo, quello di Otpor, la banda Cia-NED-Soros che innescò il colpo di Stato contro Milosevic, a partire dall’emittente della radio Cia “B-92”, partner serbo di Casarini, “tute bianche”, pacifinti e co.) E dobbiamo rivedere un po’ di cose, perchè quella del “Movimento Giovanile 6 Aprile” a molti di noi era sembrata la punta avanzata, cosciente, del movimento di massa. Invece erano l’ala “sinistra” di generali, Fratelli Musulmani con Salafiti incorporati e Stati Uniti. Cioè era proprio della “rivoluzione colorata”, come in Serbia, Ucraina, Venezuela, Georgia, Kirghizistan, in Iran, in Libano dopo il trionfo di Hezbollah su Israele. Ha fatto pure una veloce, sgradita, apparizione tra gli “Occupy Wall Street” e tra movimenti di lotta messicani. E’ l’innesto tossico sulla pianta sana. Della Primavera araba, gli agenti di Otpor erano la calata di gelo fuori stagione. Al sorgere di un’insofferenza di massa incontrollabile contro il “nostro bastardo” ( così Roosevelt su Somoza), il cambio del vento viene arginato dal controllo dell’opposizione tramite finti oppositori inseriti tra i radicali e supporto sottotraccia alla componente che assicura il ricambio desiderato. In Egitto, Movimento 6 aprile e Fratelli Musulmani. La repentina scomparsa di quella che era considerata la punta di diamante laica di Tahrir e non solo, quando gli islamisti presero la piazza, era l’ennesimo campanello d’allarme. Ma, a guardar meglio, segnali ce n’erano stati.
Il “6 aprile”, che inalbera il logo di “Otpor” (che tutti i colorati di velluto hanno tradotto con “basta!”), era da anni in collegamento con l’ambasciata Usa che organizzava corsi di formazione per i suoi quadri in Serbia, con Otpor, oggi “Centro per azioni e strategie non violente in applicazione” (CANVAS). CANVAS è stato fondato nel 2003 da Otpor, dopo ripetuti addestramenti impartiti da generali Usa a Budapest. Fornisce consulenza, formazione e “altro” a gruppi di opposizione manovrati dagli Usa in oltre 40 paesi. Fu Otpor a svolgere un ruolo centrale nella installazione, dopo la caduta di Milosevic, di un governo (Kustunica-Djndjic) sponsorizzato da USA-UE-NATO, e a favorire la secessione dei narcotrafficanti Kosovo e Montenegro.
Secondo il prestigioso istituto canadese Global Research, il ruolo di CANVAS in Egitto risulta, per ora, decisivo. Ha coperto l’ascesa al potere degli integralisti islamici, collusi coi militari di obbedienza Usa, proni entrambi alla globalizzazione capitalista, è riuscita, speriamo momentaneamente, a sterilizzare la protesta e la lotta laica di massa. Ma la Storia macina i suoi ritmi. Quanto ci volle tra Kronstadt e il Palazzo d’inverno? Tra i vespri siciliani e Garibaldi? La collusione tra attivisti egiziani e i centri di destabilizzazione Usa viene confermata anche da cablogrammi del 2008 e del 2010 (Wikileaks) che dall’ambasciata comunicano al Dipartimento di Stato le strette relazioni con il “6 Aprile” e l’avanzamento dei programmi di formazione, anche di altri gruppi. Tipo quelli che, oggi in Siria, beneficiano del grande hacker filo-Occupy, il ridens coi baffi, che va sotto il nome di “Anonymous”, il quale ha condotto attacchi informatici contro il Ministero della Difesa di Damasco, a sostegno dell’opposizione siriana all’estero, ministero poi bombardato dai compari col barbone.
Tra i fiduciari Usa, reduci dalle lezioni di Gene Sharp (guru di Drdja Popovic, leader di Otpor assieme all’onnipresente ceffo Ivan Marovic), il cui testo “Dalla dittatura alla Democrazia”, è alla base di tutte le rivoluzioni colorate, spiccano alcuni “eroi rivoluzionari” ai quali si sono appassionati tutti i media e tutti gli intelletti. Ricordate Wael Ghonim, celebrato martire perché incarcerato dai militari 12 giorni, ma contemporaneamente anche dirigente di Google per l’Africa e il Medioriente (e si sanno le funzioni di Google, di braccio spionistico di Washington), blogger antiregime e portavoce del movimento, laureato all’Università Americana, sposato con una nordamericana. Fondatore del “6 Aprile”, insieme a Ahmed Maher che al Los Angeles Times aveva dichiarato di “ammirare la rivoluzione arancione ucraina e i Serbi di Otpor”. Del resto, il presidente di Google si era detto “molto fiero di ciò che Wael Ghonim aveva realizzato”. Altra fondatrice e altra blogger di questa ennesima “rivoluzione di Face book” è Israa Abdel Fattah. Tutta questa gente ha ripetutamente visitato Washington per corsi di formazione e affettuosi e proficui incontri con Condoleezza Rice (2008) e Hillary Clinton (2010), sotto gli auspici di Freedom House. Il candidato verso il quale costoro hanno deviato il movimento era il vecchio arnese borghese Mohammad El Baradei, facente parte dell’International Crisis Group di George Soros, poi scomparso nel nulla quando “l’opposizione buona”, Fratelli Musulmani con pitbull da combattimento salafita, è stata fatta diventare protagonista del rivolgimento. Come in Libia, come in Siria, come in Libano. Tutto nel quadro dell’artificiale scontro regionale tra sunniti filoamericani e sciti antimperialisti, con sciti, cristiani e altre minoranze a sostenerne il costo. Tutto corrispondente ai piani del consigliere militare di Tel Aviv, Oded Yinon, che, dal 1982, pianifica la frantumazione lungo linee etnico-confessionali dei paesi del panarabismo laico, aconfessionale e anticolonialista. Spero che queste notizie, seppure tardive, chiariscano le idee ai genuini combattenti della Primavera Araba, come ai loro sostenitori nel mondo. E, così, aprano una strada bonificata per la ripresa dell’antagonismo arabo.
Tumulto di tope (Pussy Riot)
Cugini di primo grado, nella squadriglia dei palloncini colorati dirittoumanisti Usa, Amnesty International e Human Rights Watch, presunte Ong dirette e finanziate dagli interessi della Cupola mondialista a guida Usa, si sono gettate a corpo morto sulle Pussy Riot (PR) russe, due delle quali, strepitando improperi contro i “bastardi del Cremlino” all’immancabile radio Cia “Liberty”, si sono già rifugiate nella casa madre anglosassone. L’astuto Paolo Ferrero non è stato da meno quando ha inneggiato alle incappucciate, stonate e sgambettanti davanti a madonne e crocefissi della cattedrale, onorandole dell’inusitata (e da loro sicuramente giudicata straniante) qualifica di “compagne Pussy Riot”. Ricordava il Sansonetti di “Liberazione” che titolava in apertura “Forza Vladimir”, in occasione della rivoluzionaria vittoria di Luxuria (chi è costui?) all’Isola dei Famosi. Tutti, chi più, chi meno, nipotini di Bertinotti. Si sarebbe voluto vedere l’effetto che avrebbe fatto su poliziotti, giudici e clamantes mediatici, un’analoga irruzione a San Pietro, o nell’abbazia di Westminster, in piena cerimonia pubblica, con sconquassi musicali, zompi, capriole, oscenità, schiamazzi e virulenti inviti a Napolitano o a Elisabetta, al papa o al primate anglicano, di togliersi dai coglioni. Sarebbero bastati i due anni di galera, che in appello verranno ridotti, con le squinzie colorate fuori in quattro e quattr’otto? O qualcuna di queste, rea di “terrorismo”, sarebbe finita a Guantanamo?
Da quando Putin ha rimesso in piedi la Russia fagocitata dai ratti con chip Cia, da quando è stato rieletto presidente, da quando soprattutto ha messo qualche granello, insieme alla Cina, nei cingoli del Caterpillar da guerra occidental-islamista, questi due paesi sono sottoposti a un bombardamento mediatico che traduce ogni vituperio della Clinton in uragani di balle e diffamazioni. Da noi, né l’oligopolio mediatico di Mediaset, Rai, Sky, La7, né Astrit Dakli del “manifesto”, hanno perso l’occasione di rafforzare lo tsunami contro lo “zar” Ma come si permette di contrastare il progetto bush-obamian-mondialista dell’unica potenza mondiale, ma dove è finito Eltsin, dove sono finiti i colleghi oligarchi? Per sgretolare il muro dell’adesione popolare a Putin e alla sua linea (e sappiamo bene che non abbiamo a che fare con un restauratore dell’URSS, con un avveduto patriota, sì però), ecco la rivoluzione colorata, ecco lo scacchista famiglio di Washington, Kasparov, prematuramente entrati in coma grazie al ricorso all’arma dei brogli, spuntata dall’evidenza e dagli osservatori. Da notare come le tv mai abbiano potuto mostrarci bastonate a ragazzi disarmati a Mosca o Pietroburgo, come le praticano con mazze, calci di fucile, gas tossici, urticanti, pallottole d’acciaio ricoperte di gomma, negli Usa, in Grecia, in Spagna, in Bahrein e da noi. E non su fighetti resi voraci dalla promessa di mercato, bensì su valsusini, pastori, terremotati, forconi, precari, intossicati, pensionati, giovani sull’orlo dell’abisso che si chiama futuro. E l’operaio disoccupato Angelo Di Carlo, davanti a Montecitorio, grillino antipolitico e populista, l’ha scampata solo perché ha preso fuoco prima.
Qui non si tratta di essere bigotti, basta però che la blasfemia, lo scandalo, siano per rivendicare una verità laica, liberatrice. Lo oscenità e la blasfemia delle sciamannate di PR (Pubbliche Relazioni degli infiltrati Usa), sono di altro genere. Basta vedere l’unanime plauso occidentale, da Hillary a Ferrero, dagli oligarchi russi ai dissidenti con addosso l’occhio di bue dei media imperiali. Le performances precedenti a quella nella Cattedrale del Salvatore erano state: l’orgia in un museo, l’erezione di un fallo gigante, un pollo congelato rubato nel supermercato e utilizzato come vibratore intimo (scenetta filmata e messa in rete), due irruzioni nella seconda cattedrale di Mosca, dalla quale vennero buttate fuori senza altre conseguenze. A loro volta l’altro gruppo, le “Femen”, le ha rincorse esibendo le tette in posti pubblici e bruciando una croce di legno messa a ricordo delle vittime di Stalin. L’insistenza contro la Chiesa ortodossa si spiega col ruolo di coesione nazionale che questa ha assunto nel disfacimento successivo alla caduta dell’URSS, con la sua insistenza sulla solidarietà sociale, con l’avversione a Eltsin e agli oligarchi, con l’intesa con Putin, tutte scelte fortemente sgradite a chi lavora alla distruzione della Russia. Usa e Israele.
Già, Israele. Organizzatore delle PR è Marat Gelman, un collezionista d’arte ebreo, resosi simpatico a Hillary per ripetute chiassate contro Putin e la Chiesa che lo sostiene. Artista-manager e inventore dei “gesti artistici” di questa dozzina di ciabatte (non sanno suonare, non hanno mai composto niente, schiamazzano anziché cantare punk o rock), è il performer russo-israeliano Plucer-Sarno, membro di un collettivo sionista. Visto il totale fallimento delle ragazze sul piano musicale, i loro “maestri”, in ovvio collegamento con sponsor esteri, le hanno piazzate sul carrozzone della protesta politica. E lì hanno iniziato a saltellare nelle piazze e nel metrò urlando, nell’indifferenza della gente, oscenità contro Putin. Ripetute durante il processo e significativamente accompagnate dalla minaccia di scatenare sulla giudice le ire degli Stati Uniti. Vere compagne. Blasfemia, offesa alla religione e ai suoi esponenti, incitazione all’odio confessionale e alla violenza, teppismo. Se in Europa qualcuno avesse trattato così gli ebrei e la loro religione, chi lo scamperebbe dall’accusa dannante di antisemitismo? Invece, alle simpatiche fanciulle, in uscita dal carcere fra sei mesi, con il sostegno di Madonna e del Dipartimento di Stato si prospetta una favolosa tournée mondiale e prestigiose sedute fotografiche alla Casa Bianca. E magari con Paolo Ferrero?
