Qui si parla dell’Iran. L’abbiamo girato in lungo e in
largo, ne abbiamo conosciuto i giovani, gli operai, le donne, gli artisti, gli
storici, i politici. Ne abbiamo visitato le bellissime città antiche, i siti
archeologici. Ne abbiamo incontrato la sofferenza per le atrocità del
terrorismo che colpisce alla cieca e delle sanzioni che puntano ad affamare per
sottomettere. E’ un Iran civile e ospitale, il rovescio di quello che ci viene
raccontato. Un paese che non ha mai aggredito nessuno. Ora lo vorrebbero
annientare. Conviene conoscerlo per sostenerlo. Il mio docufilm “TARGET IRAN”
ve ne offre l’occasione. Per sapere come riceverlo scrivete a visionando@virgilio.it. Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=haEQNk6gE8M&feature=youtu.be
Da discorsi dell’odio a fatti dell’odio
Quelli che, da quando li ha
inventati Hillary Clinton e da noi li ha rilanciati Renzi, per poi passarli a
Boldrini, onde ne coprisse paginate su “Repubblica” “Foglio” e “manifesto”, ci
scassano le gonadi con la campagna contro i
“discorsi dell’odio”, gli hate
speeches, se fossero onesti dovrebbero gettare un’occhiata su quanto è
successo a Varsavia e ritirarsene con orrore. Dopo l’abbandono USA del Trattato ABM già nel 2002, e ora di
quello sui missili a corto e medio raggio (INF) che coinvolgono l’Europa e in
vista dell’abbandono anche del trattato New START che scade nel 2021, siamo
alla più demenziale corsa al riarmo nucleare dai tempi di Eisenhower. Una corsa
che ha fatto spostare l’orologio degli scienziati atomici a 2 minuti da
mezzanotte, dove era stato solo temporaneamente nel 1953 e nel 1960, nei
momenti più acuti della guerra fredda.
Ma dei fatti dell’odio pochi si
curano. Sono i discorsi che contano. E i discorsi dell’odio, i rancori, le
invidie sociali, li facciamo solo noi. Noi che non sappiamo adattarci al
migliore dei mondi possibili e non comprendiamo la bellezza e la bontà dei
diritti umani esercitati sui fregati dalle banche, su coloro che producono a un
costo più alto del ricavato, sui migranti che, tolti dall’inferno di casa loro
e dei campi libici, vengono trasformati in cavernicoli della plastica, in
formiche operaie e poi in torce umane, sui popoli da liberare dai “dittatori”
che avevano liberamente eletti….Dopo averci negato la lotta di classe, anzi
dopo averne promossa solo una, dall’alto verso il basso, hanno marchiato l’inverno
del nostro scontento di “discorso dell’odio”. E Boldrini e Facebook stanno li,
acquattati, pronti a coglierci in fallo.
Varsavia-Gerusalemme, vertici di una nuova coalizione RtP
A Varsavia, nei giorni scorsi, altro
che “discorso dell’odio”. Dell’odio c’è stato una kermesse, un festival, una
fiera, un’apoteosi. Ma nessuno la definira mai tale. Essendo quei sentimenti tutti diretti contro
l’Iran, sentina mondiale massima dell’odio, andavano classificati come “vertice
della pace e della cordialità”. Ci si sono messi in tanti, i migliori: i
quattro del Gruppo di Visegrad, fino a ieri brutti xenofobi sovranisti, i tre
cavalieri dell’apocalisse trumpiana (Pence, vicepresidente, Bolton, Sicurezza
Nazionale, Pompeo, Segretario di Stato), i tre semistati baltici, i sauditi con
le grandi democrazie del Golfo e, a
coronamento, l’eccellenza assoluta dei buoni e pacifici sentimenti, Benjamin
Netaniahu. Razzisti con antirazzisti, nazionalisti con globalisti, sovranisti
con antisovranisti (colonizzati), semiti con antisemiti. Tutto fa brodo se ci
si fa bollire l’Iran. Per fargli la guerra ci voleva la solita “coalizione dei
volenterosi”, sa di “comunità internazionale”, l’ente che è buono per
definizione. Quella che si assume la RtP, Responsibility
to Protect.
