Questo che segue, dopo una mia premessa, è il capitolo
cileno, a Santiago in lotta, del diario di viaggio di un mio giovanissimo
amico, Tommaso Cherubini, con le sue belle e significative fotografie. Il suo è
un viaggio per l’America Latina, con zaino, sacco a pelo e in autostop, di
esplorazione e formazione.
I falsari dell’informazione ci stanno saturando con le
immagini di proteste popolari in paesi accuratamente selezionati. Di altre
manifestazioni e di repressioni ben più feroci si sforzano di non farci sapere
nulla. Sono documenti come quello che vi propongo che ci fanno avere bagliori
di verità e che riducono alla vergogna e al ridicolo le manipolazioni ormai
ontologiche e generalizzate, a sinistra-destra come a destra-destra.
Così veniamo inondati da cronache stampate e televisive che
ci dovrebbero entusiasmare sulla “rivolta dei giovani iraniani” contro
il loro governo. Prima, perché erano stati decisi prezzi appena più alti sui
carburanti (10 centesimi al litro) per poter convogliare questo aumento alle
fasce più colpite e impoverite dalle sanzioni genocide che, da Obama a Trump e dai
loro rispettivi referenti, colpiscono una nazione che rifiuta di inchinarsi ai
presunti padroni del mondo. E, successivamente, in protesta contro
l’abbattimento dell’aereo delle aviolinee ucraine e le sue 170 vittime a causa dell’errore dell’antiaerea iraniana.
Non “ammesso con colpevole ritardo”, come infieriscono i media, ma dopo
due giorni, con l’inchiesta neanche terminata. Vorremmo altrettanta onestà
da parte di chi bombarda Siria e Iraq e nasconde la mano. Oppure da chi ha
abbattuto il DC-9 dell’Itavia su Ustica e da chi sa tutto. O da chi ha fatto
ammazzare Ilaria Alpi e Miran Hovratin a Mogadiscio. O da chi ha ordinato e
supervisionato tutte le stragi di Stato da noi. O alle Torri Gemelle…………
Nessuno rileva che queste dimostrazioni, al pari di quelle
di Hong Kong, Algeria, Libano, Iraq, tutte fomentate ai fini del “regime
change” perseguito dall’Occidente nei confronti di governi disobbedienti, si
rapportano a quelle di milioni in tutti i paesi arabi e islamici, ma anche
latinoamericani, contro l’assassinio del generale Qassem Soleimani, come un
roveto è paragonabile a una foresta. Soleimani, vincitore della guerra contro
il terrorismo Isis e Al Qaida in Iraq e in Siria, era in missione di pace a
Baghdad per negoziare la distensione tra Iraq e l’ostile Arabia Saudita,
creatrice e foraggiatrice, insieme agli Usa e Israele, di questo mercenariato
jihadista (oggi, peraltro, attivo in Libia su mandato dell’altro sponsor del
jihadismo, Erdogan, e impegnato, con il beneplacito di potenze e gregari, a
fermare la liberazione in atto di quel paese dai Fratelli musulmani e loro
milizie Isis).
L’assassinio di Soleimani, a cui oggi plaudono sia l’ISIS
che Israele, costituisce una criminale violazione del diritto internazionale,
delle convenzioni di Ginevra e della sovranità di due paesi, Iraq e Iran.
Immaginate cosa sarebbe potuto succedere se qualche paese aggredito da
sanzioni, eserciti, o mercenari Usa-Nato, avesse ucciso con un drone il
Segretario di Stato Pompeo, superfalco e vero protagonista dell’estremismo Usa,
o l’influentissimo politico e parlamentare statunitense John McCain (defunto
nel suo letto), massimo guerrafondaio americano, compare di tutti i capi della
sovversione terroristica, da Al Baghdadi, con cui si fece fotografare in
amichevole colloquio, ai golpisti di Kiev. Coloro che ora sono rispuntati nelle
piazze di Baghdad, Beirut, Tehran, avevano inneggiato all’uccisione di
Soleimani. Veri patrioti.
