martedì 11 maggio 2021

Egitto, quando la sovranità te la fanno pagare --- UN "PAESE CANAGLIA" MINACCIATO DA DIGHE, TERRORISMO ISIS, COMPLOTTI, PRESSTITUTE

Introduzione


Il pezzo, tra introduzione oggi e il resto prossimamente, è lungo, ma prova a raccontare del nostro dirimpettaio dati di fatto che altri occultano, o negano e sostituiscono con una delle più virulenti campagne propagandistiche mai condotte contro una nazione. Il pretesto è la vicenda Giulio Regeni, di cui sia per iscritto, sia con interviste, ho cercato di fornire elementi inconfutabili che i media ostinatamente ignorano e che gettano una luce diversa su una tragedia umana che è anche una grande operazione geopolitica.

Oggi per l'Egitto, cuore storico della comunità araba, la campagna diffamatoria della voce unica mediatica non è l'ultimo dei problemi in un rapporto tradizionalmente, e ancora potenzialmente, di grandissimo reciproco beneficio che forze, facilmente individuabili, pervicacemente cercano di distruggere. Forze e interessi che, per un verso puntano a sostituire l'Italia nei vantaggi che ricava dalla cooperazione con l'Egitto e, per un altro, puntano a ridurre a un paria nella regione afro-mediorientale quello che è il suo crocevia più importante. Un destino riservato a tutti i paesi arabi che nella resistenza, prima, al colonialismo e, dopo, al neocolonialismo revanscista, hanno rivendicato dignità e autodeterminazione.

Sono numerose, diversificate e feroci le armi rivolte contro la più antica civiltà del mondo. Dopo la caduta nel 2013, dopo pochi mesi di presidenza, sotto la spinta di un'insurrezione di popolo, dell'integralista islamico Mohamed Morsi, capo della Fratellanza Musulmana, cara a Londra come a tutte le forze reazionarie e restauratrici, l'Egitto ha conosciuto in questi anni un fenomenale balzo in avanti. Sul piano economico, della distribuzione della ricchezza, della produzione industriale, del consenso sociale. Un'intera nuova capitale sta sorgendo a sud del Cairo per liberare la capitale dalla congestione e non provocarne un'ulteriore urbanizzazione. Nel giro di un anno è stato realizzato il raddoppio del Canale di Suez. Un nuovo grande museo egizio accoglie il ritorno in massa dei turisti. Altre infrastrutture sono sorte per potenziare i trasporti. 

 


Grazie a rapporti positivi ed equilibrate con altri attori vicini e lontani, l'Egitto ha potuto riacquistare un ruolo propulsivo per i giusti interessi del suo popolo e dei vicini e partner, compreso il contributo alla rinascita di un Libia unita e sottratta all'imperversare sanguinario delle milizie islamiste. Ma questo gli è costato e sta costando un alto e ingiusto prezzo.

Nel Sinai, che confina con il Negev israeliano, imperversa, dalla caduta del regime della Fratellanza Musulmana, il suo braccio armato jihadista, lo stesso delle sanguinarie destabilizzazioni di Iraq, Libia, Siria. Un braccio armato che arriva a colpire fin nel cuore del paese con attentati e stragi. E di cui i così meticolosi cronisti delle "nefandezze" del presidente Al Sisi, non danno conto, quando parlano di 60.000 prigionieri "politici" in Egitto. A Sud del paese si configura una minaccia possibilmente anche più letale: la guerra dell'acqua. 

 


Da migliaia di anni il Nilo è per l'Egitto (come per il Sudan) l'arteria vitale, senza la quale il paese si desertificherebbe e morirebbe. Completando una gigantesca diga (costruita da Impregilo) e pretendendo di riempirla, il nuovo governo etiopico, Abiy Ahmed, quello dell'invasione e del massacro del Tigray dei mesi scorsi, minaccia di chiudere il rubinetto dell'acqua all'Egitto. Violando ogni convenzione, sabotando ogni mediazione, Addis Abeba pretende di decidere sulla vita e sulla morte di 100 milioni di egiziani in cambio dai profitti che gli vengono per la vendita di energia da un complesso idroelettrico che è di cinque volte superiore alle necessità del suo paese.

E' di assoluta evidenza il tentativo di agitare questa minaccia per esercitare sull'Egitto una pressione che ne riduca le pretese di indipendenza e di libertà d'azione politica. Non è difficile individuare chi possa celarsi nell'ombra, dietro alla gigantesca muraglia della diga "della Rinascita". 

 


Sono stato molte volte in Egitto, fin dai tempi di Gamal Abdel Nasser e della Guerra dei Sei Giorni tra Israele e gli Stati arabi e ne apprezzo la società evoluta, il costante fermento intellettuale, la cordialità e ospitalità dei vari strati della società, le incredibili bellezze e ricchezze culturali. Ma ne manco da alcuni anni e non conosco per esperienza diretta la condizioni di vita, delle comunità e delle persone. Capirei che eventuali restrizioni e controlli siano imposti dal terribile assalto alla popolazione a lla sua sicurezza da parte delle milizie terroriste e dagli immancabili tentativi di destabilizzazioni che mercenari di grandi interessi praticano in tutti i paesi da ricuperare al controllo coloniale. Era così in Iraq e nei paesi assediati  che ho conosciuto.


 
Quindi, al di là di riferire fatti che non si possono negare, non ho certezze da esprimere circa le condizioni di vita di quel popolo oggi. Di sicuro, sulla base di un'esperienza professionale di oltre mezzo secolo, so di non dover credere una parola del coro unanime che una stampa, manovrata da ventriloqui potenti, dice o scrive su quanto avviene in Egitto. O in Myanmar, o in Iran, o in Venezuela, o in Siria. O a casa mia. (Segue)


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