GRANO E LOGLIO DOMESTICI
“Chi è ribelle? L’uomo che dice no”. (Albert Camus)
“Il Presidente Napolitano esprime
apprezzamento per i temi affrontati quest’anno, cultura e fratellanza, che
testimoniano il costante e meritorio impegno del Grande Oriente d’Italia nel
riaffermare quei principi di solidarietà e di contrasto a ogni forma di
integralismo che sono alla base di un’etica civile fondata sul dialogo e sul
rispetto reciproco”.
(Giorgio Napolitano, 2013)
“Tutta la propaganda per la guerra, tutte le
bugie urlate e l’odio, vengono invariabilmente da gente che non combatte”.
(George Orwell)
“Se si applicassero i giudizi di Norimberga,
ogni presidente americano del dopoguerra sarebbe stato impiccato”. (Noam Chomsky)
“Sii gentile, poiché chiunque tu qui incontri
sta combattendo una battaglia più dura”. (Platone, mentre si aggirava per la
Val di Susa)
Dalla
casa di Beppe che mi ospitava, l’alba vissuta dal grande finestrone era ogni
giorno un abbagliante spettacolo pirotecnico: dai primissimi accenni di luce
giallo-limone, a sbaffi giallo-ocra che s’inerpicavano sull’orizzonte sfondando
la cancellata della bassa valle, a vampate carminio a sposare i monti da sud a
nord, fino a un cielo celestino sfondato e striato a raggiera dall’epifania del
sole. Sotto, una bruma dalla quale facevano capolino agglomerati di tetti, una
striscia lucente di acqua, la Dora Riparia, capannoni ahinoi abbandonati, e
quel fascio di infrastrutture (statali, autostrade, elettrodotti) che tagliano
e opprimono la valle da cima a fondo. Infrastrutture che i bulimici di
redditizie devastazioni vorrebbero coronare con una di quelle Grandi Opere che,
riempiendone le tasche, ingrassano e tengono saldo in piedi il complesso
politico-militar-affaristico incaricato dai padroni dell’Occidente di mettere
le manette al resto dell’umanità.
Otto
giorni in Val di Susa, sottoposto a una costante doccia scozzese. A entusiasmo,
commozione, euforia, per ritrovarsi, ringiovaniti di quaranta-settant’anni, in
un’Italia neo-giovane che fa rivivere quella che si seppe scrollare di dosso la
camicia di forza del regime fascista, prima, e democristo-revisionista-mafioso
poi, si alterna l’irata indignazione per come questa fioritura da un antico seme
torni a essere minacciata dalle tronchesi di “spiriti animali” più feroci di
prima. Di qua il popolo della Val di Susa, migliaia decorati da nomi come
Nicoletta, Alberto, Lele, Giorgio, Gabriella, Paolo, Stefano, Beppe e i loro
sostegni tecnico-scientifico-morali, Zucchetti, Cancelli, Vattimo, Mattei,
Revelli e politici, quelli dei Cinque Stelle, e degli onesti di sinistra PRC;
di là i cantieri dello stupro e un pretoriano di regime per ogni 120 abitanti a
custodirli e a tenere a bada un popolo di insofferenti.
Ultimi
arrivi, 400 alpini che, come i droni Usa formatisi nella polverizzazione di
famiglie in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, stanno facendo la loro
apparizione sulle teste delle decine di milioni di statunitensi incazzati e
segnalati dallo spionaggio NSA, sono chiamati ad applicare in Valle (e poi chissà
dove) la lezione imparata tra Kabul e Herat. Del resto, tutto questo fa parte
di un altro insegnamento che Washington impartisce alla “Comunità
Internazionale” per la bisogna in corso: militarizzare la polizia, polizizzare
l’esercito. Non potevano far mancare, i No Tav, un bel presidio di denuncia di
questa militarizzazione-laboratorio, davanti alla caserma degli Alpini di
Rivoli. In difesa delle truppe addestrate alla sottomissione di territori e
persone, donne, bambini e piante di indiscutibile matrice terroristica, si
schierava un dispositivo carabinieri-polizia folto il doppio dei manifestanti
armati di volantini, ovviamente anche questi a rischio di sfracelli
terroristici.