Il golpe del satrapo sul Colle si perfeziona
Giorgio Napolitano, minacciato ora perfino da Berlusconi (Il "ricatto" di Panorama), è il capo di Stato più ricco e spendaccione del mondo. Ha più dipendenti, più stipendio e spende di più per sede e funzioni di qualsiasi paese occidentale, regina e Obama compresi. Il doppio e il triplo. La sua dotazione è paragonabile solo alla corte della famiglia saudita o a quella del Qatar, che, come noto, sono proprietari privati di tutto il loro paese. E popolo (ai blasfemi tagliano la testa). Il loro ruolo di rappresentanza è riconosciuto solo all’estero Corrisponde dunque perfettamente a questa sua collocazione al vertice dello sfruttamento capitalista, oggi organizzato dalla Cupola mondialista, l’attacco alla morte scatenato, in combutta con tutto quello che, facendo gli spiritosi, si chiamava l’arco costituzionale, contro il terzo potere. Terzo Potere in cui, dalla rivoluzione francese in qua, è articolato lo Stato democratico, il giudiziario. Quello che veniva definito il Quarto Potere, la stampa, è stata addomesticato e acquisito da tempo. Restano un Esecutivo e un Legislativo di corrotti, inquisiti, ricattati, idioti, che ha provveduto a innescare da solo la propria putrefazione. E resta lui. Con accanto il fratello scemo, anche lui con microchip cupolesco, a Palazzo Chigi. La presidenza della Repubblica non è nemmeno un potere dello Stato. E’ un’istituzione di garanzia, costituzionalmente (ha ha ha!) garante della Carta, al di sopra di tutte le parti (ha ha ha!). Ma lui, il migliorista (della stirpe de “Il Migliore”) non se deve essere accorto.
Per dare un’idea dello stato di salute etica e professionale dell’informazione, in Italia è rimasto solo lo sfizioso e impudente “Il Fatto quotidiano” (purtroppo dall’orribile pagina esteri atlantica, affine a quella del “manifesto”) a denunciare un avvenimento epocale. Il consolidamento del colpo di Stato antidemocratico, iniziato con interventi eterodossi a tutto spiano in campi inibiti e culminato con l’imposizione del branco di licantropi non eletti al governo del paese, attraverso l’attacco frontale alla magistratura. Trovata l’occasione buona nell’essere stato pizzicato dai giudici di Palermo, questi davvero ultimo, eroico, presidio sulla scia di Borsellino, mentre dava consigli a un bonzo indagato nel quadro dei più gravi crimini contro lo Stato mai commessi dalla classe politica, la trattativa e l’ingresso della mafia al massimo livello di governo, è stato capace di suscitare una canea vandeana di massa contro i giudici, come non s’era vista neanche all’annuncio della guerra nazifascista dal fatidico balcone. Ha, il capofila storico dell’ala rinnegata del PCI, oggi, per questi meriti, ineffabile, imperfettibile, incontestabile, impunibile e impunito, attivato gli amici, da lui nominati, della Corte Costituzionale, perché raddrizzassero le gambe a Ingroia e a tutta la Procura di Palermo. E lo facessero in fretta, prima che dalle intercettazioni e dall’armadio di Mancino, ministro di polizia all’epoca del connubio mafia-Stato e delle stragi, potessero uscire le prove definitive su chi ha venduto questo popolo e il suo territorio alla criminalità organizzata, in cambio di una, per entrambi proficua, collaborazione.
Siamo agli anni ’92-’93. L’operazione è la stessa e gli attori in scena pure. Criminalità organizzata pubblica in sinergia con quella privata, con un’unica strategia: spolpare la gente, pervertire la società, eliminare diritti e strumenti dei cittadini, distruggere pesi e contrappesi dell’ordinamento a vantaggio di soluzioni totalitarie. Le stesse che stanno nel DNA del Vaticano (Marcinkus, Sindona, Calvi, Bertone), da sempre monarchia assoluta, modello per gli eroditori della libertà e della giustizia. Fisiologici i plausi che a roditori con la mannaia, come Monti e Draghi, tributano i principi della Chiesa. Del papa, incontrato in udienza privata da Monti sette volte in dieci mesi, per confermare la totale unità d’intenti carolingi, e di Bagnasco, che del regime napolitan-montiano lubrifica il rullo compressore sostenendo “la riforma dello Stato”, invitando il volgo a “superare le prospettive ideologiche” (la resistenza di classe), benedicendo un “nuovo governo di larghe intese guidato dallo stesso Monti”. Fondamentalisti cattolici subito ricambiati da due cavalli di razza del governo golpista. Il prode Balduzzi (sanità), quello che salva i giovani dalla distruzione spostando le bische dello Stato biscazziere a 500 metri da scuole e oratori, che ha dato dall’ “eugenetica” alla Corte di Strasburgo per avere questa condannato la guerra del legislatore italiano contro le donne in materia di controllo preventivo di embrioni eventualmente compromessi. E il padre-padrone del Sant’Egidio, Riccardi (Cooperazione) che, d’intesa con Ratzinger, ammette guerre finanziate da banche armate, le stesse che sostengono “la diplomazia” del Sant’Egidio. Gli amorosi sensi che hanno confuso in una melassa stomachevole i faccendieri di Comunione e Liberazione e i governanti-mannari succedutisi sulla passerella di Rimini, completa questo quadro di una modernità tibetana.
"Tutti noi siamo persone, non tasti di pianoforte. Nessuno può trattarci come se fossimo tasti di pianoforte. Nessuno può schiacciarci per suonare la musica che piace a loro." (Fëdor Dostoevskij)
Tempo nero che genera il tempo rosso che renderà possibile il tempo verde: la solidarietà va occupando il posto dell'avidità e della paura. Essendo capace di inventare, capace di creazione e di follia, la rivoluzione cubana va. Però nemici non le mancano. Tra i suoi nemici più temibili c'è il burocrate, devastatore come l'uragano, asfissiante come l'imperialismo: non ci sono rivoluzioni che non se lo allevino dentro. Il burocrate è l'uomo di legno, nato per errore degli dei. che lo fecero senza sangue, non ha stimoli né apatia, non ha parole da dire. Ha l'eco, ma non ha voce. Sa trasmettere ordini, non idee. Considera ogni dubbio un'eresia e qualunque contraddizione un tradimento. Confonde l'unità con l'unanimità e crede che il popolo, eterno minorenne, bisogna tirarlo su per le orecchie. E' del tutto improbabile che il burocrate si giochi la vita. E' del tutto impossibile che si giochi il posto. (Eduardo Galeano)
" La vittoria dell’economia di mercato (come chiamano oggi eufemisticamente il capitalismo) deve essere assoluta, e così la sconfitta del socialismo. Si vuole fare in modo, come diceva Hitler prima di Stalingrado, che quel nemico non si rialzi mai più. I capitalisti in effetti hanno sempre avuto un’inclinazione per l’assoluto. In tutto il mondo il capitalismo è entrato in una crisi priva di sbocchi. Non gli è rimasta altra scelta che sprofondare in un caos ecologico e sociale oppure accettare la rinuncia alla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi il socialismo. Ambedue le alternative significano la sua fine".
(Erich Honecker)
"Comprendo fin troppo bene quello che avete detto. Quello che state facendo è gettare fango su di me, sul presidente Mao Zedong e sulla Grande rivoluzione culturale proletaria, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone... Nasconderete anche questo?" (Jiang Qing, moglie di Mao)
Buongiorno e ben trovati.
“Anni Settanta”. Dipende.
Sarà un pezzo disordinato, senza capo ne coda, cavato alla rinfusa dalla montagna di ritagli, carte, documenti, email, appunti, che è cresciuta a lato della tastiera in queste settimane di blog silente (se non per i sempre validi interventi dei miei interlocutori). Avrei dovuto riordinare, scomporre, categorizzare, tematizzare, travasare in puntate, ma un po’ la canicola, un po’ la sindrome del dopo-ferie, un po’ il bassotto-ragazzino Ernesto che insiste, pena un muso di rappresaglia, a trascinarmi alle siepi dei giardinetti dove si accanisce sulle lucertole (tranquilli, grande cacciatore, non le prende mai), non ne ho né il tempo, né la voglia. Sono anche un po’ depresso per un libro del mio figlio maggiore, buona penna pensosa, che ha voluto spiattellare ai suoi lettori (gliene auguro molti) le vicende vissute col padre separato, militante di Lotta Continua, negli anni ’70, lui ragazzetto (oggi alla seconda età). Che gran peccato che di quella fioritura del ’68, dei suoi colori forti, delle sue spine e delle sue efflorescenze selvatiche, lui, pur reduce nientemeno che della “Pantera”, esile e breve ritorno di fiamma, non abbia riportato le luci indiscutibilmente abbaglianti, il calore dei fuochi esterni e interni. Ma solo un pietroso, rancoroso sarcasmo, anche squalliduccio, intossicato da ricordi falsi e impoverito da ricordi buttati, simile ai “ripensamenti” dei tanti che successivamente hanno messo la testa apposto,non lontano dalla valutazione che di quei mala tempora davano certi ambienti famigliari, tutti chiesa, banca e famiglia ristretta.
Chissà se questo uomo ormai maturo, nel senso di quello Zeitgeist che si è dato il titolo di ”società civile”, “nonviolenza”, “diritti umani” (da Bertinotti al “manifesto” a Zanotelli a Marcos), nel lamentare il prezzo che avrebbe pagato per quegli anni e il loro, di Zeitgeist, risolvendo tardivamente il rapporto col padre, accanto a quel prezzo un giorno ci metterà anche un introito. La percezione che il mondo non era solo fatto di tinelli, oratori, posate apposto, cappottini, “mangia che grasso è florido”, “attento alle brutte compagnie”, famiglia e maestre. Che c’erano visioni dall’alto che abbracciavano tutto il mondo e, soprattutto, gli altri, i diversi. Che comportamenti “estremi” non potevano non corrispondere ad attacchi estremi subiti. Gli incontri, frequenti negli anni dell’adolescenza, che avrebbero unito lui, suoi amici (allora “compagni”) e suo padre in una combriccola che, una decade più tardi, avrebbe vissuto con passione e convinzione l’eredità di quegli anni dai capillari gonfi, dai pugni chiusi, dai ragazzi palestinesi con il mitra, dagli sguardi che volavano oltre la Varesina e arrivavano fino in Nordirlanda, fino in Cile.
Ricordo una lettera: “Caro amico ti scrivo…” Se se ne rammentasse, la sua corsa verso la felicità farebbe un balzo. Infelici i genitori che non sanno farsi perdonare sbagli e stronzate. Ma, come diceva, credo, Nietzsche, maturo il figlio solo quando abbia perdonato i suoi genitori. Quanto a me, ci metto poco a passare sopra quel che riguarda la mia persona. Più doloroso e difficile è passare sopra un’idea di quegli anni che, più che quella di un bambino di allora e dell’uomo che ne è scaturito, pare l’acida rievocazione di un PD a cui di quell’epoca “of wine and roses” e pugni chiusi è sfuggito il soffio.
Iran, “l’asse del male” prolifera
Per la prima volta il Consiglio di Sicurezza non ha condannato un attentato contro l’ONU E ora andiamo per vicende pubbliche. E’ in corso il Vertice dei Nonallineati a Tehran, in Iran. Vi partecipano tutti i paesi membri dell’organizzazione, 120 più 21 osservatori, almeno 50 capi di Stato, il resto primi ministri e ministri, due re. Un trionfo di immagine e di rilevanza politica. Mancano gli Usa, l’UE e poco altro. Si nascondono dietro ai loro sguatteri del Medio Oriente. Il più fresco di loro, ansioso di crediti scolastici, si è buttato subito nella mischia. Stonando rispetto a una maggioranza che credeva opportuno e giusto tutt’altro, il neo-presidente egiziano Mohammad Morsi ha latrato contro l’oppressore Assad e ha definito l’appoggio ai ribelli “dovere morale e necessità politica e strategica”. Il vertice va dal 26 al 31 agosto. Quando, a quel punto, i siriani hanno lasciato la sala, sono stati accompagnati da applausi e incoraggiamenti. Cinque giorni nei quali l’Iran, bestia nera dell’Occidente, programmato come epilogo della campagna per radere al suolo quanto resta dopo Libia, Siria, Egitto, Tunisia, Yemen, Somalia, a dispetto dell’occultamento mediatico, è al centro della scena mondiale.
