Iraq, forse Kurdistan, forse Isis, forse no.
RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI A SPIEGARCI COSA FANNO LI’? E
PERCHE’?
Chi
ne ha mai sentito parlare? Quando mai la questione è stata affrontata in
parlamento. Quali giornali o telegiornali ne hanno dato conto al loro pubblico?
Chi ne ha deciso l'invio in Iraq, nel Kurdistan iracheno, per addestrare
miliziani Peshmerga? Incredibile. Ogni volta che si ha a che fare con il
militare vengono fuori comportamenti opachi, coperti da segreto del tutto
indebito e strumentale. In particolare riguardo cosa succede nelle nostre
missioni all’estero, quali sono i veri compiti di quelle dette grottescamente “di
pace”, seppure, guardacaso, sempre nel quadro di qualche aggressione o
ingerenza di nostri alleati e sottratte alle decisione sovrana del popolo di
partenza, come di quello di destinazione.
Al
cittadino era stato comunicato tempo fa solo l'invio di un centinaio di soldati
a protezione contro l’Isis della diga di Mosul. Violando la sovranità dell'Iraq,
il diritto internazionale e la trasparenza democratica, il governo ha spedito
forze speciali da combattimento a sostegno di una milizia regionale
separatista, perfino dopo il fallimento del referendum per l'indipendenza, per
cui se sostegno doveva esserci, non doveva che essere da nazione sovrana a
nazione sovrana, mica a bande di guerriglieri.
Ci
sono contraddizioni e versioni diverse nei riferimenti alle dichiarazioni delle
autorità militari e politiche che le cronache della stampa fanno all’interno
della solita glorificazione del nostro ruolo militare nel mondo, “che ci dà
credibilità e rispettabilità all’estero” (sì, specialmente tra coloro cui “andiamo
a dare una mano” e che ne subiscono gli effetti).
Un po’ sembra che stessimo
accompagnando unità di Bagdad nel rastrellamento di cellule Isis. Un po’
eravamo lì solo per addestrare le milizie feudali dei capiclan Barzani e
Talabani, dette Peshmerga, cui si farebbe risalire il trionfo sull’Isis, come
in Siria ai curdi dell’YPG, mentre coloro che hanno lottato, sanguinato, sono
morti e hanno sconfitto, sia la congiura
imperialista, sia i suoi mercenari, in Iraq e Siria, sono stati al 90% gli
eserciti lealisti e le milizie popolari (il resto l’hanno fatto le bombe
Usa-Nato, mirate essenzialmente a distruggere la gente e le infrastrutture dei
due paesi arabi). Senza addestramento o compagnia del Col. Moschin, o di altre
teste di cuoio italiane.
Oltre
tutto il Kurdistan iracheno è retto da una banda di feudatari e narcotrafficanti facenti capo a
vecchi fiduciari della Cia e del Mossad, Masud Barzani, il cui clan si chiama
Partito Democratico del Kurdistan, e Jalal Talabani, padrone dell’Unione Patriottica
del Kurdistan, morto due anni fa. La regione è una colonia di Israele, suo
massimo proprietario immobiliare e terriero, suo cliente petrolifero, suo
bancomat. A chi il governo italiano ha fatto illegalmente un favore
anti-iracheno? È ovvio, visto che, con perfetto sincronismo, si affianca alla
rivolta da mesi in atto in Iraq, e di cui la massima autorità irachena,
religiosa, ma anche autorità in assoluto, l’ayatollah Al Sistani, ha attribuito
l’innesco e la gestione nell’ombra ai soliti esperti di regime change
statunitensi e sauditi. Si tratta di punire un Iraq che, negli anni, si è
troppo avvicinato al moloch Iran e, sulle basi oggettive delle sue vittorie
sulla congiura jihadista-imperialista-sionista, ha riacquistato autostima e una
volontà di autodeterminazione. Tanto più che andava insistendo sul ritiro delle
forze Usa dal paese.
Andava
ricondotto alle condizioni in cui l’aveva lasciato il vicerè americano, Paul
Bremer, all’indomani dell’occupazione del 2003. L’occasione l’aveva fornita il
diffuso malcontento popolare per le gravose condizioni di vita, le carenze di
tutti i servizi, la mancanza di lavoro, l’insicurezza, tutti attribuiti a una
dirigenza incapace e corrotta, ma in massima parte lascito della devastazione
totale di un paese che, nelle intenzioni di Israele e dell’Occidente, spaccato
in tre cantoni etnico-confessionali, non avrebbe mai più dovuto risorgere come
nazione. Né tantomeno rivendicare i proventi del suo petrolio (tutto sotto controllo
delle multinazionali angloamericane) per un minimo di ricostruzione.
Ora,
arriva il bel risultato di cinque soldati italiani sacrificati e della cui vita
rovinata ci dispiace sinceramente. Ragazzi, almeno quelli non motivati da
fremiti guerreschi, probabilmente hanno scelto quella professione – che non richiede,
né mai richiederà, la difesa di una patria che nessuno aggredisce, né da
vicino, né da lontano, se non i suoi stessi alleati – per le condizioni che il “mercato”
del lavoro offre ai giovani italiani disoccupati al 35% almeno. Con questi giovani
messi fuori combattimento, feriti, e mutilati a vita, abbiamo fatto un figurone
internazionale (secondo Repubblica e tutti gli altri) e saremmo vigliacchi,
indegni di ogni considerazione internazionale (da parte di chi???), se ora
ripiegassimo e permettessimo che si rivedesse il nostro impegno all’estero. Di
pace.
E
torna l’Isis, alla grande, e ha rivendicato la paternità dell’ordigno che ha fatto
saltare in aria i nostri connazionali. E’ tornato come già in Siria, di colpo,
quando Trump annunciò la ritirata, poi rimangiata. E allora come non chiedersi
se non sia dovere delle democrazie intensificare il proprio impegno a contrasto
del terrore? Ma siccome in Siria e in
Iraq, ma anche a Washington e Tel Aviv, tutti sanno chi è che alleva e sparge
Isis e Al Qaida là dove occorre qualche cambio di assetto, chi è
che ha davvero colpito i soldati italiani?
La
Repubblica, nella sua fregola bellicista, elenca con orgoglio le 23 missioni
militari italiane nell’universo mondo. Ovunque a difendere il paese e libertà e
democrazia. E ne fornisce la mappa. Chissà, alla luce della trasparenza e della
prolificità di informazioni fornite al parlamento dalle gerarchie, quanti
italiani, dopo quelli in Afghanistan, Somalia, Iraq, dovranno immolarsi per la
pax amerikana e accrescere il credito di cui godiamo all’estero. Magari dopo
aver compiuto qualche risolutiva operazione da forze speciali nel paese
ospitante.
Non
avevano, i Cinquestelle, rumoreggiato vigorosamente contro il rinnovo della
spedizione in Afghanistan e contro le missioni militari tutte? Ora che sono
alleati con la sinistra pacifista, progressista e anti-odio, non sarebbe il
caso di ricordarsene? Nel frattempo, noi aspettiamo impazientemente di sapere
dai nostri generali cosa diavolo ci fanno i nostri commandos in Niger, o
in Mali. o in Lettonia. Alt, lì lo sappiamo: impediscono all’orso russo di
sbranare l’Italia con tutto l’Occidente. Hai visto mai che un domani, magari su
suggerimento di Manlio Di Stefano, vanno a difendere pace e libertà contro il
golpe Usa in Bolivia….
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