Amici, lettori, ciò che mi auguro leggiate qui
sotto e ricordiate non c’entra niente col Natale, col suo bambinello e i suoi
re magi (pastori e sovrani insieme ai piedi di un neonato che insigniscono di
divinità: interclassismo e monarchia assoluta ante litteram); non c’entra con
il disgustoso panzone con cui la Coca Cola ci ha corrotto le feste e neanche
col capodanno. Ma c’entra col solstizio e con il ritorno della luce celebrato
dai nostri avi meno dediti a strumentali superstizioni. E il ritorno della luce
può essere anche inteso come ritorno della verità. Una verità riabilitata dal
ricordo. E io questo ricordo me lo voglio portare nell’anno venturo e in tutti
quelli successivi, finchè occhio e cuore saranno in grado di ricevere luce. Poi
gli occhi si chiuderanno, ma la luce non si spegnerà.
https://www.youtube.com/watch?v=eWgJUdln3wg Compagno Saltarelli, un mio amico e compagno,
cantato da Pino Masi
L’altro 12 dicembre. Quello dimenticato. Quello quando in
piazza non c’erano Sardine ben vestite, benparlanti, sorridenti, applaudite con
standing ovation dall’universo del
comando perché “moderate” e ostili a ogni conflitto (che non sia con l’opposizione).
Quando in piazza, a fare una denuncia non gradita agli autori della Strage di
Stato dell’anno prima e tantomeno gradita a chi stava alle spalle dell’anarchico
innocente Giuseppe Pinelli, quando volò da una finestra della Questura di Luigi
Calabresi, c’erano decine di migliaia di manifestanti contro quella strage e
quella “caduta”. Tra loro Saverio Saltarelli, 22 anni, studente abruzzese,
facchino a Milano, rivoluzionario. Un poliziotto gli spacca il cuore con un
candelotto lacrimogeno, “arma non letale”.
La canzone ci parla di Saverio, ma pensa anche agli altri
martiri di Lotta Continua e del’68 e seguenti. Martiri, quasi sempre inermi, di
una strage di Stato che non si limita a Piazza Fontana, Piazza della Loggia,
Italicus, Bologna, Via dei Georgofili, Falcone e Borsellino. Ci parla di una
strage strisciante durata dieci anni: Saverio Saltarelli, Franco Serantini, Mariano
Lupo, Tonino Miccichè, Alceste Campanile, Walter Rossi, Francesco Lorusso,
Piero Bruno e tanti altri. Strage che comprende vittime di propria mano, mano
guidata dalla sconfitta e dalla disperazione, dalla vergogna per i traditori.
Vittima per propria mano di chi ha assunto su di sé il ruolo del poliziotto
sparatore, di chi ha immerso la sua angoscia nei rimedi tossici ai labirinti della
disperazione creati dal Potere. Labirinti che avevano il compito di complementare
le varie bande assassine dello Stato, quelle ufficiali, le fasciste, le travisate.
Ci sono coloro che, per raccontarci il ’68-‘77, fanno
facile leva sui traditori e rinnegati di una generazione. Rivoluzionari poi
ravvedutisi, alcuni infiltrati fin dall’inizio, reclutati dal Sistema e
introdotti nelle sale profumate del prestigio e privilegio, benemeriti della
conversione e del reinserimento come Sofri, Manconi, Erri De Luca, Lerner, De
Aglio, Langer, Boato, Capuozzo, Crainz, Liguori, Mieli, pochi altri, detriti di
quegli anni.
Detrattori e mistificatori che interpretano la vendetta di
classe per le sconfitte subite e la Grande Paura ancora non metabolizzata,
estendendo a una generazione intera, a milioni, oltrechè di studenti, quella
volta, di donne, di operai, sottoproletari, intellettuali, soldati di leva, gente
occultata nelle periferie urbane e relegata lontana dal benessere, una
punizione collettiva. Punizione politica attraverso la deformazione storica
praticata da ogni vincitore per nascondere nell’oblio i propri delitti.
Rielaborazione in termini di stravolgimento e falsificazione. Il messaggio deve
essere: “Tutti figli della borghesia (vedi la cantonata di Pasolini),
cialtroni, millantatori, violenti per cause perse; non provateci mai più”.
Certo che c’erano figli della borghesia, ma meno male che
ci siano stati. Come nei movimenti secessionisti, che si vedono oggi in varie
parti, è il progetto che conta, più che i suoi protagonisti. Se sia di
emancipazione, o regressivo. Quando sono capitalisti e reazionari a gestire a
proprio vantaggio di classe il frazionamento e la separazione, come credo che
sia nelle nostre regioni del Nord e in Catalogna, è un conto. Quando si tratta
del popolo nordirlandese, o dei baschi, la questione è opposta. Nel caso dei
curdi, poi, è una rivolta di retrogradi feudatari, a volte tinteggiati di
femminismo ed ecologismo, costantemente, nell’una versione o nell’altra, pronti
a farsi quinta colonna del nemico di nazioni libere, laiche, multietniche e
multiconfessionali, progredite, antimperialiste. Parole, queste mie, che
comunque non tolgono nulla alla complessità della questione.