Con la presidenza dei non allineati assume la guida di un movimento che, per buona parte, da segni di ritorno allo spirito di Bandung, dei Tito, Sukarno, Nehru, Nkrumah, Boumedienne… Si tratta nuovamente di far saltare la trasmissione del bulldozer imperialcolonialista, mentre si avventa su quanto mondo non gli si offre spontaneamente, sulla pira o nelle stanze della servitù. Al momento non si sa come andrà a finire, quanto di un richiamo all’ordine e al diritto internazionale, contro le guerre d’aggressione, contro il terrorismo planetario occidentale, contro il mostruoso arsenale nucleare delle potenze, farà breccia sui vassalli dell’ Impero intrufolatisi nell’alleanza. Ma il mondo, con in prima fila il fantoccio ONU degli Usa, Ban Ki Moon, operatore ai freni del nonallineamento, visto che gli psicopatici nazisionisti latrano minacce di sfracelli atomici e i media bilderberghiani (9 su 10) colludono a botte di menzogne e demonizzazioni, ha visto riunirsi nella capitale del paese-canaglia oltre due terzi dei rappresentanti dell’umanità. Molti dei quali atterriti dal dilagare del terrorismo totalitario, economico e bellico, istigato da Usa e Israele. Si è visto un protagonista. Con notevole seguito. Mentre i colorati verdi della “rivoluzione del rimmel” non li caga più nessuno. Ma non era isolato l’Iran?
Diventa sempre più difficile sbranare la Siria. E’ per questo, e per le parallele vittorie dell’esercito e del popolo sui ratti invasori, che a Washington e Londra si sta dando di matto, che a Tel Aviv si manda nel panico la gente con discorsi sul “danno accettabile” in caso di rappresaglia iraniana e si avvitino le spolette sulle 400 bombe termonucleari nel Neghev. Il guru spirituale del partito ultrareligioso Shas, rabbino Ovadia Yosef, sul cui fanatismo si appoggia Netaniahu, è arrivato a intimare agli ebrei di pregare per “l’annientamento dell’Iran e di Hezbollah”: nazionicidio e genocidio, come prescrive il Talmud. Rispetto alla quale dichiarazione quella di Ahmadinejad, che auspicava la scomparsa di quel concentrato di razzismo e terrorismo che è il “regime sionista” (non il popolo ebraico), è correttissima difesa dei diritti umani e della Carta dell’ONU. La confusione nel campo dell’aggressione è pari alla paralisi. Fra poco si vota negli Usa, ma anche in Germania, ma anche in Italia, ci sono scadenze cameroniane in Gran Bretagna, ma anche in paesi da destabilizzare, come il Venezuela, o da meglio incatenare, come Honduras e Paraguay. E ai vari fantocci reggenti del corporate power, da Obama a Merkel, da Hollande a Cameron, non è stato ancora chiarito se gli conviene buttarsi a destra o a sinistra, mostrare le zanne dell’assalto, o i brindisi dei negoziati-truffa. C’è, tra questi, anche il paggio Giulio “Pierino” Terzi, ministro tecnico degli Esteri. Lui, invece, non è confuso. Da bravo tecnico del suono, udito da lontano uno squillo di tromba a destra. subito ha intimato: armiamoci e partite! Quisquilie, tutte queste. Roba, per Ferrero, Vendola, Di Pietro, i sinistri guru del “manifesto”.Da non farci caso. Se non si bada alla guerra, forse la guerra se ne va. Trovare nei loro piani, suggerimenti, programmi, appelli, un accenno a “effetti collaterali”del capitalismo 2000, come guerra, Nato, basi, terrorismo USraeliano, è come trovare petrolio nelle buche che mi trivella il bassotto Ernesto tra le margherite.
Ecuador. Londra si spara sul piede.
Non ho grande simpatia per Julian Assange. Non mi convince. Troppo unanime e d’ufficio la sua difesa. Ho scritto in tempi non sospetti (non che non sia sospetta la bufala degli stupri in Svezia, hanno fatto di meglio con Strauss Khan e la zoccola di New York) che la caterva dei suoi dispacci diplomatici, al meglio era banale e scontata, al peggio era occasione per un ricambio di quadri di regime. Nel mezzo, quando si sputtanavano governanti amici o subalterni, si bilanciavano rischi e benefici: amico o vassallo avvisato, mezzo salvato. Scambi tra ambasciata e Dipartimento di Stato che gettavano il ridicolo o la stilettata su Mubaraq e altri proconsoli ben potevano, come s’è visto, essere l’inizio di un processo di dismissioni. Non condividevo la commozione e l’incenso con cui tanti bravi comunicatori antagonisti, il grande John Pilger in testa, chiamavano Assange, glaucopide e dalla chioma cangiante alla Morgan, vindice di tutti gli occultamenti politico-mediatici, alfiere della libertà d’espressione, martire, forse, della verità.
Mi sbaglierò, ma Assange mi ricorda Saviano. Wikileaks una delle tante ONG dei diritti umani con in tasca un ordine di servizio della Cia. Tutti si agitano in difesa della libertà del soggetto (dal look rapato o lungochiomato, biondo o argentato) e fanno bene. A Londra Assange, magari immeritatamente, è stato elevato a simbolo di giustizia dalla grossolanità ottusa di un regime energumeno che si ritiene impunibile. Qual è l’onesto operatore della comunicazione che non si schiererebbe contro questo Golìa? Semmai stona un po’ la trafelata corsa alle armi dell’eulogia per l’offeso e del raccapriccio per l’offesa, rispetto al totale occultamento della vicenda, pure Wikileaks, che però riguarda un fatto e un personaggio, evidentemente più seccante. Bradley Manning, giovanissimo soldato Usa in Iraq addetto all’informatica, nel maggio 2010 non trasmette a Wikileaks solo un flusso di comunicazioni diplomatiche a livello di pettegolezzo, ma anche un terrificante filmato in cui due Apache Usa, istruiti da lontano, inceneriscono un gruppo di civili iracheni in disperata fuga. Filmato che ha fatto il giro del mondo e ha rivelato anche a milioni di menati per il naso la vera faccia della democrazia occidentale esportata. Bradley Manning è da allora in un carcere militare, seviziato da isolamento per 13 ore al giorno, con le luci costantemente accese, controllato ogni cinque minuti, nudo sotto una coperta che è un ruvido tappeto, costretto a camminare in tondo nell’ “ora d’aria”, incatenato durante le visite e sottoposto ad abusi legali di ogni genere. Con la prospettiva, se sopravvive, della condanna capitale per “alto tradimento” e “collusione col nemico”. Non ne parla nessuno. Imbarazza.
Ma di e per Assange, che evidentemente imbarazza di meno, parlano tutti, cattivi e buoni. I cattivi, un po’ per celia e un po’ per riconoscenza per il lavoro in neretto che il diffusore ha inserito tra i caratteri normali delle ovvietà: tipo Al Qaida ha fatto l’11 settembre, il Pakistan è da far fuori perché connive con i Taliban, Gheddafi s’è messo in tasca i proventi del petrolio, gli iraniani puzzano di nucleare e nel Sahel impazza Al Qaida. Proprio come quando Saviano, da potenti schermi, ci ammannisce il suo disgusto per Hugo Chavez, Putin, Fidel, Gheddafi, i cinesi, in perfetta sintonia con Hillary Clinton, detta la “Belva umana”. Di e per Assange si parla. Come di e per Roberto Saviano (la cui ultima prodezza sono stati tre paginoni di “Repubblica” in cui ogni guaio, tutta la crisi, vengono addebitati alle mafie, preferibilmente, russe e balcaniche, che governi lindi e pugnaci si adoperano a combattere). Della sinergia e dell’intreccio organico mafia-capitalismo, criminalità organizzata e criminalità di Stato, nulla sa Saviano. Neanche quando da Palermo appare, in tutte le sue rigogliose e perverse ramificazioni, la foresta sconfinata, da almeno settant’anni coltivata, della collusione politico-economico nell’SpA mafia-classe dirigente. Assange come Saviano. Il primo, però, al contrario del secondo, appare perseguitato. Ma con Obama che stila ogni martedì la lista dei fastidiosi da eliminare extra giudizialmente, con drone o squadrone della morte, con Israele che sparge polonio sugli avversari, se Assange fosse quel nemico della patria che si dice, figurati se non lo avrebbero da tempo tolto di mezzo. C’è anche l’ipotesi che l’australiano sia lo strumento della lotta interna tra cosche rivali nel Potere Usa. O che se ne sia prediposta la fuga nell’ambasciata dell’Ecuador, per rimettere al centro del bersaglio uno o tutti i paesi disobbedienti dell’America Latina, colpevoli di alimentare una forsennata campagna contro la democrazia, americana e in toto.
Rafael Correa
Fosse vera quest’ultima, la Gran Bretagna, pur esperta di palombelle rosse che ti prendono alle spalle, si è sparata quattro volte sul piede. Quando ha suscitato la grancassa di sostegno ad Assange, al tempo degli arresti domiciliari su cauzione di 264mila sterline (versata dai bamba che si sono fidati, allegramente bruciata); quando, o facendo la furba, o facendo fiasco, Assange gli è scappato sotto il naso per raggiungere l’ambasciata dell’Ecuador; quando, sbroccando del tutto (effetto collaterale della tracotanza), ha annunciato di mettere a ferro e fuoco tale sede, protetta da immunità assoluta. Ha travalicato una volta di troppo la frontiera che custodisce i brandelli del diritto internazionale, della sovranità nazionale, della non-interferenza, delle buone maniere, sopravvissuti alla passata della falce imperialista dopo l’11 settembre; e infine, quando, di fronte alla sollevazione di tutta l’America Latina, dei suoi popoli, dei governi più riluttanti, osservata con strizzata d’occhio dal resto dell’umanità fuori dall’1% cannibale, Londra ha dovuto rivoltarsi come un calzino e, da dietro la lavagna, ha dovuto promettere “non lo farò più”. Splendida figura, grande acquisizione di prestigio internazionale da parte del subcomandante imperiale: un’altra spintarella a sinistra e verso l’integrazione, con Correa sostenuto addirittura dalla washingtoniana Organizzazione degli Stati Americani (OSA), dopo i più convinti Mercosur, Unasur e ALBA, per il “Continente della Speranza”.
Qui la figura stramediatica di Assange viene sovrastata da quella di Rafael Correa, presidente dell’Ecuador e protagonista con Chavez, Morales, Ortega, Castro, della rinascita e del processo di integrazione progressista e antimperialista latinoamericana. Chiunque sia davvero Assange, i popoli liberi e angheriati del mondo hanno visto nella risposta a muso duro, da Correa tirata in faccia agli epigoni di Churchill con la concessione dell’asilo politico, non un gradino, ma un’intera scalinata scavalcata di botto nella corsa alla neutralizzazione dei necrofagi. Intanto l’Ecuador, rinfocolando gli spiriti patriottici e unitari dei popoli, latinoamericani per primi, ha dato una mano a chi, come Hugo Chavez, elezioni presidenziali il 7 ottobre, deve mobilitare la gente in difesa della rivoluzione-pilota bolivariana, contro le manovre terroristiche Usa in atto e quelle di destabilizzazione programmate per il dopo-elezioni (a dispetto del fatto che Chavez viaggia attualmente con 20 punti di vantaggio sul rappresentante della vecchia oligarchia e degli Usa, Capriles). Correa ha reso a Chavez ciò che il “socialista del XXI secolo” ha trasmesso in questi anni all’America Latina e al mondo: giustizia sociale, diritti umani, democrazia vera, indipendenza, unità, lotta all’imperialismo, pace. Meritando 12 vittorie su 13 in elezioni oneste.
Armstrong come Gesù Cristo
L’uno l’hanno fatto risorgere, l’altro, di più, lo hanno fatto atterrare sulla luna. Tutt’una ancora stupefatta umanità a ricelebrare l’evento a ogni anniversario di una bufala che regge il confronto con l’11 settembre e la discesa dello Spirito Santo. Stavolta i peana trionfali si sono dovuti mescolare con l’eulogia funebre per il “primo uomo sulla luna”: effetto amerikano doppio. Riconosciamo al TG3 il soprassalto deontologico di aver mostrato dignitosamente e senza ironia anche gli argomenti dei “negazionisti”, anime dannate. Milioni di pagine e di immagini hanno dimostrato la fabbricazione dell’allunaggio, degli allunaggi, su un set cinematografico, probabilmente nel lunare Nevada: la bandiera Usa che sventola impetuosa su un corpo celeste del tutto privo di alitazione; le ombre degli astronauti che cadono dalla parte sbagliata perché provocate da fari, la serie di proiettori che si riflette sulla calata del casco di Armstrong… il fatto che non ci siano mai tornati per prendersi i celebrati minerali, o bombardare da lì la Russia. Comunque ci sanno fare: con analogo espediente televisivo – ricostruzione della Piazza Verde di Tripoli negli studi cinematografici del Qatar, poi riempita di “ribelli” trionfanti – hanno mostrato al mondo, e ai libici, che Tripoli, ancora sotto controllo gheddafiano, era invece caduta. La prossima della serie potrebbe essere una mossadata fuori ordinanza: un bell’incidente da armi chimiche in Siria, o Israele, in mezzo a migliaia di persone, da attribuire a colpa, o dolo, di Assad. Chi potrebbe più fermarli, i “protettori dei civili siriani” con missile Hellfire innestato?
