mercoledì 5 febbraio 2025

Palestinesi e altri 120 milioni, è tempo di migrare --- ELITE CONTRO TUTTI --- E’ colonialismo, bellezza

 

 

Canale Youtube di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=17uxIKn19TY

https://youtu.be/17uxIKn19TY

 

“Premio Attila” a chi distrugge la terra. Premio “Jack lo Squartatore” a chi fa sparire 2,3 milioni di esseri umani – merce ingombrante – dalla loro terra, per costruirci un resort per genocidi.

Premio “Piano Mattei” a chi si salva da un’invasione di migranti affidandoli alla custodia di chi, appena sottratto a giudici che si permettono di perseguire criminali, li incarcera, tortura, stupra, uccide.

1.    Trump-Netaniahu, mercenariato d’eccellenza dell’Occidente dollarizzato al tempo del suo disfacimento nell’ignomia e nel raccapriccio: E, da noi, un postribolo di papponi e mignotte, abusivamente chiamato governo, che si precipita a reggergli lo strascico insanguinato.

Ma cos’è questa emigrazione? Un fenomeno, o un’operazione? Una delle emergenze create nel famigerato laboratorio di armi biologiche, tipo clima, Covid, terrorismo? O l’ammodernata versione della tratta degli schiavi?

Ma stavolta, tra andare e venire, non solo tra Italia e Albania, Texas e Messico, Nigeria o Bangladesh e Ghetto Mezzanone (Foggia), è una tratta che può anche riavvolgersi su se stessa. Il boom è finito, tanto più lo sviluppo detto sostenibile, siete troppi, non ci servite più, sparite. Resti quanto contribuisce alla disgregazione sociale: ci offre il pretesto per scatenare sui sudditi i Nordio e i Piantedosi

Qui il lavoro è fatto. Dovevano sgomberare le loro terre e lasciarle alla predazione delle multinazionali. Fatto. Dovevano fornire manodopera da 16 ore a tre euro l’una per ingrassare grande distribuzione, grande ristorazione, grande ricezione, grandi cooperative,  grande mafia, grandi Sant’Egidio. Fatto. Dovevano disumanizzarsi lasciandosi dietro e perdendo per sempre radici, ambiente, famiglia, comunità, cultura, presente e futuro, identità, per qualcosa che chiamano integrazione e che non è altro che una mano di bianco su un fondo nero, bruno, giallo. Che ti stia bene, o no. Fatto.

Dovevano scomporre, nei luoghi d’arrivo, armonie sociali, compromettere identità culturali, mescolare e amalgamare a forza, disgregare comunità nella prospettiva di un grande indistinto brodo primordiale dove nessuno più abbia coscienza di sé, di chi è, da dove viene e dove va.Fatto.

Una pacchia per il pastore e i suoi cani.

MA SEMBRA CHE, STAVOLTA, IL MONDO ABBIA DETTO FUCK YOU

lunedì 3 febbraio 2025

L’asse terrestre spostato dai palestinesi --- --- HA PERSO CHI HA VINTO

 

 Zakaria Zubeidi, leader delle Brigate di Al Aqsa, fondatore e direttore del “Teatro della Libertà” a Jenin, nel momento della sua liberazione.

Per il “Ringhio del bassotto” Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://youtu.be/G4TbIgcBGNo

Medio Oriente: ha perso chi ha vinto - Il ringhio del bassotto, con Fulvio Grimaldi

 

Partiamo dalla constatazione del trionfo registrato da Hamas, a nome, nel segno e per merito del popolo palestinese di Gaza e dalla speculare sconfitta strategica di chi si era assegnato ottant’anni di vittorie. Poi vedremo che cosa c’è da prendere e cosa da buttare delle smargiassate della coppia di bulli che va ora riunendosi a Washington per organizzare una qualche soluzione B.

L’evidenza della vittoria di Hamas è abbagliante. Partito politico che nasce e si sviluppa con crescente consenso popolare, al punto da vincere, 2006, le ultime elezioni che ANP e Abu Mazen hanno permesso nei territori occupati. Poi forza armata di Resistenza sostenuta quasi esclusivamente dal proprio popolo, in condizioni di sostanziale isolamento politico per quanto riguarda la dimensione internazionale, araba e islamica. Ciò che arrivava dal Qatar e che l’Egitto lasciava passare non cambiava nulla sul piano strategico.

 Una forza politica e sociale ridotta a operare come talpe sottoterra, ma che resiste, opponendosi in termini validissimi, dolorosissimi per un esercito pure abituato a fare da rullo compressore incontrastato (salvo in Libano nel 2006, cacciato da Hezbollah nel giro di un mese). Un’aggressione dai caratteri apocalittici, armata da buona parte dell’Occidente politico, ha ridotto a suolo lunare lo spazio vitale del suo popolo, facendo ricorso a tutti gli strumenti – bombe, fosforo, fame, negazione di sanità, inquinamento, carcerazioni di massa - per un genocidio che imponesse la resa e l’annientamento delle sue difese.

E, a fronte, un paese che sta in piedi grazie alle continue trasfusioni fattegli dal fratello grosso. Un paese la cui capacità operativa mantiene una certa efficienza grazie alla facoltà, garantitagli dal fratello grosso, di far piovere morte e distruzione illimitate dal cielo. Ma anche un paese  la cui superiorità è stata profondamente compromessa, sul piano materiale come su quello morale, dai rovesci subiti, a Gaza come in Libano, nel confronto militare sul terreno.

La situazione di Israele, che ha dovuto rinunciare a quanto si era ripromesso di ottenere dallo scatenamento di una guerra senza limiti e senza scrupoli, è segnata da una crisi esistenziale dello Stato e della società. Il regime si regge a fatica contro un rifiuto di massa che si manifesta in un interrotto assedio alle sedi del Potere. Un potere anche inseguito, nella figura del suo capo, da ineluttabili esiti processuali. Fuggono a centinaia di migliaia gli immigrati, fuggono gli investitori, si inceppa una delle più floride e avanzate economie in seguito al passaggio coatto nell’esercito, da uffici, officine e centri di ricerca, delle sue forze professionali più qualificate.