C’è da aggiungere, a prova del tasso di deontologia dei
nostri media, che si sorvola con grazia leggera sulle repressioni in Cile e
Bolivia, di netta natura pinochettiana, che vanno avanti da mesi e hanno
prodotto centinaia di morti, tra l’un paese e l’altro, e migliaia di arresti,
con l’immancabile corollario della tortura. Mentre viene trasformata in
inaudita violenza contro inermi l’incredibile moderazione delle forze di
polizia di Hong Kong davanti ad autentiche brigate di squadristi, uniformate e
armate, che tutto devastano, invadono il parlamento, distruggono la
metropolitana, danno fuoco a chi ne prende le distanze, sventolano le bandiere
del colonialismo e dell’imperialismo, britannica e statunitense.
Il documento che ci fa avere Tommaso sul Cile di un
pinochettismo mai morto, ma anche di un popolo mai domo, rende giustizia alla
verità. Non ci arriva dagli schermi e dalle pagine che si fanno passare per
fonti di informazione. Sono occhi che hanno visto, cuore che ha sentito, mente
che ha capito. Ci arriva via rete. Quella rete che tutti i corruttori di un
giornalismo che, per me, dovrebbe essere la più utile e bella professione del
mondo, denunciano come la massima fonte di fake news. Freud parlerebbe
di transfert.
Tommaso mi perdonerà se taglio la breve parte storica, ben nota ai miei interlocutori
E questi sono due link che ristabiliscono la verità sui
bombardamenti iraniani sulle due basi Usa in Iraq. Il primo è la cronaca
dell’inviata della CNN che mostra la distruzione causata (e negata) alla base
di Ain el Asad, con uno dei dieci crateri prodotti dalla dozzina di missili.
L’altro è un’ulteriore illustrazione dei danni a quella base. Se ne può trarre
la conclusione che, seppure non sarebbero state causate vittime, l’intento
della ritorsione all’assassinio di Soleimani , come si sa preavvisata al
governo iracheno, non era una strage, ma la dimostrazione di quanto l’Iran
potrà infliggere a qualunque aggressore. Risposta civile alla barbarie.
https://youtu.be/xXl6wEcRYOg
Base Usa a Ain el Asad distrutta, cratere di uno dei 10 missili arrivati (CNN)
Una città in protesta, un
popolo stanco che rivendica i propri diritti
Sono finalmente a Santiago de
Chile.
Al contrario degli altri luoghi
finora visitati, questo mi attira per tutt'altri motivi. Non per la natura e le
emozioni dei paesaggi, ma per la situazione storica che sta vivendo questo
paese, raccolta e rappresentata dalla capitale.
Prima di iniziare questa pagina
di diario, vorrei precisare che quello che scrivo e scriverò è frutto di ciò
che ho vissuto e mi è stato raccontato. Non voglio offendere nessuno né
considerarmi l'unico possessore della verità assoluta, solo raccontare la mia
esperienza.
L'inizio delle proteste si ha il
14 Ottobre 2019, in seguito all'aumento del costo del biglietto della metro.
Come mi viene spiegato, però, questo è da considerarsi solo la goccia che ha
fatto traboccare il vaso, infatti le motivazioni sono molteplici: carovita,
corruzione, disuguaglianze, legge sull'aborto e molti altri.
Ma tutto ha inizio, quindi, dalle
stazioni della metro e dagli studenti universitari che iniziarono a non pagare
il biglietto.
Il 18 settembre, vedendo la
situazione peggiorare, con continue occupazioni e danneggiamenti delle stazioni
metro, il presidente Piñera decide di dichiarare lo stato di emergenza,
spiegando le forze militari. Quel giorno, per la prima volta
dalla dittatura Pinochet, viene attuata una repressione militare, con
coprifuoco e limitazione della libertà.
Le proteste sono tutt'ora in
atto, da più di 80 giorni.
Il 22 Novembre, il presidente ha
affermato che "Il Cile è in guerra".
Io, nel mio piccolo, dall'Italia
avevo avuto notizie solo attraverso i media e la situazione sembrava critica in
tutto il Cile. Parlando, però, con i miei amici cileni, ero stato rassicurato e
mi era stato consigliato di non dare retta ai notiziari, in quanto controllati
dal governo. Così ho deciso di andare a vedere con i miei occhi, non volevo
farmi sfuggire questa opportunità.
