lunedì 8 dicembre 2025

Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti per “Spunti di riflessione” --- --- America Latina IL RITORNO DEL CONDOR

 

Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti per “Spunti di riflessione”

America Latina

IL RITORNO DEL CONDOR

https://www.youtube.com/watch?v=WoxOFLfrTcY&feature=youtu.be

https://youtu.be/WoxOFLfrTcY

 

Bolivar o Operazione Condor 2? Con Fulvio Grimaldi

Anni ’70, non solo Pinochet

Chi era in giro negli anni 70, e credo che siamo in parecchi visto l’invecchiamento della popolazione, si illuminerà al ricordo degli Inti Illimani e gli verrà da canticchiare una canzone che parlò al mondo di Ande, di dittatura e di resistenza. Una resistenza che non fece vincere i cileni, almeno non allora, ma che animò e diede scopo a quella di mezzo mondo. La parte nostra di quella resistenza quelli che se ne videro messi in discussione  la chiamarono, per esorcizzarla, “anni di piombo”.

Noi invece avevamo capito, anche grazie agli Inti Illimani e all’altro grande cantore di quella rivoluzione, Victor Jara, che il Cile, dopo la Cuba del Che e di Fidel, aveva fatto della lontana - tenuta lontana apposta dalla cosca politico-mediatica - America Latina, terra anche nostra, un cuore e una volontà unica: El pueblo unido jamas serà vencido! Un canto, un grido che ha superato tutte le sconfitte, accompagnato le rivincite, resistito nell’oscurità. Un grido che si oppose agli artigli e al gracidare del “Condor”, operazione kissingeriana che l’ebbe vinta, ma per poco, fino a quando non fu del tutto spennata dal Venezuela di Chavez.

Il Cile, Cuba, ma anche il Portogallo dei colonelli rivoluzionari (i militari non sono necessariamente tutti dei Cavo Dragoni), ci indicarono chi erano i nuovi nemici dell’umanità, quelli che, rimesso in riserva il fascismo, ci stavano di nuovo addosso con i suoi succedanei. Nemici d’oltremare, imbellettati da liberatori, che avevano sostituito i vecchi colonialisti, spompati e debellati dalle rivoluzioni africane e asiatiche. Da noi si erano dati da fare per coltivare nuove classi dirigenti che ci tenessero in riga.

Gli anni della resistenza al Condor di Kissinger, che impiantava ovunque nel subcontinente degli orridi Jack Squartatori in divisa, erano anche quelli del riverbero europeo e noi di Lotta Continua ci demmo da fare per esserci, farlo sapere, provare anche di dare una mano. Aprimmo una sede a Lisbona, quando vi fiorivano i garofani che avrebbero strozzato il tiranno Salazar. Andammo in Cile dove, ucciso Allende, a socialisti e comunisti disorientati diede nerbo il MIR, Movimiento de la Isquierda Revolucionaria, che provò a tenere. Andammo per raccontare e portare quanto avevamo potuto raccogliere all’insegna del motto “Armi al MIR”. Nessuno si scandalizzò. Erano tempi in cui i popoli di Congo, Kenya, Mozambico, Angola, Palestina, Vietnam e poi Egitto, Siria, Iraq non permettevano che la parola rivoluzione armata, o resistenza armata, diventasse reato da leggi e neocodici penali e da negazione di sale per convegni.

Cile, la sinistra con le scarpe della destra

Jeanette Jara e Antonio Kast

In Cile è andata male, come viene raccontato nel video. Da uno, Gabriel Boric, venuto a galla sui grandi sommovimenti, soprattutto studenteschi (niente a che fare con Zeta) contro il tardo, ma irriducibile, pinochettismo della fine del secondo decennio del secolo, ci si erano aspettate grandi cose. Nessuna delle quali si è avverata. Uno stanco e moscio tran tran che non aveva modificato la Costituzione, lasciato l’economia preda dei soliti gruppi interni ed esteri, mantenuto in piedi il vecchio apparato repressivo, non aveva intaccato la presa delle corporation USA sulle risorse del paese, a partire da rame e litio. Ed era quello “de sinistra”. Almeno all’ONU si è dato un tono positivo auspicando l’arresto di Netanyahu.