Ai detrattori, o cultori dell’irrilevanza di quel decennio va
tappata la bocca e sottratta la parola, non con i bavagli che di questi tempi
svolazzano sulle nostre teste nel cielo del neoliberismo postdemocratico,
impegnato nella globalizzazione del comando, e calano sempre più sulle nostre
di voci; e nemmeno con il pensiero unico e totalizzato che vuole inquadrati i
nostri neuroni in formazioni prone al regime, o complici.
Costoro vengano semplicemente fatti ammutolire, invitati a
visitare i muri di una città, per ora virtuale, sui quali figurino i murales e
le storie dei Sofri, Lerner, De Luca, Viale e compari. Poi, sulle case di un
altro quartiere, i volti dei Saverio Saltarelli, Franco Serantini, Giorgiana
Masi e compagni. Ognuno dei due fronti, corredato dei rispettivi apologeti e
denigratori. Notare chi onora chi.
Per la verità, storica, politica, morale, basterebbe
questo.
Odio sacro
Noi eravamo quelli dell’odio. L’odio che dei legittimi
sentimenti umani è tra i più indispensabili, insieme all’amore, quando si
tratta di prendere coscienza di chi ci opprime, sfrutta, depreda, inganna,
ferisce, uccide. E di chi, per prenderci alle spalle, si finge amico. E’ l’odio
sacro dei sopravvissuti ai tre milioni di vietnamiti sterminati; di un popolo,
quello palestinese, perseguitato come nessuno mai nella Storia; degli iracheni
ai cui tre milioni è stata tolta la vita e a 25 milioni la nazione, la storia,
il futuro. E’ l’odio di chi viene indotto, da trafficanti e ipocriti dal
cinismo incommensurabile, di lasciare la propria terra per essere straniero
sgradito e sfruttato a sangue in quella di altri. E’ l’odio di chi è costretto
da secoli a versare sangue, sudore, lacrime perché se ne ingrassino i padroni.
E’ l’odio di chi subisce sanzioni, guerre, colpi di Stato, tutte forme di
genocidio, per soddisfare la bulimia di risorse e di dominio di antropofagi. E’
l’odio che, contro il dettato interessato di Bergoglio, non perdona, non
dimentica, perché se perdonasse e dimenticasse, sarebbe davvero la fine della
Storia. La sconfitta definitiva.
Contro questo odio, esorcizzato anche “come “rancore
sociale”, “invidia sociale”, fatti passare per strani fenomeni, ovviamente di
pura pancia, in una società dove l’1% possiede, rapinando, quanto tutti gli
altri, sono state messe in piazza le Sardine. Che non sono altro che i
consapevoli e inconsapevoli ammortizzatori del rullo compressore col quale i
dominanti passano sulle strade del mondo e sul corpo dei viventi.
Odio sacrilego
Sono loro gli emissari dell’odio di chi, invece, per odiare
non avrebbe titoli, dato che si tratta del colpevole che infierisce sugli
innocenti. Ma l’odio gli serve per giustificare la sua colpa. Sono gli odiatori
che si pavoneggiano negli ampi panneggi dei diritti umani perché questi siano
di loro esclusiva pertinenza quando trasferiscono genti da casa loro in campi
da due euro l’ora, quando impongono diritti umani a forza di bombe e
terrorismi, quando programmano una società in cui ai dominati tutto si può fare
per la propria soddisfazione, il proprio profitto, il godimento del proprio
odio. Odio sacrilego.
Oggi, nel brevissimo periodo, è tempo di Sardine. Figli
della stessa genìa che allora costringemmo a cedere parti del proprio banchetto
e che vide sgretolarsi parti del muro di cinta, per poi rifarsi con l’aiuto di
strumenti di morte e intossicazione forniti o suggeriti dai Grandi Vecchi di
dentro e di fuori, a stelle e strisce, o a stella a varie punte. La genìa che,
per le Sardine, ha sostituito acclamazioni e vezzeggiativi alle mazzate,
sbarre, eroina, riservate a noi. I De Aglio, Lerner, De Luca, Sofri, sprigionando
peana da gole logorate da anni di sussidarietà nel palazzo dei signori, padri
di tante Sardine, non mancano neanche stavolta di dare il proprio contributo.
Agitano i turiboli perché pensano di aver ancora troppo da farsi perdonare da
quelli sugli altari e sui troni. Dovrebbero chiedere perdono ad altri. Ma
sarebbe un’ammissione dannante. E sanno che non lo otterrebbero.
Per la verità storica, politica, morale, basta questo. Noi
siamo ancora vivi, ci sarà qualcuno a cui passarla, quella verità.
https://www.youtube.com/watch?v=EXrk4gf84xw Ballata della Fiat
2 commenti:
Tanto di cappello caro Fulvio,ancora un ottimo articolo,sicuramente ignorato dal mainstream,ancora ignorato purtroppo dai canali non mainstream e questo non e' bene.
Per quello che mi riguarda lo postero' nel sito di Mazzucco.
Grazie di esistere, tu come giornalista e Federico Dezzani come geopolitico,anche se non condivido le sue idee politiche,due menti ancora molto lucide.
Una canzone di Stefano Rosso, a ricordare quegli anni:
https://www.youtube.com/watch?v=fFSmwXyRQoI
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