lunedì 18 agosto 2025

Mondocane video, canale Youtube di Fulvio Grimaldi --- Da Gaza allo zoo, al vertice Trump-Putin, a Schillaci-No Vax, a Pippo Baudo santo subito. Cose raccapriccianti.

 



https://www.youtube.com/watch?v=hGnegwFO6xA&t=160s

https://youtu.be/hGnegwFO6xA

 

NON SI UCCIDONO COSI’ ANCHE GLI ANIMALI?

 

Correggo subito un errore. Nel video riferendomi a una recente trasmissione RAI ho sbagliato il titolo: è “Evviva”, non “Vivere”. Scusate.

Nel video, ci si muove, costernati e incazzati, tra una serie di fatti raccapriccianti, capitati tutti uno addosso all’altro e strettamente imparentati, poi coronati dalle fastose celebrazioni di alcuni gatekeeper fatti “padri della patria”.

Raccapricciante 1

Gli psicopatici onanisti suicidi europei, assetati di sangue da far versare a tutti noi per far tracimare i forzieri dei loro mandanti armaioli, si accontentavano di far fuori Putin, ma ora si illudono di poter far fuori anche Trump. Che se lo merita, ma non per i motivi per i quali è odiato da questi imbecilli. L’idea di pace, che il sangue di ucraini non possa continuare a farsi alluvione e quello dei russi non continuare a irrorare la loro terra in nome di libertà e giustizia, con ciò seccando le loro economie capitaliste stupide e malate e  bloccando l’ultima Thule della riproduzione dell’accumulazione, li manda fuori di testa. Gli prospetta la fine e si dibattono nelle spire di fetori di morte. Sanno che è la loro.

Raccapricciante 2

Negli zoo di Copenhagen e Norimberga, collocati in due tra i paesi dai governi più guerrafondai del mondo, si pratica il cannibalismo. In Danimarca, c’è il classico marcio. Per nutrire i propri animali carcerati e spendere poco, si macellano cani, gatti, conigli, criceti, donati da famiglie che se ne trovano oberate o infastitide. In Germania,  rinunciando alla fatica della sterilizzazione, si preferisce macellare 15 babuini risultati da eccesso di riproduzione e insufficienza di spazi, per darli in pasto ai propri ergastolani carnivori. Tout se tient. Si risparmia sull’acquisto di cibo, si evita che animali domestici, animali “d’affetto”, siano abbandonati sull’autostrada e possano essere di intralcio al traffico.

Non siamo forse figli, almeno cinematografici, del retaggio storico della “Nuova Frontiera”, del West da conquistare, degli indigeni da gazificare, dei bisonti da ridurre da 30 milioni a mille, in modo da privare i nativi di cibo, strumenti, tende, abbigliamento? Non siamo cresciuti tutti col John Wayne del “vado ammazzo e torno” e poi, da copioni, con Bud Spencer e Terence Hill, del “vado, ti spacco la faccia e torno”? Dov’è che Israele ha imparato la sua tecnica? Ad Auschwitz, o dalle praterie del West?

Allora, però, al tempo del ghetto di Varsavia, quando gli venne inflitto ciò che ora, centuplicato, praticano sui palestinesi, ebrei si rivoltarono e combatterono. Avevano un’idea: “Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio”. Quella tiene viva la Palestina da quattro generazioni e viene chiamata terrorismo. I fascisti non chiamavano “Banditen” i partigiani. Ma quelli non si fecero impressionare. Come Hamas.

E ci vuole quella mia ex-amica di Gaza, Aya Ashour, ora ospitata all’università di Siena e dal Fatto Quotidiano, con tutta la sua grande famiglia lasciata in una tenda sotto le bombe, per scrivere di Hamas, come ne dice Netaniahu. Aggiungendo che forse il 50% dei Gazawi vorrebbe, come lei ha fatto, abbandonare Gaza. Lo dice riferendosi a chi, per restare su quella terra, si nutre dei suoi sassi e della sua erba.

Raccapricciante 3

Non siamo anche quelli della SCIENZAAA !!! ? Tutta maiuscola e nessuna come lei e peste colga chi ne studia e presenta un’altra. E i due esimi e prestigioisssimi scienziati, rappresentanti di una comunità che ha giudicato la gestione, ovviamente sperimentale sul popolo cavia, del golpe Covid-vaccino-test, una pazzesca boiata, altamente fascista e altamente remunerativa, sono stati tolti di mezzo. Due eminentissimi scienziati liberi, Eugenio Serravalle e Paolo Bellavita, che avevano bucato il pallone di gas tossico lanciatoci dalla dittatura farmacopoliziesca, fuori dalle palle.

Non vengano a fare le bucce agli eroi del lockdown, a chi li faceva morire in solitudine negli ospedali, a coloro che cacciavano dal lavoro chi pretendeva di scegliere, ai rincoglioniti sui balconi dell’”Andrà tutto bene” Niente voce dissonante nel Gruppo di lavoro governativo sulle vaccinazioni. Dio sarà uno, ma anche trino. La Scienza no. L’uomo sul Quirinale l’ha detto. I più scomposti nell’urlarlo sono quelli con la maschera rosso-rosa. Possiamo forse rischiare di mettere in difficoltà che ha compiuto la più riuscita operazione di disciplinamento sociale dai tempi del 1922?

Celebrazione dei gatekeeper

E poi c’è Pippo Baudo, padre e madre della Patria come Mike Bongiorno, Raffaella Carrà, l’ancora in attesa di canonizzazione Carlo Conti e tanti cloni. Hanno fabbricato uno sproposito di glorificazione che neanche Padre Pio, nel senso della totale mancanza di proporzione per un presentatore di spettacoli leggeri e leggerini, che ha contribuito a mantenere l’Italia e la sua popolazione in condizioni di narcosi beata e inconsapevole, mentre l’élite capitalista multinazionale operava a suo danno. Si può capire il fervore delle celebrazioni, commemorazioni, elucubrazioni, con tanto di uomo del Colle e funerali di Stato. Chi mai ha fatto tanto per una normalizzazione, nella stagnazione degli spiriti, dei comportamenti, dell’accettazione di chi pilotava il bastimento, da Cossiga a Berlusconi a Draghi?

C’eravamo passati con Mike Bongiorno, poi, con una corsa frenetica alla santificazione immediata di una ballerina senza un grammo di spessore culturale o sociale, ma diventata patrona d’Italia al posto di Santa Caterina.a forza di tuca tuca e di fare l’amore da Trieste in giù. Postume onorificenze al merito del gatekeeping e, in altre parole, affascinanti armi di distrazione di massa. Sono quelli che ci cantavano la ninna nanna, mentre fuori dalla porta avevano messo il cartello “Non disturbare”.

