Palestina. Grimaldi: “La criminalizzazione della resistenza è l’arma degli oppressori”
Grimaldi su Gaza, proteste e crisi dell’informazione occidentale
Fulvio Grimaldi, classe 1934, giornalista di lungo
corso, inviato di guerra per la RAI e la BBC e autore indipendente. Negli anni
ha scritto per storiche testate militanti di sinistra e collaborato con
importanti giornali come La Repubblica, L’Espresso e Il Manifesto. Grimaldi è
da sempre famoso per le sue posizioni filo-palestinesi riguardo al conflitto
arabo-israeliano. È noto soprattutto per aver seguito da vicino il
conflitto israelo-palestinese e aver prodotto numerosi reportage e documentari,
frutto di esperienze sul campo a Gaza, in Cisgiordania e Libano. Non un
giornalista “neutrale” nel senso classico, ma una figura da sempre vicina a
cause anti-imperialiste e anti-NATO. Francesco Mastrobattista ha deciso di
intervistarlo in esclusiva per il Corriere delle città con qualche domanda
piccante in merito agli ultimi avvenimenti sullo scenario italiano e mondiale.
F.M: Ciao Fulvio. Innanzitutto grazie per la
disponibilità. Dalla Capitale è partito un grido di battaglia che si è esteso
in tutta la nazione. Milano e Torino, in particolare, sono state teatro di
guerra tra manifestanti pro-Palestina e forze dell’ordine. Come mai
improvvisamente una buona parte dell’opinione pubblica prende questa posizione
netta? Perché anche una parte del mainstream cambia narrazione rispetto a mesi
fa?
Non mi sembra che le imponenti manifestazioni in
un’ottantina di città italiane, indette, assieme allo sciopero generale, da
sindacati nemmeno di sistema, costituiscano un fenomeno improvviso. La
consapevolezza dell’abominio del genocidio israeliano, parallelo a quello
dell’isteria riarmista e guerrafondaia europea, ha suscitato prima apprensione
e poi reazione. Si è superata la condizione indotta dai poteri con altre
intimidazioni, tipo pandemie, guerre, terrorismi. Si è formata una solida
consapevolezza del tasso di criminalità che caratterizza le classi dirigenti
europee, a partire dalla nostra che, per simbiosi fascista, è in Europa,
insieme a Germania e Austria, altrimenti motivate, la più vicina allo Stato
sionista. Quanto al graduale, ma sempre esitante e contradditorio, massimamente
ipocrita, allineamento dei media di sistema al sentire e agire collettivo
maturato in questi anni, mi sembra il segno positivo che la forza delle cose,
la volontà maggioritaria ormai consolidata, convinca anche il rettile più
velenoso a cambiare pelle per non soccombere. Resta comunque rettile.
F.M: Abbiamo assodato che la narrazione mediatica è
cambiata. Come reputi che i media italiani stiano raccontando queste proteste?
Rimangono distorsioni o omissioni?
Le distorsioni e omissioni sono connaturate a mezzi
d’informazione che si propongono di essere strumenti di comunicazione e
convinzione con obiettivi esterni alla rappresentazione della realtà. Basta
considerare il peso dato agli scontri con alcune decine di manifestanti,
rispetto a quello riservato a centinaia di migliaia fluiti pacificamente nei
cortei di tutta Italia. Fondamentale resta l’omissione del ruolo, nel conflitto
in Palestina, della resistenza palestinese nelle sue varie espressioni. Inammissibile,
per i media embedded, rivelare la debolezza, la fortissima crisi, vissute da
Israele a seguito dei colpi ricevuti da Hamas e dell’isolamento internazionale,
foriero di agonia. E’ grazie al mito della sua invincibilità, già ampiamente
compromessa dalle sconfitte subite in Libano e, appunto, il 7 ottobre, che
Israele induce diffamazione, ma soprattutto scarsa credibilità di ogni
forza di contrasto, con conseguente rassegnazione ai propri soprusi. E qui ha
una funzione cruciale il mantenimento della saga del 7 ottobre, con
rovesciamento totale della responsabilità per le vittime e di chi le ha
causate. Sia in Israele che all’estero, da investigatori indipendenti sono
state compiute ricerche ed inchieste che hanno totalmente smentito la versione
del massacro compiuto da Hamas, con relative grottesche decapitazioni di
neonati – che non c’erano – e stupri che nessuna vittima, viva o morta, ha
corroborato e nessun testimone reale ha confermato. La criminalizzazione
di ogni forma di resistenza resta lo strumento strategico per ogni oppressore,
che sia di minoranza o maggioranza.