Hanno
spostato in Val Clarea il cantiere da Chiomonte, donde erano stati cacciati dal
terrorismo collettivo del 90% degli abitanti, come espresso da insediamenti di
presidi, campeggi, cortei e, a volte, ove occorreva difendere la ghirba dai
discepoli di Diaz, Bolzaneto e piazze varie d’Italia, con mortaretti e fumogeni
e, infine, corpi. Quelli sotto la Bastiglia erano molto più cattivi. Eppure
oggi li si portano in palmo di mano e li si esibiscono al Louvre e nelle
scuole. Succederà così anche ai bastigliesi della Val di Susa. In Val Clarea i feldmarescialli
della Vandea hanno trovato un terreno più consono alla loro guerra. La
fortezza, da cui parte lo scarafaggio gigante per mangiarsi la montagna (il
tunnel detto geognostico) è collocata nel fondo di un imbuto. L’angustia della
valle e la ripidità delle pareti che la stringono dovrebbero evitare l’accesso,
l’assedio e un’altra fuga di occupanti nell’uragano della collera popolare. Ma
ai valsusini le sfide piacciono. Sanno che dopo Austerlitz e Wagram, vengono la
ritirata dalla Russia e Waterloo, tanto più che altro che Napoleone: qui
scarafaggi e scarafaggini. E dopo i tanti presidi sparsi nella valle,
altrettante sentinelle che, come la Sacra di San Michele svettante sulla valle,
osservano e frenano l’invasore, ancora più in su della fortezza si è insediato
un villaggetto di tende e capanne, come per una sagra di paese, con, a corona,
il memoriale di chi non ha ceduto, dal
1943 a oggi. Oggi ci si va in spedizione quotidiana, chi a far festa, chi a
pregare, chi a far sentire e vedere, ancora e ancora, una rivolta che ha la
giovanile maturità di un quarto di secolo. L’età delle migliori prestazioni.
Fra un po,’ tutto finirà sotto neve e ghiaccio. Nella stagione buona il
presidio si ripopolerà e gli immensi castagneti si rianimeranno e non
perdoneranno lo sfregio dei loro arti recisi per lasciar posto a fango,
aridità, frastuono di macchinari e di granate tossiche.
La
veduta dell’orrida lacerazione della valle, perpetrata con casematte e mezzi
per le centinaia di militari, megacilindri di metallo, serbatoi di acquacce
tossiche di risulta (che pare abbiano già causato una morìa di pesci nella
Clarea), baracche per i quattro gatti di operai a cottimo precario, alla mercé da
ditte ad alto tasso di sospetto criminale (spadroneggia la plurinquisita CMC,
cooperativa “rossa” prescelta da Nato, Usa, e speculatori di regime) e la
voragine del buco, è squadrettata da alte reti con sopra filo spinato a lame
taglienti di stile israeliano. Non dissimili dal muro eretto dagli Usa tra loro e il Messico,
perforabile dal narcotraffico, ma chiuso ai migranti, o a quello con cui
Israele squarcia la Palestina. Muri di una fortezza Bastiani, ma con fuori non
il deserto, ma miliardi di tartari. Non
si vede un operaio. La Talpa, mostro divoratore, mangia da sola. Invece nugoli
di militi in divisa, sostano qua e là, tutti con lo sguardo e i nervi fissi
sulle nostre sagome al di qua del muro. Un plotoncino di nerboruti uniformati,
con in testa una poliziotta fotografa che ci incamera nei souvenir della Digos,
ci segue in parallelo dall’altro lato. Sembrano tante ombre di Banco. Esibisco,
per temperarne la foga indagatrice, il tesserino di giornalista ed ecco che, di
colpo, si materializzano dal nostro lato: “Documenti!”. Sulla pubblica via, noi
inoffensivi, inermi, rabbiosamente allegri.
Succede
ininterrottamente, su e giù per la valle, da Venaus a Chiomonte, da Avigliana a
Susa. La zona rossa è a geometria variabile, siamo all’arbitrio intimidatorio:
tutti sospetti, da schedare a futura rappresaglia. Negli stessi giorni,
nell’Aula Bunker di Torino – dove se no? – viene celebrata la rappresaglia
contro chi in Valle e dintorni rivendica, e li difende, diritti elementari
sanciti dalla Costituzione. Chissà se i venerandi maestri che si immolano in
piazza, negli appelli e su eruditi giornali per la Costituzione in quanto
Carta, i Rodotà, i don Ciotti, i Caselli, si vorranno calare nella pedestre
realtà di quest’aula dove la Carta viene sminuzzata a colpi di condanne dei
suoi militanti sul terreno, a confrontare la loro coscienza con quella limpida
dei 52 “terroristi”. Forse no, sono troppo impegnati nella bisca a sceverare
nel loro giochino Shanghai le bacchette buone da quelle cattive.
Già il
Procuratore Capo di Torino, Gian Carlo Caselli, quello che pare condividere
abbellimenti da solarium col presentatore Carlo Conti, su “Il Fatto Quotidiano”
ha pubblicato la summa del suo pensiero di magistrato super partes. Vessilifero giudiziario della campagna di media,
politici, faccendieri, che volgono in criminalizzazione dei valsusini la
frustrazione per un quarto di secolo di discredito della Grande Opera
Torino-Lione, tratta centrale di un Corridoio Cinque che vorrebbe tranciare
l’Europa a fini Nato e business da Lisbona a Kiev, ma che ha già visto
svaporare i segmenti iniziale e finale, l’augusto combattente anti-mafia e
anti-terroristi ne ha fatta tanta
fuori dal vaso da annegare l’intera Costituzione e il suo ordinamento in tre
poteri suppostamente indipendenti. Sta vivendo una botta di gioventù,
riscoprendo in Valsusa ben tre generazioni di terroristi, uno dei due nemici che lo cinsero di allori al tempo degli
anni di luce, detti “di piombo”, probabilmente perché fecero da zavorra
all’abbrivio della stagione del totalitarismo neoliberista.