A questo punto non ci resta che chiederci con ansia, ma quando poi morirà, dio non voglia, magari dopo il terzo o quarto settennato, l’imperatore dei nostri gatekeeper, il frontman della guerra a quei similnazisti di russi, guidati da quel simil-Hitler di Putin, il capo  supremo tricchebalacche delle celebrazioni baudiane, cosa mai succederà in questo paese?

 

 

martedì 12 agosto 2025

YT Mondocane Video di Fulvio Grimaldi --- Gaza, ultimi 6 giornalisti ammazzati, 150.000 morti almeno…--- COME LA METTIAMO TRA ISRAELE, NETANIAHU, EBREI, SIONISTI, ANTISEMITISMO? E HAMAS?

 



https://www.youtube.com/watch?v=LwnygIhyC8I

https://youtu.be/LwnygIhyC8I

 

Sul Fatto Quotidiano, di cui mi sono occupato poco fa, ci sono due corrispondenti sulla questione Israele-Palestina, una da Tel Aviv, Manuela Dviri, e una, Aya Ashour, che era a Gaza e oggi è in Italia, ospite dell’Università di Siena.

Tutte e due brave e tuttavia, per me, discutibili in quanto emblema della società israelo-ebraica e di come questa vive tempi di vera e propria apocalisse sotto casa. Poi c’è Anas Al-Sharif, il giornalista di Al Jazeera trucidato insieme a cinque colleghi da un missile israeliano mirato alla tenda dove si sapeva lavorare la redazione dell’emittente qatariota. Nessuno più illustrerà cosa Israele fa a Gaza. Allo Stato sionista è costato già troppo. Forse tutto.

Manuela Dviri è la classica interprete dello spirito travagliano sulla questione Israele-Palestina. Nelle sue corrispondenze, animate da forte polemica anti-Netaniahu, si illustra con grande evidenza la protesta dei famigliari dei prigionieri israeliani in mano ad Hamas e si deplora l’atteggiamento rinunciatario del regime nei loro confronti. Ultimamente, alla denuncia della sorte degli “ostaggi”, si sono aggiunte quelle delle difficili, a volte disperate, condizioni dei soldati di un IDF, caduti, mutilati piscologicamente, suicidi, negli incessanti tentativi di conquista di Gaza. Su questo tema, trattato di fretta, gli approfondimenti migliori, però, sono quelli di Haaretz e di altri quotidiani israeliani.

E’ totalmente assente, nelle denunce e nelle deplorazioni di Dviri un anche minimo riferimento alla sorte del popolo di Gaza, tantomeno a quella dei palestinesi di Cisgiordania, destinatari di analogo genocidio, per ora in forma strisciante. Silenzio totale.

Quella della corrispondente da Israele del Fatto Quotidiano rispecchia con assoluta fedeltà ciò che numerosi sondaggi ci dicono essere l’atteggiamento della stragrande maggioranza degli occupanti della Palestina, sette milioni di immigrati, invasori, occupanti, compresi quelli caduti nella battaglia del 7 ottobre, tra i quali, in quasi due anni, non è mai apparsa l’ombra di un movimento, un gruppo, un nucleo, che chiedesse la fine del genocidio.

Questo a dispetto del coraggio e della forza morale e correttezza politica di tantissimi ebrei della diaspora, compresi illustri studiosi ancora residenti in Israele, che incessantemente si impegnano nella denuncia degli orrori di Israele sionista e dell’incommensurabile e inammissibile sofferenza del popolo palestinese, con i legittimi diritti alla sua terra. Mi vengono in mente nomi come Ilan Pappè, Norman Finkelstein, Shlomo Sand, Moni Ovadia, Jeff Halper, che ho visto opporsi fisicamente alla demolizione di case palestinesi, Gilad Atzmon, tanti altri, tutti molto distanti da Liliana Segre, le cui posizioni e la cui nomina a senatrice a vita trovo immeritevoli dei consensi che ricevono.

Per le cronache da Gaza, nel “quotidiano diverso”, c’era e c’è, ora dall’università di Siena, Aya Ashour. Con grande e commovente sapienza narrativa, trasmettendo via social sotto le bombe e fuggendo di tenda in tenda, ha riferito quanto di enorme, di orribile, di infame andava succedendo nella guerra genocida lanciata sul pretesto dell’incursione di Hamas del 7 ottobre nei territori occupati vicini alla Striscia. Dando parole alle immagini che i 230 giornalisti palestinesi uccisi ci inviavano a costante sfida, persa, della vita. Ho avuto un denso scambio epistolare con la giovanissima Aya, in cui le ho espresso la mia ammirazione e la mia riconoscenza per quanto andava facendo, anteponendo la denuncia di immani sofferenze e relative colpe, alla cura di sé e della sua famiglia.

Me le ho espresso anche altro. Quanto mi sta a cuore, come tutti i miei interlocutori sanno bene, la mancata completezza del racconto sulla Palestina, dalle origini all’oggi di quella che si teme voglia essere una conclusione. Ciò che ci parla della nobiltà, dell’immane coraggio, dei successi, dell’imprescindibile necessità storica, politica, biologica, morale, della Resistenza. Di quella di Hamas, Jihad, FPLP, dei Comitati Popolari. Di chiunque lanci un sasso, un bastone, come Sinwar, un razzo, un ordigno esplosivo, una pallottola.  E, implicitamente, della necessità di qualunque resistenza nel mondo, in quanto diritto indistruttibile di qualsiasi individuo, o comunità, sottoposti a dominio, oppressione, discriminazione, esclusione, sfruttamento. Genocidio, che permette tutte le forme di contrasto. Proprio tutte.

Un’assenza determinata da ignoranza, nel migliore dei casi, da opportunismo, da giustificato, ma non perdonabile, timore di ritorsioni di regime (vedi la qualifica di organizzazione terrorista inflitta dal regime di Starmer all’associazione non violenta “Palestine Action”, insieme alla media di 30 arresti al giorno di contestatori del genocidio israeliano). Mi è stato risposto con toni e argomenti non dissimili da quelli utilizzati dalla propaganda sionista, quando a Aya ho chiesto di parlare della resistenza che il popolo di Gaza esprime. Una resistenza che, durando in condizioni impossibili da 22 mesi (senza aggiungere i vent’anni di assedio, blocco, carcere a cielo aperto e ripetute aggressioni) grazie all’evidente sostegno del popolo, riesce a impedire la vittoria e tutti degli obiettivi postisi dalla giunta di Netaniahu, come ribadisce Haaretz.