Così alle elezioni arriva prima una comunista, Jeanette Jara, ma appena col 27%. Al ballottaggio, a metà dicembre, vincerà invece uno di due pinochettisti duri, Antonio Kast, figlio di un esule nazista della famigerata “Comunità Dignità”, che ha preso il 24%, oppure Johannes Kaiser, stessa risma, arrivato al 14%. Insieme sotterreranno Jara con il cumulativo 38%. Cui è probabile si aggiungano il 13% di un’altra destrissima, Evelyn Mattei, figlia di un ufficiale membro della giunta di Pinochet e, forse, il 19,71% dell’immancabile “populista”, Franco Parisi.

Con la destra al 70%, bye bye Cile. Che poi vuol dire controllo del Sud Pacifico, di buona parte dell’Antartide, rame, litio, molibdeno, prodotti agricoli. E di un rafforzamento della regressione del Cono Sud, Argentina, Bolivia, Paraguay, Ecuador, Perù, verso il famigerato “cortile di casa”, in cui dare spazio ai giochi estrattivi delle multinazionali, sostenuti da regimi “forti”.

Honduras, vince la sinistra, estreme destre al ballottaggio

Nel nome di una resistenza di popolo al golpe di Obama e Hillary Clinton, irriducibile per una dozzina d’anni di dittatura fintoparlamentare sotto stretto controllo USA, nel 2022 Xiomara Castro aveva restituito all’Honduras, paese strategico dell’America Centrale, assediato da luogotenenti yankee, libertà, sovranità, dignità. Non è bastato. Alle elezioni presidenziali del 30 novembre ha vinto, sì, Rixi Moncada, candidata di LIBRE (Libertad e Refundacion) il partito, ispirato alla rivoluzione bolivariana, di Manuel Zelaya, presidente spodestato dal golpe del 2009, e poi di Xiomara, sua moglie e presidente dal 2022.

Ma al ballottaggio la Moncada non c’è. Si presenta il duo Nasry Asfura, grande palazzinaro, tycoon dai 25 massimi gruppi economici della regione, caro al collega Trump, e Salvador Nasralla, una specie di Zelensky dagli analoghi trascorsi da divo TV. Quasi appaiati, hanno raggiunto il 70%. Che è oggi la forza della destra nel paese che torna a essere intimamente legata ai narcos.

Trump, quando i narcos sono amici

 Trump e Asfura

Non per nulla Trump si è speso oltre ogni limite di ingerenze abusive a favore di Asfura. Non solo ripetendo la formula servita in Argentina a far vincere il sosia in sedicesimo Milei, mediante il ricatto: vi do 40 miliardi di dollari, ma solo se fate vincere Milei.  Nel caso di Asfura è arrivato a esaltarne la qualità morale offrendo l’amnistia a un suo vecchio sodale, l’ex.presidente Juan Orlando Hernandez, battuto nel 2022 da Xiomara Castro e successivamente condannato da giudici statunitensi a 45 anni di prigione per narcotraffico. Insomma, insieme a un presidente narcotrafficante, ne risulta riabilitato anche un suo intimo e probabile successore. Va dunque, per Trump, ripreso il filo a suo tempo tagliato dalla rivoluzione di LIBRE. Basta per mettere in evidenza cosa intenda Trump quando minaccia guerra al Venezuela, o affonda barchini di pescatori, nel segno della “lotta al narcotraffico”?

Juan Orlando Hernandez e papa Bergoglio

Quando arrivai in Honduras, fine giugno 2009, si stava consolidando un colpo di Stato allestito giorni prima da militari felloni su input di Obama e Hillary Clinton e facilitato da un’intelligence del Mossad israeliano di cui le orme sono presenti in ogni operazione di regime change latinoamericano, praticamente dalla Costituzione dello Stato sionista. Provocazioni e spionaggio del Mossad in America Latina, sempre a favore di soluzioni caudilliste, sono uno degli elementi costitutivi dell’interscambio USA-Israele.

Gli honduregni, eleggendo Manuel Zelaya, erano entrati nell’A.L.B.A. Alleanza Bolivariana per le Americhe, cosa che metteva a rischio il ruolo che al paese era stato da Washington assegnato di centro strategico, anche militare, per il controllo statunitense su America Centrale e Caraibi. Incrociai il responsabile Mossad all’aeroporto di Tegucigalpa, io arrivavo, lui aveva finito il lavoro e partiva.