F.M: Come mai improvvisamente il Regno Unito,
Canada, Australia e Portogallo hanno dichiarato di riconoscere la Palestina?
Il riconoscimento di un immaginario Stato di Palestina da
parte di una maggioranza di governi fino allora complici o ignavi,, finzione
che raggira il dato reale di una presenza nazionale palestinese su quella terra
da millenni, comporta comunque un affronto al regime che manifesta la
determinazione di far sparire anche l’ultimo palestinese e che nel corso dei
decenni non ha cessato di incorporare territori palestinesi. E che oggi non ha
più neanche lo scrupolo formale di proclamare l’esclusione definitiva di ogni
ipotesi di quello Stato. Per quanto connotata di ipocrisia e velletarietà, ogni
volta che risuona la parola Palestina, si infila un chiodo nella
bara dello Stato occupante.
F.M: L’Italia si è bloccata per queste proteste. A Milano
c’è stato un assalto alla stazione, a Napoli sono stati creati numerosi disagi
alla stazione centrale, a Roma e Torino altri scontri ancora e così via. Alcuni
stanno criticando la modalità con cui tali proteste vengono portate avanti.
Cosa pensi in merito?
Per gli scontri alla stazione di Milano, è facile invocare
una diffusione di violenza che, rendendo lo Stato, come impersonato da questo
regime, vittima , lo autorizza a “difendersi”. E’ il discorso sul quale
galleggia la residua credibilità di Israele nel portare avanti la sua strategia
contro un popolo espropriato e ora genocidato. Ho già detto che è un
aspetto del tutto secondario rispetto alla portata delle manifestazioni in
tutto il paese. Ma viene utilizzato per rilanciare il famoso discorso dell’odio
che serve da trampolino per le misure repressive, antidemocratiche di cui
abbiamo dimostrazione quotidiana dal giorno in cui i La Russa, le Meloni, i
Vannacci e gli altri cascami della rivincita autoritaria sono riusciti a
prendere il potere da una classe dirigente, meno belluina, ma altrettanti
antipopolare. In ogni caso, si consideri il dato storico che ogniqualvolta il
potere vede messo in discussione il proprio monopolio della forza, fosse anche
in forma verbale o passiva, gli schiamazzi sul carattere delinquenziale e
inammissibile del fenomeno di contestazione servono all’introduzione di misure
liberticide. Si pensi al Decreto Sicurezza e al carcere riservato di chi oppone
il proprio corpo inerme alle ruspe del Ponte sullo Stretto.
F.M: C’è chi ha sollevato preoccupazioni per
episodi di antisemitismo nelle manifestazioni pro-Palestina. Chi addirittura ha
riportato di foto della Premier Meloni bruciate e di atti di vandalismo nelle
strade. Secondo te sono casi isolati o un rischio reale da monitorare?
Da che mondo e mondo, da quando si manifesta un’opposizione
a brutalità, sfruttamento, prepotenza, vengono bruciate immagini e bandiere.