Obamney contro Rombamba
A certi decerebrati statunitensi con la bava alla bocca, in basso come in alto, le sette guerre del liberal Obama, la sua desertificazione dei diritti civili in Usa e dei diritti umani nel mondo, il suo elenco settimanale di “sospetti” da assassinare, i suoi campi d’internamento senza processo per disturbatori, la sua Guantanamo, la tortura legalizzata, non bastano più. Una delle uscite dall’incubo “Occupy Wall Street” e di altre insubordinazioni sociali è quella che porta dritta all’irrigidimento belluino, all’escalation fascista. L’altra condurrebbe a una riduzione delle spese militari a favore di istruzione, salute, lavoro, il ripristino dello sgretolato habeas corpus, la mordacchia a banche e finanzieri, basta guerre: mission impossible, per chi si nutre dei biscotti delTea Party e da li prende a noleggio per la vicepresidenza un piccolo Goebbels che si è fermato alle elementari. Mission impossible, comunque, sia per Romney che per Obama, visto come è strutturata la dittatura smart (fica) statunitense. Sono talmente rintronati buona parte degli statunitensi che gli pare salvifico un figuro (e il suo sottopancia nazista) di cui si sa che, alla faccia del contribuente, sguazza in paradisi fiscali ed evade tutte le tasse, ha nel guardaroba il cappuccio del Ku Klux Klan e sul bavero la stella di David, prepara roghi per abortisti, gay, coppie di fatto, eutanasisti e demolizioni controllate di quanto resta della sanità pubblica Usa, è un integralista religioso e, nel nome di dio, vanno fatte tutte le guerre che Israele comanda. A Russia e Cina per ora pensano Kasparov e un po’ di zoccole Riot. Ci arriviamo nel secondo mandato.
Questo Romney si colloca oltre la lista di Sciascia che enumerava uomini, mezzi uomini, ominicchi, ruffiani, quaquaraqà. Ma di meriti ne deve avere davvero tanti, visto che le più grandi corporation fanno il tifo per lui, che Wall Street lo paga il doppio di Obama e che, sorprendente solo per i farlocchi, alla convention repubblicana gli è arrivatoil regalo kolossal della preferenza della Chiesa, il cardinale cattolico di New York, Timothy Dolan, capo di tutti i vescovi Usa, in persona. E’ entrato nel bordello è si è offerto procacciatore di 10 milioni di voti cattolici. E pazienza se guidati da tanti pastori pedofili. C’è però da dubitare che tutti quei 10 milioni si sentano vocati al ruolo di cocotte. Il fatto significativo qui è che ‘sto Dolan non si sarebbe mai permesso di incensare Romney, se non avesse avuto l’ordine di servizio del papa. Già, quello che all’Angelus: “Ci rivolgiamo principalmente al governo siriano perché ponga fine alle violenze…”. Quello cui è caro Monti e, dunque, Romney. Quello che meglio fondamentalisti islamici, che cristiani con l’ubbia della democrazia e della coesistenza come praticata in Libia e Siria. Che sorpresa è?
Negli Usa è costume, cultura, tradizione. Ci pensa la Cupola: una volta ne mette uno dai modi perbene, dagli orizzonti rosati, dialogante, fascinoso, buono sportivo, anche un po’ sbarazzino. Quando, dopo un po’, la retorica si fa lisa, il soggetto appare logoro, i fatti non corrispondono agli annunci, si cambia. Al pubblico insoddisfatto e disilluso si offre l’alternativa forte, quella con mascella rigida e pugnale tra i denti, quella del riscatto e del “destino manifesto” del popolo americano, quella che a ognuno è offerta la possibilità del sogno americano. Salvo ai perdenti. E fuori lo Stato dai coglioni e dentro il privato, le banche, le imprese). E’ il ricambio di Pulcinella dopo Arlecchino, il burattinaio è sempre lui, il coacervo degli interessi industrial-militar-finanziari che si articola in Bilderberg, nel FMI e nella BCE. E la strategia, interna o esterna, non cambia, che al popolo bue si faccia un buco di eroina rassicurante, o di cocaina galvanizzante. Di solito, dopo aver spremuto un burattino scemo, ma zannuto, fino al limite estremo della credibilità, si innesta uno che ci sa fare, balla bene e dà pacche sulle spalle, garantendo però di tirare fuori, al momento opportuno, i miliardi per le banche, per i missili e per i Consigli d’amministrazione. E le mazzate agli insofferenti. Lo spettacolo deve offrire cambi di scena e di attori, il canovaccio resta. Nixon dopo Johnson, Carter dopo Nixon, Reagan dopo Carter, Clinton dopo Bush padre, Obama dopo Bush figlio, Romney dopo Obama. Vedete voi chi era il rozzo e chi il fino. Intanto lo Stato canaglia più canaglia della storia procede in perfetta continuità strategica.
Pawla Kuczynskiego
E’ da dementi pensare che il tirannosauro trilionario degli interessi finanziari Usa sottoponga ogni quattro anni il suo fato collettivo ai capricci e alle ubbie di masse ignoranti, disinformate, manipolate, rese del tutto impotenti. Da loro come da noi, il rito delle schede e delle urne, quando non falsato dai brogli tipo quelli delle due elezioni di Bush, è del tutto predeterminato nei risultati. Un po’ grazie all’intossicazione mediatica, un po’ col terrorismo economico, un po’ col clientelismo, un po’ con la collaborazione dei partner mafiosi, un bel po’ con fondi passati sottobanco, ma soprattutto attraverso i meccanismi di voto, a partire dalla legge elettorale, come ben si vede ora dalle nostre parti, o come si esprime negli arzigogoli burocratici Usa che eliminano dalle liste i sospettati di votare male. Basta guardare ai gabinetti delle ultime presidenze Usa: tutti affollati da lobbisti e dirigenti delle megabanche e multinazionali, per lo più con la menorah a sette braccia sul caminetto e Goldman Sachs a capotavola. Vediamo a novembre se, in vista dell’eliminazione della Siria, ultimo superstite nello schieramento panarabo laico e progressista, antisraeliano e anticolonialista, e dell’assalto a Iran e il resto, si preferirà uno che occulta i genocidi imperiali sotto la pelle nera, i modi garbati e i matrimoni gay, oppure se, alla vista della crescente insubordinazione sociale e delle nazioni, serpeggiante un po’ ovunque, non si punti piuttosto a un matamoros da manicomio criminale, che non ci metta niente ad avventarsi su popoli, culture, habitat, donne, studenti, lavoratori e froci. La scelta del Vaticano potrebbe essere un’indicazione.
Primavere inquinate
Avevo intitolato un docufilm su rivolgimenti nel mondo arabo “Maledetta Primavera”. Conseguentemente, quello successivo si chiamava “Armageddon sulla via di Damasco”. Il “maledetta” implicava due concetti: maledetta, per i tiranni fantocci dell’imperialismo in Egitto, Tunisia, altrove, dunque per l’imperialismo. E maledetta per l’abuso infame del termine quando veniva stuprato per descrivere la cannibalizzazione della Libia o della Siria. Abbiamo visto per mesi, poi per anni, masse egiziane incazzate, radicate in una lunga storia di lotte operaie, studentesche, degli intellettuali e giuristi, invadere Cairo e altre città, esprimere la volontà di cacciare non solo il despota, ma anche i suoi sponsor, complici interni ed esteri e il loro sistema globalizzato (si è anche assaltata l’ambasciata israeliana). E da subito i soliti grilli parlanti della sinistra, supportati dagli amici del giaguaro mediatici, hanno sparlato della “rivoluzione” dicendola manovrata dagli Usa con i consueti strumenti Cia, Ned, Freedom House, USAID, ecc. I primi per pura gelosia, classica dei custodi emme-elle delle sacre leggi, e per loro innata avidità di perdere. I secondi, per screditare il movimento , “tigre di carta”, e deprimerci dipingendo tutto come irrimediabilmente contaminato. Io, noi, per la verità ci siamo forse sbilanciati un po’ troppo nell’accreditare la drastica diversità, anzi il suo contrario, rispetto alle amerikane “rivoluzioni colorate”. Perché di inquinamento ce n’era. E sta venendo fuori a valanga.
Manufacturing Dissent, fabbricare dissenso
Di questo inquinamento c’è un simbolo, quello di Otpor, la banda Cia-NED-Soros che innescò il colpo di Stato contro Milosevic, a partire dall’emittente della radio Cia “B-92”, partner serbo di Casarini, “tute bianche”, pacifinti e co.) E dobbiamo rivedere un po’ di cose, perchè quella del “Movimento Giovanile 6 Aprile” a molti di noi era sembrata la punta avanzata, cosciente, del movimento di massa. Invece erano l’ala “sinistra” di generali, Fratelli Musulmani con Salafiti incorporati e Stati Uniti. Cioè era proprio della “rivoluzione colorata”, come in Serbia, Ucraina, Venezuela, Georgia, Kirghizistan, in Iran, in Libano dopo il trionfo di Hezbollah su Israele. Ha fatto pure una veloce, sgradita, apparizione tra gli “Occupy Wall Street” e tra movimenti di lotta messicani. E’ l’innesto tossico sulla pianta sana. Della Primavera araba, gli agenti di Otpor erano la calata di gelo fuori stagione. Al sorgere di un’insofferenza di massa incontrollabile contro il “nostro bastardo” ( così Roosevelt su Somoza), il cambio del vento viene arginato dal controllo dell’opposizione tramite finti oppositori inseriti tra i radicali e supporto sottotraccia alla componente che assicura il ricambio desiderato. In Egitto, Movimento 6 aprile e Fratelli Musulmani. La repentina scomparsa di quella che era considerata la punta di diamante laica di Tahrir e non solo, quando gli islamisti presero la piazza, era l’ennesimo campanello d’allarme. Ma, a guardar meglio, segnali ce n’erano stati.
Il “6 aprile”, che inalbera il logo di “Otpor” (che tutti i colorati di velluto hanno tradotto con “basta!”), era da anni in collegamento con l’ambasciata Usa che organizzava corsi di formazione per i suoi quadri in Serbia, con Otpor, oggi “Centro per azioni e strategie non violente in applicazione” (CANVAS). CANVAS è stato fondato nel 2003 da Otpor, dopo ripetuti addestramenti impartiti da generali Usa a Budapest. Fornisce consulenza, formazione e “altro” a gruppi di opposizione manovrati dagli Usa in oltre 40 paesi. Fu Otpor a svolgere un ruolo centrale nella installazione, dopo la caduta di Milosevic, di un governo (Kustunica-Djndjic) sponsorizzato da USA-UE-NATO, e a favorire la secessione dei narcotrafficanti Kosovo e Montenegro.
Secondo il prestigioso istituto canadese Global Research, il ruolo di CANVAS in Egitto risulta, per ora, decisivo. Ha coperto l’ascesa al potere degli integralisti islamici, collusi coi militari di obbedienza Usa, proni entrambi alla globalizzazione capitalista, è riuscita, speriamo momentaneamente, a sterilizzare la protesta e la lotta laica di massa. Ma la Storia macina i suoi ritmi. Quanto ci volle tra Kronstadt e il Palazzo d’inverno? Tra i vespri siciliani e Garibaldi? La collusione tra attivisti egiziani e i centri di destabilizzazione Usa viene confermata anche da cablogrammi del 2008 e del 2010 (Wikileaks) che dall’ambasciata comunicano al Dipartimento di Stato le strette relazioni con il “6 Aprile” e l’avanzamento dei programmi di formazione, anche di altri gruppi. Tipo quelli che, oggi in Siria, beneficiano del grande hacker filo-Occupy, il ridens coi baffi, che va sotto il nome di “Anonymous”, il quale ha condotto attacchi informatici contro il Ministero della Difesa di Damasco, a sostegno dell’opposizione siriana all’estero, ministero poi bombardato dai compari col barbone.
