Nel giorno in cui un didattorello da quattro soldi, ma con le zanne prestategli da quelli da quattro miliardi, avvia la fase finale per la libertà del cittadino: il divieto di assemblea e convegno. L'ultimo baluardo della democrazia, dopo la fine dei contatti interpersonali, la fine dello scambio di parola, pensiero, visione.
https://www.resumenlatinoamericano.org/2020/10/19/bolivia-arce-gano-en-la-paz-con-653-de-los-votos-y-en-cochabamba-con-el-63/ immagini e percentuali dei vincitori nelle
varie città della Bolivia
Popoli coscienti e popoli ignoranti
Mentre da noi i colpi di Stato di quaquaraquà travestiti
da infermieri e crocerossine passano con il consenso del popolo e senza
elezioni, altrove i golpe presentatisi in divisa nazifascista, suscitano
l’insurrezione del popolo e vengono sbaragliati dal voto. Ciò che le due
situazioni hanno in comune sono coloro, molto in alto e molto mascherati, ai
cui fili questi sicari del totalitarismo globalista sono appesi. Evidentemente
esistono nazioni più evolute e altre meno.
Per l’impero e per il litio
A dimostrare il rovesciamento della realtà nel suo
contrario non ci sono solo i propagandisti della tramutazione degli uomini in
tecno-umani, o gli affabulatori di bibbia e vangeli. Ci sono anche quelli,
praticamente tutti i media di massa occidentale, che chiamano democrazie le
dittature con approvazione imperiale e bollo NED-CIA. Così Evo Morales, leader
boliviano socialista, ripetutamente rieletto perché aveva riscattato il suo
popolo dalla povertà, dipendenza, segregazione etnica, colonialismo e, dopo 500
anni, gli aveva fatto avere istruzione, sanità, unità, ambiente, dignità, era
diventato un dittatore. Un despota che intascava ricchezze, violava i diritti
dei nativi (per via di una strada dalla Bolivia all’Oceano che disturbava 1.800
indigeni), e che ovviamente imbrogliava sull’esito delle elezioni. E,
soprattutto, aveva assicurato alla nazione, plurietnica, il controllo delle sue
risorse: gas, foreste, acqua e litio. Quel litio di cui la Bolivia è la massima
detentrice e senza il quale la Cupola globalista non riesce a trasformarci
tutti in robot digitalizzanti.
Risorse
mondiali di litio
Fasci e padroni, come sempre
Il golpe lo avevano fatto gli squadristi
fascisti e i feudatari del dipartimento meridionale di Santa Cruz (capeggiata
dal fascista dichiarato, Luis Camacho), in concorso con l’èlite finanziaria
borghese di La Paz, guidata dall’ex-presidente incolore, ma manovrato dagli USA,
Carlos Mesa. Ovviamente, non era mancato ai golpisti il sostegno finanziario e
operativo di Washington, come delle solite ONG, sempre quelle che alimentano la
tratta degli schiavi nel Mediterraneo. Dopo tre settimane di rivolta popolare,
Morales e Alvaro Linera, presidente e vice da 14 anni, si erano dimessi e una
svaporata influencer per articoli e vite di lusso, come di evasioni
porno (in un suo filmino), Jeanine Añez,
si era autoproclamata presidentessa.
La
Bolivia appartiene a Cristo”, Luis Camacho
”Sogno una Bolivia libera dai riti
satanici indigeni. La città non è per gli indios, che se ne vadano
all’altopiano o al chaco!!” Janine Anez, presidente golpista autoproclamata
Una rivincita tipo goleada
Le dimissioni e la
fuga in Messico, prima, e poi in Argentina, opacizzarono alquanto l’immagine e
la credibilità di Evo, che si sarebbe voluto alla testa della resistenza. Ma
non indebolirono quella del MAS, il Movimento al Socialismo, da lui fondato. E’
stato il MAS ad alimentare e guidare un’ininterrotta opposizione nelle strade,
per quanto venisse repressa a forza di stragi. Così si è arrivati al risultato
eclatante di domenica scorsa. Con i candidati indigeni alla presidenza e
vicepresidenza, Lucho Arce e il popolarissimo David Choquehuanca, al 52,42%
contro il 31,6% di Mesa, il ridicolo 14% dello squadrista Camacho e altri
trionfi nelle maggiori città, come da grafico nel link sotto il titolo. E
neppure una brutale militarizzazione del paese, nelle giornate del voto e
pre-voto, è riuscita a intimidire un popolo di cui Morales, Chavez, Fidel,
avevano rafforzato la volontà e l’intelligenza per vivere e resistere in piedi.
De piè, come si dice laggiù. Lo sapeva bene il Che, quando usò il fucile
da quelle parti, prima che lo fermassero traditori e sicari CIA.