L’altro
grande nemico pare essersi dissolto. Soggetti plurinquisiti, corrotti, concussi,
esentati da certificati antimafia per quanto già indagati per mafia, che, in
combutta si sa bene con chi, da anni delegano una guerra a bassa intensità a
sicari che bucano le gomme ai No Tav, ne rigano le macchine, usano teste di
coccio per avvertimenti brigatisti, spediscono pacchi-bomba ai sostenitori del
buco, incendiano presidi, non sembrano meritare l’attenzione dell’occhiuto
magistrato, così felicemente in sintonia con quella strabica parodia
berlusconide di Fouché venuta in Valle a ribadire il concetto: alla faccia
vostra, alla faccia dello scandalo di un’opera finalizzata a consolidare i
pilastri affaristico-mafiosi di una classe politica allo sbando, il patibolo
della Valle a forma di buco si erigerà. Nella notte del 1. Novembre è andata a
fuoco la casetta del presidio No Tav di Vaie. Lì accanto hanno trovato una
bombola di gas che, esplodendo, avrebbe incenerito i ragazzi di Teramo che
avevano programmato di passarci la notte e che all’ultimo momento hanno
rinunciato. La risposta della Valle è stata un’adunata davanti ai tizzoni, un
corteo di migliaia la sera, la promessa che alla nuova grande manifestazione
nazionale di Susa il 16 novembre, verrà programmata la ricostruzione del
presidio, come già fatto in occasione dei due bruciati in precedenza. E nella
“Credenza” di Bussoleno, fucina e santuario di resistenti, governata in robusta
letizia da Nicoletta e Silvano, dopo il momento di sconcerto e dolore, torna a
soffiare il vento e si aggiustano le scarpe, ché pur bisogna andar.
Da
Caselli, il Grande Accusatore, su avvenimenti come quello di Vaie ancora nessun
annuncio di intervento giudiziario. E figuratevi se un’alito di solidarietà
fosse uscito da un Rodotà prontissimo a riferirsi ai No Tav con espressioni di
ribrezzo. Il lugubre bancomane Fassino ne ha tratto l’ispirazione per omaggiare
a New York la locale Cupola dell’aggressione al mondo con anatemi contro i
valsusini, tutti “violenti ed estremisti”,
come insegnano i False Flag dell’11
settembre. Del resto i terrorizzatori che dividono i valsusini in “perbene”,
pochi, e “permale”, tutti gli altri, su inquinamenti mafiosi e attentati
surrogati ai costruttori, sospensione militare della democrazia e metodi Boffo
contro i protagonisti della difesa della Valle, non sembrano aver fatto una
piega. E neppure hanno elargito quella solidarietà, pelosa e nauseabonda, di
certi parlamentari che fino a un minuto prima non vedevano che valligiani
criminogeni, sabotatori di sviluppo e modernità. Foglie di fico umanitarie.
Un
silenzio rotto con impeto umanitario dal Procuratore Capo quando si è
presentata l’emergenza Cancellieri. Avendo a fianco compagni di strada come il
famigerato Sofri, mezzo PD e l’intero cocuzzaro pidiellino impegnato a
riscattare con la figlia di Ligresti la nipote di Mubaraq. Uscire dalla Valsusa
e rientrare nell’Italia della Cancellieri, ministro della Giustizia a un tanto
di intimità con pregiudicati e faccendieri, è come passare da un benefico e
ristoratore shampoo alla Gaber in un pantano brulicante di pantegane e scarafaggi.
Pare
brutto prendersela con chi da madre natura non è stato beneficato di prestanza
e avvenenza. Ma quando un corpo e una faccia sono il risultato di decenni di
bulimia di consumi, decadenza morale e incistamento con la peggiore feccia
paramafiosa della società, a partire dai primatisti della corruzione e della
devastazione craxista-berlusconide a Milano, quando quella faccia dagli occhi
di varano troneggia su quanto di più equo e limpido dovrebbe esistere nelle
istituzioni, ogni riferimento ad apparenze repellenti è quasi dovuto.
Intervento
umanitario della compare del fetido Ligrestume, con un figlio compensato con
5,5 milioni di buonuscita per aver rovinato il gioco d’azzardo Fonsai di
spolpamento degli assicurati e di ingordigia degli assicuratori? Con i suoi
effetti sulla giustizia, sull’eguaglianza dei cittadini, sulla terzietà
dell’apparato giudiziario, richiama quelli delle bombe umanitarie di D’Alema su
Belgrado e tutte le successive carneficine di popoli arrivate a cavallo di
missili umanitari. La povera Giulia Ligresti non mangiava più. Affare ben più
preoccupante dei 60 suicidi in carcere, delle botte e dell’anoressia di uno
Stefano Cucchi moribondo, dei quasi 70mila detenuti in stile libico
post-Gheddafi, quisquilie sui cui non valeva la pena esercitare interventi
umanitari. Mica avevano avuto frequentazioni con la prefetto, prima, e
guardasigilli, dopo, fondate sulla corrispondenza di amorosi sensi con chi
delinqueva con eleganza Gucci, da loft,
ville e salotto buono della finanza.