Tra i fiduciari Usa, reduci dalle lezioni di Gene Sharp (guru di Drdja Popovic, leader di Otpor assieme all’onnipresente ceffo Ivan Marovic), il cui testo “Dalla dittatura alla Democrazia”, è alla base di tutte le rivoluzioni colorate, spiccano alcuni “eroi rivoluzionari” ai quali si sono appassionati tutti i media e tutti gli intelletti. Ricordate Wael Ghonim, celebrato martire perché incarcerato dai militari 12 giorni, ma contemporaneamente anche dirigente di Google per l’Africa e il Medioriente (e si sanno le funzioni di Google, di braccio spionistico di Washington), blogger antiregime e portavoce del movimento, laureato all’Università Americana, sposato con una nordamericana. Fondatore del “6 Aprile”, insieme a Ahmed Maher che al Los Angeles Times aveva dichiarato di “ammirare la rivoluzione arancione ucraina e i Serbi di Otpor”. Del resto, il presidente di Google si era detto “molto fiero di ciò che Wael Ghonim aveva realizzato”. Altra fondatrice e altra blogger di questa ennesima “rivoluzione di Face book” è Israa Abdel Fattah. Tutta questa gente ha ripetutamente visitato Washington per corsi di formazione e affettuosi e proficui incontri con Condoleezza Rice (2008) e Hillary Clinton (2010), sotto gli auspici di Freedom House. Il candidato verso il quale costoro hanno deviato il movimento era il vecchio arnese borghese Mohammad El Baradei, facente parte dell’International Crisis Group di George Soros, poi scomparso nel nulla quando “l’opposizione buona”, Fratelli Musulmani con pitbull da combattimento salafita, è stata fatta diventare protagonista del rivolgimento. Come in Libia, come in Siria, come in Libano. Tutto nel quadro dell’artificiale scontro regionale tra sunniti filoamericani e sciti antimperialisti, con sciti, cristiani e altre minoranze a sostenerne il costo. Tutto corrispondente ai piani del consigliere militare di Tel Aviv, Oded Yinon, che, dal 1982, pianifica la frantumazione lungo linee etnico-confessionali dei paesi del panarabismo laico, aconfessionale e anticolonialista. Spero che queste notizie, seppure tardive, chiariscano le idee ai genuini combattenti della Primavera Araba, come ai loro sostenitori nel mondo. E, così, aprano una strada bonificata per la ripresa dell’antagonismo arabo.
Tumulto di tope (Pussy Riot)
Cugini di primo grado, nella squadriglia dei palloncini colorati dirittoumanisti Usa, Amnesty International e Human Rights Watch, presunte Ong dirette e finanziate dagli interessi della Cupola mondialista a guida Usa, si sono gettate a corpo morto sulle Pussy Riot (PR) russe, due delle quali, strepitando improperi contro i “bastardi del Cremlino” all’immancabile radio Cia “Liberty”, si sono già rifugiate nella casa madre anglosassone. L’astuto Paolo Ferrero non è stato da meno quando ha inneggiato alle incappucciate, stonate e sgambettanti davanti a madonne e crocefissi della cattedrale, onorandole dell’inusitata (e da loro sicuramente giudicata straniante) qualifica di “compagne Pussy Riot”. Ricordava il Sansonetti di “Liberazione” che titolava in apertura “Forza Vladimir”, in occasione della rivoluzionaria vittoria di Luxuria (chi è costui?) all’Isola dei Famosi. Tutti, chi più, chi meno, nipotini di Bertinotti. Si sarebbe voluto vedere l’effetto che avrebbe fatto su poliziotti, giudici e clamantes mediatici, un’analoga irruzione a San Pietro, o nell’abbazia di Westminster, in piena cerimonia pubblica, con sconquassi musicali, zompi, capriole, oscenità, schiamazzi e virulenti inviti a Napolitano o a Elisabetta, al papa o al primate anglicano, di togliersi dai coglioni. Sarebbero bastati i due anni di galera, che in appello verranno ridotti, con le squinzie colorate fuori in quattro e quattr’otto? O qualcuna di queste, rea di “terrorismo”, sarebbe finita a Guantanamo?
Da quando Putin ha rimesso in piedi la Russia fagocitata dai ratti con chip Cia, da quando è stato rieletto presidente, da quando soprattutto ha messo qualche granello, insieme alla Cina, nei cingoli del Caterpillar da guerra occidental-islamista, questi due paesi sono sottoposti a un bombardamento mediatico che traduce ogni vituperio della Clinton in uragani di balle e diffamazioni. Da noi, né l’oligopolio mediatico di Mediaset, Rai, Sky, La7, né Astrit Dakli del “manifesto”, hanno perso l’occasione di rafforzare lo tsunami contro lo “zar” Ma come si permette di contrastare il progetto bush-obamian-mondialista dell’unica potenza mondiale, ma dove è finito Eltsin, dove sono finiti i colleghi oligarchi? Per sgretolare il muro dell’adesione popolare a Putin e alla sua linea (e sappiamo bene che non abbiamo a che fare con un restauratore dell’URSS, con un avveduto patriota, sì però), ecco la rivoluzione colorata, ecco lo scacchista famiglio di Washington, Kasparov, prematuramente entrati in coma grazie al ricorso all’arma dei brogli, spuntata dall’evidenza e dagli osservatori. Da notare come le tv mai abbiano potuto mostrarci bastonate a ragazzi disarmati a Mosca o Pietroburgo, come le praticano con mazze, calci di fucile, gas tossici, urticanti, pallottole d’acciaio ricoperte di gomma, negli Usa, in Grecia, in Spagna, in Bahrein e da noi. E non su fighetti resi voraci dalla promessa di mercato, bensì su valsusini, pastori, terremotati, forconi, precari, intossicati, pensionati, giovani sull’orlo dell’abisso che si chiama futuro. E l’operaio disoccupato Angelo Di Carlo, davanti a Montecitorio, grillino antipolitico e populista, l’ha scampata solo perché ha preso fuoco prima.
Qui non si tratta di essere bigotti, basta però che la blasfemia, lo scandalo, siano per rivendicare una verità laica, liberatrice. Lo oscenità e la blasfemia delle sciamannate di PR (Pubbliche Relazioni degli infiltrati Usa), sono di altro genere. Basta vedere l’unanime plauso occidentale, da Hillary a Ferrero, dagli oligarchi russi ai dissidenti con addosso l’occhio di bue dei media imperiali. Le performances precedenti a quella nella Cattedrale del Salvatore erano state: l’orgia in un museo, l’erezione di un fallo gigante, un pollo congelato rubato nel supermercato e utilizzato come vibratore intimo (scenetta filmata e messa in rete), due irruzioni nella seconda cattedrale di Mosca, dalla quale vennero buttate fuori senza altre conseguenze. A loro volta l’altro gruppo, le “Femen”, le ha rincorse esibendo le tette in posti pubblici e bruciando una croce di legno messa a ricordo delle vittime di Stalin. L’insistenza contro la Chiesa ortodossa si spiega col ruolo di coesione nazionale che questa ha assunto nel disfacimento successivo alla caduta dell’URSS, con la sua insistenza sulla solidarietà sociale, con l’avversione a Eltsin e agli oligarchi, con l’intesa con Putin, tutte scelte fortemente sgradite a chi lavora alla distruzione della Russia. Usa e Israele.
Già, Israele. Organizzatore delle PR è Marat Gelman, un collezionista d’arte ebreo, resosi simpatico a Hillary per ripetute chiassate contro Putin e la Chiesa che lo sostiene. Artista-manager e inventore dei “gesti artistici” di questa dozzina di ciabatte (non sanno suonare, non hanno mai composto niente, schiamazzano anziché cantare punk o rock), è il performer russo-israeliano Plucer-Sarno, membro di un collettivo sionista. Visto il totale fallimento delle ragazze sul piano musicale, i loro “maestri”, in ovvio collegamento con sponsor esteri, le hanno piazzate sul carrozzone della protesta politica. E lì hanno iniziato a saltellare nelle piazze e nel metrò urlando, nell’indifferenza della gente, oscenità contro Putin. Ripetute durante il processo e significativamente accompagnate dalla minaccia di scatenare sulla giudice le ire degli Stati Uniti. Vere compagne. Blasfemia, offesa alla religione e ai suoi esponenti, incitazione all’odio confessionale e alla violenza, teppismo. Se in Europa qualcuno avesse trattato così gli ebrei e la loro religione, chi lo scamperebbe dall’accusa dannante di antisemitismo? Invece, alle simpatiche fanciulle, in uscita dal carcere fra sei mesi, con il sostegno di Madonna e del Dipartimento di Stato si prospetta una favolosa tournée mondiale e prestigiose sedute fotografiche alla Casa Bianca. E magari con Paolo Ferrero?
Il golpe del satrapo sul Colle si perfeziona
Giorgio Napolitano, minacciato ora perfino da Berlusconi (Il "ricatto" di Panorama), è il capo di Stato più ricco e spendaccione del mondo. Ha più dipendenti, più stipendio e spende di più per sede e funzioni di qualsiasi paese occidentale, regina e Obama compresi. Il doppio e il triplo. La sua dotazione è paragonabile solo alla corte della famiglia saudita o a quella del Qatar, che, come noto, sono proprietari privati di tutto il loro paese. E popolo (ai blasfemi tagliano la testa). Il loro ruolo di rappresentanza è riconosciuto solo all’estero Corrisponde dunque perfettamente a questa sua collocazione al vertice dello sfruttamento capitalista, oggi organizzato dalla Cupola mondialista, l’attacco alla morte scatenato, in combutta con tutto quello che, facendo gli spiritosi, si chiamava l’arco costituzionale, contro il terzo potere. Terzo Potere in cui, dalla rivoluzione francese in qua, è articolato lo Stato democratico, il giudiziario. Quello che veniva definito il Quarto Potere, la stampa, è stata addomesticato e acquisito da tempo. Restano un Esecutivo e un Legislativo di corrotti, inquisiti, ricattati, idioti, che ha provveduto a innescare da solo la propria putrefazione. E resta lui. Con accanto il fratello scemo, anche lui con microchip cupolesco, a Palazzo Chigi. La presidenza della Repubblica non è nemmeno un potere dello Stato. E’ un’istituzione di garanzia, costituzionalmente (ha ha ha!) garante della Carta, al di sopra di tutte le parti (ha ha ha!). Ma lui, il migliorista (della stirpe de “Il Migliore”) non se deve essere accorto.
Per dare un’idea dello stato di salute etica e professionale dell’informazione, in Italia è rimasto solo lo sfizioso e impudente “Il Fatto quotidiano” (purtroppo dall’orribile pagina esteri atlantica, affine a quella del “manifesto”) a denunciare un avvenimento epocale. Il consolidamento del colpo di Stato antidemocratico, iniziato con interventi eterodossi a tutto spiano in campi inibiti e culminato con l’imposizione del branco di licantropi non eletti al governo del paese, attraverso l’attacco frontale alla magistratura. Trovata l’occasione buona nell’essere stato pizzicato dai giudici di Palermo, questi davvero ultimo, eroico, presidio sulla scia di Borsellino, mentre dava consigli a un bonzo indagato nel quadro dei più gravi crimini contro lo Stato mai commessi dalla classe politica, la trattativa e l’ingresso della mafia al massimo livello di governo, è stato capace di suscitare una canea vandeana di massa contro i giudici, come non s’era vista neanche all’annuncio della guerra nazifascista dal fatidico balcone. Ha, il capofila storico dell’ala rinnegata del PCI, oggi, per questi meriti, ineffabile, imperfettibile, incontestabile, impunibile e impunito, attivato gli amici, da lui nominati, della Corte Costituzionale, perché raddrizzassero le gambe a Ingroia e a tutta la Procura di Palermo. E lo facessero in fretta, prima che dalle intercettazioni e dall’armadio di Mancino, ministro di polizia all’epoca del connubio mafia-Stato e delle stragi, potessero uscire le prove definitive su chi ha venduto questo popolo e il suo territorio alla criminalità organizzata, in cambio di una, per entrambi proficua, collaborazione.