L’operazione “Alluvione di Al Aqsa” del 7 ottobre, prescindendo dalla ricostruzione mediatica israelo-occidentale, dimostra, alla luce degli esiti, la grande intelligenza politica di chi l’ha ideata. Donald Trump, che ora ci riprova, nel suo primo mandato era riuscito ad avviare, dopo decenni di tentativi non risolutivi (Camp David, Oslo), quella sparizione della questione palestinese, nodo cruciale del postcolonialismo globale, che doveva costituire l’abbrivio della normalizzazione regionale. E la ripartenza della marcia verso Eretz Israel.

I suoi Accordi di Abramo con quattro importanti Stati arabi (Emirati, Bahrein, Sudan e Marocco) che, sullo sfondo della paralisi della Siria invasa, avrebbe dovuto avviare questo processo e perfezionarsi a breve con l’ingresso, strategicamente determinante, dell’Arabia Saudita, sono saltati per aria insieme ai centri di comando israeliani ai valichi di Gaza assaltati da Hamas.

Con il 7 ottobre, una Palestina alla quale si era pensato di aver tagliato voce, capacità di iniziativa, riferimenti esterni, presenza nella coscienza collettiva, al punto da ridurla a un residuo della Storia, più vittima per cui penare caritatevolmente che soggetto cui riconoscere diritti di lotta e di riscatto. è ripiombata con forza incontenibile sullo scenario mondiale. Più di quanto era riuscita a fare con due sollevazioni di massa pluriennali, le intifade. L’eco che questo evento cataclismatico ha suscitato, è riverberato di continente in continente. Il grumo criminale al potere aveva creduto di superare l’affronto alla sempre vantata sicurezza, trasformandolo in occasione per la “soluzione finale”. La soppressione fisica del suo protagonista.

Ma, alla lunga, se il blitz non chiude la faccenda, operazioni di tale portata hanno bisogno di partecipazione politica, morale ed emotiva ad amplissimo raggio. In effetti, questa si è manifestata, ma in senso contrario a quella che si immaginava, assicurata dal vittimismo strutturale costruito sull’olocausto.

Un popolo che, organizzato dalle sue avanguardie combattenti e con esse coincidente, marcia a centinaia di migliaia a riprendersi le sue case e cose, i suoi luoghi, i suoi cimiteri, la sua memoria, per quanto in frantumi, secondo il giornale israeliano Haaretz è invincibile.

La risposta offerta da Trump ai suoi sodali fasciosionisti è di una tracotanza che solo lo smarrimento dettato dagli eventi può aver determinato. “Ripuliamo Gaza di quella roba”. E “mandiamoli in Giordania ed Egitto”. Immaginare che governi possano aderire a un progetto che li renderebbe inconciliabili in eterno con la propria popolazione, con ogni singolo cittadino arabo o musulmano, oltre a destabilizzare ogni prospettiva di coesione sociale e di rispettabilità internazionale.

A Rafah ho potuto vedere a cosa era disposto il popolo egiziano. Chilometri dal valico a Suez con centinaia di Tir allineati in attesa di entrare a Gaza, colmi di aiuti per decine di migliaia di tonnellate che i cittadini di questo paese avevano raccolto, spesso a proprie spese. Tutte le ambulanze del paese erano state mandate a raccogliere i feriti che dalla Striscia erano potuti uscire. Medici e infermieri di primissima qualità per competenza e passione, in ospedali che a noi risulterebbero avveniristici, si impegnavano in turni massacranti per curare centinaia di bambini giunti con amputazioni infette, denutrizione, tumori da mesi non curati. Ricordo le lacrime di un giovane ortopedico che si affannava attorno a una bambina con due schegge nel torace.

Vorrei vedere, con una simile gente, cosa succederebbe a un governo che accettasse di soccombere al ricatto dei responsabili di tutto questo.

E infatti, la risposta è stata immediata, ferma ed univoca. Non è però detta l’ultima parola.

Verranno messe in atto, specie nei confronti dell’ostacolo egiziano, le più sporche operazioni di destabilizzazione degli specialisti della corruzione, dei colpi di Stato, delle rivoluzioni colorate. Si attiveranno ONG, accreditate tra i benpensanti per aver aggrottato le ciglia sugli stermini di bambini a Gaza, ma che su ciò che spiana la strada ai diritti umani come concepiti a Langley sanno come muoversi.

Amnesty International ha tempestivamente diffuso un rapporto sui “gravi limiti alla libertà d’espressione e alle cadute democratiche” che segnerebbero, nell’Egitto di Al Sisi, la sorte degli oppositori. Human Rights Watch, quella del “viagra dato da Gheddafi ai suoi soldati per stuprare meglio le donne libiche”, non è da meno. Ci ricordiamo come siano girevoli le porte tra queste ONG e il Dipartimento di Stato USA? Da Google ce lo evidenzia, per esempio, Suzanne Nossel, collaboratrice di Hillary Clinton. Quella che esultava sul corpo martoriato di Gheddafi. Quella del golpe in Honduras. Quella di Maidan a Kiev.

Noi, intanto, ci siamo portati da tempo avanti col lavoro con il nostro Giulio Regeni.

 

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sabato 1 febbraio 2025

Cosa ci dice lo scontro tra governo e magistratura--- --- REDUCTIO AD UNUM --- --- Amichettismo per tutti

 

Cosa ci dice lo scontro tra governo e magistratura

REDUCTIO AD UNUM

Amichettismo per tutti

Canale Youtube di Fulvio Grimaldi https://www.youtube.com/watch?v=Apb_UuHV9uI&t=48s

https://youtu.be/Apb_UuHV9uI

 

Parlamento, fuori uno. Magistratura, fuori due. Libera stampa, fuori tre. Popolo, fuori quattro. Libertà, fuori cinque.

Assassini e torturatori restituiti agli amici. Innocenti arrestati su ordine degli amici. Carceri italiane piene di tanti piccoli Almasri e di suicidi 2024:88, record europeo e statunitense.