A parallelo di questo, pongo quanto succede inevitabilmente, ancora oggi, quando si ricorre agli innegabili e condannabili errori, colpe, delitti, ingiustizie, eccessi, commessi da elementi, o formazioni, partigiani nella guerra di liberazione, per uno sbilanciamento del giudizio sulle responsabilità dalla parte che offende, nel contesto i nazifascisti, a quella che combatte l’offesa, i partigiani. Aya ha lasciato a Gaza, nelle tende sotto bombardamento, le sue sorelle, i genitori, nonni e altri congiunti della sua grande famiglia. Grazie alla diplomazia italiana, al Fatto Quotidiano e all’Università di Siena, ha avuto il lasciapassare per sottrarsi al genocidio, una casa, un impiego, la sicurezza. Nessuno gliene vorrebbe.

Anche se non mi sembra di gran buon gusto l’apodittica e indimostrabile affermazione, da Aya pubblicata sul FQ, che metà dei palestinesi di Gaza vorrebbero lasciare la striscia. E’ per questo che, morti di bombe, sete, fame, i gazawi da due anni si rifiutano di andare nel Sinai, o in Somalia, o in Indonesia. E non fuggono. E restano insieme. E scelgono di restare all’inferno. Sapendo che, comunque, chi combatte ha rimesso loro e la Palestina al centro del mondo. Condannando all’estinzione, fin da subito morale, i loro carnefici.

Detto, ripetuto, ribadito ed enfatizzato questo, passiamo al problema generale, che nel caso ebrei, si fa specificissimo. Sulle generalizzazioni, molto comuni e troppo facili, spesso disputo con amici e compagni: “gli americani”, “gli inglesi”, soprattutto dopo Hitler “i tedeschi (dei quali poi sono parzialmente consanguineo), ma anche “gli adulti”, “i ragazzi”, “i governi” e, spesso, le colpe dei governi che vengono fatte ricadere sui loro cittadini o sudditi. Poi le categorie, “i medici”, “gli insegnanti”, nel ’68-’77 “gli studenti”-“gli operai”” (onore sempiterno a loro!), “gli architetti” (mortacci loro, quelli definiti “star”), eccetera, eccetera.

Sulla bocca di tutti sono gli ebrei. Quelli che nella sua lettera a Travaglio, come ricordato in un mio precedente pezzo, l’onesto lettore sospetta di un imprinting che susciterebbe le storiche e attuali negatività, ostilità, persecuzioni, di chi vi si deve confrontare. Per alcuni, come tale Maurizio Molinari di Repubblica, o Paolo Mieli del Corriere, o l’innominabile che dirige Il Giornale, tale è la frustrazione per non trovarsi, mitra o F-35 in mano, a Gaza davanti a una folla di bambini che chiedono pane, da proporre in compenso Netanyahu, Smotrich, Ben Gvir, alla prossima canonizzazione, o al prossimo Premio Nobel della Pace (per niente impossibile: conferito a Begin, Kissinger, Walesa, Obama…).

Anche qui ogni generalizzazione è arbitraria e offensiva. Basterebbe un solo Pappè, o un solo giornalista di Haaretz (che, a sfida di alluvioni di menzogne e di rappresaglie, dimostra che, il 7 ottobre, a uccidere israeliani furono soprattutto tank ed elicotteri israeliani), o un solo David Morgenstern di Tel Aviv che si rifiuta di servire nell’IDF, a sbugiardare il generalizzatore.

Resta il problema di come si proporzionino tra loro, i membri della giunta di Netaniahu, i generali dissidenti dell’IDF, gli israeliani, gli ebrei della comunità internazionale, gli ebrei compagni della porta accanto, quelli di Noemi di Segni, o di Riccardo Pacifici. Però fa egemonia una domanda: cosa aspettano gli ebrei di Israele a vedere che lì, a poche centinaia di metri, l’olocausto dai loro predecessori subito è oggi ripetuto ai danni di coloro sulla cui terra e sulle cui macerie essi, nuovi arrivati, hanno eretto le proprie case?

E, soprattutto, che differenza vedono tra i loro antenati di Varsavia, rivoltatisi in forze contro chi ne distruggeva habitat e vita, per “morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio”, e chi si rivolta in forze a Gaza?

 

domenica 10 agosto 2025

Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… CARO TRAVAGLIO

 


Caro Direttore,

A scopo di chiarezza e di onestà d’intenti premetto: meno male che esistono il Fatto Quotidiano, il suo direttore, e sue punte di diamante della categoria, quali Luttazzi, Ranieri, Robecchi, Basile, Palombi, Barbacetto e quasi tutti gli altri.

Ti rinnovo la stima e la riconoscenza per quello che tu e il tuo giornale fate per contrastare e battere il pianificato degrado dell’informazione nella nostra parte di mondo. Questo mio apprezzamento è condiviso dalla maggioranza dei miei interlocutori. Per evitare il rischio, umanamente comprensibile, dell’accettazione acritica di una tua clamorosa, ma non inedita, deviazione da quella che è una riconosciuta correttezza storico-professionale, tanto sorprendente quanto gravida di deformazioni cognitive, mi premetto di diffondere questa lettera. Serve per rimediare, con una divergenza dettata dalla realtà storica e attuale, alla sua eventuale mancata pubblicazione.

 

Nel tuo editoriale e in una tua risposta al lettore Giovanni Marini del 9 agosto, vanno rilevati errori e falsità di una portata inconciliabile con la precisione e onestà con la quale sei solito affrontare questioni politiche e storiche. E’ sorprendente come, in un giornalista di eccezionale correttezza e competenza, possa aver prevalso sulla realtà lapidaria dei fatti un approccio preconcetto, antiscientifico, determinato forse da trasporto sentimentale.

Nell’editoriale ci sono affermazioni apodittiche che utilizzano il solito scudo Netaniahu a copertura di una storia quasi centenaria di illegalità, abusi, crimini etnici, per cui si rimprovera la mancata distinzione tra ebrei e israeliani e tra israeliani e il loro governo. Peccato che la quasi totalità della comunità ebrea internazionale supporta, se non la giunta politico-militare dell’”unica democrazia in Medioriente”, però quanto questa va infliggendo dal 1947 ai legittimi titolari di questa terra. Peccato che ripetuti sondaggi appurano che dai due terzi ai tre quarti degli ebrei israeliani condividono quando la giunta va facendo in Cisgiordania e Gaza.

 

Ne porti un esempio sul tuo giornale con le corrispondenze dell’israeliana “anti-Netaniahu” Manuela Dviri: lacrime sugli ostaggi e sui soldati IDF, ciglio asciutto, anzi cieco, su 2 milioni in corso di eliminazione e 10.000 “ostaggi”, spesso torturati, detenuti al di fuori di ogni legittimità, nelle carceri israeliane. Una distinzione diventa difficile.