Siamo agli anni ’92-’93. L’operazione è la stessa e gli attori in scena pure. Criminalità organizzata pubblica in sinergia con quella privata, con un’unica strategia: spolpare la gente, pervertire la società, eliminare diritti e strumenti dei cittadini, distruggere pesi e contrappesi dell’ordinamento a vantaggio di soluzioni totalitarie. Le stesse che stanno nel DNA del Vaticano (Marcinkus, Sindona, Calvi, Bertone), da sempre monarchia assoluta, modello per gli eroditori della libertà e della giustizia. Fisiologici i plausi che a roditori con la mannaia, come Monti e Draghi, tributano i principi della Chiesa. Del papa, incontrato in udienza privata da Monti sette volte in dieci mesi, per confermare la totale unità d’intenti carolingi, e di Bagnasco, che del regime napolitan-montiano lubrifica il rullo compressore sostenendo “la riforma dello Stato”, invitando il volgo a “superare le prospettive ideologiche” (la resistenza di classe), benedicendo un “nuovo governo di larghe intese guidato dallo stesso Monti”. Fondamentalisti cattolici subito ricambiati da due cavalli di razza del governo golpista. Il prode Balduzzi (sanità), quello che salva i giovani dalla distruzione spostando le bische dello Stato biscazziere a 500 metri da scuole e oratori, che ha dato dall’ “eugenetica” alla Corte di Strasburgo per avere questa condannato la guerra del legislatore italiano contro le donne in materia di controllo preventivo di embrioni eventualmente compromessi. E il padre-padrone del Sant’Egidio, Riccardi (Cooperazione) che, d’intesa con Ratzinger, ammette guerre finanziate da banche armate, le stesse che sostengono “la diplomazia” del Sant’Egidio. Gli amorosi sensi che hanno confuso in una melassa stomachevole i faccendieri di Comunione e Liberazione e i governanti-mannari succedutisi sulla passerella di Rimini, completa questo quadro di una modernità tibetana.
Ma non di solo mafia si campa. L’assalto al GIP Patrizia Todisco di Taranto che, facendo il suo dovere di applicare la legge (evidentemente una legge fuori tempo), ha bloccato l’azione di ciò che è forse il primo assassino di massa del paese, è in perfetto sincronismo temporale e politico con l’intervento saudita su Palermo. Se lì si trattava di occultare la sinergia mafia clandestina-mafia di Stato, qui il partner era la mafia manifesta dello sfruttamento capitalista, con conseguente devastazione sociale, distruzione ambientale, morìe di esseri umani e animali. A nessuno di questi due soci in affari deve più pendere sul capo la spada di Damocle di giudici che fanno i giudici. Quanto a conflitti d’interesse, Berlusconi può andare a nascondersi. Pensate a Napolitano che getta nella mischia la Consulta, impossibilitata a dargli torto perché da lui nominata. Pensate allo stormo di angeli della salvezza – Passera, Clini, Severino, vescovi – che, forniti di saette anti-giudice, si precipitano a riaccendere gli altiforni e a liberare l’ILVA da seccature come i 2 miliardi, suoi dell’ILVA, necessari a ricostruire un minimo di vita a Taranto, sulle tombe dei trucidati dalla diossina. Pensate a Passera, già banchiere sostenitore dell’ILVA, che lancia un piano di “crescita” equivalente a un plotone d’esecuzione per gente e territori: infrastrutture, trivellazioni, gassificazioni, incenerimento, porti, aeroporti, costruzioni. Un’Italia ilvizzata. Piano giurassico da ottusi anni ’60, ma piano che sorride a 32 denti ai compari del suo mondo e della sua banca.
“Fassisti”
Nel mirino di questa masnada di antipolitici (se la politica è Polis), populisti (se il discorso politico distingue tra classi), demagoghi dalla “viva e vibrante soddisfazione”, fassissti, è capitato, con più virulenza che mai (viaggia tra il 15 e il 20%), Beppe Grillo. Il pazzariello che ogni tanto piscia fuori dal vaso, ma per tutto il resto è rimasto l’unico, assieme al vernacolarmente meno ispido Di Pietro (e se mi dite che Di Pietro fa il furbo, chissenefrega!), a spararle duro sul muso dei licantropi: Valdisusa, Ilva, magistrati, acqua, corrotti e inquisiti, fasulli e utili idioti, tagliatori governativi di borse e di teste, militare e guerra… Se serve al progetto che i giudici non giudichino secondo legge, si cambi la legge e si faccia dei giudici gli esecutori dell’Esecutivo, come negli Usa. Anche lì la Corte Suprema si adoperò per un presidente in ambasce, Bush Junior, cui 5 giudici supremi, corrotti e vandeani, restituirono la vittoria persa in Florida. Nostro modello non può che essere la “più grande democrazia del mondo”.
Che drammi e tragedie si convertano in farsa non è sempre vero. Per dare credibilità al lemma, si impegna con entusiasmo Bersani. L’ominicchio occhettiano, tenutosi vagamente sulle sue davanti alla nemesi tentata contro i giudici, per non perdere il settore meno alloccato del suo elettorato, su Beppe Grillo, effetto collaterale di una sinistra che svapora, di questa magistratura che fa il suo mestiere, della collera degli italiani lucidi, ha dato del suo meglio. Quanto nemmeno Napolitano ha saputo dare sulla sua nemesi, Ingroia. Pierluigi Bersani, dando del “fassista” al tonitruante di Genova, visto il suo ruolo, nel trio da baraccone ABC, di spinta al carro della fascistizzazione montiana, si è incarnato nel bue (animale ritenuto torpido) che dà del cornuto all’asino (animale intelligente). Personaggio che per vent’anni ha galleggiato e remato, con tutti i suoi e ora con il coniglietto d’appartamento Vendola (sepolto dalle sue ulteriori vergogne tarantine), nelle acque limacciose di piduisti, democristiani, mafiosi in parlamento, fondamentalisti cattolici, berlusconidi, ladri. Senza mai sognarsi di intralciare la marcia (conflitto d’interessi, tv, guerre, inquisiti, diktat BCE, art.18, pensioni, precariato…) verso qualcosa per la quale il termine “fascismo” non è neppure più adeguato. Ha fatto bene, PL senza D (per dirla alla Grillo), a vomitare accuse di reato (l fascismo è ancora reato al tempo del parafascimo ultrà?) sul politico delle Cinque Stelle. Tutti hanno capito che lo muoveva un livore che sorge dalla frustrazione e dalla gelosia. E dal senso di colpa. Nel caravanserraglio che a Bersani ha fatto da scorta e coro risuscitava dal nulla anche un altro zombie, Emanuele Macaluso, a suo tempo, con Napolitano e Cervetti (travolto da Manipulite), garante dei compromessi a perdere di Berlinguer. A metterci la ciliegina senza nocciolo (quindi sterile) non poteva mancare il giullare di regime (di una delle due facce del regime). Benigni, fattosi logoro e fastidioso stereotipo di se stesso, a forza di baciare in bocca rospi come Berlinguer, Occhetto, Veltroni, D’Alema, Bersani, non sapendo più né far ridere, né far incazzare, se l’è presa con chi la benefica combinazione riesce a praticarla ancora. La volpe a l’uva. Non dubito che Grillo, come “Il Fatto”, da simili nemici abbia ricavato un bel bonus di consensi. Grillo, ha detto un “maestro” al “manifesto”, non è fascista, ma un disfattista senza progetto. Già, perché di progetti ne abbiamo quanti ne vogliamo! Ben venga, oggi come oggi, il disfattista, se contribuisce a disfare il nodo del cappio che ci stanno mettendo al collo. E’ tempo urgente di decostruzione, di rotture totali, di difesa e potenziamento del salvabile. Per ripartire. Io non avrei un granchè di progetto, ma sento che va bene se tiro picconate al muro. Al di là del muro ci si offre un terreno per piantare cose. I suggerimenti, antichi e validissimi, non mancano.
Noticina personale, ma di significato lato
In uno di quei paginoni con cui riesce a riempire le sue 16 pagine, quello che ripropone il giornale di anni lontani (Rossanda stava con Jiang Qing, l’eroica moglie di Mao, fatta impiccare, insieme al comunismo cinese, da Deng Tsiao Ping), una colonna di spalla parla di Fulvio Grimaldi. Parlo in terza persona perchè il dato storico lo giustifica. Un articolo di spalla in prima, non firmato, del novembre 1973, si indigna e protesta contro la pena di 2 anni e otto mesi inflittami dal tribunale quando ero direttore del quotidiano Lotta Continua. Pena enorme, mostruosa, grida il giornale, ereditata dal fascismo e si chiede “se ancora in questo paese la libertà di stampa e di espressione esista davvero, o se non sia un ectoplasma, la proiezione dei sogni fantastici di pochi democratici mitomani”.
In effetti si trattava di sentenza senza precedenti a un giornalista. Allora vista con insofferenza anche da altri esponenti della categoria, perfino destri. Negata la condizionale, il carcere. Poteva colpire, domani, anche i colleghi. Si sa, il vento cambia. Un giorno racconterò come ne sono uscito, un po’ in Yemen, un po’ a Londra e Bruxelles. Un po’ perché la forza del movimento in quegli anni ha costretto quei giudici (quelli “buoni”, bei tempi, rispetto ai Fouché di Manipulite e dell’Antimafia) a ripensarci. L’accusa era di vilipendio e istigazione dei militari a disobbedire agli ordini. Il pezzo incriminato non era neppure apparso sul giornale. Era un volantino dei militanti LC di “Proletari in divisa”, credo in Friuli, una servitù militare di dimensioni regionali. Lì facevano lavoro, e con preoccupante successo, nelle forze armate per la loro democratizzazione (e anche tra i poliziotti, perché non fossero i pretoriani masochisti dell’élite dominante, cantati da Pasolini). Lo avevano chiamato “supplemento a Lotta Continua”. Ma questo non conta. Quel reato era la goccia che ha fatto traboccare il vaso di ben 150 processi che, per il ruolo di allora, sono andato accumulando in quasi quattro anni.
Oggi sono qua e scrivo e parlo. Ma vi immaginate che cosa succederebbe, tra droni assassini Usa e misure antiterroristiche, con una stampa allineata e coperta, o cagasotto, se qualcuno oggi facesse apologia di reato (di fascismo, ovviamente, si può), istigazione a delinquere, sollecitando i professionisti all’opera in Afghanistan a non bombardare matrimoni indigeni, o cantando nelle piazze “Bè-bè-bè-Berlinguer” o “Via Via – la nuova polizia”, indirizzata agli energumeni del servizio d’ordine del sindacato o del PCI? Cancellieri e Bersani uniti nella lotta, come Berlinguer e Mariano Rumor, ministro di polizia allora. Berlinguer diede dei fascisti, demagoghi, destri e provocatori, anche a noi, a tutto quello che osava muoversi alla sinistra del Partito Unico, come il suo nipotino ha dato del fassissta a Grillo. E noi eravamo addirittura peggiori di Grillo.
Stavolta si passa davvero dalla tragedia alla farsa. Peccato che farsa non è quella che stanno cucinando a Bruxelles, Palazzo Chigi e in Vaticano, nelle logge e nelle cosche, nella Nato e nel sionismo, in vista della meta comune. Concludeva allora un “manifesto” altro: “Se la legge colpisce, per il momento, un giornale politicamente scomodo e più esposto, crea tuttavia un precedente e pone la basi per un assorbimento totale dell’opinione e dell’informazione nella sfera di potentati economici e politici ben definiti”. Pessimisti o preveggenti, allora, Pintor e compagni?
Di Siria e Iran al prossimo post.
Qui sotto contributi d’interesse e d’urgenza. In particolare la denuncia di compagni siriani perseguitati dai ratti in Italia che prego tutti di diffondere.
C’è anche un invettiva contro lo squilibrato che ha eretto un sacrario al macellaio Rodolfo Graziani. In Etiopia, dove ora ha tolto il disturbo il despota razzista e bellicoso, Meles Zenawi, che ogni due per tre muoveva guerra a Somalia ed Eritrea, mi hanno fatto percorrere la strada di mille chilometri da Addis Abeba a Gibuti. Per tutta questa strada Graziani, dopo un fallito attentati dei patrioti, ha fatto appendere un etiope rastrellato a casaccio ogni 10 chilometri. L’indignazione degli antifascisti è stata condivisa dal “Daily Telegraph”. E Churchill allora?
Non poteva mancare una savonarolata di Grillo.
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Un inconfutabile Grillo e una parodia di Pinocchio.
"Fassissti! Fassissti del web" ha gridato Gargamella Bersani. "Venite qui a darmi dello zombie se avete il coraggio". Fatemi capire, se Bersani viene accomunato a uno zombie politico (tesi supportata dalla sua storia passata e recente) è un insulto gravissimo, se invece Bersani considera il MoVimento 5 Stelle alla pari del nuovo Partito Nazionale Fascista è normale dialettica.