Come potevano mancare i radicali!
E non finisce qui, giacchè pochi
giorni dopo a Gerusalemme, la stessa compagnia dei buoni sentimenti torna a
riunirsi per dare la limatina finale all’armageddon che dovrà abbattersi sull’Iran,
definito, con umorismo necrofilo, “centro mondiale del terrorismo”, appena dopo
aver subito un attentato costato la vita a 40 Guardie della rivoluzione (ultimo
di una serie ininterrotta israelo-americana dal 1979 a oggi). Tutto questo
serva da avvertimento all’arroganza di un paese che si permette di festeggiare,
con tutto un popolo, salvo frange in vendita, i quarant’anni della sua uscita
dal girone occidentale e da una tirannia monarchica che, quanto a ferocia
repressiva, fa sembrare la Spagna di Torquemada un parco giochi per bimbi. Non
per nulla, seguendo una vocazione congenita ai diritti umani, si sono
precipitati a Parigi i radicali, ad omaggiare l’erede dell’ultimo Shah e
farneticare insieme di ritorno della monarchia a Tehran. Gli iraniani, è
evidente, non aspettano altro.
Come, del resto, i venezuelani che,
dalle immagini presso di noi trasmesse, affluiscono in masse oceaniche a ogni
fischio dell’autentico presidente. Quello che, dopo aver fatto saltare un po’
di teste di motociclisti chavisti sui cavi stesi attraverso la strada (tecnica
delle guarimbas, ricordate), tanto è
piaciuto a Trump e al veterano delle macellerie in Salvador, Guatemala e
Nicaragua, Abrams, da nominarlo presidente del Venezuela. Come potevano,
Mattarella e il suo portalettere Moavero, non essere d’accordo? Quanto alle
immagini, vedrete prima un Guaidò con un
capannello di gente e poi, a stacco, un’immane folla. Guardate bene: c’è un
sacco di rosso chavista. Vecchio trucco, facevano così anche con le
dimostrazioni contro Assad.
Sette guerre di Obama, altre due di Trump
Qualcuno dovrebbe ricordare a Trump la lezione del
maestro Von Klausewitz e, andando più indietro, del sommo Sun Tsu. Mai aprire
due o più fronti. Ora, Obama ne ha aperti ben sette, tra piccoli e grandi, tra
fatti condurre da terzi e mercenari e quelli condotti direttamente, con stivali
sul terreno, o solo con guerra dall’aria: Afghanistan, Libia, Siria, Iraq,
Yemen, Somalia, Ucraina. In quasi tutte queste ci siamo di mezzo anche noi, in
quanto Nato. Guerre guerreggiate, al netto delle destabilizzazioni con
rivoluzioni colorate, o regime change
da colpi di Stato, che poi sono guerre anche quelle. Trump ha ereditato e
continuato tutte queste guerre, anche se, ora, dalla siriana pare voglia
tirarsi fuori, se quelli che lo portano al guinzaglio lo lasciano fare. Magari
in cambio dei due nuovi fronti appena aperti: Venezuela e Iran.
Alla vista del protagonismo di un
sovra-eccitato Netaniahu che, pressato da una caterva di inchieste per
ladrocinio e corruzione suoi e della consorte, deve trovare la molla che lo proietti
verso l’ennesima vittoria elettorale, c’è da porsi una domanda: è il cane
americano che agita la coda israeliana, o è la coda israeliana che agita il
cane americano? A favore della seconda ipotesi milita anche il fatto che senza
il supporto degli evangelici statunitensi, difficilmente Trump sarebbe arrivato
alla Casa Bianca. E per questi cristiani rinati la Grande Israele è in qualche
modo la chiave che aprirebbe i cieli
alla seconda venuta di Cristo. Gente, questa, da non sottovalutare, come s’è visto
in Brasile.
Grande Israele o mondo?