Lucho Arce
neo-presidente
La posta in gioco e gli avvoltoi in
agguato
Un colpo di Stato
dalle caratteristiche e dai protagonisti del tutto affini a quelli che lo
compirono l’11 settembre 1973 in Cile, ma dei cui effetti il popolo cileno
continua a soffrire, a dispetto di ininterrotte rivolte, anche dopo 47 anni.
Nello stesso silenzio complice dei media occidentali che oggi è riservato alla
liberazione boliviana.
Giacimenti
di litio
Ora tocca vedere come
andrà a finire in Bolivia. Indiscutibili la forza e la determinazione di un
popolo che ha alle spalle rivoluzioni diverse volte vittoriose. Se non spazzate
via, le ONG del finto indigenismo, le stesse camarille umanitarie colonial--razziste
che ben conosciamo dalle nostre parti e, ultimamente, anche tra le milizie di
Biden, riprenderanno la loro manipolazione di ingenui e insoddisfatti.
Difficilissimo credere che le potenze avventatesi sul boccone più ambito e più
cruciale per i propri progetti, gli enormi giacimenti di Litio (USA e
Germania), senza i quali addio batterie per gli ibridi ed elettrici dei
giovinastri Musk o Elkann, lascino il passo alla sovranità della Bolivia e alla
sua equa collaborazione con Cina e Russia. Né rinunceranno facilmente a perdere
quella che è forse la posizione strategica più cruciale al centro di un
subcontinente in costante fibrillazione.
Usi del Litio
Cambia il vento
Per una minoranza di
noi occidentali, europei, italiani, che stiamo accettando in massa
sottomissioni e violenze psicofisiche che annientano i nostri dritti primari e
la stessa nostra identità umana, dopo quella di comunità e nazione, la vittoria
dei resistenti e rivoluzionari boliviani dovrebbe essere di confronto e
incoraggiamento. Come, in altri tempi, lo furono la vittoria vietnamita, la
rivoluzione dei garofani in Portogallo, quella cubana, prima che si annacquasse,
quella cilena.
Dopo quelli riusciti a
Obama e alla Clinton in Latinoamerica, Honduras, Nicaragua (eterna vergogna
alla versione CIA de “il manifesto”) e Paraguay, i colpi di Stato e altri
metodi di destabilizzazione yankee incominciano a finire in fiaschi. Così, i
ripetuti, massici, tentativi contro il Venezuela di Chavez e Maduro e di un
popolo cosciente e coraggioso come quello della Bolivia. Così la vittoria di
Lopez Obrador nel gigante messicano, a dispetto dei brogli che per ben due
volte gli hanno negato la vittoria e dei narcos militarizzati dagli USA e delle
Ong falso-indigeniste, sempre le stesse. Così il cambio della guardia in
Argentina, un ricupero della sovranità che non ha la radicalità dei processi
boliviano e bolivariano, ma che inserisce il paese in un fronte che esclude o,
perlomeno, si oppone, alla manomorta nordamericana. E non è tutto tranquillo né
in Cile, né in Ecuador, né a Haiti e Centroamerica. Mentre traballano le stesse
basi dell’imperialismo negli USA, dove il Deep State azzarda golpe e guerra
civile, pur di rimuovere l’eterodosso Trump.
Vivere e morire “de piè”
Jens Von Wernicke, con
il suo sito Rubicon, straordinario informatore scientifico e sociale e
protagonista della lotta contro i congiurati del Coronavirus in Germania e nel
mondo (le sue campagne di comunicazione hanno innescato e sostenuto le
grandiose manifestazioni a Berlino e in tutta la Germania), se ne è andato in
America Latina, Uruguay. Dove non ci sono né distanziamenti, né altre infamie,
come le mascherine. Ha detto che non ne poteva più. La sua è una fuga,
comprensibile, ne ha tutto il diritto, ma una fuga. Cerchiamo, invece, di farla
venire da noi, l’America Latina.
Forse sta cominciando
un altro giro di vento. Forse “il vento soffia ancora”, come diceva in
anni luminosi Pierangelo Bertoli. E’ da secoli che in America Latina non cessa
di soffiare, placarsi e risoffiare più forte.
Molti dei concittadini
mascherinizzati e, dunque, all’infelice mercè del pensiero unico e falso,
vedono gli eventi sudamericani come una fiaba raccontata ai bambini e che
riesce ad affascinare solo quelli di laggiù. Dove ci sono, da noi, le masse che
marciano a milioni? Dovrebbero ricordarsi di quanto disse una grande
conoscitrice dei popoli, l’antropologa ed etnologa Margaret Meade: “„Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini
coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che
è sempre accaduta.“
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