Quanto alla risoluzione ONU sui due Stati, che tu rivendichi fu una decisione a maggioranza dell’assemblea generale dominata dagli USA, che così evitarono la legittima risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Una spartizione che assegnava alla minoranza immigrata ebraica la maggioranza del territorio. I governi arabi che, secondo te, “scatenarono quattro guerre in 25 anni per cancellare Israele”, intervennero, prima, per fermare il terrorismo ebraico di Irgun e Haganah contro villaggi palestinesi. Poi tre volte aggrediti con operazioni pirata e attentati, prima di rispondere (io c’ero), per evitare che fosse cancellato il popolo arabo di Palestina da coloro che definisci “politici illuminati della sinistra socialista” (sinistra socialista de che, Direttore? che escludeva non solo dal socialismo, ma dal diritto a restare e vivere, sette milioni di autoctoni).

Sì, politici illuminati sulla via del Grande Israele, pianificato da Ben Gurion, Golda Meir e relativi mandanti del recupero colonialista, attuato dai successori a spese di milioni di titolari di quella terra espulsi e centinaia di migliaia di arabi trucidati sul posto e in vari paesi.

 

Politici illuminati della sinistra socialista, che affidavano a ufficiali dell’esercito vincitore della Guerra dei Sei Giorni (preceduta dalla distruzione a terra, in tempo di pace, dell’aeronautica egiziana e siriana) la guida di comitive di giornalisti nella visita ai territori conquistati e alle popolazioni sconfitte. Avevo contestato uno di tali ufficiali per avermi indicato i corpi di soldati egiziani in decomposizione, lasciati ai lati della strada verso Gaza, con il commento “L’unico arabo buono è l’arabo morto”. Commento poi da me ritrovato sui muri delle case palestinesi saccheggiate dall’IDF durante Piombo Fuso, 2009. E avevo criticato gli insulti che aveva poi abbaiato contro gli amministratori palestinesi di Rafah, schierati contro un muro. Me ne vennero le percosse di quell’’ufficiale e poi l’espulsione dal paese. E Netaniahu ancora non c’era. C’erano gli illuminati politici socialisti di sinistra…

Esalti come generose concessioni dello Stato colonialista etnico e repressivo i trattati di Camp David e Oslo che, sul terreno, confermarono, a una dirigenza palestinese mutatasi in collaborazionista a tradimento di un popolo impegnato nella resistenza nelle sue varie forme, tutte legittime, delle Intifade e della lotta armata, l’occupazione militare sotto farlocche forme di amministrazione civile dei collaborazionisti. Sarebbe stato il 96% e poi il 100% dei territori occupati. Quelli incessantemente riempiti da insediamenti di fanatici coloni armati e frantumati in piccole riserve indiane da un sistema viario che esclude accessi e connessione.

 

Quanto alla “democrazia” garantita dal fatto che “politici, giornali, intellettuali, militari, magistrati e cittadini contestano il governo”, forse andrebbe rilevata l’inezia razzista di una democrazia riservata agli occupanti e garantita da un muro di divisione alto 9 metri e da sistematici raid e razzie contro quanto resta delle comunità palestinesi, titolari millenari di quella terra.

Potrei aggiungere una considerazione storica che ti sfugge completamente. Chi, tedesco, polacco, russo, statunitense, britannico, francese, giunge in quella terra, se ne appropria e ne caccia o uccide i titolari millenari, non ha alcun rapporto storico con esso e tanto meno alcun diritto a intestarselo. E’ una abnorme operazione colonialista di un colonialismo europeo sconfitto e rilanciato dagli USA, priva di ciò che fonda nazioni e relativi Stati: la comunità storica, etnica, magari plurietnica, culturale, linguistica, territoriale. Qui invece abbiamo una struttura fondata sull’inedito principio della comunità confessionale, corroborata dall’invenzione di una discendenza, raccontato da un libro di leggende, da una tribù di aggressivi nomadi alla caccia di popoli e della loro terra. Domani ci sarà qualcuno che pretenderà uno Stato in Friuli per gli Avventisti del Settimo Giorno.

 

Passiamo alla lettera del tuo lettore e all’affinità che rispettosamente affermi tra costui e i nazisti di Hitler.

Giovanni Marini esprime un pensiero che legittimamente accompagna molti e anche i migliori di noi quando coltivano il dubbio socratico: c’è qualcosa nel comportamento degli ebrei attraverso la Storia che li caratterizza e che potrebbe determinare un giudizio negativo, l’antisemitismo? L’usura a loro riservata e ai cristiani ipocriticamente inibita e che si perfeziona oggi con il ruolo guida del più vorace capitalismo e il controllo quasi totale della finanza e di buona parte dell’economia in Occidente? L’indubbio settarismo confessionale che diventa di comunità separata da tutte le altre in ogni contesto nazionale e che su questo prevalgono? La creazione di una statualità in Israele fondata sull’apartheid, vale a dire sull’eccellenza della componente fattasi maggioritaria e, con la convinzione, aristocratica e biologicamente ingiustificata, dell’unicità assoluta, garantita da un dio esclusivo autonominato e garante, a imitazione di quello predatore della bibbia, del diritto a prevalere su chiunque altro in assoluta impunità: “Gott mit uns”?

 

Il tuo lettore si pone una domanda incisiva e forse decisiva e che riporta alle mie considerazioni sulla tua collaboratrice israeliana: perché questo popolo è inerte (se non complice) di fronte al genocidio operato dai suoi dirigenti e ora perpetuato dai 900mila coloni invasori dai metodi e propositi nazisti?

Direttore, tu rispondi con un sillogismo: “Chi subì il genocidio è morto nei lager, quindi oggi non può compiere alcun genocidio”. Peccato, però, che i genocidati di allora siano presi a pretesto (vedi Finkelstein: “L’Industria dell’olocausto”) e quindi rimessi in azione, per il genocidio di chi se ne dice l’erede. E, visto che condanni addirittura l’ipotesi provocatoria che il lettore pone, alla luce dei fatti, circa un sionismo, forma di imperialismo razzista, come imprinting innato, non credo che dovresti, prima di salvarti l’anima con il Netaniahu che definisce terroristi tutti i palestinesi, chiederti come mai costui governa, in democrazia, da trent’anni. E viene contestato solo perché non libera gli “ostaggi”.e sacrifica il suo esercito contro una Resistenza di popolo invincibile. Resistenza ovviamente “terrorista”.

 

E poi, cosa diceva Agata Christie, che tu indubbiamente apprezzi, caro direttore? Due indizi, tre indizi… Qui gli indizi sono tanti quanti i giorni dell’occupazione israeliana della Palestina. E anche di più, quando penso al ruolo di Microsoft, Google, Meta, Amazon, X, Apple, Palantir…. con i loro staff di (ex)agenti Mossad, Shin Beth, IDF.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 8 agosto 2025

YT-Canale Youtube “Mondocane Video” di Fulvio Grimaldi --- Il 7 ottobre come l’11 settembre. E c’è chi ancora ci casca --- TERRORISTA A CHI?