Su
questo verminaio regna un proconsole imperiale che ha colto l’attimo per
esternare, non solenni moniti a piromani, devastatori e ladri, ma, con
significativa simultaneità, un solennissimo augurio ai fratelli del Grande
Oriente, apprezzata cosca generatrice di stragisti a fini di “Piani di
Rinascita”, insieme a un arcigno monito a chi non condivide che ospedali e
scuole si trasformino in F35 e che la sopravvivenza tolta a pensionati e poveri
(quest’ultimi il 15% del popolo) diventi il “pasto nudo” delle armate di
mercenari che proiettano nel mondo (e in Val di Susa) sfracelli a difesa dei
“sacri confini della patria”. Con perfetto senso delle analogie, i
pronunciamenti bellici del comandante in capo sono risuonati alle celebrazioni
della “Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale”. Quella, come le altre in atto o
vaticinate, del tutto inutile (l’Austria ci aveva promesso Trentino e Trieste
se solo ne fossimo rimasti fuori), ma estremamente proficua per chi traeva
profitto da cannoni e salti tecnologici, sfoltendo di pari passo un eccesso di
popolazione: 600mila contadini ridondanti in una nazione avviata al capitalismo
industriale.
Come è
opportuno che fosse, gli squilli di guerra sono suonati da un condottiero
rintanato in una marziale casamatta che costa 350 milioni di euro e fa
sprofondare di invidia i parvenue di
Buckingham Palace e Casa Bianca. Sotto di lui, larghe intese si scannano per il
bottino della colonia..Si turbano in TV (ricordate le lacrime della Fornero?)
per 15 milioni di italiani poveri e un giovane su due disoccupato ad libitum, mentre da mane a sera ogni loro pensiero e azione è mirata a
incrementare il numero di quelli. Ha risposto, per tutti noi, quel fenomenale
eccentrico (nel senso geometrico della parola) di Renato Accorinti, sindaco
antagonista di Messina, che, alla celebrazione del massacro italiota del
’15-’18, facendo fuggire due generaloni italiani, caporalmaggiori Nato, ha
manifestato contro la guerra e i nostri scalzacani (peccato, però, per quella maglietta
“Free Tibet”: nessuno è perfetto).
Eccoli,
dunque, dopo lieve rettifica, i ”perbene” e i “permale”di questo Non-Stato
Canaglia. “Permale” che in 23 anni, quando tutto andava a catafascio e l’unica
specialità sportiva in cui il paese primeggiava era il saltafosso, con una
classe politica che per trasformismo metteva nell’angolo Arturo Brachetti, hanno
eretto un NO più grande e luminoso del Faro di Alessandria. Un NO a seppellire un
mezzo secolo di sì alla mala vita politica, sociale, economica, mafiosa. Un NO
che si vede da un capo all’altro d’Europa, che attraverso gli occhi è penetrato
nelle menti, che è proliferato in quei germogli di NO che stanno rimboscando il
deserto occidentale. Parafrasando De Andrè, dal No al letame nasce il diamante
del Sì al suo opposto.
Non
posso privarvi di una notiziona lieta. Il noto ruotino di scorta del PD(L),
Nichi Vendola, come da qui ripetutamente preannunciato, ha trovato finalmente
chi gli ha messo il sale sulla coda di muselide. Il PM di Taranto lo indaga per
concussione per aver esercitato, con altri, pressioni sull’ARPA pugliese
affinchè esentasse i padroni dell’ILVA
dalle accuse di attività criminale che si è poi meritate. Con lui, anche il suo
vice Nicola Fratoianni. Se non bastasse, l’intera SEL ha colmato la misura
della sua innata degenerazione votando contro la sfiducia M5S della
Cancellieri. Unico che si salva, Claudio Fava, che l’ha sfiduciata. Sic transit…verecundia mundi.
GRANO E LOGLIO ESTERI
Trascuro
e trascurerò un po’ nei prossimi tempi le vicende della mia abituale occupazione.
Per la prima volta da quando ho lasciato la RAI, dopo una serie di guerre e
rivoluzioni nel mondo, mi sto occupando delle cose nostre. Fra qualche tempo
dovrebbe uscire il nuovo docufilm sui simboli della Resistenza in Italia, a
partire dai NO TAV e dai NO MUOS. Dalle guerre ai popoli del Medioriente alla
guerra contro l’Italia. Dalla resistenza dei siriani a quella dei valsusini,
niscemini, sigonelliani e affini. Siamo
nella stessa barca e ci minaccia lo stesso uragano.
Alto
rifulge il grano sui campi della Siria, dove ormai da molti mesi i patrioti
spazzano via il loglio del mercenariato Nato-Al Qaida. Ma al di là dei successi
militari, conseguiti insieme a Hezbollah e ai curdi che al Nord sbaragliano la
marmaglia salafita di Al Nusrah e di Al Qaida in Iraq e nel Levante, c’è il
marasma politico e diplomatico del nemico. Una trentina di formazioni di
terroristi si è rivoltata alla Coalizione Nazionale dei pupazzi nel covo di
Istanbul, creati in provette Nato, e procede per conto suo, concentrandosi
nell’immediato a farsi a pezzi tra di loro. Rifiutano, queste bande di
tagliagole sfuggite al controllo del capo stregone, di partecipare a una
conferenza di Ginevra 2, che, grazie alla Russia e all’opposizione a un’altra
guerra da parte della maggioranza degli statunitensi e dei paesi del mondo, non
garantisce più la liquidazione di Assad e lo squartamento della Siria. Il
quadro è mutato e si intravvedono armate Nato che risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso
con orgogliosa sicurezza.