Il giorno del mio arrivo mi
imbatto subito nella prima protesta, mentre mi dirigo alla fermata della metro
per andare in centro. C'è una strada ad alta velocità che attraversa la città,
a pagamento, il cui pedaggio continua ad essere aumentato di anno in anno. Passando
al fianco di essa, mi accorgo di un accumulo di persone, fuori dal recinto che
la delimita, ma tutte rivolte all'interno. Avvicinandomi mi accorgo che lungo
la pista è pieno di macchine e camion che la percorrono a velocità molto bassa,
suonando il clacson.
È in corso una manifestazione di
protesta contro il caro prezzi, i veicoli vengono condotti a bassa velocità per
creare traffico ed intoppi. L'assembramento di persone al lato della
strada è all'altezza di un posto di blocco dei carabinieri.
Mi unisco alla folla e subito mi
salta all'occhio che i carabinieri, indossando abbigliamento color militare e
giubbotti antiproiettile, hanno in mano armi più grandi di quelle che mi
aspettavo e si muovono con veicoli blindati davvero enormi. Fermano ogni auto, fanno scendere
il conducente e i passeggeri, li perquisiscono, il tutto mentre la folla gli
urla contro di non toccarli e di rispettare i loro diritti. C'è anche una
giornalista col suo cameraman che riprende tutto, all'interno di quella che
sembra un'autostrada.
Davanti ai miei occhi increduli,
una ragazza che conduceva una delle macchine a bassa velocità, viene caricata
su una delle camionette blindate e portata via. Così. Chiedo spiegazioni ad un
ragazzo tra la folla e lui mi spiega le motivazioni di tale protesta. Il
pedaggio di questa strada è stato aumentato per l'ennesima volta quest'anno,
per coprire i costi di investimento iniziali e la manutenzione. Secondo i
manifestanti, però, l'investimento è già stato coperto da anni e la
manutenzione è solo una piccolissima percentuale rispetto al guadagno dello
stato sulle spalle dei cittadini.
Mi fa subito impressione la
quantità spropositata di carabinieri rispetto ai protestanti. Ci sono almeno
5 per ogni manifestante, si muovono a
gruppi, con scudi, elmetti, manganelli ed armi.
Resto un po', per fare qualche
foto e video, poi me ne vado verso il centro.
Come primo giorno non c'è male.
L'indomani esco per fare un giro
nel centro di Santiago. Piazza Italia è il punto nevralgico della protesta
cilena, la fermata metro Baquedano, al centro di essa, è fuori servizio dai
primi giorni di tensione. Scendo quindi alla precedente e mi avvio a piedi, le
proteste iniziano ogni giorno verso le 17, quindi sono tranquillo essendo più o
meno le 12.
Avvicinandosi alla piazza si
notano i cambiamenti, gli edifici iniziano ad essere pitturati e pieni di
murales, i pavimenti distrutti, i negozi chiusi con lastre di metallo o
cemento, la quantità di carabineros che aumenta a dismisura. Arrivato, ho subito la sensazione
di trovarmi in un luogo dove è successo, e sta succedendo, qualcosa di storico.
L'aria è tesa, come piena di energia per le proteste del giorno prima e pronta
per quelle in arrivo. La statua al centro è completamente vandalizzata, i
semafori distrutti, i negozi e gli edifici pieni di scritte e murales contro il
governo e i "pacos", come vengono chiamati carabinieri.
Dà i brividi. Carabineros in
tenuta antisommossa, armati di scudo, casco ed armi. Impassibili alla gente
comune che passeggiando o andando a lavoro gli urla "asesinos".
Allontanandomi mi imbatto nella
seconda manifestazione, un gruppo di una 60ina di persone in mezzo alla strada
con dei cartoni raffiguranti degli occhi. Mi avvicino e noto che, come sempre,
sono circondati da carabinieri. Ma la manifestazione è tranquilla, un microfono
passa di mano in mano permettendo alle persone di esprimere la loro rabbia. Si
parla di mancanza di diritti, di necessità di sanità gratuita, di corruzione,
della violenta repressione delle proteste. Di come non sia possibile
festeggiare il Natale vista la situazione in cui verte il Cile.