 


https://www.youtube.com/watch?v=t_ZqRFMFsbk&t=58s

https://youtu.be/t_ZqRFMFsbk

 

 

Dove ci si chiede, ma il pesce puzza dalla testa, come tutto sta a dimostrare, o dal corpo, come ci vogliono far credere?

Allora in primis: demattarelliziamoci. In secundis defascistizziamo lo Stato. Naturalmente si tratta di procedimenti politico-culturali, non essendoci a disposizione brigate Garibaldi, ma che intanto rafforzano un elemento indispensabile: la consapevolezza dalla quale fiorisce l’autonomia di giudizio. E, magari, l’azione

La prima consapevolezza è che questo Capo dello Stato, con la disponibilità a firmare qualsiasi provvedimento di una banda di malfattori, dilettanti allo sbaraglio, scappati di casa, è un “rappresentante di tutti gli italiani” che non ne rappresenta due terzi, i quali drasticamente lo disconoscono quanto a giudizi sul Rearm Europe e su quanto è giusto o sbagliato in Ucraina. La seconda è che questo governo di reggicoda delle tirannie politico-economiche del complesso atlantico-sionista vale, forse, il 25% degli elettori italiani. Sono appunto coloro che, tenendo conto degli astenuti bipartisan disgustati, lo hanno votato.

Poi c’è la questione, di più arduo superamento, della misura in cui coloro che queste consapevolezze le hanno raggiunte, restano tuttavia imbrigliati nelle megatruffe fondate sulla distorsione di una realtà fatta passare per verità, giustizia, morale. E qui siamo appunto al vecchio, ma tuttora intossicante, 11 settembre e al più recente 7 ottobre nella Palestina occupata. Tutto quello di orribile, senza precedenti, neanche nella storia dei lager nazisti, Israele sta facendo con il suo esercito (che si squaglia, a Gaza appaiono mercenari colombiani e ucraini)) e i suoi coloni nazisti, viene giustificato con le “atrocità dei terroristi di Hamas” in Israele (?) il 7 ottobre 2023. A perfetta imitazione delle guerre di sterminio lanciate da vari presidenti USA, e dai loro danti causa, sulla base della truffa colossal dell’11 settembre 2001.

Ma mentre quest’ultima ha già subito la disintegrazione dalle manifeste assurdità tecniche della versione ufficiale, prima ancora che dalle inchieste di 3000 esperti, ingegneri, architetti, costruttori, su quella del 7 ottobre ci si attarda a fornire, perfino dal fronte antisionista, un assist inconsapevole, ma micidiale, al genocidio che da quell’evento trae pretesto.

Nel video i dettagli e i responsabili di questa desolante vicenda, frutto di superficialità e subalternità alla propaganda. Una propaganda che, a quanto pare vanamente, i migliori investigatori, anche israeliani, hanno dimostrato basata sul rovesciamento dei fatti. A partire dai morti tutti attribuiti ai combattenti di Hamas, la cui operazione era finalizzata a catturare prigionieri (coloni armati insediati in Palestina), per scambiarli con una quota dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, spesso minori, senza processo e torturati (700.000 dal 1948). Operazione con armi leggere, alla quale un comando israeliano, colto impreparato, ha reagito con il fuoco all’impazzata di tank e elicotteri.

Trovandoci nella ricorrenza di Hiroshima e Nagasaki, bomba fine del mondo a guerra praticamente vinta, dedichiamo un pensierino comprensivo a quelli, come Giorgio Zanchetti (RADIORAI1, Radio Anch’io), che ribadiscono come quelle bombe siano servite, non a imporre al mondo un’unica potenza dominante su tutto e mettere in riga l’URSS, ma per “risparmiare altre vita”! E’ l’occasione per ricordare che gli USA, tra guerre, colpi di Stato, dittature sanguinarie, rivoluzioni alla Maidan, dal 1945 a oggi, hanno aggiunto ai circa 300.000 di Hiroshima e Nagasaki, altri 50 milioni di morti. E ancora altri cinquanta milioni come risultato delle sanzioni condivise con l’UE. Simpatici alleati in democrazia.

A coloro per i quali Hamas è sinonimo di terrorismo, punto, facciamo un breve riassunto della storia di questo partito che ha vinto le ultime elezioni tenute in tutta la Palestina occupata, in virtù del fatto che ha dato corpo e prospettiva, dopo la resa dell’ANP di Abu Mazen, all’unico modo che storicamente risulta valido per la liberazione da un oppressore fascista o colonialista.

Il resto non è noia, ma il caso Almasri reso possibile dalla profonda affinità ideologica e morale tra il regime di Tripoli e quello Meloni-Crosetto-Piantedosi-Nordio e vuoti spinti vari.

 

martedì 5 agosto 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico---- Da Ben Gurion a Netaniahu: il passo più lungo della gamba---- GRANDE ISRAELE, GENOCIDIO O SUICIDIO?

 

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico

Da Ben Gurion a Netaniahu: il passo più lungo della gamba

GRANDE ISRAELE, GENOCIDIO O SUICIDIO?

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fulvio_grimaldi__da_ben_gurion_a_netaniahu_il_passo_pi_lungo_della_gamba__grande_israele_genocidio_o_suicidio/58662_62272/

Dall’occupazione all’annessione

Ce n’est que un debut. Permettetemi la blasfemia di adattare una parola d’ordine che aprì un tempo di liberazione e giustizia a qualcosa che ne è l’opposto: schiavitù e crimine. Cioè Gaza. E non solo.

Ci vuole tutta l’insolenza accompagnata ad abissale ignoranza - i due binari sui quali viaggia l’intera nostra compagine governativa - del trovatello berlusconiano che un prodigio neofascista ha fatto diventare ministro egli Esteri, per esigere (!) che, prima di venire ad esistenza, lo Stato palestinese (che non c’è) debba riconoscere lo Stato israeliano che c’è da ottant’anni. Con la consapevolezza di chi è convinto che non ce n’è per nessuno, Tajani sorvola sul dato granitico del riconoscimento solennemente dichiarato, nel 1993, dalla massima autorità palestinese, l’OLP di Arafat. Un leader, già ridimensionato dalla cacciata da Beirut, rannicchiato in esilio a Tunisi, che si rassegna a coronare l’ennesima turlupinatura sionista, della quale non verranno mai rispettate neanche le forme.