Lo
scazzo interno ai briganti d’importazione si riflette nello scomponimento della
Santa Alleanza della restaurazione coloniale nel Grande Medioriente. Azzoppati
dallo scandalo dello spionaggio, spionaggio considerato non tanto scostumato di
per sé (s’é poi visto che tutti sapevano e tutti spiavano), quanto per la dote
di ricatti e prevaricazioni economiche che portava agli spioni-capo, deprivati
dei surrogati islamisti alla guida dell’Egitto, principale Stato arabo che
torna a occhieggiare verso la Russia, confrontati militarmente da Mosca in
Siria, gli Obersturmbannfuehrer di
Washington si sono visti costretti a frenare i tank. Dunque, aperture più o
meno sincere a Tehran e conferenza di Ginevra sulla Siria, magari solo per
guadagnare tempo e, in attesa di minchionare l’opinione pubblica interna e
della “comunità internazionale” con un’ ennesima invenzione tipo “armi chimiche
di Assad”, o 11 settembre, per riproporsi all’offensiva. Sospensioni ed
esitazioni che, oltre all’ambaradan degli ascari in Siria, hanno logorato il
cordone ombelicale che legava a Washington i satrapi del Golfo.
.
Alla
diatriba tra Qatar e Arabia Saudita per la primazia sulla guerra alla Siria e
sul mondo arabo tutto, già una bella incrinatura della “coalizione dei
volenterosi Nato per la Sharìa”, si aggiunge ora quella, senza precedenti
dall’embargo petrolifero degli anni’70, tra Riad e Washington. Seguita, in
termini meno appariscenti, da quella tra Usa e Turchia, con il regime di
Erdogan che si risente perché Washington non ha mantenuto sul trono il compare
egiziano, fratello musulmano Morsi, ma, essendo bastione Nato in zona, si
barcamena tra gli ectoplasmi della Coalizione Nazionale, sorretta dai ponteggi
occidentali e i sempre più indisciplinati
ruba-bandiera in Siria, carburati dal Golfo. Segno del disorientamento è stato
nei giorni scorsi il sequestro, da parte della polizia turca, di ben 200
tonnellate di sostanze chimiche dirette ai “ribelli” in Siria. In passato erano
state lasciate passare e se ne sono visti i risultati a Est Ghuta. I sauditi
che non vogliono vedere allontanarsi il progetto di espandere la loro dittatura
dinastica alla Siria e oltre, insistono nel totale sostegno ai correligionari
rastrellati nei paesi dove erano stati allevati per fornire pretesti alla
“guerra al terrorismo”. In simbiosi, neanche più tanto occulta, con Israele
(che ha ribadito il punto bombardando di nuovo la Siria a Latakia), ne
condividono in pieno anche la volontà di obliterare l’Iran, visto come
referente dell’insubordinazione dei propri popoli schiavizzati. Le carte si
sono tutte rimescolate e il grande disordine sotto il cielo fa intravvedere una
situazione poco favorevole ai disorientati antropofagi d’Occidente. Ci vuole
altro che un Napolitano con l’elmetto da Kaiser e un Mauro che vuole “armare la
pace”, concetto non dissimile da chi dice di pacificare la Valsusa a forza di mazzate,
reticolati, gas tossici e alpini dell’Afghanistan.
E’
fisiologico fin dall’11 settembre che a difficoltà strategiche si reagisca con
orrori tattici. Sulla difensiva, se non in rotta, sul campo di battaglia, i
jihadisti ricorrono all’arma del terrorismo. Respinti ad Aleppo, Latakia, Hama,
Homs, Damasco, disseminano colpi da mortaio e autobombe nei quartieri dei
civili, dove capita capita, ormai, visto il fallimento dell’effetto
demoralizzazione sulla popolazione, solo a titolo di punizione.Tale è anche la
pirateria Usa che sopperisce al blocco dell’opzione militare diretta. Così
nella Libia, in cui ex-mercenari in rivolta impediscono l’uscita anche di una
goccia dell’ambito petrolio, si rapisce e trasferisce su navi della tortura
qualche capo alqaidista fattosi riottoso. Nel Beluchistan iraniano si lanciano
secessionisti sunniti contro le forze dell’ordine. In Pakistan gli Hellfire dei droni, liberato il campo da
qualche migliaio di civili, beccano finalmente Hakimullah Meshud, capo dei
taliban pachistani. Lo polverizzano nel preciso momento in cui il governo di
Islamabad lo aveva agganciato per negoziati di pace. In Somalia gli è andata
buca un’incursione della Delta Force contro un dirigente degli Shabaab: hanno
dovuto ritirarsi con perdite. Il che non impedisce ad Obama, privato
momentaneamente dell’opzione guerra infinita, di far manovrare a decerebrati in
caserme del Nevada i joy stick che determinano la disintegrazione di “sospetti”
a 360 gradi in giro per il mondo.
