Jack the ripper, Giacomo lo squartatore, ricordate,
è il personaggio reale che sbudellava donne, prostitute perlopiù, nel quartiere
londinese di Whitechapel, di cui si mormorava potesse essere un altissimo
membro di Casa Reale, allora retta, nel massimo fulgore della gloria ed
espansione del suo impero, dalla regina Vittoria. Non si mai saputo, voluto
sapere, chi il serial killer fosse. Anche oggi, specie da noi, sono pochi i colletti
bianchi che finiscono davanti al giudice, e pochissimi che vadano dietro le
sbarre. Figuriamoci, allora, i colletti di sangue blu. Jack divenne lo spunto
per una letteratura gialla che si premurò di seppellire nelle fatiscenze e tra
le stamberghe da gentrificare di Whitechapel la torbida e imbarazzante crepa in una società borghese i cui cantori, salvo
eccezioni tipo Dickens e Oscar Wilde, la celebravano come l’apoteosi della
vicenda umana. Una specie di “fine della storia”, come cent’anni dopo la riprese
Fukuyama per sancire che nulla ci
sarebbe potuto essere al di là del capitalismo neoliberista e mondialista
voluto dalla finanza, interpretato dai neocon e attuato da Clinton, Obama,
Blair, nanetti da giardino a Bruxelles, facilitatori e influencer locali vari.
La parte per il tutto: uno, due,
tanti Jack the ripper
Sineddoche è
la figura retorica più diffusa. Quando si usa la parte per il tutto. Per
esempio dire “bevo un bicchiere”, “Palazzo Chigi dichiara”. Alcuni lo sapevano,
altri meno, ma i tanti che hanno illustrato le imprese di Jack the ripper, in libri, film, teatro, fumetti, hanno disegnato
la sineddoche della società di allora e di oggi, una società che ha
sbaragliato, con i metodi e strumenti di Jack, a volte metaforici a volte no,
ogni pensiero e ogni assetto che non fossero quelli unici. Jack è la parte per
il totale di questa società. Una società che stava costruendo il suo edificio del potere, oggi giunto al
completamento, con i mattoni fatti delle
ossa e cementati col sangue di un’umanità il cui mattatoio era la sua stessa casa. Casa
senza finestre e senza uscite. Jack si è
moltiplicato all’infinito: capitalismo, vuoi liberale, socialdemocratico, vuoi
nazifascista, colonialismo, imperialismo, neocolonialismo in forma di
emigrazione. La guerra di Jack contro le donne di Whitechapel che esprimevano
una condizione umana determinata da povertà e ingiustizia, era la guerra contro
chi lacerava il quadro della buona società borghese trionfante. La lacerazione
dell’ipocrisia andava lacerata. Squartata, appunto. E nessuno avrebbe mai dovuto
e potuto scoprire e punire lo squartatore.
Jack non va in galera
Nessuno scoprirà
e punirà mai quel Jack the ripper che, nella sede diplomatica saudita di
Istanbul, ha ucciso, squartato e seppellito il giornalista del Washington Post
e membro del settore dell’élite saudita spodestata, Jamal Khashoggi. Ognuno
utilizzerà la prodezza dell’infante, Mohammed bin Salman, detto MBS, per
riformattare i rapporti di forza all’interno del circuito dei Global Jacks the rippers (per coloro che di inglese sanno smart, fashion, glamour, start up, street
food, è plurale). Alla Davos saudita, dopo l’ovazione in piedi tributata al
Jack padrone di casa, fresco fresco del sospetto granitico di aver ordinato
l’affettamento del disturbatore, sono stati conclusi affari per 50 miliardi.
Erdogan, bue che dà del cornuto all’asino, con le sue centinaia di giornalisti
in carcere e le decine di migliaia di statali, avvocati, magistrati “infedeli”
cacciati, fa finta di indagare sul Jack saudita, ma non lo menziona, si limita di tenerlo per il
bavero perché l’egemonia sull’Islam sunnita (nonché sul mercenariato jihadista)
sia suo e dei suoi Fratelli Musulmani piuttosto che dei wahabiti e salafiti del
Golfo. Pensino a massacrare sciti tra Yemen, Saudìa, Bahrein e Libano e non
rompano. E sulla Siria decidiamo noi.
Il processo a
MBS si ferma lì. Del resto, non si è ancora visto all’orizzonte, come non si
era visto a Scotland Yard 120 anni fa chi indagasse seriamente sul Ripper, il temerario che se la sentirebbe di
redarguire un fronte di Jacks che, tra idrocarburi, armamenti e internazionale
tribale, costituisce una delle pietre miliari nella marcia verso il mondo uno e
trino: banca, armi e genocidi. Il mondo dove ci promettono – e il pecorame
sinistro-destro conferma - albeggia la
vera democrazia.