Vecchia questione, quella del cane e
della sua coda, dalle risposte non univoche. Anche perché di sionismi non ce
n’è solo uno. C’è quello ipernazionalista dello Stato per soli ebrei che punta
all’impero dal Nilo all’Eufrate e che
poco si interessa al progetto del dominio globale sul mondo, tramite strumenti
più economico-finanziari che militari, fondamento invece della strategia
dell’altra componente. Che questi due scenari non si siano reciprocamente
simpatici parrebbe segnalato anche da come lo speculatore George Soros,
campionissimo del mundialismo, sia malissimo visto in Israele e dagli amici di
Israele. Qualcuno dirà che vado farneticando quando individuo anche nel
“manifesto”, gazzettino dello Stato Profondo in Italia, la linea sorosiana. Da
sempre filo-palestinese e duramente critico di Israele, con un bravo
corrispondente, Michele Giorgio, per tutto il resto e specialmente nelle sue
pagine “culturali”, quasi per intero appaltate alla tribù, sostiene con passione
le campagne del globalismo imperiale (migrazioni, terrorismi strumentali,
“dittatori” e diritti umani, gender e femminismi, russo- e sinofobia, #metoo,
Bonino, Hillary, Troika…)ù
Se forse qualcuno a Washington si pone il problema che oltre ai conflitti
minori, suscettibili alla peggio di causare diverticoli, due bocconi insieme.
come Venezuela e Iran, possano anche strozzarti, non è questione che pare
turbare Netaniahu. E’ l’unico da quelle parti che tiene l’indice sul bottone di
200-400 bombe atomiche. E ora che, intorno a questo arsenale ha fatto
inginocchiare anche Arabia Saudita, Emirati, Kuweit, Bahrein, Oman, con i
palestinesi accalappiati dal piano di pace Trump-Kushner che li riempierà di
dollari in cambio della resa, tiene anche le spalle coperte.
Delle riluttanze europee, di cui a
Varsavia non si sono visti né quelle del Sacro Romano Impero, e nemmeno delle
loro periferiche marche, né Usa, né Israele terranno alcun conto. L’esercito
comune franco-tedesco e la relativa industria delle armi sono di là da venire. Come
parrebbe di là da venire la fiera risposta alle sanzioni Usa contro l’Iran, che
l’UE aveva detto di voler dribblare.
Il trio di Astana a Sochi: prova e riprova....
La stampa nostrana parla di flop a
Varsavia.Ne dubito, forse è un esorcismo di fronte alla prospettiva di una
conflagrazione generale. Intanto sta in piedi, ed è nucleare, la
Nato-arabo-israeliana. Di nulla di fatto si parla anche dell’altro vertice, a
Sochi, con Putin, Rouhani ed Erdogan. tenuto quasi in contemporanea, che vedeva
riuniti per la quarta volta i tre brutti e cattivi, compreso quello preso di
mira a Varsavia. Sotto le apparenze di concordia e serenità tra i tre
protagonisti-concorrenti del conflitto siriano, si sono confermate le
differenze tra Iran e Russia, in particolare sull’atteggiamento da tenere verso
la sempre più impunita aggressività israeliana. E non si è fatto neanche un
passo avanti sulla questione di Idlib, vasta provincia siriana di cui i turchi hanno fatta una ridotta
jihadista, affidata ad Al Nusra, Isis e altre milizie, spesso in lotta tra
loro, ma che insistono, contro ogni accordo russo-turco di demilitarizzazione,
ad attaccare la provincia di Aleppo. Ne si è venuto a capo di cosa fare della
regione di confine, ora in mano ai curdi , ma di cui Erdogan, d’accordo con
Washington, vorrebbe fare in profondità la sua “zona di sicurezza”. Ovviamente
senza curdi. E senza Damasco.
Intanto i curdi, sotto forma di
Forze Democratiche Siriane, assediano Baghuz, l’ultima città in mano all’Isis, sul confine
con l’Iraq, con copertura aerea Usa. Si tratta di territorio arabo siriano come
quello di tutto il Nord Est, un terzo della Siria, occupato e pulito
etnicamente dai curdi. Ai civili intrappolati a Baghuz e nei villaggi vicini,
il governo siriano aveva fatto arrivare una colonna di soccorsi, da utilizzare
anche per l’evacuazione. Ma i curdi l’hanno bloccata e rispedita indietro.