Questa manifestazione di competenza ed arguzia diplomatica, Tavjani l’ha espressa, con il tempismo che rivela la sua oculatezza diplomatica- Erano le ore in cui si materializzava la presunta elucubrazione onirica di Trump dell’oscena “Riviera di Gaza”, apparecchiata, a forza di cocktail e aragoste, per Bibi, Donald, loro consorti e altri della Fratellanza Epsteiniana, Quelli da Bibì tenuti ferreamente per i santissimi in virtù dei ricattini sexy allestiti dal pedofilo ebreo (ovviamente suicidato) su mandato del Mossad.

 “Gaza riviera, dalla visione alla realtà” è la solenne dichiarazione, a fine luglio, di una determinante quota di parlamentari e ministri Knesset, riferendosi, appunto, al futuro distopico di una Gaza dove fame, bombe, veleni, cecchini anti-bambini, avranno fatto togliere il disturbo a un residuato di pezzenti umanoidi sgraditi a Jahvé. Ben Gvir: “Nessun negoziato (altro che Hamas indisponibile), occupazione e incoraggiare l’emigrazione”.

 Riviera Gaza

 Scansando l’ironia, con la quale cerchiamo di dribblare l’orrore, il ribrezzo e l’indignazione, ricordiamoci che Gaza del libro “Palestina 1947-2025” è solo il capitolo più sanguinolento, ora finalmente letto ad alta voce da tutta una serie di pali, complici e addirittura sicari politici (i silenzi, le fughe, o le baggianate di Tajani), militari (i nostri contributi alla tecnologia dello sterminio), mediatici (i nostri mainstream). Capitolo recitato a voce alta quanto basti a silenziarne gli altri di un tomo tanto pesante da contenere un secolo e mezzo Medioriente.

Il preventivo è l’occupazione, il consuntivo l’annessione. Ci siamo. Per quella di Gaza hanno già fatto circolare il rendering. Quella della Cisgiordania è in stato avanzato e legittimato da autorità ministeriali. L’occupazione del Sud del Libano fino all’acqua del prezioso fiume Litani, è garantita dal nuovo ordine stabilitosi a Beirut a seguito dell’indebolimento di Hezbollah e grazie ai “cessate il fuoco” per i quali Israele rade al suolo ogni due per tre pezzi di Beirut e Libano.

Nella fiammata di attenzione iniziale, ci siamo meravigliati come la Comunità Democratica, che aveva  posto (ipocrite) taglie sulla testa dei tagliateste Al Qaida-Al Nusra-Isis-Daesh- Hayat Tahrir al-Sham (HTS), precursori dell’IDF di Gaza, li avesse poi ritrovati a Damasco in cravatta, riconosciuti, applauditi e accolti. La meraviglia si è dissolta a forza di diverse migliaia di assassini perpetrati dai “liberatori da Assad” ai danni di alcune minoranze riottose: Alawiti sciti, prima, drusi semi-sciti e beduini sunniti, poi. Condizione ideale perché Israele potesse proseguire nella scrittura di quel famoso tomo. Del resto, c’era poco da meravigliarsi alla luce di come la gramigna del jihadismo sia stata seminata, concimata, addestrata, finanziata per tutte le guerre coloniali e imperialiste che la combine USA-UE-Sion ha preferito delegare, piuttosto che rischiare contraccolpi come per il Vietnam.

Netaniahu visita feriti Isis sul Golan

Mosul, Isis giustizia un prigioniero

Un passo indietro. In effetti tutto inizia nel 1948, quando un’assemblea ONU, a ciò non titolata, assegna alla minoranza immigrata ebraica la maggioranza della Palestina storica e quando tale minoranza, super-armata dai suoi mandanti, inaugura l’epoca del terrorismo bruciando villaggi e spedendone nel vuoto la popolazione. Nel 1967, poi, viene scritto un altro capitolo, programmato da lunga pezza.

Sono inviato di Paese Sera alla Guerra dei Sei giorni, giugno 1967. L’esercito egiziano, preso alla sprovvista grazie alla distruzione preventiva della sua aeronautica, viene maciullata e ci basta un pullmino per accompagnare le truppe sioniste ad occupare Gaza e nel Sinai. Al centro del paese che gli ebrei, pensandosi nella bibbia, chiamano Giudea e Samaria, la presenza giordana dell’amico re Hussein fa finta di non esserci, scompare e la Cisgiordania è occupata. Preventivo che nei nostri giorni, con l’annuncio ministeriale dell’annessione, si fa consuntivo. Più tosta è a Nord, dove la tenuta della Siria, bestia nera irriducibile, dalla fondazione alla caduta di Assad, costringe il giornalista ad accompagnare le truppe ospitato sulla torretta di un carro armato. E si scrivono i capitoli Galilea e Golan.

Un passo dopo l’altro, tocca alla Siria

 Tank Israeliani verso il Golan

Dal quale Golan Israele che, millenarista, conosce i tempi lunghi, coglie oggi l’occasione per scendere e dilagare ulteriormente in Siria. Si assicura il controllo del triangolo cruciale del confine Israele-Libano-Siria (rifornimenti a Hezbollah e Assad) e l’acquisizione del sudovest del paese, proiettato verso Giordania, Arabia Saudita e Iraq. Anche qui, quanto ad attenzione mediatica, non si è andati molto oltre le bombe d’avvertimento a Damasco   e all’intervento di Tel Aviv in presunta difesa degli storici vassalli drusi. Ma in effettiva occupazione definitiva dell’area. Annessione in vista.

Mentre a forza di bombardamenti su capitale, palazzi del potere e ogni struttura e infrastruttura militare ereditata dalla Siria sgominata, si segnala ai vecchi compari terroristi che l’amicizia dura finchè conviene. I tempi in cui Netanyahu saliva sul Golan a salutare i feriti dell’ISIS curati in cliniche israeliane, sono passati. Ora il vecchio compare è di troppo.   Per i fascismi è fisiologico. Dunque lo è per Netanyahu e Trump.

Tutto questo viene scritto via via, sotto gli occhi dei contemporanei. Ma è la trascrizione sul terreno di quanto una dettagliata bozza, fatta conoscere solo agli intimi, aveva preannunciato e pianificato, con l’autorevolezza di chi si era assicurato immunità e impunità grazie ad olocausti subiti e potenza finanziaria costruita.

Il bombardamento di Piazza Omayyadi a metà luglio ha una portata simbolica: è il luogo dell’anima di Damasco, ospita il Monumento della Spada damascena e, ricordando il glorioso califfato Omayyade che si stendeva dai Pirenei alle steppe dell’Asia centrale, è   l’emblema della dignità e dell’orgoglio della nazione araba unita. Anatema per il colonialismo. Oggi per i sionisti. Ne serviva l’umiliazione.