A chi protesta: decreto Sicurezza.

Chi non vuole il Ponte, carcere. Chi non vuole essere picchiato dai gendarmi, carcere. Chi protesta contro il secondino aguzzino, carcere. Chi balla sui prati, carcere. Chi si batte contro i licenziamenti, carcere. Chi osa denunciare o processare uno dei quartieri alti, alla colonna infame. Chi ruba e inganna tutto il paese, celebrazione post mortem fin sul Quirinale. Chi intralcia le regole del ministro di Polizia, del ministro di Giustizia, di Ministro degli Esteri, vituperio e carcere. Chi festeggia la vittoria di Hamas, marchiato a vita di antisemitismo.

C’è un giudice a Berlino?

 

giovedì 30 gennaio 2025

Quando si dice “Sicurezza” --- --- CHE LO SPIRITO DI TRUMP SCENDA SU DI NOI

 


Radioroma.tv - Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi https://www.radioroma.tv/2025/01/30/oms-ddl-sicurezza-e-referendum/ da 04’ a 28’53

 

Decreto Sicurezza - uscita dall’OMS - liberazione Al Masri – Siamo tutti spie – Siamo tutti mafia e terrorismo - varie ed eventuali

Ramy, per essere scappato su uno scooter guidato da un amico che non aveva la patente, per questo grave delitto altrui è inseguito, fatto cadere, spiaccicato contro un muro, giustiziato. Come? Da chi si fa simultaneamente gendarme, pubblico ministero, cronista eccitato della manovra per farlo cadere, giudice ed esecutore della sentenza capitale. E cancellatore, a forza di minacce, delle riprese che ne documentano il servizio svolto.

Nell’Italia di Meloni il poliziotto, per quanto faccia, ha lo scudo legale. In questo caso si andrà dall’omicidio stradale colposo all’archiviazione. E se un PM recalcitra, si sa come agire. D’altronde, per chi spacca teste a qualcuno che paia avvicinarsi troppo a un obiettivo sensibile, tipo Grande Opera o Sinagoga, non vorremmo mica impedire di incriminarlo perché ha opposto resistenza coprendosi il cranio con le mani!

Men che meno potremmo tollerare coloro che nelle nostre carceri della rieducazione facciano opposizione passiva a chi ne cura proprio la rieducazione. Per cui è ora che la si faccia finita con una magistratura che si permette di incriminare guardie carcerarie di cui i video mostrano la sana rieducazione a forza di botte e torture, tipo a Santa Maria Capuavetere, Trapani o al Cesare Beccaria milanese. Il record di 90 suicidi, nuova forma di esecuzione extragiudiziale, nelle carceri del terzo anno dell’era Meloni, primato anche europeo, è un dato che ci fa ben figurare anche rispetto alla media di appena 18 suicidi/anno negli USA e alle appena 25 condanne a morte eseguite negli Stati Uniti nel 2024 di Biden.

Osama Al Masri, noto e provato carceriere, torturatore, stupratore di minorenni, assassino, con incarico ufficiale da un regime golpista di criminali mafioterroristi, ricattatori a mezzo di migranti, è arrestato in Italia su mandato della Corte Penale Internazionale alla quale il nostro Stato aderisce. Nel giro di 24 ore, nella totale inerzia del responsabile Ministro della Giustizia, ne vengono ordinati il rilascio, l’ospitalità su un aereo di Stato a nostre spese e la riconsegna alla sua missione umanitaria. Con tante scuse a coloro che in Libia lo avrebbero accolto in trionfo.

Per il ministro Piantedosi era “pericoloso”, ma solo per gli italiani. Tanto che nelle carceri per migranti e patrioti che il “generale” gestisce a Tripoli su mandato del governo nostro amico, può essere nuovamente apprezzato per torture, stupri, anche di minori, e assassinii. Sarà un capitolo del Trattato Mattei?

Avvedutamente dell’Albania, tramite crociere a nostre spese, s’è fatta la discarica di migranti di cui si deve capire se maltrattarli lì, ricuperarli come forza lavoro schiavista che faccia da calmiere alle paghe dei lavoratori connazionali, o rimandarli da dove erano venuti, magari al carcere di Al Jadida del “pericoloso”, solo per noi, Osama Al Masri.

Si tratta di delocalizzazioni, di persone e altro, comportamenti compresi. Quelle che il morganatico partner-sponsor-padrino della Meloni, Donald Trump, ha testè ribadito nel solco di Bush, Clinton, Obama e Biden, promettendo Guantanamo a milioni di immigrati, stavolta latinos. Nessuno dei “terroristi” fin qui detenuti è mai stato destinatario né di imputazioni specifiche, né di processi, né ovviamente ha mai visto avvocati.

Cionondimeno, Trump, memore di come a Guantanamo vengono trattati i “sospetti”, ha garantito. “Guantanamo will be tough, very tough…” Sarà dura, molto dura”. E qui lo spirito di Trump sapeva proprio di afrori libici.

Immigrati, peraltro, senza i quali il sistema agricolo, della manodopera da due soldi e 14 ore nei tanti servizi USA, collasserà. Ovviamente a vantaggio del rilancio della produzione domestica e dai dazi con cui il rimodulato commercio internazionale trumpiano manderà in vacca quanto il capitalismo extra-BRICS contava ancora di spremere da consumi e consumatori.

A Guantanamo, dopo un quarto di secolo di detenzioni arbitrarie di gente dall’aria sospetta, rastrellata qua e là, soprattutto dove si prega islamico e su cui si sperimentava, col water boarding, fino a che punto la si poteva far soffrire e avvicinare alla morte senza ucciderla, Trump scaricherà i migranti “illegali”. Insomma coloro che fame e miseria indotta nei rispettivi paesi dalle multinazionali e dai golpe USA, erano venuti per riprendersi qualche briciola di compensazione.

La nostra Guantanamo si chiama Albania e, più recentemente, Al Jadida di Tripoli. Il più straccione dei colonialismi non poteva che essere postfascista. Ma finchè noi buoni rassicureremo i cattivi e grossi d’Occidente che le vittime delle loro spoliazioni di popoli e continenti da spoliare vanno “accolte tutti”, tutto questo continuerà a funzionare a meraviglia.