Visto
che l’operazione “Assassinii mirati”, affidato al Joint Special Operations Command (JSOC)
e agevolato dall’ intelligence degli spioni NSA, non sollecita eccessive
obiezioni né tra gli alleati, né in casa, per il momento Obama intensifica quello. Chi si accontenta gode.
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COMUNICATO
Cinque Stelle
La scorsa notte un incendio ha devastato il presidio Picapera, a Vaie,
simbolo della lotta No TAV dal 2010: solo per un caso fortuito non ci sono
state vittime.
Ancora una volta il movimento è vittima di gesti intimidatori in puro stile mafioso: tre presidi bruciati in questi anni e numerosi atti vandalici nei confronti degli attivisti (gomme tagliate, carrozzerie sfregiate…cani avvelenati!). E fino ad ora le indagini delle FF.OO non hanno mai dato un nome e un volto ai colpevoli, mentre i mezzi di informazione lasciano calare immediatamente un velo di silenzio, dirottando l’attenzione dell’opinione pubblica sulle cronache dalle aule giudiziarie in cui si processano, invece, i numerosi inquisiti No TAV.
Ancora una volta il movimento è vittima di gesti intimidatori in puro stile mafioso: tre presidi bruciati in questi anni e numerosi atti vandalici nei confronti degli attivisti (gomme tagliate, carrozzerie sfregiate…cani avvelenati!). E fino ad ora le indagini delle FF.OO non hanno mai dato un nome e un volto ai colpevoli, mentre i mezzi di informazione lasciano calare immediatamente un velo di silenzio, dirottando l’attenzione dell’opinione pubblica sulle cronache dalle aule giudiziarie in cui si processano, invece, i numerosi inquisiti No TAV.
Pesantissime le responsabilità della politica in questa situazione. Siamo
ormai abituati alle passerelle di ministri e politici di ogni livello che
salgono in valle per portare solidarietà agli imprenditori impegnati nel
cantiere, vittime (a loro dire) di attentati da parte dei No TAV, ignorando
tutte le altre realtà presenti sul territorio, quelle che non hanno mai creduto
alla favola delle “ricadute positive” della grande opera sull’economia locale,
e che, orgogliosamente e con fatica, stanno creando delle realtà economiche
alternative, per cercare di sopravvivere alla crisi che le sta travolgendo.
Nessuna solidarietà nei confronti dei No TAV, se portata da coloro che sono i primi responsabili del clima di tensione e della criminalizzazione del movimento, sarebbe a questo punto credibile.
La democrazia in Valsusa è stata uccisa da tempo e i mandanti sono proprio coloro che hanno imposto l’opera con la forza, militarizzando il territorio.
Nessuna solidarietà nei confronti dei No TAV, se portata da coloro che sono i primi responsabili del clima di tensione e della criminalizzazione del movimento, sarebbe a questo punto credibile.
La democrazia in Valsusa è stata uccisa da tempo e i mandanti sono proprio coloro che hanno imposto l’opera con la forza, militarizzando il territorio.
La valle sta diventando una sorta di campo d’addestramento per l’esercito,
un luogo in cui si sperimentano rivoluzionari gilet ignifughi, in cui è lecito
lanciare lacrimogeni al CS ad altezza d’uomo contro i manifestanti, in cui si
possono imporre limiti e restrizioni alla libertà personale.
Ma fuori da quel cantiere blindato e militarizzato, fulcro degli interessi di lobby potentissime, ci sono dei cittadini che vivono sulla loro pelle la mancanza di democrazia di questo Paese. Questi cittadini chiedono giustizia, chiedono rispetto, chiedono risposte.
Al momento ancora non si è trovato nessun innesco nei pressi del presidio di Vaie (è di poco fa la notizia della presenza di una bombola del gas in più) ma auspichiamo che approfonditi controlli successivi portino rapidamente alla luce elementi utili ad individuare i responsabili di questo gesto.
Dopodichè pretendiamo che la magistratura svolga il suo compito con rapidità e fermezza, dimostrando che la giustizia è veramente uguale per tutti.
Ma fuori da quel cantiere blindato e militarizzato, fulcro degli interessi di lobby potentissime, ci sono dei cittadini che vivono sulla loro pelle la mancanza di democrazia di questo Paese. Questi cittadini chiedono giustizia, chiedono rispetto, chiedono risposte.
Al momento ancora non si è trovato nessun innesco nei pressi del presidio di Vaie (è di poco fa la notizia della presenza di una bombola del gas in più) ma auspichiamo che approfonditi controlli successivi portino rapidamente alla luce elementi utili ad individuare i responsabili di questo gesto.
Dopodichè pretendiamo che la magistratura svolga il suo compito con rapidità e fermezza, dimostrando che la giustizia è veramente uguale per tutti.
Nel
frattempo il presidio rinascerà dalle sue ceneri, e il movimento riprenderà la
sua ferma opposizione all’opera.