Per un
attimo, Trump ha sollevato il ciglio sullo smembramento di Khashoggi, ma l’ha
istantaneamente riabbassato, parlando di “fatto malavitoso”. S’è ricordato che
il 18% di tutto il petrolio mondiale è saudita, pulito, a basso costo, mentre
quello suo, di scisto, costa un botto e fa schifo. Ha anche pensato che, se lo
Jack saudita non si compra quelle armi per 100 miliardi, altro che vittoria
alle elezioni di medio termine, con qualche decina di migliaia di operai in
strada e l’intero complesso militar-industriale, che tiene in piedi la baracca
economica a stelle e strisce, già seccato perché quando Trump incontra Putin
non gli spacca la faccia, che gli scatena contro l’armageddon finale.
O con Jack, o squartati da Jack. O
zitti.
Quanto poco
gli importi di mettersi a tavola con Jack, pur di guadagnare punti nei
confronti dei bari che fanno saltare consolidati accordi anti-olocausto
nucleare (quelli che noialtri, a costo di parecchi bozzi da manganello in testa
per cacciare Cruise e Pershing da Comiso, contribuimmo a far concludere da
Reagan e Gorbaciov), lo ha dimostrato ai suoi sostenitori anche Putin. Non era
passato quel battito di ciglio di Trump, che il salvatore della Siria già si
presentava da MBS con in mano un piatto pieno di S-400, ultimo grido di difesa
anti-aereo (difesa contro le cento squadriglie di MIG 17 degli Houthi yemeniti,
evidentemente). Quello venduto anche a turchi e indiani, ma negato ai siriani.
E che nel
mondo dei Jack, se non puoi stare a tavola con loro, conviene almeno star zitti
su quanto sbranano e divorano. Come ha ben capito il governo Salvimaio quando
si è ben guardato neppure dal sollevare quel ciglio alla Trump, o alla Merkel
e, tanto meno, di porre un freno al flusso di armamenti dall’Italia, via Riad,
in capo ai 18 milioni di yemeniti che la fame e il colera da blocco
saudi-statunitense non hanno ancora stroncato.
Jacks sull’Honduras
E’ un mondo
di Jacks. C’è un Jack a Tegucigalpa, Honduras, ennesimo spurgo del colpo di
Stato voluto da Obama e organizzato da Hillary contro un presidente amico degli
anti-Jack del Venezuela, che costringe il suo popolo a togliersi dai maroni per
lasciare il posto a multinazionali dell’estrazione e della palma d’olio
(rivedetevi questa prodezza hillariana nel docufilm: “Il ritorno del Condor”.
Ci trovate, tra grandi lotte di resistenza, anche la mia intervista alla
grandissima Berta Cacares, trucidata dal regime). E c’è un Jack a Washington che
dai paesi dell’America Latina non vuole saperne di affamati e assetati, ma di
essere da loro nutrito e dissetato a forza di oro, legname, chimica, hamburger
e petrolio. Quanto siano sineddoche questi Jacks, lo dicono i 20 assassinati al
giorno a Tegucigalpa, il più alto tasso di omicidi del mondo da quando hanno
spazzato via Zelaya, presidente eletto dal popolo, ma nel paese dei padroni
delle banane. Va così, nel mondo dei Jacks.
C’è un altro
Jack in questa storia che non si sa se sia concepita contro Trump, o a suo
favore. E’ uno che campa assassinando nazioni. Circola la voce che la partenza
da San Pedro Sula, nel Nord dell’Honduras, delle prime centinaia di marciatori
verso gli Usa e poi l’afflusso in San Salvador e Guatemala di altri disperati
di questi paesi da sempre sotto l’anfibio Usa, fino ad arrivare ai 7000 sul
confine col Messico, si siano svolti sotto gli auspici e con il concorso di
George Soros. L’amico di tutti i migranti che lasciano il posto alle
multinazionali e il nemico di tutti coloro che vogliono restare a casa e
farselo loro il proprio paese, ci avrebbe messo la zampa per inguaiare da
destra (lo sradicamento-spostamento di popolazioni è operazione di destra,
mondialista) l’odiato presidente che la bufala cosmica Russiagate non è ancora
riuscita a disarcionare.
Resta da
vedere se il calcolo è azzeccato. Chè se quell’ondata, magari ingrossata dalle
vittime messicane dei narco-Jacks che hanno preceduto Lopez Obrador alla
presidenza del Messico, si dovesse infrangere contro il muro tra Texas e
Chihuahua, o lo dovesse addirittura superare, sai la psicosi razzista che si
solleverebbe tra i diseredati nordamericani, gli esiti potrebbero essere due. O
Trump ci guadagna, perché da sempre minaccia blocchi e chiusure alle torme che
vorrebbero invadere il paese del benessere e, spaventata dall’ondata
centroamericana, la gente si rifuggirebbe nel voto repubblicano; o ci rimette
perché, pur tuonando e promettendo sfracelli, non riesce quell’ondata a fermarla
sul nascere, a dispetto di tutte le leve
di dominio di cui gli Usa godono in quella regione.
Dal mattatoio Honduras alla discarica
di Tapachula
Ai disperati
in marcia verso il “sogno americano”, manipolati o meno che siano da uno dei
tanti Jack che incombono da secoli sui destini del continente, non dice bene.