Lo spirito di Trump è dunque disceso su di noi. O è vero il contrario, si parva licet magna comparare? Mai sottovalutare chi pensa di rimettere nello zaino, ritrovato in mansarda, il bastone da maresciallo (vedi Federico II di Prussia). Bastoncino, nella fattispecie, ma sostenuto da robusti manganelli e ampie riserve di olio di ricino.

Con il Decreto Sicurezza, ora in discussione al Senato, di spirito trumpista i nostri palazzi si sono già mostrati investiti. Qualche episodio che da tale spirito – feroci con i deboli, compiacenti con i forti e duri - è stato generato, lo abbiamo ricordato sopra.

Avendo fornito sostegno morale e materiale, strumenti, denari e affettuosa complicità a chi di questo spirito si è mostrato valente anticipatore, pensiamo a Zelensky, Netaniahu, Milei, Abu Mazen, golpisti CIA vari tra Georgia, Romania, Venezuela, la ricaduta di quanto appreso da tali frequentazioni non poteva che essere il Decreto Sicurezza. Un decreto non solo per il mero carcere a chi scrive una frase su un palazzo, fa un picchetto ai cancelli, occupa un’aula o un reparto, si sdraia davanti alla ruspa che abbatte ciò che si oppone al Ponte, alza nude mani, come detto prima, contro la mazza dell’anonimo poliziotto.

Un decreto propedeutico alle riforme. Fondamentale per impedire sul nascere qualsiasi opposizione sociale, che una nazione ancora consapevole di sè e dei suoi diritti conquistati col sangue, potrebbe/dovrebbe produrre rispetto a: fine della tripartizione del Potere statale, Premierato, Autonomia Differenziata. Quel “paese rivoltato come un calzino” che l’ereditiera del Ventennio ci ha promesso. E nel quale l’ordinato svolgimento delle cose non viene turbato da ubbie parlamentari, o da magistrati che si attengono alle leggi ancora esistenti, ma in fondo si pensano opposizione.

Va detto, al netto di tutto questo, che lo Zeitgeist di Trump pare voler investire anche chi, in effetti, da tempo avrebbe dovuto subire perlomeno un semaforo rosso. L’uscita dall’OMS può essere letta su vari registri. Chi dell’OMS, come tanti ingiustamente colpiti, pensa, anzi conosce, tutto il male possibile; chi sa del suo direttore fellone che, da ministro della Salute in Etiopia, ha nascosto un’epidemia di colera per non turbare i flussi turistici; chi ne conosce il board di vaccinari miliardarizzatisi grazie al vannamarchismo Covid, non può che annuire.

Tanto più che oggi, con il suo nuovo Trattato Pandemico e il suo Nuovo Regolamento Sanitario Internazionale, quel grumo di nequizia redditizia conta di mettersi in tasca parlamento, governo e popolo di tutto il mondo (i paesi hanno un anno per dire di no).

Poi, vai a sapere se si tratta di sostituire alla dittatura sanitaria sul mondo, una dittatura economica, tecnologica, suprematista, artificialmente intelligente, costellata di Guantanamo e Decreti Sicurezza. Ti viene da chiederti se quella che viene respinta, in nome di sovranità e trasparenza, come la manipolazione della salute e dell’autodeterminazione del cittadino, possa conciliarsi con chi a quella salute e a quella autodeterminazione pensa in altro modo.

Tipo prendere qualche milione di persone, bombardarle a casa loro per 15 mesi, poi sbatterle fuori e infilarle in case altrui (un po’ alla sionista, con gli ebrei messi dai britannici in Palestina). E, visto che riluttano, che sopravvivono a bombe e fame, cacciare anche l’UNRWA, che per 80 anni ha permesso agli espropriati e rapinati di istruirsi, mangiare, coltivare, vestirsi, fabbricare. Esserci.

Spirito di Trump.



mercoledì 29 gennaio 2025

IMMOBILIARISMO COLONIALISTA


Fulvio Grimaldi su L’Antidiplomatico

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-trumptower_dappertutto_cisgiordania_una_questione_di_famiglia/58662_58872/

 


Rigenerazione palestinese secondo Donald Trump.

Non solo “Gaza, let’s clean out that thing” = “Gaza, svuotiamo quella roba”, ma anche una Cisgiordania di Torri Trump e villette in collina, al mare e lungo il fiume. 800.000 coloni che bruciano, devastano uccidono, sono pochi.

Se ne occupa Jared Kushner, genero di Trump, immobiliarista e sionista, in collaborazione con l’IDF, le milizie armate dei coloni e dei collaborazionisti ANP di Abu Mazen, impegnati a preparare la Cisgiordania allo “svuotamento” da Trump già disposto per Gaza.

Per realizzare le disposizioni del regime sionista, come articolate dai ministri Smotrich e Ben Gvir con la prospettiva dell’annessione totale della Cisgiordania – Giudea e Samaria per la bibbia – occorre rendere la vita degli autoctoni palestinesi invivibili, tipo Gaza, e le opportunità di insediamento per immigrati allettanti e sicure. A questo pensano le imprese israelo-statunitensi del consorzio Phoenix Financial controllato dai Trump e da oligarchi israeliani e braccio civile della colonizzazione. Qatar, Arabia Saudita ed Emirati contribuiscono con due miliardi di dollari.

Non ha Elise Stefanik, ambasciatrice di Trump all’ONU, testè sentenziato: Israele ha il diritto biblico all’intera Cisgiordania”?

Una più ampia trattazione nell’articolo su L’Antidiplomatico.

GAZA, GIORNO DEL RITORNO GIORNO DELLA VITTORIA GIORNATA DELLA MEMORIA

 


Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=Mf_iGltjKKk

https://youtu.be/Mf_iGltjKKk

 

TRUMP-NETANIAHU: “Ripulire Gaza da questa roba, spedirli in Giordania ed Egitto”

GORDANIA ED EGITTO: “Sti cazzi!”