I cartelli stanno a significare
che è necessario aprire gli occhi, rendersi conto del problema e non far finta
di nulla.
Quello che mi ha colpito, oggi, è
la varietà di persone presenti alla manifestazione. Dall'adolescente, al
signore di mezza età, alla vecchietta che mi ha rapito il cuore. Tutti in
piedi, in piazza, intenti a far sentire la propria voce e ad unirsi facendosi
forza l'uno con l'altro. Gente incazzata, gente in lacrime, gente
orgogliosa e convinta di quello che sta facendo.
Vengo informato che il venerdì
seguente, 20 dicembre 2019, ci sarebbe stata l'ultima grande manifestazione
prima delle vacanze natalizie.
Il giorno stesso mi dirigo lì
verso le 18, la fermata di piazza Italia, come già detto, è fuori servizio,
quindi scendo a quella prima: San Salvador. Esco dalla stazione ed è già
manifestazione. Centinaia di persone tutte intorno a me, con bandane a coprire
naso e bocca o maschere da snowboard. Tamburi, trombe, canti e balli. Tutti
in strada, diretti a Piazza Italia, incitando chi ancora sul marciapiede ad
avvicinarsi. L'atmosfera è allo stesso tempo gioiosa ed incazzata. Gioiosa per me, perché si
percepisce quanto la gente faccia tutto ciò col cuore, perché ama il proprio
paese e preferisce questo ad abbandonarlo. Incazzata perché questo paese
non è disposto ad ascoltarla, ma preferisce reprimerla con la forza.
Mi aggiungo al corteo, non è il
classico corteo di una manifestazione in cui sono tutti appiccicati, in questo
la gente è a più di 2 metri di distanza, sparsa su tutta la strada, sviluppato
molto in lungo. Percorro meno di 50 metri quando sento qualcuno urlare in
lontananza, poi vedo i manifestanti correre in senso opposto al mio.
Tutto succede molto velocemente. Mi
rendo conto di colpo che a 20 metri da me c'è un gruppo di un centinaio di
poliziotti che corre verso di noi, scudo e manganello in mano. Mi giro e corro
più veloce che posso. Sento cadere la borraccia dallo zaino. Mi giro per
dargli l'ultimo saluto, ma è già nelle mani di una ragazza che me porge, mentre
continuiamo a scappare.
Sento scoppi in lontananza, poi
più vicini. Poi nuvole di fumo. Volano lacrimogeni.
Non ho idea di quanto spazio o tempo
io abbia corso, finché vedevo gente correre intorno a me, non mi fermavo.
Ho avuto paura. Arrivo al ponte che attraversando
il fiume in secca va verso l'esterno del centro. Mi giro e la situazione
sembrava più tranquilla, i manifestanti intorno a me, a quanto pare molto
abituati al contesto, ricominciano come se niente fosse. Quelli in bici urlano
"blocchiamo qui" e si buttano in mezzo alla strada fermando le
macchine in entrambe le direzioni. I tamburi ricominciano a battere, mentre si
aggiungono un gruppo di ragazze sbattendo mestoli contro pentole. Poi dei
ragazzi suonano dei grossi sassi contro i pali della luce.
Ho la pelle d'oca da un'ora. Tutto
ciò mi emoziona. Mi sento fortunato a poter vivere tutto questo, nonostante sia
nel mezzo di una guerrilla. Sono commosso sotto la bandana e gli occhiali da
sole.
Stavolta passo più vicino al
fiume, dove sembra più tranquillo. Perché nonostante tutto quello che sto
raccontando, la gente continua ad attraversare queste zone come se niente
fosse, semplicemente per arrivare dall'altra parte. Sono a pochi metri dalla piazza
più famosa del Cile. Inizia a prudermi il naso, inizio a starnutire. Poi la
gola, un lieve prurito che diventa piano piano forte e costante. Poi gli occhi,
non riesco a tenerli aperti. Si arrossano e pizzicano, moltissimo.