Un golpe, squadroni della morte, un’eroina e 13 anni di lotta

La resistenza honduregna aveva qualcosa che la avvicinava a quella palestinese. Era instancabile, inflessibile, di massa. Non passava un giorno, in tutto il paese, che la mia telecamera non registrasse fenomenali manifestazioni di popolo e che dovesse evitare di essere annebbiata dai gas, o accecata dalle fucilate dei poliziotti. Una repressione feroce, sanguinaria, che non si è riuscita a fermare, per oltre 10 anni e neppure con l’inganno di elezioni prive di qualsiasi carattere di trasparenza e allestite per eliminare, almeno per l’estero, lo stigma della dittatura. Al mio arrivo a poche ore dal golpe, erano già stati uccisi, dai neocostituiti squadroni della morte, 150 esponenti della società civile.

Berta Caceres

 

Il contrasto alla rivolta popolare si risolse in massacri. Centinaia di persone uccise, incarcerate fatte sparire. Ebbi occasione di conoscere il livello di elaborazione teorica anticapitalista e anticolonialista di una dirigenza rivoluzionaria fondata su una coscienza politica di massa riscontrabile forse solo in Venezuela, Nicaragua e Cuba. E ovviamente Palestina. La fusione tra istanze ecologiste, strategiche per la maggioranza di indigeni e meticci della popolazione, sociali, economiche, di forma dello Stato e di autodeterminazione nazionale, mi fu ben illustrata da Berta Caceres, figura di punta del movimento antigolpe, della cui amicizia mi potei onorare e che vidi impegnata nella difesa dalla sua comunità dei Lenca, discendenti dei Maya. Fu assassinata nel 2016 da sicari del consorzio di società contro la cui aggressione alle acque dei Lenca aveva eretto una diga di resistenza umana più alta della serie di sbarramenti artificiali programmati.

La situazione, sociale, economica, politica, scossa da inesauribili tumulti e boicottaggi, divenne ingestibile per gli stessi padrini yankee. Finiti particolarmente male dal punto di vista della rispettabilità internazionale per aver appoggiato, con Biden, la scandalosa elezione di Juan Orlando Hernandez, boss narcos tra i più rappresentativi dell’America Latina, dovettero acconciarsi a tenere, nel 2022, una prima corretta elezione presidenziale. Con Hernandez in galera, l’intelligence israeliana messa momentanea fuori gioco da questi trascorsi, Xiomara Castro e il movimento LIBRE riuscirono a portare alla vittoria l’Honduras liberato. Gli assassini della più illustre martire della resistenza, Berta Caceres, furono individuati, catturati e condannati a 50 anni di galera. I mandanti restano avvolti nell’oscurità. Diciamo che sono troppo lontani anche per il governo meglio intenzionato. E questo. che uscirà dalle urne del ballottaggio il 13 dicembre. non lo sarà di certo.….Gran parte di tutto questo, e parecchio altro, è raccontato qui.

Va aggiunto che, forse, per il paese di una delle più eroiche resistenze antimperialiste del continente, non tutti i giochi potrebbero essere fati.

Di fronte alla sproporzione dei numeri del primo turno per Raxi Moncada e gli esponenti dell’estrema destra furiosamente appoggiati da Trump, Rixi, Xiomara e i vertici di LIBRE si erano dichiarati disposti a riconoscere la sconfitta e la candidatura al ballottaggio degli esponenti della destra.

Poi però il Consiglio Nazionale Elettorale, organismo indipendente, aveva registrato alcune forte anomalie. Un insolito meccanismo esperimentale detto TREP, per la trasmissione elettronica dei dati elettorali preliminari, aveva dato segno di essere tutto fuorchè affidabile. Decine di migliaia di voti erano scomparsi nella sua pancia e non si riusciva a recuperarli. Non solo, nel parallelo metodo dei verbali manuali contenenti i dati anagrafici e quelli biometrici dei votanti e le firme degli scrutatori, non si riuscivano più a trovare migliaia di verbali per, alla prima conta, ben 543.478 voti.  A questo punto l’accettazione del verdetto pronunciato dagli apparenti sconfitti, si è tramutato in accusa di golpe elettorale.

Si vedrà come andrà a finire. Certo ì che i sodali narcotrafficanti del presunto castigatore di tutti i narcotrafficanti, faranno di tutto per non mollare l’osso. E non gli mancheranno gli aiutini del Nord.