GAZA-HAMAS: “Trecentomila vaffa a Trump e Netaniahu”

Palestinesi avanguardia dell’umanità

venerdì 24 gennaio 2025

Di continente in continente fascismi 2.0 --- NOI E GLI ALTRI GANGSTER

 


Canale Youtube di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=W4Mu2ERZsiw&t=12s

https://youtu.be/W4Mu2ERZsiw

Questo regime di biscazzieri, malviventi, scappati di casa, incapaci, mentitori, armatori e complici di massacratori di guerra, ha rimandato libero e riportato nel suo covo di briganti, a Tripoli, un assassino torturatore di massa, sotto mandato d’arresto del Tribunale Penale Internazionale. Al nostro regime di complici di ogni infamia lo ha ordinato il capo della cosca criminale libica a cui noi, con l’ONU, conferiamo il titolo di governo. A condizione che ci passi il petrolio e che tenga rinchiusi, torturati e uccisi, coloro che vorrebbero venire qui.

Ma i fascismi di cui si parla in questo video sono tanti e neanche tanto vari. E’ bastato, a Washington, qualche mero accenno a una variazione sul tema dell’America antropofaga, che paggi, vallette, spazzini e strilloni europei sono andati in agitazione: “Quello cincischia, cambia le carte in tavola e allora noi che facciamo?” Ed è stata la bava alla bocca, l’urlo collettivo: guerra guerra guerra!

In questi giorni, tra assassini-torturatori, nostri partner dell’Altra Sponda, genocidi in estensione da Gaza al Libano e alla Cisgiordania, nostri sodali da amare e armare, e il nuovo grande capo che, con i 50.000 satelliti del suo visir dal braccio teso, promette di contarci anche i peli del pube, contro fatti duri e puri abbiamo sbattuto la zucca.

Su Donald Trump s’è sentito da tutti di tutto. Data l’imprevidibilità di uno che sistematicamente sfugge alle nostre elementari categorie di classificazione, ognuno vi si esercita al principale scopo di esibire competenze e perspicacie analitiche e predittive. Qui menziono solo una di queste onanistiche performance. Forse la più scema di tutte. E perlopiù wako e, quindi, in senso ostinato e contrario a quanto di “cultura” e di “politically correct” ci hanno rifilato negli anni da Obama in qua.

Dobbiamo alla penna aguzza di Selvaggia (nome omen) Lucarelli, giudice burbanzosa di ballerini sotto le stelle e produttrice di eversioni parioline sul Fatto Quotidiano, il miracolo di aver scandagliato nel profondo le complesse sfaccettature di uno che vuole la pace con Putin, ma lo sterminio dei palestinesi, l’ingresso dei suoi scarponi in Groenlandia, Canada e Panama, ma l’uscita da OMS, Green Deal e, hai visto mai, NATO, un’Europa piccola piccola, ma un Israele grande grande e via pazzarellando.

Per Selvaggia, ciò che invece conta e ci rappresenta l’omone alla carota, sul piano etico, estetico e culturale, è ben altro. Scrive: “Il suo progetto affonda le radici nel machismo…la virilità dominante dei maschi accanto a lui (compresa la ricca dozzina di donne?)… l’espressione massima di potere del maschio bianco che sfida il resto del mondo, galassie comprese…”.

Beh, non ha tutti i torti la sondatrice delle incomparabili specificità di Trump, nemmeno quando ne trae previsioni di incomparabili sventure determinate dall’identità di “maschio bianco”. Visto che quelli prima di lui, Biden, Obama, Bush, Clinton, Reagan, di tutto erano espressione fuorchè di machismo, di sfida al mondo, di mascolinità bianca (tipo guerre, che poi, pur essendo la massima espressione del machismo dell’uomo bianco, lui non ne ha lanciate).

Lasciamo pure Trump al ruolo di “macho più potente del mondo”, secondo le semplificazioni che fanno certi scrivani trovandosi in difficoltà a scorgere tra le nebbie i pupari del teatro dei burattini i cui trilioni manovrano per davvereo le sorti del mondo. Tuttavia, cosa pensate che facessero i Bezos, Zuckerberg, Musk, Pichai (Google), Fink (Blackrock) e colleghi vari, allineati dietro a Trump? I guardiaspalle? I pretoriani, i famigli? O quelli che muovono i fili?

C’è chi si ritiene ancora ai tempi dell’Unto del Signore che tutto può e tutto fa.

Unto del Signore, peraltro, che regolarmente nella Storia si ritrova sbalzato dal cavallo da qualcuno che, scampato agli zoccoli, pur nudo e scalzo, ne è diventato pietra d’inciampo. E’ successo tante volte. Spesso è bastato accendere una miccia a far imbizzarrire il cavallo e precipitare l’Unto.

Ho visto, al tempo di “Piombo Fuso” la gente di Gaza. Fuori non si vedeva a un passo dalla polvere delle macerie e dal fumo delle bombe. Si sapeva che, uscendo, si sarebbe inciampato su corpi esanimi. Ma dentro al piccolo centro culturale, dalle finestre infrante, ragazzine e ragazzini suonavano, cantavano, facevano la V con le dita, ti guardavano negli occhi  e scandivano tra una strofa e l’altra “Non vogliamo il pane, non vogliamo l’acqua – vogliamo la libertà”.

Una bambina dagli occhi verdi (la ritrovate nel mio docufilm “Araba Fenice il tuo nome è Gaza”) recitava versi del più grande poeta di Palestina e della Resistenza, Mahmud Darwish:

“ I nemici possono avere la meglio su Gaza – possono spezzarle le ossa – possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini – possono gettarla a mare, nella sabbia e nel sangue – ma lei non ripeterà le bugie – non dirà sì agli invasori – continuerà a farsi esplodere – non si tratta di morte – non si tratta di suicidio – ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere – Continuerà a farsi esplodere…”

Il giorno dell’annuncio del cessate il fuoco, Gaza è di nuovo esplosa. Decine di migliaia in festa attorno ai propri combattenti con fascia verde e passamontagna e la bandiera palestinese sul braccio. L’esercito più invincibile del mondo si era ritirato. Scoraggiato, stanco, sconfitto, privo di centinaia di disertori. Torna in un suo Stato dal quale altri, in abiti civili, fuggono a centinaia di migliaia.