Sono azioni simboliche. Dovrebbero rallegrarsi gli sfruttatori, prepotenti e
brutali, che le fiamme non si avvicinano alle loro realtà fisiche. Coloro le
cui effigi o i cui vessilli vengono aggrediti in piazza, hanno perlopiù alle
spalle complicità o sicariato per chi aggredisce e brucia persone in carne e
ossa. Vedi il fosforo fatto piovere sui palestinesi di Gaza. Ne sono stato
testimone a Gaza, al tempo di Piombo Fuso. Quanto all’accusa di antisemitismo,
scudo sempre più logoro alle malefatte di Israele, ci si ricordi che chi ha
occupato la Palestina non è semita, ma perlopiù indoeuropeo, polacco, russo,
tedesco, britannico, italiano…. Semiti, discendenti di Sem, figlio di Noè,
sarebbero coloro che da millenni abitano quelle terre: 450 milioni di arabi.
F.M: Quanto è responsabile l’Italia per le
forniture e per le relazioni diplomatiche in ciò che sta accadendo?
Le responsabilità del governo Meloni nel sostegno militare,
politico e propagandistico a Israele è provata. Le forniture di armi a Israele
riguardano ogni categorie di strumenti offensivi e rappresentano profitti della
nostra industria militare per centinaia di milioni l’anno. La protervia del
trio Meloni, Tajani, Salvini nel coprire politicamente i crimini di Israele si
colloca nella continuità della tradizione italiana nell’affiancare
operazioni altrui improntate al razzismo e alle guerre di conquista.
F.M: Allargando il fronte: si è scoperto che la
Fondazione dello speculatore George Soros ha finanziato gruppi no profit che
organizzano manifestazioni pro-Pal nei college americani (verificato) Anche
Greta Thunberg, dopo il declino della battaglia climatica, ha abbracciato la
causa palestinese tra la flotilla e altre disavventure. Come mai anche una
certa narrazione di stampo globalista si unisce al coro?
Non mi risulta che, al di là di dicerie senza verifiche,
George Soros abbia finanziato alcunchè in relazione con la Global Sumud
Flotilla. La presenza di personaggi dalla storia discutibile, non inficia
un’operazione che gode del consenso e della riconoscenza del popolo
palestinese, in patria e della diaspora. Fattore, questo, decisivo. Si deve
anche concedere che chi da bambina è stata manipolata, da persona adulta possa
aver maturato un’altra coscienza. In ogni caso per ogni impresa che scuota lo
stato di cose presente, non mancano mai coloro che l’avrebbero fatta
diversamente, o per niente, o prima. Cacasenno, gufi e frustrati, si consolino
così della propria impotenza. Il dato concreto, attuale e storico, è che, mai
come in questi giorni, la Palestina è tornata al centro del mondo, e mai
Israele si è trovata in tale stato di rigetto e isolamento. Oggi lo Stato
sionista si ritrova in una vera e propria crisi esistenziale, Stato
pariah a livello mondiale, prossimo all’implosione per lacerazione politico-sociale
interna, con scale gerarchiche sociali e confessionali che dividono e minano
ogni coesione (arabi, europei, drusi, beduini, ashkenaziti, sefarditi, neri
africani, immigrati asiatici schiavizzati), insicurezza che costringe a vivere
nei bunker parte della propria vita, flusso emigratorio che supera
l’immigrazione, ritiro di investimenti industriali, finanziari, tecnologici,
esercito minato da suicidi in serie, diserzioni di massa, stress
post-traumatico collettivo e, peggio di ogni cosa, discredito universale.
Le opinioni espresse nell’intervista sono esclusivamente
dell’intervistato e non riflettono necessariamente la linea editoriale del
Corriere delle Città. In ogni caso ringraziamo Fulvio Grimaldi per la
disponibilità e il punto di vista alternativo che con il suo enorme bagaglio ha
contribuito a portare su questo giornale. La nostra redazione è aperta al
dialogo con chiunque.
Tags: antisemitismo, conflitto, Fulvio Grimaldi, governo, Hamas, Israele, manifestazioni, media, Milano, Palestina, resistenza, scontri
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