Prima di arrivare a Ciudad Juarez, davanti al Texas, saranno selezionati dai
narcos, bastonati, sequestrati, uccisi da questi, quando non dalle maras, angariati
e rinchiusi da queste o quelle forze dell’ordine, spiaggiati sui due lati del
fiume Suchiate, in Honduras o Messico, a rimediare un po’ di lavoro e un po’ di
alcol. Li ho visti lì, alcuni da anni, sotto tetti di cartone, instupiditi
dall’attesa, dal niente, dalla dissipazione di ogni prospettiva. Con loro, su
pneumatici di camion, ho attraversato il Suchiate, li ho visti attendere da
un’eternità il treno buono per il nord, arrampicarvici, caderne per la
stanchezza, morire. Soprattutto li ho visti finire nell’immensa discarica di
Tapachula, a lavorare sotto caporali frugando tra i rifiuti. Donne del
Guatemala, lì da anni, rosicchiate dalla tubercolosi, con i figli nati prima,
ma anche lì, che si grattavano la scabbia. Ho raccontato tutto in “Messico:
angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero”. Scusate lo spot.
Tra i tanti che lacrimano dai loro salotti al
seguito dei marciatori honduregni ci sarà qualcuno che, anziché parlare di
accoglienza, lì solo un po’ più sanguinaria della nostra tra i pomodori,
parlasse di partenza coatta. Come quella dalla Nigeria imbrattata dal petrolio
dell’ENI (di cui il “manifesto” pubblica
i paginoni promo redazionali), o come quella
dalle terre rubate agli indigeni per
i quali Berta Cacares si è battuta contro l’olio di palma degli
avvelenatori. E che dicesse che quella
partenza è dovuta ai Jacks di cui, nel nostro emisfero, si accettano tutti i
corollari culturali e geopolitici. Potrebbe essere una bella sineddoche. Ma non
la vedo.
Mi fermo
qui. Dei Jacks in gessato, whiskino a portata e porte girevoli sempre in
funzione tra Bruxelles e Goldman Sachs e tutti i padroni - privati e paperoni ! - delle agenzie di
rating che stabiliscono chi deve vivere e chi morire, inorriditi dal cambio di
direzione che i flussi hanno preso in Italia, anziché dal basso verso l’alto
all’incontrario, mettendo a rischio tutto il bello schemino realizzato assieme
ai Jacks americani da settant’anni in qua, parleremo un’altra volta.
8 commenti:
https://www.youtube.com/watch?v=3zGUdTFOSCA&t=502s : Anche se non centra nulla con l'articolo ci tengo a dirti che è un intervista molto bella,interessante e formativa. Ottima analisi sulla situazione del martoriato corno d'Africa.
Bookshare@
Grazie!
Articolo lucido e stupendo sulla sineddoche del mondo in cui viviamo, sul degno compare di Mr Hyde!
Ottimo come sempre, grazie Fulvio.
Saluti da Fabio, La Spezia
Per la gioia dei "democratically correct" in Etiopia è stata eletta una donna che fra le prime dichiarazioni dice: "lavorerò per la parità di genere". Era forse il più importante argomento da trattare in un paese con un conflitto ancora aperto (Eritrea) e tante situazioni di arretratezza e povertà?
Alex1@
Precisamente. Quando i diritti civili vanno a coprire le magagne: tipo un nuovo assetto che toglie di mezzo lo Stato e passa ogni produzione e tutti i servizi ai privati, tipo i rinnovati attacchi alla Somalia in conto Usa, tipo la pacificazione con un'Eritrea tornata in grembo all'Occidente e collaboratrice nel genocidio yemenita....
Su Pandora TV ho trovato questa intervista all'attivista Noura Eraka. Al di la' dei limiti propri dell'approccio usato di solito dagli attivisti dei diritti umani, mi sembra un modo di fare giornalismo tutto sommato onesto rispetto alla media del giornalismo, se cosi' si può ancora chiamare, propinato dai media mainstream in Italia. Da quanti anni non si da la possibilità ad un leader palestinese di esprimere il proprio punto di vista? Saranno quindici anni da quando non intervistavano Ashrawi o da quando qualcuna delle componenti democratiche (La CGIL) hanno portato a Padova in un loro comizio Hammadi, diplomatico OLP in Italia, (sfuggito ad un attentato mortale del Mossad a Roma). Come dice nel finale l'intervistata, hanno "disumanizzato" i palestinesi, trattati un po' come una mandria di cavalli imbizzarriti per i quali si può discutere solo del modo per ricondurli al giogo e farli rassegnare alla loro condizione di paria del popolo eletto.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=500&v=Kym0h1EjeHs
A proposito, perche' non si rifanno sentire i deputati M5S che hanno fatto un viaggio nei territori occupati, denunciando le nefandezze degli occupanti?
Bene..il dado e tratto..la tap si fara.ora che l'ultimo timido argine che erano i 5s ha ceduto non ci son piu ostacoli..a me viene da pensare che questo inaspettato avvicinamento della Russia ai satrapi Sauditi dopo averli combattuti in siria vada a colmare economicamente il danno inferto con l avvio del tap
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