Sancisce il ministro degli Esteri Gideon Saar: “Non abbiamo raggiunto nessuno degli obiettivi dell’aggressione militare… non siamo stati capaci di distruggere il potere politico e la capacità militare di Hamas”. L’architetto del celebrato “Piano dei Generali” (affamare la popolazione, deportarla), Generale Gioria Eiland: “Il nostro è stato un fallimento totale. Ce ne andiamo senza aver ottenuto un solo risultato. Abbiamo perso la guerra, Hamas è più forte di prima”. Haaretz, primo giornale di Israele: “I palestinesi sono il migliore popolo al mondo nel difendere la propria terra. Chi, se non i proprietari della terra la difenderebbe con tanta determinazione, con la propria vita, i propri figli e un tale orgoglio?”

Gaza è invincibile. Gaza ha vinto già solo per esserci. I gangster hanno ucciso 47.000 persone, anzi, 70.000, forse molte di più. Ma i palestinesi sono 14 milioni. Grazie ai loro martiri sono tornati a esserci. Hanno accettato il costo, il conto torna. Torna anche per quei palestinesi che su quella terra sono stati nei millenni.       

I palestinesi sanno che il passato non è morto. Anzi, non è neanche passato.

Noi ce ne siamo dimenticati.

lunedì 20 gennaio 2025

GAZA O MORTE. Fatto.--- CISGIORDANIA O MORTE. Da fare. --- GRANDE ISRAELE O MORTE. Tempo al tempo.

 

 Ramallah, Primavera 2002. Marwan Barghuti, segretario di Fatah, leader della Seconda Intifada 2001-2005, con chi scrive.

 

Un mese dopo lo scatto di questa foto, Marwan Barghuti è stato arrestato a Ramallah dall’IDF, violando la sua immunità di deputato del parlamento palestinese. Nel 2004 è stato condannato a cinque ergastoli e ad ulteriori 40 anni di prigione, per colpe a lui attribuite: attacchi suicidi della Resistenza a obiettivi militari. Dato che in nessuna di queste azioni è stato direttamente coinvolto, è stato violato il principio giuridico fondamentale secondo cui la responsabilità penale è personale.



Oggi Barghuti ha 65 anni, è in carcere da 2004, non si è difeso in tribunale perchè non gli ha riconosciuto legittimità. In ogni sondaggio in vista delle prime elezioni da tenersi nei territori occupati dal 2006, vinte da Hamas, risulta primo nelle preferenze della popolazione palestinese. In tutte le liste di prigionieri che, nei vari scambi considerati nel corso dei negoziati tra il 2023 e oggi, Hamas ha collocato Barghuti al primo posto. All’atteggiamento di apertura e di laicismo e al rispetto per la volontà degli elettori, così manifestato da Hamas, il governo dello Stato sionista ha sistematicamente opposto un rifiuto netto.

 

Oggi, nelle fasi successive a quella della cessazione del fuoco e del primo scambio di prigionieri, fasi 2 e 3 già valutate improbabili dal regime di Tel Aviv, il quasi novantenne presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è candidato, ed è stato candidato dagli sponsor esterni della tregua, all’amministrazione, in congiunzione con altri paesi, della Striscia di Gaza “liberata” dalla presenza di Hamas e delle altre forze della Resistenza.

Per questo compito l’ANP che con Abbas, dalle ultime elezioni del 2006, vinte da Hamas, mantiene, grazie al consenso di Tel Aviv, il governo della Cisgiordania, avendo rifiutato da allora ogni ulteriore consultazione popolare, si è accreditata in vent’anni di collaborazionismo e, in particolare, con la recente aggressione dei propri pretoriani armati alle roccaforti della resistenza. Nel corso dell’intervento a Nablus, Jenin, Tulkarem e altri centri palestinesi, reparti della polizia dell’ANP, forte di circa 80.000 uomini grazie ai proventi in arrivo da Stati Uniti, Europa e imposizioni fiscali alla popolazione dei territori occupati, hanno usato armi e ruspe per uccidere, ferire e distruggere abitazioni e strutture pubbliche. Hanno perfezionato e completato quanto simultaneamente compiuto dall’esercito e dai coloni. Israeliani.

Quando chi scrive visitò nel 2002 i territori occupati, la leggenda di una soluzione equa della questione di un popolo senza terra, senza Stato e con un’amministrazione locale fortemente limitata dalla presenza e dall’interferenza della potenza occupante (le famigerate zone A, B e C), nelle organizzazioni della Resistenza si era già consolidata la consapevolezza di come gli accordi di Oslo fossero pura retorica e, più che corroborare la prospettiva di due popoli per due Stati, la stavano eliminando dall’orizzonte della Storia.

La prima Intifada, negli anni ’80, in cui il ventenne Barghuti, già reduce da ripetuti imprigionamenti, svolse il ruolo di dirigente (prima di essere arrestato nel 1987 ed espulso in Giordania), aveva gettato i semi per un’alterativa alle soluzioni illusorie concluse tra vinti, vincitori e i padrini internazionali di questi ultimi. La convinzione che la violenza dell’occupazione coloniale doveva essere contrastata con gli strumenti della forza della popolazione oppressa, come da Carta ONU, trasse persuasività dal fallimento di Oslo e provocò una netta, seppure all’esterno poco pubblicizzata, frattura nel mondo politico palestinese.



Yasser Arafat, storico Nelson Mandela della Palestina (cui si potrebbe contrapporre un Marwan Barghuti-Che Guevara), corresponsabile degli accordi di Oslo e il gruppo dirigente di Fatah, poi forza centrale di OLP e ANP, intrapresero la strada senza ritorno della convivenza con l’occupante, alla luce, sempre più fioca, della formula, sempre più stereotipo, dei “due popoli per due Stati”. Formula ridicolizzata dal costante aumento degli insediamenti e del numero di coloni, oggi arrivati a 800.000 e ininterrotti predatori di beni e terre palestinesi, quando non preferiscono incendiare e devastare.