Ecuador, condor in bilico

 Rafael Correa con Julian Assange

L’Ecuador, se andiamo indietro nel tempo, lo ricordiamo riscattato, dal 2007 al 217, da una Revolucion Ciudadana, che aveva portato alla presidenza Raffael Correa. Quell’Ecuador era diventato, nel Cono Sud, insieme al Venezuela, più dell’Argentina di Kirchner e del Brasile di Lula, un faro di resistenza ai tentativi di ricupero controrivoluzionari e di ricolonizzazione yankee. La sua costituzione fondò il paese su principi di rigorosa protezione ambientale, equità sociale, inclusione indigena, sovranità e libertà di rapporti che fossero di utilità al paese.

Lenin Moreno, una mezza promessa già nel nome, era il vice che avrebbe dovuto proseguirne l’opera. Invece la tradisce, si allinea a settori criptogolpisti, rovesciandola gradualmente nel suo contrario. Uno smantellamento proseguito con il successore Guillermo Lasso, dalla barra ancora più decisamente in direzione centrodestra e filo-yankee-

Nel 2023, in una situazione totalmente mutata rispetto all’Ecuador sovrano, liberato da delinquenza e narcoterrorismo, riesce a imporsi il capo dei capi. Per quanto giovane, 38 anni, Daniel Oboa, è esponente principe della massima concentrazione di potere industriale ed economico del paese. Alla sua famiglia fanno capo le maggiori concentrazioni finanziarie ed economiche del paese. E anche nelle successive legislative e presidenziali del 2025, prevale sulla candidata della Revolucion Ciudadana, Luisa Gonzales, prima in tutti i sondaggi e perfino in tutti gli exit poll, ma sconfitta nel ballottaggio. Cose da dare qualche peso alle accuse di elezioni rubate.

C’è però stata una significativa soluzione di continuità che apre a nuove prospettive  Rivelando una coscienza politica coltivata nel decennio rivoluzionario di Rafael Correa ed espressasi in ininterrotte forme di resistenza civile, si è verificata una presa di posizione popolare da mettere in crisi gli assetti che si pensavano cristallizzati.

 Daniel Noboa

 

Con un eccesso di sicumera, Noboa indice, su suggerimento del solito sponsor Trump, un referendum sulla proposta di una sua nuova costituzione, nettamente alternativa a quella progressista di Correa consacrata da uno smisurato appoggio nel 2008. Le proposte prevedevano, tra le altre cose, il rafforzamento dell’esecutivo a danno del parlamento e, annullando un divieto sancito da Correa, il ritorno di basi militari straniere, cioè USA e la permanenza di forze armate straniere, cioè USA, sul suolo nazionale, con tanto di complementare apparato di intelligence e di sorveglianza, Sostanzialmente un’assicurazione sulla vita e prosperità dell’attuale classe dirigente e dei suoi padrini.

Noboa, che a gennaio aveva dichiarato il conflitto armato interno in risposta alle incessanti manifestazioni di piazza, si era illuso di poter indurre i votanti ad accettare la scandalosa riduzione della sovranità grazie a una presunta zolletta di zucchero. Aveva fatto precedere i quesiti strategici da due quesiti “gancio”. Il primo: abolizione del finanziamento pubblico dei partiti (di cui quello del miliardario Noboa, Azione Democratica Nazionale, non ha alcun bisogno) e, secondo, riduzione a metà del numero dei parlamentari (sull’esempio infausto del M5S, ancora grillino)

La risposta degli equadoregni, accorsi a votare in massa, 81,96%, è stato un tonante No a tutti indistintamente i quesiti, con una scala di No che va dal 54% per i quesiti “gancio”, a oltre il 60% per quelli della colonizzazione militare yankee.

Ciò che oggi ci presenta il paese, già faro di giustizia e sovranità lungo la costa del Pacifico, è una realtà che con il voto referendario ha provato a riaccendere un lume in fondo al tunnel. Tunnel che vede imperversare, quasi senza contrasto, una delinquenza di bande criminali, massimamente impegnate nel mantenere al paese il ruolo di tramite tra la coca, che il Perù del golpe USA e la Bolivia del dopo-Morales sono tornate a produrre, e le rotte del traffico verso Nord attraverso il Pacifico. Criminalità organizzata o diffusa, cronaca nera, con i media che ci danno dentro in modo esasperato, ma programmato, sono qui e ovunque lo strumento per l’imposizione di restrizioni alle libertà dei cittadini.

Con tanti saluti a Donald Trump, fan di Noboa e combattente senza remore contro i narcotrafficanti che solo lui vede in Venezuela.

 

 

 

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