Damasco bombardata

Una conquista che ha per meta Eretz Israele, il Grande Israele. Che è realistico pianificare al prezzo della frammentazione di ogni forma di unità araba, mirando ad annullare il dato storico e antropologico che si tratta di una civiltà unita da religione, cultura, lingua, volontà, ma capace di affermarsi nel segno del pluralismo e della convivenza etnica, confessionale, tribale. L’intervento deve essere, è stato, ed è tuttora, quello del divide et impera.

Occasione più recente, i drusi. Non ha, il ministro degli Esteri, Gideon Saar, detto che “l’idea di uno Stato unico e sovrano di Siria non è realistico”? E non aveva aggiunto Rami Siman, docente di Arte Militare a Tel Aviv, “La Siria è uno Stato artificiale. Israele lo deve far scomparire. Al suo posto ci saranno cinque cantoni”. E l’immancabile Bezalel Smotrich: “La guerra finirà solo quando la Siria sarà stata divisa”. Conclusioni logiche per chi, mandante e mandatario, aveva realizzato che mai lo Stato sionista avrebbe potuto, o dovuto, integrarsi nel mondo arabo e musulmano e che l’alternativa obbligata erano l’assedio, la conquista e la frantumazione.

Da Abramo, attraverso Herzl e Ben Gurion, a Netaniahu e ad…Abramo

  Grande Israele, fase 1 e fase 2

Tutto questo ha un retroterra, è la progressiva attuazione di quanto scritto nella bozza, intitolata ufficialmente “Grande Israele” e che prefigura una prima fase: la Palestina del mandato britannico, più quanto già incorporato nelle guerre a Libano, Siria, Egitto. Poi la fase seconda, sulla quale si lavora con più discrezione, ma con incorrotta fedeltà alle determinazioni degli autori della bozza.

Ricordiamo alcune di queste leggi post-e para-mosaiche dettate a chi, nella formulazione dei grandi padri della patria, non avrebbe mai dovuto essere difensivo, ma sempre offensivo, Theodor Herzl, Golda Meir e David Ben Gurion, tra gli altri. Così il fondatore dello Stato ad esclusività ebraica: “Nostro obiettivo è fracassare Libano, Transgiordania e Siria… Li bombardiamo, avanziamo e prendiamo Port Said, Alessandria e il Sinai… Dobbiamo creare uno Stato dinamico, orientato all’espansione… Non esiste una sistemazione definitiva… che riguardi il sistema di governo, i confini, (qualcuno specificava: “dal Nilo all’Eufrate”, Israele è totalmente priva di acqua), gli accordi internazionali”. Qualche decennio dopo, i neocon americani, sfruttando il loro 11 settembre, pianificarono la guerra a sette Stati della regione.

Golda Meir e Ben Gurion

Ancora Ben Gurion: “I confini delle ambizioni sioniste sono cosa del popolo ebraico, nessun fattore esterno li può ridurre”. Di questa strategia la Siria resta il gioiello della Corona. Dopo la disfatta dell’Iraq, è lo Stato arabo più progredito, confina con la Palestina che della storia e dello spirito siriani è parte. Israele coltiva con successo le minoranze curda e drusa, fino al punto di renderle proprio mercenariato. Lusingandone aspettative premiali, territoriali e di risorse, li si utilizza come cuneo per minare unità e coesione nella comunità nazionale. Tattica analoga utilizzata contro l’Iran, in collaborazione con USA, UE e relative ONG, utilizzando la leva armata delle minoranze curde, sunnite e beluci.

Tutto questo viene articolato dal consigliere di Ariel Sharon, Oded Yinon, nel famoso documento operativo del 1982: “Una strategia per Israele negli anni ‘80”. Vi si definisce la nazione araba, suddivisa dal colonialismo in 29 Stati, una struttura artificiale che concilierebbe l’inconciliabile e che andrebbe smantellata riducendola alle sue componenti tribali non statuali. Seguono le guerre a Iraq, Siria, Libia, rivoluzioni colorate in Egitto, Tunisia, Algeria, lo sfacelo del Sudan iniziato con il distacco del Sudan del Sud.

Nel quadro geopolitico così perseguito avevano assunto importanza strategica gli Accordi di Abramo, che sono tutto tranne accordi a favore della pacificazione della regione. Si trattava di posizionare Israele come centro economico, tecnologico, militare e di sicurezza della regione. Il solito Smotrich da a questa visione di Israele il significato di perno del nuovo ordine regionale. Suo l’onere e l’onore della difesa dalle minacce di Iran, Hamas e alleati. Israele fornisce la forza e i vicini pagano il tributo. Ovviamente non si tratta di partneriato, ma di dominio. Non integrazione, bensì appropriazione colonialista della politica, dell’economia, della sovranità.

L’inviato di Trump in Medioriente, Steven Witkoff, colui che ha accusato Hamas di sabotare una tregua per aver chiesto la fine dell’aggressione e la liberazione di prigionieri catturati a casaccio e detenuti senza accuse e processi, dà il suo contributo: ”Se tutti questi paesi collaborassero , potrebbero diventare più grandi dell’Europa… Possono lavorare nei settori dell’Intelligenza Artificiale, della robotica, del Blockchain”, e, ça va sans dire, dello spionaggio: vedi il regime Meloni, l’israeliano Paragon e il suo software Graphite, infilato negli apparecchi degli italiani fastidiosi, o sospetti, meglio se giornalisti impenitenti. Ovviamente la voce è di Witkoff, ma la parola è di Trump. Ricordandone, a scopo di edificazione morale, i condizionamenti epsteiniani.

Errori di valutazione?

 

Ma funziona tutto questo? O c’è qualche errore di valutazione?  

E’ vero che per determinare una reazione di larga dimensione da parte di un po’ tutti, a partire dalla genuinità che va riconosciuta solo ai manifestanti filoplaestiniesi, ci sono voluti quasi 2 anni

di diluvio di esplosivi su tendopoli piene di famiglie le cui case erano ridotte in macerie, sotto cui erano soffocate decine di migliaia di persone;

di bambini incendiati col fosforo, di bambini abilmente mirati alla testa e al cuore, di persone colpite, a seconda del bersaglio assegnato quel giorno, alle gambe, o al capo, o ai genitali, a gara;

di totale distruzione della struttura sanitaria di Gaza, con medici e pazienti destinati a fosse comuni; di intelligenza artificiale che permette di colpire 239 giornalisti quando erano in casa con le famiglie;

di stupro e tortura di prigionieri presi a casaccio; di diffusione di video in cui si celebrano le proprie infamie inflitte a civili palestinesi;

di esperimenti su cavie palestinesi, con nuove armi da poi vendere perché “testate sul campo”;

di droni che volano di notte diffondendo lamenti di bambini per fare uscire dalle case le persone e sparargli; di fame finalizzata a estinguere una popolazione di 2,3 milioni di civili. Eccetera.