L’Intifada, sotto la direzione di Barghuti, produsse una formazione di giovani resistenti, detta Tanzim, che lentamente radunò attorno a sé una nuova generazione di politici e combattenti palestinesi. Mentre la posizione rinunciataria e collaborazionista del vecchio gruppo dirigente, appeso alla popolarità di un Arafat in netto infiacchimento senile, conobbe un’emorragia di consensi, non frenata da evidenti fenomeni di corruzione e dai ricatti subiti dal padrone coloniale, crescevano l’autorevolezza e il sostegno popolare al gruppo di Barghuti.

Ebbi modo di constatare de visu il consenso della popolazione attraverso l’ininterrotta e crescente mobilitazione contro l’occupante, sia nella forma della sollevazione di massa nella cosiddetta “Intifada dei sassi”, sia attraverso il reclutamento nelle formazioni paramilitari impegnate nello scontro armato. Quanto all’obiettivo strategico, in una mia intervista, Barghuti disse con grande enfasi: “Noi non scacceremo chi è disposto a vivere in pace e amicizia con noi. Noi saremo su questa terra per sempre. E per sempre lo saranno anche gli ebrei”. I cinque ergastoli e il rifiuto israeliano di accettare lo scambio con Barghuti vanno riferiti alla prima parte di questa affermazione.

Ebbi l’occasione di assistere a un assai significativo convegno delle due anime di Fatah in un teatro di Ramallah. La contrapposizione era visibile nello schieramento sul palco. C’era, sul podio, il vecchio Arafat cui un suggeritore alle spalle correggeva il discorso e ne riempiva i vuoti di parola e di pensiero. Quando si perdeva, ripiegava sull’invocazione  “Pace in Terra Santa”. Intorno a lui, di poco più giovani, a spellarsi le mani, i burocrati della vecchia OLP e della nuova ANP. Al margine, attorno a Barghuti, il gruppo dei giovani capi dell’Intifada con le loro espressioni rispettose, ma perplesse.

Bisognava agire prima che il rapporto di forze tra giovane anima della Palestina e il suo vecchio corpo si risolvesse in senso non gradito ai colonizzatori di una Palestina che, secondo i piani pubblicati nel 1980 dall’analista geopolitico e consulente del governo israeliano Oded Yinon, prevedevano l’estensione su vasta scala in Medioriente, di tale colonizzazione. Lo strumento essendo quello della frammentazione degli Stati arabi unitari lungo linee etniche e confessionali. Così Barghuti viene arrestato mediante l’irruzione dell’esercito di Tel Aviv nella zona riservata al controllo palestinese.

 Mahmud Abbas e Mohammed Dahlan

Qualcuno sospetta che l’operazione sia stata agevolata da Mohammed Dahlan, allora capo dei servizi di sicurezza palestinesi e autore del fallito colpo di Stato dell’ANP a Gaza contro Hamas nel 2006. Dello stesso Dahlan si è mormorato anche in relazione ad avvelenamento e morte di Arafat nel 2004, due mesi dopo la condanna di Marwan Barghuti. La strada ne è risultata sgombrata.

Di Dahlan, che vive ad Abu Dhabi dove ha accumulato milioni di dollari e influenza sulle decisioni dell’emiro Mohammed bin Zayed Al Nahyan, si è tornati a parlare in vista del progettato ritorno dell’ANP di Abu Mazen a Gaza. Lo si pensa utile come appaltatore di ricostruzioni (ci saremo anche noi, hanno detto Tajani e Crosetto). Ma anche come  custode di un cimitero lungo una Striscia.

 

Tempo scaduto, sembrerebbe, usciti di scena i compagni di merende di Netaniahu, Biden e Blinken, anche per Abu Mazen e i suoi progetti di connivenza-convivenza. Ora c’è Trump, che vuole chiudere Gaza in un modo o nell’altro: troppo scandalo a livello mondiale. Eppoi quanti decenni ci vorranno già solo per sgomberare 40.000 tonnellate di macerie! Per cosa, poi? Per far fare soldi a quelli del Ponte sullo Stretto?

Concentriamoci sulla Cisgiordania, più ampia, più ricca, già bell’e colonizzata! Il futuro prossimo è quello. Erez Israel, la Grande Israele, comincia qui.

 

 

 

 

 

venerdì 17 gennaio 2025

Quale tregua?--- --- GAZA, CHI VINCE CHI PERDE

 

Quale tregua?

GAZA, CHI VINCE CHI PERDE

 


DAL MIO CANALE YOUTUBE

https://www.youtube.com/watch?v=8IGukEUNeco

https://youtu.be/8IGukEUNeco

 

A Gaza i sopravvissuti, il milione e 900.000 senza casa su 2,1 milioni, coloro che hanno perso 70.000 congiunti e amici e ne perderanno altre decine di migliaia, ffesteggiano a buona ragioner la cessazione, anzi la sospensione, del genocidio.

Sospensione? Chissà. Non per coloro che stanno morendo di fame, malattie, ferite perché privi di assistenza sanitaria dato che i presidi sanitari sono tutti rasi al suolo o inoperativi perché danneggiati e privati di sanitari e medici ammazzati o carcerati. Sospensione? Non per chi vive nelle enormi tendopoli piazzate nel fango, al freddo, sotto la pioggia, o nei campi al 75% non più coltivabili dopo il passaggio dei carri armati, delle ruspe, delle bombe, o perché non più praticabili vista la distruzione del 90% delle strade. Non per chi non avrà più istruzione e quindi strumenti di lavoro e vita, dato che il 90% delle scuole non esiste più.