A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione. Anni in cui non c'è traccia di leggi sul conflitto di interessi o contro la corruzione. Violante e D'Alema sono stati le punte di diamante del pdl/pdmenoelle. Bicamerale, garanzia delle televisioni a Berlusconi, concessione delle frequenze televisive all'uno per cento dei ricavi. E lo Scudo Fiscale, passato grazie alle assenze dei pidimenoellini? e le decine di volte in cui il governo Berlusconi poteva essere sfiduciato, ma i pdimenoellini erano sempre altrove?
Nel 2007 sono state presentate tre leggi di iniziativa popolare per ripulire il Parlamento dai poltronissimi (massimo due mandati) e dai condannati e per l'elezione diretta degli eletti: non sono mai state discusse. Chi è il fassissta, caro Bersani? Chi ha ignorato 350.000 firme? Quando mi presentai "in carne e ossa" per la segreteria del pdmenoelle mi fu impedito. Chi era il fassissta, caro Bersani? Il MoVimento 5 Stelle ha rifiutato ogni rimborso elettorale, il pdmenoelle non ha mollato neppure l'ultima ratadello scorso giugno perché già spesa. Chi fa il fassissta con il finanziamento pubblico abolito da un referendum, caro Bersani? Chi voleva il nucleare "pulito" nonostante un referendum contrario? Io ho girato l'Italia con un camper, a mie spese, per fare campagna elettorale. Senza scorta. La Finocchiaro con la scorta ci fa la spesa e Fassino il primo maggio. Chi è il fassissta, caro Bersani? Lei ha ricevuto 98.000 euro da Riva, il padrone dell'ILVA, a che titolo? Chi è il fassissta, caro Bersani? Ma si rassicuri, lei non è un fascista. E' solo un fallito. Lo è lei insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia. Per rimanere a galla farete qualunque cosa. A Reggio Emilia si celebra Pio La Torre mentre si tratta con l'Udc di Cuffaro. Amen.
A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione. Anni in cui non c'è traccia di leggi sul conflitto di interessi o contro la corruzione. Violante e D'Alema sono stati le punte di diamante del pdl/pdmenoelle. Bicamerale, garanzia delle televisioni a Berlusconi, concessione delle frequenze televisive all'uno per cento dei ricavi. E lo Scudo Fiscale, passato grazie alle assenze dei pidimenoellini? e le decine di volte in cui il governo Berlusconi poteva essere sfiduciato, ma i pdimenoellini erano sempre altrove?
Nel 2007 sono state presentate tre leggi di iniziativa popolare per ripulire il Parlamento dai poltronissimi (massimo due mandati) e dai condannati e per l'elezione diretta degli eletti: non sono mai state discusse. Chi è il fassissta, caro Bersani? Chi ha ignorato 350.000 firme? Quando mi presentai "in carne e ossa" per la segreteria del pdmenoelle mi fu impedito. Chi era il fassissta, caro Bersani? Il MoVimento 5 Stelle ha rifiutato ogni rimborso elettorale, il pdmenoelle non ha mollato neppure l'ultima ratadello scorso giugno perché già spesa. Chi fa il fassissta con il finanziamento pubblico abolito da un referendum, caro Bersani? Chi voleva il nucleare "pulito" nonostante un referendum contrario? Io ho girato l'Italia con un camper, a mie spese, per fare campagna elettorale. Senza scorta. La Finocchiaro con la scorta ci fa la spesa e Fassino il primo maggio. Chi è il fassissta, caro Bersani? Lei ha ricevuto 98.000 euro da Riva, il padrone dell'ILVA, a che titolo? Chi è il fassissta, caro Bersani? Ma si rassicuri, lei non è un fascista. E' solo un fallito. Lo è lei insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia. Per rimanere a galla farete qualunque cosa. A Reggio Emilia si celebra Pio La Torre mentre si tratta con l'Udc di Cuffaro. Amen.
Rigor Montis ha due preoccupazioni. La prima è l'evasione fiscale, la seconda sono le intercettazioni. Sulla prima è avvilito per il "grosso danno nella percezione del Paese all'estero". Mi immagino il sarcasmo, per non dire il vero e proprio disprezzo, quando il Non Eletto incontra i capi di Stato europei (gli Eletti). Gli rinfacceranno sicuramente lo Scudo Fiscale che ha premiato gli evasori totali, tra i quali anche criminali e tesorieri di partito, con un miserabile 5% di sanzione. Lo faranno blu per la nostra legge sul falso in bilancio, una vera barzelletta. Lo distruggeranno per la mancanza di lotta alla corruzione che ci costa circa 100 miliardi di euro. Lo investiranno di insulti per l'inesistenza di una legge sul conflitto di interessi. Povero Monti, come deve vergognarsi. Figure così a livello internazionale nemmeno Bokassa. I partner europei vorrebbero dargli "assistenza finanziaria", in sostanza comprare il debito pubblico italiano che cresce alla velocità della luce, ma l'evasione "contribuisce a indisporli" quando Monti si presenta con il piattino in mano.
Rigor Montis ha perciò dichiarato "lo stato di guerra" agli evasori, "una dura lotta all’evasione che può comportare la necessità di momenti di visibilità che possono essere antipatici. Ma che hanno un forte effetto preventivo nei confronti degli altri cittadini". Non vedo l'ora!
Inizi dai bilanci dei partiti, da quelli delle cooperative di ogni colore, prenda in manol'elenco degli scudati e gli faccia sputare ogni euro evaso con la stessa energia con la quale Equitalia si catapulta sui cittadini che non pagano, spesso per errore, qualche centinaio di euro, faccia per decreto leggi anti corruzione e per punire severamente il falso in bilancio, risolva gli intrecci incestuosi della Borsa. I suoi partner europei gli sorrideranno. Credo invece che Rigor Montis, più modestamente, voglia scatenare la guerra alle mosche. Ai pollivendoli, ai fiorai, ai venditori di miele millefiori, agli agriturismi della Lombardia (già fatto), ai venditori di souvenir a Venezia e a Firenze (già fatto sul Ponte Vecchio), ai ristoranti fuori porta che non rilasciano lo scontrino. Nel frattempo, mentre Rigor Montis è in guerra, le piccole e medie imprese aspettano circa centoventi miliardi di crediti dallo Stato, pagano le tasse più alte dell'Occidente (l'IRAP anche se l'azienda è in perdita), anticipano l'IVA senza spesso vedersi pagate le fatture. A centinaia di migliaia falliscono e chi può fugge all'estero, dalla Slovenia, all'Austria, alla Croazia, alla Svizzera. Paesi dove le aziende pagheranno ogni centesimo di tasse con il sorriso sulle labbra in cambio di assistenza e servizi senza uno Stato di polizia fiscale che bussi alla loro porta come se fossero dei delinquenti.
Ps: la seconda preoccupazione di Rigor Montis sono le intercettazioni. Prima obiezione: non sono affari suoi in quanto rappresenta un governo tecnico. Seconda obiezione: le intercettazioni servono alla magistratura per ascoltare Mancino in dolce colloquio con il Quirinale per il processo di Palermo sulle relazioni Stato mafia (ed è questo forse a turbare Monti), ma anche per combattere la corruzione (e quindi l'evasione fiscale).
Rigor Montis ha perciò dichiarato "lo stato di guerra" agli evasori, "una dura lotta all’evasione che può comportare la necessità di momenti di visibilità che possono essere antipatici. Ma che hanno un forte effetto preventivo nei confronti degli altri cittadini". Non vedo l'ora!
Inizi dai bilanci dei partiti, da quelli delle cooperative di ogni colore, prenda in manol'elenco degli scudati e gli faccia sputare ogni euro evaso con la stessa energia con la quale Equitalia si catapulta sui cittadini che non pagano, spesso per errore, qualche centinaio di euro, faccia per decreto leggi anti corruzione e per punire severamente il falso in bilancio, risolva gli intrecci incestuosi della Borsa. I suoi partner europei gli sorrideranno. Credo invece che Rigor Montis, più modestamente, voglia scatenare la guerra alle mosche. Ai pollivendoli, ai fiorai, ai venditori di miele millefiori, agli agriturismi della Lombardia (già fatto), ai venditori di souvenir a Venezia e a Firenze (già fatto sul Ponte Vecchio), ai ristoranti fuori porta che non rilasciano lo scontrino. Nel frattempo, mentre Rigor Montis è in guerra, le piccole e medie imprese aspettano circa centoventi miliardi di crediti dallo Stato, pagano le tasse più alte dell'Occidente (l'IRAP anche se l'azienda è in perdita), anticipano l'IVA senza spesso vedersi pagate le fatture. A centinaia di migliaia falliscono e chi può fugge all'estero, dalla Slovenia, all'Austria, alla Croazia, alla Svizzera. Paesi dove le aziende pagheranno ogni centesimo di tasse con il sorriso sulle labbra in cambio di assistenza e servizi senza uno Stato di polizia fiscale che bussi alla loro porta come se fossero dei delinquenti.
Ps: la seconda preoccupazione di Rigor Montis sono le intercettazioni. Prima obiezione: non sono affari suoi in quanto rappresenta un governo tecnico. Seconda obiezione: le intercettazioni servono alla magistratura per ascoltare Mancino in dolce colloquio con il Quirinale per il processo di Palermo sulle relazioni Stato mafia (ed è questo forse a turbare Monti), ma anche per combattere la corruzione (e quindi l'evasione fiscale).
Beppe Grillo
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Caro Fulvio,
ci permettiamo di renderti parte di un problema personale in quanto ormai ci sei diventato prezioso compagno di percorso in questa difesa del popolo siriano.
Ci tenevamo ad informarti della vile abuso della rete effettuato nella serata di ieri nei confronti nostri e di nostri cari amici.
Questo vergognoso album: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.353559504721105.83744.345570488853340&type=3
E questo post: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=263255470458020&set=a.227147480735486.48352.100003207082262&type=3&theater
insieme ad altri, diffusi in pagine anti-Assad dalla più frequentata "Vogliamo la Siria libera!" ad altre pagine e profili affini
ledono la nostra privacy e il nostro onore, pieni come sono di dati personali (religione, provenienza in Siria, residenza italiana e numero di cellulare) e infamie (osama è descritto come capo degli shabbiha e spia per l'ambasciata siriana; io come giornalista al soldo di Assad).
Ovviamente siamo prontamente ricorsi alle autorità, ma intanto, ogni notte, a qualunque ora, riceviamo telefonate anonime piene di insulti e minacce. TI lascio solo immaginare lo stress (anche perché, ogni volta che squilla il telefono in orari improbabili in primo pensiero corre irrimediabilmente alla Siria).
Purtroppo questo è solo l'ultimo atto di una lunga catena di eventi vergognosi nei nostri riguardi e completamente ignorati dai nostri media.
A titolo di completezza di informazioni, per permetterti di avere un quadro più completo della situazione milanese, ti giro questa mia ricostruzione perché quanto sta accedendo qui nella totale indifferenza è un pallido riflesso di quanto ogni giorno i siriani pro-governo sono costretti a sopportare nel loro Paese.
Un caro saluto
Pierangela
Che in Siria sia in corso una lotta per imporre libertà e democrazia, è
finalmente messo in dubbio da molti.
Che in Siria sia in corso una vergognosa battaglia mediatica che non si ferma
davanti allo stravolgimento degli eventi pur di attirare l'opinione pubblica, non
è orami un mistero.
In Siria, come all'estero, vengono spesso denunciate le presunte persecuzioni
degli oppositori del governo da parte dei servizi segreti siriani. Amnesty
International la scorsa estate aveva rimediato titoloni su tutti i media
internazionali a questo riguardo.
Ma dei perseguitati, in Siria esattamente come all'estero, tra i filogovernativi
non se ne parla mai. Eppure ce ne sono, molti, anche qui in Italia.
Basta farsi un rapido giro sulle pagine di Facebook per trovare molte
cosiddette "liste della vergogna" con foto, nomi e dati personali di presunti
"shabbiha", così vengono definiti dagli oppositori coloro che sostengono
apertamente il governo, con inviti anche espliciti ad attaccarli, colpirli,
perseguitarli e, una volta uccisi, viene messo un timbro sul loro volto. Nel
silenzio e nell'indifferenza generale, con il beneplacito di media, associazioni e
istituzioni.
A queste pagine, in Siria, già più volte gli estremisti hanno attinto le loro
vittime designate, è accaduto a Damasco a fine dicembre, quando sono morti
due studenti universitari, e successo qualche mese fa con un'insegnante di
Deir ez-Zor. Apici di una situazione grave perché largamente diffusa e
sottovalutata nella sua pericolosità.
Anche l'Italia ha la sua "lista della vergogna" e le sue "vittime predestinate".