6 commenti:
Intanto, nel completo silenzio dei media, le truppe del generale Haftar hanno conquistato il giacimento di Sharara, il più grande della Libia. E il fantoccio dell'Occidente è subito corso dai padroni americani a chiedere sostegno, piagnucolando che le mosse di Haftar sono destabilizzanti per il paese. Ora sì che vede la fine avvicinarsi...
Salve, premetto che non ho visto il suo documentario, cercherò di rimediare. Vorrei intanto chiederle, se possibile, alcuni chiarimenti sul ruolo dell'Iran soprattutto nel periodo 1979-1989. La vulgata prevalente vuole infatti che nella guerra iran-iraq gli stati uniti abbiano sostenuto anche militarmente saddam in funzione antiiraniana. tuttavia, se non ricordo male in un suo post di qualche tempo fa lei negava questo sostegno, affermando di essere stato testimone oculare (mi corregga se sbaglio) del fatto che nel 1991 il povero saddam fosse in possesso unicamente di vecchio materiale bellico sovietico. l'iran, invece, ricevette armi e pezzi di ricambio per i suoi aerei dagli usa e da israele nell'ambito dell'accordo iran-contras, fornì a israele le foto aeree del reattore iracheno "osirak" poi distrutto dall'aviazione sionista nel 1981 (tra l'altro, a quanto pare l'uranio arricchito francese necessario al funzionamento del reattore era stato caricato nella stiva del dc-9 itavia abbattuto ad ustica l'anno precedente, probabilmente sempre ad opera dell'aviazione sionista) e collaborò con washington e tel aviv anche nel sostegno ai mujaheddin afgani di bin laden. se le informazioni in mio possesso sono esatte, ne emergerebbe a mio parere un ruolo piuttosto ambiguo dell'iran nel decennio in questione, paragonabile a quello della cina nello stesso periodo. che ne pensa?
Brolin@
Vedo che è documentato e mi compiaccio. La sua analisi è corretta in tutti i dettagli, salvo che non ho elementi per affermare la sua tesi su Ustica e neanche l'ipotesi dei sostegno ai mujaheddin. Una conferma dell'assistenza Usa all'Iran nel conflitto con l'Iraq è lo scandalo Iran-contras: armi israeliane all'Iran i cui proventi, insieme alla droga, finanziarono l'attacco al Nicaragua. Quella di Saddam agente degli Usa e da loro armato è una vecchia balla con cui certe sinistre coprono la loro complicità con la distruzione di un bastione da sempre antimperialista e antisionista. Sia nel 1991, sia nel 2003, quello che utilizzarono gli iracheni erano esclusivamente armi vecchie sovietiche. I sovietici avevano cessato di fornirne quando Saddam escluse il PC dal governo in seguito al suo schierarsi con Khomeini su indicazione di Mosca.
Molto interessante, non lo sapevo. e a che cosa fu dovuta tale scelta del PC iracheno e dei suoi referenti moscoviti? mi sembra un mossa piuttosto miope, in considerazione del fatto che un Iraq dotato di armamenti sovietici più moderni (lo sviluppo tecnologico militare dell'urss negli anni '80 fu impressionante) avrebbe potuto offrire ben altra resistenza all'aggressione occidentale del 1991. tra l'altro mi sembra di ricordare che khomeini si sbarazzò piuttosto sbrigativamente del tudeh, che se non sbaglio è ancora fuorilegge
https://www.youtube.com/watch?v=Mp-AiYpGgQI
A proprosito di catastrofe nucleare vi lascio questo documentario che getta nuove luci sulla "Tragedia" del Kursk. Un'esercitazione della Marina Russa talmente temuta dall'Occidente da arrivare quasi ascatenare una Guerra Mondiale. Un documentario che dimostra ancora una volta la grandezza del popolo russo e la lungimiranza del tanti viturperato Vladimir Putin. Eh ma i russi sono solo un popolo di rozzi retrogradi...
PARE CHE IL VIDEO SIA STATO BLOCCATO, TUTTI I SOCIAL STANNO GETTANDO LA MASCHERA,COME ONG, FMI, ONU, RATING & C. IL RE SEMPRE PIÙ NUDO E MARCIO...
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