Ce n’è voluto. Ma quando le classi politico-mediatico-economiche, che hanno tenuto lo strascico a Israele e l’hanno passato sopra l’oceano di sangue su cui veleggia quel bastimento di pirati necrofili, si sono accorte di un certo tremolio della terra che ne sostiene il potere, cioè l’indispensabile consenso delle masse, hanno cambiato registro. Di colpo, tutti insieme, dal New York Times a Repubblica, dalla CNN a La7, dai mostri atlantosionisti come Obama o Meloni, alla bassa forza dei sicofanti nostrani. Qualcuno è arrivato a sibilare la parola G.

Gaza, prigionieri dell’IDF

Dato conto della lacerazione interna dello Stato degli ebrei, determinata non tanto dal rifiuto del genocidio, quanto dalla spietatezza del regime verso la sorte degli “ostaggi” (coloni) catturati il 7 ottobre, equivale a un piccolo ordigno nucleare sulla compattezza del giudaismo mondiale la lettera firmata da oltre 1000 rabbini nel mondo. Al governo viene chiesto, con riferimento sia a Gaza che alla Cisgiordania, di non utilizzare la fame come arma, porre fine alla guerra e allo sterminio di civili, liberare i coloni detenuti da Hamas e superare la profonda crisi morale dello Stato ebraico. Una quinta colonna che amplifica le isolate voci ebraiche espressesi finora tra mille difficoltà e rischi.

Da un lato, la robusta rete dei governanti occidentali, complici dei mentecatti di Tel Aviv, che per 80 anni ha dato copertura allo strisciante olocausto operato da presunte vittime definite tali a prescindere, subisce drammatiche lacerazioni, come attestano i rimbrotti per gli orrori di Gaza e la raffica di riconoscimenti dello Stato di Palestina. La rottura di rapporti diplomatici, ministri israeliani dichiarati persona non grata e, last but not least, il processo della Corte Penale Internazionale. Dall’altro, rischia di finire in vacca la costruzione, detta Accordi di Abramo, con cui i compari Bibì e Donald avevano pensato di dare al Medioriente un nuovo ordine sionista, politico e geografico, con incontestata egemonia israeliana.

In ogni caso, la sconfitta strategica è data da qualcosa che non ci si era mai sognata nel rapporto tra un Occidente per il quale lo Stato sionista era il figlio prediletto. Nel preciso momento in cui Israele rovescia il tavolo su cui giocava da 80 anni e proclama ufficialmente, con i suoi massimi organismi, che uno Stato palestinese non ci sarà mai, e lo dimostra facendo sparire il popolo di Gaza e annettendo la Cisgiordania, uno Stato amico e alleato dopo l’altro lo smentisce clamorosamente, riconoscendo lo Stato di Palestina. 150 Stati su 192 riconoscono lo Stato Palestinese- Equivale al disconoscimento dello Stato sionista, razzista, nazificato, dell’Apartheid.  La macchina sionista è finita contro un muro.

Dal massicidio al suicidio?

Difficilmente, di fronte a un vento che fa arrivare anche tra i popoli dei principotti del Golfo lo sdegno mondiale, il rifiuto del sionismo genocida, rifiuto quale opportunistico, quale sincero e, comunque, necessitato, quel progetto di normalizzazione colonialista avrà un futuro. Si tratta, gli sceicchi lo hanno ben presente, di clienti irrinunciabili, fornitori o compratori, garanzia del loro potere di aristocratici su masse senza nome, ma che già hanno dimostrato (Bahrein 2011, un emirato in fiamme per mesi) una certa irrequietezza. Del resto, assistendo, con tanto di brividi, al dilagare militare israeliano in Libano, Siria, Yemen, agli interventi, neanche più tanto mimetizzati, in Sudan, nel Caucaso, all’attacco all’Iran, per quanto malvisto dai regni sunniti, la domanda si pone inesorabile: ma dove vogliono arrivare?

Tutto questo, come il parossismo della malvagità raggiunto e superato a Gaza e in Cisgiordania, sta minando alla base una coesione, non solo della società civile israeliana, ma della forza sulla quale si regge tutto l’abnorme costrutto: l’IDF, il millenarismo, le pretese di diritto divino, l’apartheid come visione del mondo, l’indulgenza degli ignavi e la complicità dei sodali, assistita dall’immunità guadagnata grazie a olocausto e all’ “unica democrazia del Medioriente”.

Gaza, caduto israeliano

Metà dei riservisti richiamati non si presentano. 12.000 è il numero ufficiale dei riservisti che si sono rifiutati di servire a Gaza. Oltre il 12% di quelli che hanno partecipato alla guerra sono in cura per stress post-traumatico. Di almeno 19 suicidi di soldati dall’inizio dell’anno si sa. Pare che siano una cinquantina dal 7 ottobre. L’IDF ha dovuto attivare una linea di supporto psicologico attiva 24 ore su 24. 40 alti ufficiali dell’unità d’elite 8200, addetta a spionaggio, intelligenza artificiale e operazioni sporche, hanno annunciato il rifiuto di partecipare a operazioni “illegali”. E neanche la fabbricazione del 7 ottobre, non dissimile da quella dell’11 settembre e con analoghe finalità, per quanto ottusamente rilanciata e ricreduta a dispetto delle inchieste, riesce ad arginare l’isolamento. S’è mai visto uno Stato più paria di questo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e di molti dei governi? Come farà a sopravvivere? Continuando a menare colpi all’impazzata a destra e a manca?

 Soldatesse IDF

Per questo grande stravolgimento di quanto sembrava assestato e irriducibile andrebbe reso infinito merito, anche per il significato che ne discende all’intera umanità degli oppressi, perseguitati e discriminati, ai partigiani della Resistenza palestinese. Una resistenza, badate bene e non fatevi sviare dal rilievo che si prova a dare a collaborazionisti alla Abu Mazen, o a occasionali mercenari, sostenuta, a prezzo di indescrivibili sacrifici dal suo popolo.

Non solo vittime

 

Resistenza è una parola che i padroni conoscono bene e della quale hanno un terrore fottuto perché coincide con le sconfitte subite. Per questo si affannano a chiamarla terrorismo e a promuovere una cultura che vieta, a forza di intimidazioni, addirittura di nominarla. E così che all’opinione pubblica viene negata la conoscenza delle operazioni partigiane che hanno in grande misura contribuito a determinare la crisi militare e politica di Israele. Senza di loro, di Palestina, cioè di giustizia, diritti, libertà, non si parlerebbe più.

A vedere come è posizionato Israele oggi nel mondo, rispetto al “gigante morale” di appena due anni fa, si prospetta una fenomenologia nichilista non inusuale per dominatori e imperi. Una frenesia di morte così incontenibile da travolgere se stessa.