Noi del MoVimento
5 Stelle intanto continueremo la nostra attività nelle sedi istituzionali: il
14 a Roma ci sarà un convegno per i parlamentari di ogni schieramento per
cercare di portare, anche nelle aule parlamentari, quelle informazioni che
mancano per poter avere un quadro tale da consentire un giudizio oggettivo
sull’opera.
E saremo
presenti anche alla manifestazione del 16 novembre a Susa, come sempre senza
bandiere e senza simboli, convinti che quel treno crociato rappresenti oggi più
che mai il simbolo della riconquista della democrazia nel nostro Paese.
Marco
Scibona – Senatore M5S Piemonte
Alberto Airola – Senatore M5S Piemonte
Laura Castelli – Deputata M5S Piemonte
Ivan Della Valle – Deputato M5S Piemonte
Davide Bono – Consigliere regionale M5S Piemonte
MoVimento 5 Stelle Valsusa
Laura Castelli – Deputata M5S Piemonte
Ivan Della Valle – Deputato M5S Piemonte
Davide Bono – Consigliere regionale M5S Piemonte
MoVimento 5 Stelle Valsusa
11 commenti:
Ciao Fulvio,
bentornato .Grazie per gli interessanti aggiornamenmti sull'estero.Speriamo di vedere un po' di luce,te sai che ero molto pessimista dopo tutto quello che abbiamo visto in questi anni.Mi sembra ci sia un bello schieramento,
quelli che una volta si chiamavano paesi non allineati,Russia e Cina che finalmente si stiano attivando per limitare gli effetti criminali della politica Usisraeliana,cui purtroppo si adegua questo simulacro di Europa,dove abbiamo il coraggio di indignarci per gli"attivisti"di Greenpeace e per la Pussy Riot.Io mi sono fatto 40 giorni di manicomio criminale a Montelupo Fiorentino per un incendio colposo(!)nella MIA abitazione e te ne potrei raccontare delle belle,non su di me che fortunatamente ero solo di passaggio ,ma su quei poveri cristi che ci trascorrevano la vita...Ti posso assicurare che se dovessi scrivere quello che veramente penso sulla Cancellieri stavolta buttano via la chiave !
Tornando agli esteri,sai niente sulla costituzione o progetto circa una banca comune tra Russia,India,Cina,Brasile?
Un abbraccio.
Luca.
P.S. Il 20 dicembre saro' a Belgrado a trascorrere le ferie.Esiste una traduzione serba del tuo libro?Mi piacerebbe regalarlo alla mia fidanzata.Ho visto con lei su youtube un film fantastico sulla guerra "Pretty Village,pretty flames".Se ti capita dagli un'occhiata.
...come ben sai anche se alcuni miei punti di vista - specie sulla comunicazione e marketing e Fatto Quotidiano... - divergono un pò dai Tuoi, è indubitabile il valore del Tuo lavoro di reportage, che - fuor dai denti - ridà decoro e dignità ad un qualcosa che troppi Tuoi colleghi hanno ridotto a sordido mestiere. E' con piacere che Ti segnalo (qualora Tu non ne avessi avuta conoscenza) questa notizia vecchia ormai di un anno, relativa all'appello - con 360 sottoscrizioni non di "terroristi" ma di tecnici, esperti e docenti - ad un ripensamento sul TAV.
Se vai su questo link http://www.notav.eu/article5912.html trovi anche l'elenco dei sottoscrittori.
Buon lavoro, Emilio.
“Le chiediamo di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo la Torino-Lione”
Un Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino–Lione è stato inviato oggi al Presidente del Consiglio Mario Monti redatto da Sergio Ulgiati, Università Parthenope, Napoli, Ivan Cicconi, Esperto di infrastrutture e appalti pubblici, Luca Mercalli, Società Meteorologica Italiana, Marco Ponti, Politecnico di Milano.
Lo hanno firmato 360 professori universitari, ricercatori e professionisti convinti che il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta “per noi, docenti, ricercatori e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese”.
E proseguono affermando che sentono come un dovere riaffermare che il progetto della Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti.
L’Appello, che argomenta nel dettaglio e al quale sono allegati importanti studi a supporto delle tesi avanzate, afferma che la sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti.
In questo senso – prosegue l’Appello -, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sembra un’anomalia che i firmatari chiedono vivamente al professor Monti di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Århus.
Per queste ragioni, termina l’Appello al Prof. Mario Monti, “Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera”.
Comunicato Stampa dalla valle che resiste e non si arrende, 9 febbraio 2012
Poco fa su Rai GRP una trasmissione sugli eventi del 1979. Il conduttore ricordava come " nota positive" gli arresti del "7 Aprile" nella lotta al terrorismo, associando tutti gli arrestati come terroristi. Fra l'altro ho conosciuto per motivi personali una dottoressa arrestata quel 7 aprile ed internata nel carcere di "massima sicurezza" di Padova, da dove ne usci' assolta ma invalida a causa delle sofferenze subite (altro che Pussy riot!).La trasmissione ha poi parlato del giornalista Pecorelli come di uno che "se l'e' cercata". Credo sia importante, per chi li ha vissuti in pieno, raccontare I fatti di quegli anni alle nuove generazioni per smontare la sottile propaganda cha avvelena la coscienza di molti giovani, anche in buona fede.