La piazza è piena di lacrimogeni
e le forze armate continuano a lanciarne. Ad altezza uomo. Qualche giorno
fa hanno ucciso una ragazza di 15 anni colpendola in faccia con uno di questi.
Sono costretto ad allontanarmi
perché non respiro. Ci sono dei ragazzi che girano per le zone di protesta con
acqua e bicarbonato in uno spruzzino, per aiutare la gente alleviandole il
dolore. Ne incontro uno che mi aiuta e mi permette di tornare verso la piazza. Un
prato di forze armate, sparpagliate, alcune in moto, altre a cavallo, decine di
camion blindati, gruppi a piedi con scudi e manganelli. Tutti con casco e
giubbetto antiproiettile.
La situazione è come quella
precedente, migliaia di manifestanti sparsi per la piazza, il suono dei tamburi
sovrastato da quello del lancio dei lacrimogeni. Dalle strade tutto intorno la
piazza, tutti suonano nel traffico, con un ritmo che è lo stesso dei tamburi,
per invitare la protesta. Non è facile né scontato muoversi in mezzo a tutto
ciò. Si segue il movimento delle masse, se qualcuno scappa tu scappi, se si
avvicina cerchi di avvicinarti. Se senti qualcuno urlare "arriba!"
guarda in alto, è stato appena lanciato un lacrimogeno.
Resto li in mezzo, faccio foto,
video, parlo con i manifestanti. Sono emozionato, eccitato, adrenalinico, ma
soprattutto molto impaurito. Il dolore provocato dai lacrimogeni torna
insopportabile e decido di lasciare la zona, mi è stato suggerito di andarmene
presto, prima che i carabinieri ricevano l'ordine di far finire tutto e
diventino ancora più violenti.
Tornando a casa ripenso a quello
che ho vissuto, mi sento di nuovo molto fortunato. Si, è stato pericoloso. Ma non
sarebbe stato più pericoloso vivere con il rimorso di essere stato qui, in
questo momento storico così importante per questo paese, e non aver vissuto da
vicino tutto ciò?
Ho deciso di andare perché
spesso, da fuori, gli avvenimenti vengono distorti per vari motivi. Spesso cose
come questa, che riguardano vite umane e problemi seri, si riducono a
chiacchiere da bar dove ci si sente in diritto di esprimere un'opinione
pressappochista della realtà. Dall'Italia ero informato solo
sul vandalismo rivoluzionario del popolo cileno. Vivendolo in prima persona ho
visto persone che, stanche della situazione in cui verte il proprio paese,
rivendicano diritti sacrosanti pacificamente. In opposizione, il loro governo
li reprime con la violenza, venendo meno anche ai diritti conquistati con la
fine della dittatura.
Mi sento vicino al popolo cileno
e spero che questa situazione si risolva nel migliore dei modi.
6 commenti:
E' vero quello che dice Tommaso a proposito dei cartelli raffiguranti occhi, portati dai manifestanti cileni: è l'invito a vedere, a non voltare lo sguardo di fronte alla realtà, per quanto terribile e "inguardabile" essa sia. Ma ancora più vero e terribile è il fatto che quei cartelli fanno riferimento alla prassi criminale della polizia che viene raccontata, tra gli altri, in questo link
https://nonelaradio.it/video-in-cile-i-militari-sparano-negli-occhi-dei-manifestanti-il-video-reportage-del-nyt/
Che credi di esserne in Italia...??