Si tratta di siriani - cristiani, sunniti e alauiti - accomunati dalla volontà di
sostenere apertamente il governo siriano e di non aver timore di dichiararlo in
manifestazioni e conferenze.
L'ultimo attacco mirato è avvenuto ieri sera (venerdì 17 agosto), quando un
siriano che si fa chiamare "Ahmed Sara" ha postato sul suo profilo delle foto di
alcuni di questi sostenitori del governo (siriani e italiani), accompagnate da
informazioni infamanti sul loro conto e dati strettamente personali
(appartenenza religiosa, indirizzo di casa, numero di cellulare, targa e modello
dell'auto), ledendo così allo stesso tempo la loro privacy e la loro moralità.
Non contento, le immagini sono state diffuse sulla pagina "Vogliamo la Siria
libera", che conta quasi 6.000 sostenitori, e su "Boicottiamo Informare per
Resistere" che ha realizzato un vergognoso album dal titolo "A.A.A. cercasi
shabbiha" e ora stanno circolando impunemente per la rete.
Primo esito di questo abuso della rete sono state le molestie telefoniche: il
telefono di queste vittime è squillato a ogni ora del giorno e della notte con
nuovi insulti, intimidazioni e minacce, sempre in arabo, da parte di ignoti.
Ma questo è solo l'ultimo, gravissimo, episodio di una lunga serie di
aggressioni iniziate oltre un anno fa contro questi stessi soggetti.
Eccone una sintesi:
Il primo esempio risale al 6 luglio 2011 quando un bar di Cologno Monzese è
stato semi-distrutto da un gruppo composto da una ventina di persone guidate
da esponenti dell'opposizione, che già da tempo minacciavano i proprietari
colpevoli di essersi recati, proprio la sera stessa, a una manifestazione a
sostegno del presidente Al-Assad e del suo programma di riforme contro ogni
ingerenza straniera. I due siriani cristiani, oltre agli ingenti danni morali e
economici, sono stati pesantemente malmenati dal gruppo e uno dei due ha
riportato ben undici punti di sutura alla nuca. Colpito anche un altro amico
siriano alawita che li accompagnava e che ha rimediato anche l'auto distrutta.
E' bene ricordare che quel locale, fino a pochi mesi prima (prima che in Siria
scoppiasse quella che molti si ostinano a definire "primavera") era un punto di
ritrovo per l'intera comunità siriana che conviveva, in Italia esattamente come
in Siria, senza screzi.
Dopo un periodo di calma apparente, durante il quale il gruppo di oppositori si
limitava a frecciatine, più o meno velate minacce durante le manifestazioni di
piazza o sulla rete, la situazione è andata acuendosi nelle ultime settimane e
si è palesata in due nuove spregevoli aggressioni.
La prima risale alla sera del 25 febbraio quando un gruppo di cinque persone
si è recato sotto casa di un sostenitore del governo "colpevole", dal loro punto
di vista, di essere sunnita e non appartenere alle fila degli oppositori e, con un
tranello, lo hanno invitato a scendere e tentato di aggredire armati di
manganelli e coltelli; non riuscendo a colpire la vittima predestinata - che
fortunatamente è riuscita a riparare in casa per tempo - si sono sfogati sulla
sua auto (mezzo che, come gli aggressori ben sapevano, gli è fondamentale
per poter lavorare) distruggendone i vetri, ammaccando la carrozzeria e
tagliando tutte e quattro le gomme. Non contenti il giorno seguente lo hanno
nuovamente minacciato al telefono, dicendogli che sarebbero tornati quella
sera per finire quanto avevano lasciato in sospeso.
A un altro ragazzo, sempre in prima fila nelle manifestazioni pro-governo, è
stato riservato un altro trattamento: invece di prendersela direttamente con
lui, cercano di convincere il responsabile del luogo di lavoro che se non lo
licenzia ne subirà le conseguenze.
Il secondo atto, invece, si è consumato nuovamente di fronte al locale di
Cologno Monzese, intorno alla metà di marzo questa volta a farne le spese è
stato un siriano alawita (tengo a precisare ogni volta l'appartenenza religiosa
non perché i siriani ci tengano particolarmente, ma solo perché da quando è
scoppiato questo caos per una parte dell'opposizione il credo sembra essere
diventato fondamentale), promotore delle manifestazioni nel nord Italia a
sostegno del governo di Assad. Dopo le bestemmie religiose e le pesanti
minacce, un gruppo - che in questo caso si è trasformato in vero e proprio
branco - di centinaia di individui ha cercato di attaccarlo, provvidenziale è
stata la possibilità di rifugiarsi nel bar fino all'intervento delle forze dell'ordine.
Ne sono seguite ulteriori minacce personali e a tutti i partecipanti - siriani -
delle manifestazioni milanesi contro la rivolta ("Non organizzate altre
manifestazioni a Milano, altrimenti, a chiunque parteciperà, noi taglieremo le
gambe", è stato dichiarato al telefono).
Aggressioni vili ed agghiaccianti, soprattutto se si pensa che a perpetrarle
sono state le stesse persone che si ergono continuamente a difesa dei vessilli
di libertà e democrazia, ma che poi, nottetempo, cercano di toglierle a quanti
non la pensano come loro vorrebbero.
E, purtroppo, non si tratta di casi isolati: moltissimi, infatti, sono gli esempi di
siriani in Italia che, dopo aver preso parte a manifestazioni filogovernative ed
essersi esposti personalmente senza paura di esprimere il loro punto di vista,
sono poi stati minacciati o aggrediti telefonicamente o via web da questi
“pacifici e democratici” esponenti della corrente opposta.
Ma questi casi, chissà come mai, non interessano le grandi associazioni che
operano per la difesa dei diritti, le istituzioni e i media che operano nel nostro
territorio. Peccato, perché potrebbero aiutare ad aprire nuovi spiragli per
analizzare in modo più completo e oggettivo la crisi siriana, o, forse, è proprio
questo che si sta cercando di evitare?
Pierangela Zanzottera
18.08.2012
Inaugurato sacrario per Rodolfo Graziani
Costato 127 mila euro, presi dai fondi stanziati dalla Regione per il «completamento del parco di Radimonte
Ieri è stato inaugurato ad Affile, paese dell’alta Valle Aniene, con tanto di banda musicale e una conferenza sul “Leone di Neghelli”, Il sacrario dedicato al Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, probabilmente il più grande criminale di guerra italiano, sebbene sia riuscito sempre a farla franca sfuggendo ad ogni processo e diventando protagonista negli anni ‘50 anche del famoso “abbraccio di Arcinazzo” con Andreotti, allora giovane sottosegretario del governo De Gasperi.
Forse occorre ricordare, in questo paese sempre più senza memoria, i momenti salienti della criminale carriera di questo spietato gerarca fascista.
Per ordine di Benito Mussolini condusse la riconquista della Tripolitania e della Cirenaica, di cui fu nominato governatore. Incaricato di reprimere la ventennale rivolta anti-colonialista libica, portò a termine la sua missione condannando a morte, in un processo sommario, Omar al-Mukhtar, capo dei ribelli ed, eroe nazionale. Alla campagna corrisposero misure spietate anche contro i civili. Centinaia di migliaia di appartenenti alle tribù nomadi della Cirenaica furono rinchiuse in campi di concentramento appositamente allestiti, dove morirono a migliaia per le terribili condizioni igienico-sanitarie, la scarsità di cibo e acqua: uno strumento di pulizia etnica attraverso l’istituzione di lager infernali che precedettero il nazismo.
Nel 1935 Graziani fu nominato governatore della Somalia. Chiamato alla guida delle truppe italiane che invasero l' Eiopia, scavalcando la Convenzione di Ginevra del ’25, che ne vietava l’uso, si servì di gas all’iprite con cui massacrò civili e militari.Grazie a queste "benemerenze" si guadagnò così il grado di maresciallo d’Italia e il titolo di marchese di Neghelli. Dal 1936 al 1937 fu viceré d’Etiopia, dando forma a un governo ferocemente repressivo durante il quale, ferito in un attentato dei patrioti etiopi, ordinò rastrellamenti e rappresaglie per le vie di Addis Abeba, nei villaggi e nei conventi di tutto il paese, siglando la morte, secondo fonti etiopiche, di almeno 30mila persone.
Infine nel 1943 si mise al servizio dei nazisti, aderì alla Repubblica di Salò e ne divenne il Ministro della Difesa macchiandosi dei più orrendi crimini nel condurre la repressione contro i partigiani ed i civili che si opponevano all’invasione e all’occupazione nazifascista del nostro paese e distinguendosi per la determinazione con cui condusse la caccia agli ebrei.
Si apprende, leggendo le pagine on-line della cronaca di Roma de Corriere della Sera ( leggete l’articolo all’URL http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_agosto_11/mausoleo-graziani-affile-polemiche-2111414639793.shtml ) che Il mausoleo al gerarca fascista, è stato ultimato dal sindaco di Affile Ercole Viri, grazie ad un finanziamento regionale di 180 mila euro (impegno di spesa in due annualità), stanziato con determinazione del febbraio 2010 per il «completamento del Parco Radimonte». L’opera, con annesso museo e locali di servizio, è costata 127 mila euro.
3 commenti:
Ciao Fulvio, volevo dirti di non amareggiarsi troppo se la tua visione politica degli anni '70 è in contrasto con quella di molti che avrebbero dovuto almeno coglierne gli aspetti essenziali da amici, genitori, fratelli maggiori ecc. Purtroppo il riflusso che è iniziato dopo i primi anni ottanta, (io ho fatto il liceo proprio in quegli anni) è stato potentissimo ed è quasi riuscito a creare una cesura storica con il periodo immediatamente precedente. Ancora pero' nel'82 si leggeva in classe articoli di di attualità dai giornali, si discuteva e sia pure con punti di vista spesso diversi ci si teneva informati. (Mi ricordo ancora una breve assemblea d'istituto a parlare dell'uccisione di Sadat e delle stragi di Shabra e Chatila. Ma dalla società venivano impulsi diversi, al divertimento individuale, alla competizione sociale (chi non aveva una vespa per uscire con gli amici era uno sfigato e non se lo filava quasi nessuno) e piano piano anche i valori positivi come l'impegno attivo e la lotta sindacale come perdite di tempo, ed un'ostacolo al progresso ed al benessere. Meglio cercare il posto sicuro grazie a favori personali, od essere inseriti nei giri che contano, in associazioni lobbiste ed esclusive. Complici i sindacati che non si sono presentati uniti nei momenti chiave, ad esempio la difesa della scala mobile. Colpevoli anche alcuni degli stessi protagonisti di quelle lotte, incapaci di trasmettere la loro storie alle nuove generazioni. Credo però che non sia un fatto nuovo, ma che rientri nei corsi della storia. Ognuno deve vivere il proprio tempo, studiando il passato, cercando di capire il presente, senza schematismi, e pensare anche al futuro.
Alessandro
dire che il vertice NAM sia stato un successone è dir poco,in un colpo solo l'Iran ha dimostrato che la politica filosionista(cui pure l'UE si è accodata) porta all'isolamento internazionale ed in più si è proposto come leader riconosciuto, anche se non eletto,a livello mondiale,alla faccia di tutte le sanzioni bellamente rigettate dai 2/3 degli stati membri ONU,ciò farà incazzare ancor più Israele,temo una accelerazione nel conflitto:
http://www.almanar.com.lb/french/adetails.php?eid=77691&cid=18&fromval=1
peccato poi che per avere una visione più ampia in merito al vertice si debba possedere un pc visto che da noi si parla solo delle esternazioni di Morsi. giornalisti,vale più la carriera o la dignità professionale e umana? forse con una dose di coragio in più da parte di tutta la categoria ci sarebbe qualche giornalista perseguitato in meno
Per Alessandro: ti rispondo in quanto probabilmente siamo coetanei e condivido molte delle cose che dici avendole anch'io viste e vissute. C'è però da considerare che la scomparsa della politica in Italia e in tutto l'Occidente negli ultimi decenni e la contemporanea promozione sulla scena pubblica dell'economia e dei "processi automatici" come la moneta unica e l'unificazione europea costituiscono un vulnus enorme che hanno condotto la cosiddetta Triade (USA, Europa, Giappone) al collasso ideale e creativo. Non c'è più uno straccio di idea valida sul futuro nè una visione del mondo accettabile per oggi e per domani. Ci sarebbe lo spazio per una ripresa dell'iniziativa da parte dei pochi cervelli funzionanti rimasti (qui ce ne sono sicuramente alcuni) ma sarà dura e ci vorrà un bel po' di tempo.
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