Caro Fulvio leggerti apre la mente,grazie.paolo pensionato
Fulvio, scusa la pedanteria ma le celebrazioni del 4 novembre riguardano la Prima Guerra Mondiale, non la seconda. Ovviamente noi tutti sappiamo che si tratta di un refuso, ma le tenie denigratrici non aspettano altro.
A proposito di Grande Guerra, ho un preziosissimo libro di letture in italiano per le scuole austro-ungariche stampato nel 1914 ed appartenuto alla nonna di mia moglie. Ad onta di tutta la propaganda patriottarda sui “crucchi”, dimostra come la cultura delle popolazioni italiane dell’impero fosse ampiamente rispettata. Non mancano letture su città italiane e personaggi come Galileo e la descrizione dei paesi europei è tutto sommato equilibrata, senza lo strisciante sciovinismo che domina i nostri tempi di “democrazie” e “dittature”. Addirittura, l’Italia è definita “la più bella delle nazioni mediterranee”!
Quello di Cecco Beppe non era certo il regno di Bengodi ma la differenza con la tracotanza italica, che proibì la lingua tedesca nelle terre conquistate all’Austria, è evidente. L’Italia ha fin da subito buttato nel cesso il suo sacrosanto diritto all’unità facendo propria quella mentalità colonialista occidentale che ancora oggi ci impesta.
Caro Luca, un giorno quelle "belle" me le dovrai raccontare, o scrivere.
Ti invidio per la vacanza in Belgrado. Quanto ci vorrei tornare! Ma resterei molto depresso.
Non so niente di una banca comune, ma so di discussioni tra questi paesi per una valuta che sostituisca il dollaro. Ciao.
Per Mario Murta: condivido e trovo molto interessante questo approccio per smontare la propaganda nazionalista che proprio da quell conflitto, spacciato ancora negli anni delle mie elementari, come "quarta Guerra d'indipendenza", quando l'Italia era indipendente da mezzo secolo. interessante anche un libro dal titolo "l'ultima Guerra degli Asburgo" che regalai anni fa a mia nonna, che di quel perido conservava un ricordo da bambina (ma significativo). Parlava, fra le varie cose, di Trieste, citta' moderna e cosmopolita, e della paura dei suoi abitanti all'arrivo dei "liberatori" italiani dopo il Quattro novembre. Liberatori che oltre a proibire agli altoatesini la loro lingua costruirono anche un orribile monumento alla vittoria, ancora presente a Bolzano, a marcare la di conquista.
Avete notato l'articolo del Manifesto, a firma di un certo Azra Nuhefendic, sui venti anni dalla distruzione del ponte di Mostar? Ancora una volta, passa il messaggio che l'armata Jugoslava fosse "un'aggressore" non il legittimo esercito di uno stato che ha cercato finchè la UE non ne ha imposto il ritiro, di preservare una splendida esperienza di convivenza dallo sfascio che i nazionalismi, spesso legittimati e finanziati dall'esterno hanno distrutto. Ancora una volta il manifesto, come vent'anni fa, parteggia per il regime musulmano bosniaco, armato dall'esterno, e responsabile di aver iniziato la guerra con la dichiarazione di secessione, e di aver fatto saltare tutte le trattative ed i piani di pace dal 1992 fino agli accordi di Dayton, messi peraltro in discussione da alcuni, come risulta da un articolo sul Corriere della Sera. Semoplificando i "buoni" (musulmani di Saraievo) i "brutti" ( i secessionisti croati, buoni quando sbranavano i serbi, ma poi giocoforza aggressori dei musulmani) ed i "cattivi" (la yugoslavia prima ed i serbi dopo che hanno resistito alla "pulizia" dei Mujiadden di Izedbegovic). Proprio vero quello che diceva Gramsci sulla storia, le cui lezioni non si imparano.
Alex1
Sono contento che tu e Mauro condividiate il giudizio di feroce imperialismo e stupro etnico inflitto ai popoli conquistati e sottomessi nella guerra 15-18. Un passetto in avanti verso la liberazione del Sud Tirolo è stato fatto con la recente abolizione del protervo e idiota nome italiano imposto a 150 località tedesche. Se Lenin e Marx fossero vivi, sosterrebbero Eva Klotz.
Quanto al disgustoso "manifesto", è vero che va letto per alcuni saggi e alcune cronache di lotte sociali che altrove non si trovano, ma è anche stravero che la pagina internazionale, escluso l'eccellente Dinucci e, di poco, il farlocco Di Francesco, è in mano alla lobby ebraica che controlla anche i pretenziosi, bislacchi ed elitari supplementi culturali.
d'altronde il governo dovrà pur giustificarsi per le spese"pazze" dell'ultimo welfare rimasto,quello carcerario :-)
Nota a margine nel 4 novembre: nelle scuole slovene, oggi, la "disfatta di camporetto" si studia come "il miracolo"
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