Vivo e lavoro in Cile da più di un anno e mezzo e ho vissuto tutto il “prima” e il “durante”. Il nostro amico Tommaso, nella parte storica iniziale dell’articolo che è stata tagliata, ha per caso descritto come sia stato possibile ad un popolo “ridotto alla fame” pensare, coordinare e realizzare 19 (diciannove) attacchi simultanei nelle stazioni della Metro con l’utilizzo di agenti chimici ultra incendiari e di difficilissimo reperimento? Spero di si perché raccontare del Cile saltando questi dati oppure raccontare del Cile e non notare che in mezzo a tutta quella bolgia non ci fosse (e non ci sia ancora) l’esigenza di un Leader che diriga gli sforzi e i sacrifici (purtroppo anche umani) verso una direzione risolutiva dei problemi (Invece che limitarsi ad una infinita sterile contestazione di cui la stragrande maggioranza del popolo cileno è arci stufa perché vede distruggere le proprie città, case, negozi senza avere nulla in cambio) a me dà l’idea di voler raccontare una versione molto, molto, parziale della realtà. Tralascio l’errore sulle date... (è iniziato tutto ad Ottobre e non a Settembre) ma mi sembra davvero strano essere arrivati nel cuore del Cile e non aver per nulla intuito l’esistenza di due grandi anime che lacerano la vita del paese... non aver intuito il ruolo che stanno giocando gruppi organizzati al soldo del narcotraffico (che è il vero padrone dell’America Latina, vedi i problemi in Bolivia... ma questo è un’altra storia); questo diario mi dà appena l’idea delle impressioni (a caldo) di chi si butta nella mischia e si lascia prendere dalla commozione o peggio, dall’adrenalina. Niente di male, per carità. Trovarsi in Piazza Italia, in mezzo a migliaia di persone pacifiche, mentre cantano “el pueblo unido...” Intonato dagli Inti Illumani davvero fa venire la pelle d’oca.. ma la realtà, la vita di tutti i giorni, il Cile vero non emerge dalle righe di Tommaso. Al massimo è la cronaca di un’ora o due, o tre di guerriglia di cui “el pueblo”, quello vero, non ne può più. Non ne può più perché nessuno vede o riesce a far vedere una possibilità reale, realistica, di soluzione ai problemi legati alla povertà, ai bassi salari, a un sistema sanitario inefficace e a un sistema educativo inaccessibile (privatizzati)... e tutto questo perché? Non ho letto un minimo di analisi nelle righe di Tommaso, dice di aver parlato con la gente... con chi? Di cosa? Queste sono le informazioni che vorrei leggere, quando si pretende di parlare di verità. Di gettare “luce”... sinceramente a me, dopo questo racconto di un tranquillo giorno di barricate, sembra buio pesto. Buona giornata.
Sono in Cile dall'inizio della protesta. A precisazione del bell'articolo gli occhi simboleggiano quelli di oltre 400 persone che i "Pacos" hanno chiuso per sempre sparando proiettili di gomma (perdigones) ad altezza d'uomo. Altre cifre ad oggi:
una trentina di morti ufficialmente riconosciuti, ma molti altri incidenti e suicidi sospetti; decine di migliaia di feriti e arrestati (tra cui minorenni, disabili, donne in cinta); un numero imprecisato di detenuti di cui è sconosciuto il destino; detenuti fatti oggetto di pestaggi, torture, stupri, false esecuzioni; uso indiscriminato di agenti chimici nell'acqua di idranti e lacrimogeni. Ciò che ha provato Tommaso Cherubini è lo stesso che sto provando da oltre tre mesi, partecipando quasi quotidianamente alle manifestazioni. E la sensazione di essere parte di un cambiamento storico per il Cile, ma forse anche per il mondo occidentale, è confermata da osservatori e sociologhi: la protesta, assolutamente spontanea e non ideologica, senza simboli di partito, senza rappresentanti, senza portavoce, è indirizzata esplicitamente contro il neoliberismo selvaggio ed i suoi effetti devastanti sulle popolazioni. Il modello di Milton Friedman è stato qui sperimentato per la prima volta all'indomani del golpe militare, applicato successivamente da Reagan e Thatcher ed imposto in Europa con la Unione europea. Uno degli slogan più efficaci che si vedono nei cortei è "En Chile el neoliberalismo naciò y muriò". Forse eccessivamente ottimistico, ma alcuni politologi considerano questa protesta la prima picconata ad un modello economico in crisi e non più sostenibile per le popolazioni. Anche per questo si capisce il completo oscuramento da parte di tutti i media italiani e credo anche occidentali.
Franco Mazotti
Salve! Vorrei sapere che bandiera e quella che sventola nella foto di inizio servizio. Grazie
La bandiera all'inizio è quella del popolo nativo dei Mapuche (Popolo della terra), che costituiscono il 10% della popolazione cilena.
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