Una tregua per sopravvivere tra i 40 milioni di tonnellate di detriti, pieni di amianto, del 70% delle costruzioni distrutte e di 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi. Per sopravvivere, uno su cinque, alla mancanza di cibo, di cui il 96% bambini e rispettive madri. Per sopravvivere fino al 2040 quando saranno state rimosse tutte le macerie e gli sciacalli della ricostruzione potranno intascare i miliardi promessi dallo sterminio. In fila già Tajani, Crosetto e Meloni, con quelli del Ponte sullo Stretto, della diga di Genova, dei grattacieli abusivi di Milano e del rigassificatore sotto le case di Piombino.

Una tregua per chi ha già giurato che non l’accetta e non la osserverà. Nella peggiore delle ipotesi riprenderà la mattanza al termine della prima delle tre fasi previste dall’accordo. Lo minacciano gli irriducibili sionazi della radiazione di palestinesi dalla faccia della Terra, Smotrich e Ben Gvir, dietro ai quali annuisce l’analogo Netaniahu.

E ancora tutto da vedere. Anche chi vince e chi perde. Per oggi stiamo ai fatti. Israele aveva giurato di far fuori il bubbone Gaza, eliminando Hamas e spostando nel Sinai egiziano, o sulla Luna, 2 milioni di palestinesi. L’Egitto, forza principale nell’ottenimento dell’improbabile tregua, più che gli ambiguoni della Fratellanza Musulmana del Qatar, gli ha fatto “sticazzi”. Hamas ha ancora colpito soldati e tank dell’IDF, ancora ieri, ancora nella Gaza Nord spianata da 15 mesi di bombe. E quelle villette di neocoloni ebrei, con vista mare a Gaza, di cui abbiamo ammirato il promettente rendering degli impresari immobiliari israeliani? Rimaste a ingiallire sui tavoli degli architetti.

Invece delle villette per “rimpatriati” mosaici da Manhattan, San Pietroburgo, Venezia, o Buenos Aires, si notano gli aerei che riportano nelle loro vere patrie qualcosa come 700.000 coloni ebrei, scampati alle angosce di un paese perennemente preda di insicurezza e sensi di colpa, nei migliori. E con quel decimo di israeliani, sono venuti via anche gli investimenti e le potenzialità di sviluppo già assicurati da tecnici, imprenditori, ricercatori, giovani, di cui il servizio a Gaza e in Libano ha privato il contributo all’economia del paese.

D’altra parte, Hezbollah è stato indebolito dalla decimazione dei suoi quadri e il Libano, con un presidente e primo ministro di stampo Abu Mazen, è passato sotto il controllo di amici di USA, Francia e Israele. Lo Stato abusivo sionista si va mangiando altre fette di territorio arabo in Siria e gode della sottomissione – a sé, ai turchi e agli USA – di un regime di fanatici integralisti e tagliateste al pari dei propri dell’IDF. L’assistenza in armi dell’Iran alla Resistenza palestinese non può più passare per il corridoio Libano-Siria, sotto controllo israeliano. Del glorioso Asse della Resistenza antisionista non è rimasto che lo Yemen, i cui missili, peraltro, continuano a colpire – o dissuadere – i rifornimenti a Israele e a centrare obiettivi all’interno dello Stato coloniale.

Tuttavia, molti sono i punti da mettere in tasca per i trucidoni di Sion. Ma che ne è, oltre che dei propositi non raggiunti a Gaza, del soffocamento di ogni resistenza in Cisgiordania ora invece riesplosa in armi a dispetto del collaborazionismo della Gestapo di Abu Mazen? Ma soprattutto che ne sarà di uno Stato sionista artificiale e coatto che di fronte agli umani del mondo si presenta, insieme al suo sponsor, come la cosa peggiore, più pericolosa, verificatasi a memoria d’uomo? Perlomeno a memoria delle generazioni attualmente pensanti.

Alla lunga, le opinioni pubbliche, in stragrande maggioranza ostili a Israele, qualche effetto sui rappresentanti che ne sono determinati lo hanno. S’è visto in tutte le guerre. C’è ancora oltre a Biden, Meloni e altri sguatteri, qualcuno che urli “all’attacco!”? Vedendosi privato della pagnotta a favore del cannone? E’ storico. E il Trump, che alla richiesta di pace in USA e nel mondo ha risposto con accenni alla fine delle guerre, del ruolo esercitato nelle trattative per il cessate il fuoco ne dovrebbe essere la dimostrazione. Sarà mero opportunismo, dopo tutto l’uomo è pur sempre un amerikkkano del MAGA. Ma, intanto, gli altri sono quelli che hanno riempito di armi e di plausi i genocidi.

Ma occhio, tutto questo vale le stese certezze che si attribuiscono a Nostradamus.

mercoledì 15 gennaio 2025

Modello Guantanamo e Genova G8 --- L’ETAT CEST MOI. E spara.

 

Modello Guantanamo e Genova G8

L’ETAT CEST MOI. E spara.



https://www.youtube.com/watch?v=civGu7RiNV4

https://youtu.be/civGu7RiNV4

“Lo stato siamo noi" "La legge e uguale per tutti" Due frasi che non hanno nessun legame con la realtà. Noi dobbiamo fare pressioni per cambiare questo stato in cui siamo. Grazie per i suoi video”.

Questo è uno della valanga dii commenti arrivatimi nei primi venti minuti dopo la pubblicazione del video “L’etat cest moi” pubblicato sul mio canale Youtube. Solo per dire quanto l’argomento fascistizzazione, implicito nel titolo qui sopra, rappresenti una preoccupazione tanto sentita quanto ignorata da chi ne è il generatore.

Una volta Moreno Pasquinelli, in una discussione sul tema che ogni minuto, ora, giorno, da oltre due anni, ci impongono il regime e l’intera struttura sociopolitica impostaci dall’Occidente politico tutto, mi consigliò di non utilizzare il termine “fascismo” per definire la condizione che sentiamo stringerci al collo. Disse il fascismo è scientificamente una cosa ideologica precisa, rinchiusa in quel suo tempo. Meglio parlare di autocrazia, autoritarismo, dispotismo, tirannia, oligarchia…

E perché no democrazia? Visto il contenuto che questa occulta sotto le sue tanto sgargianti quanto stracciate vesti. A parte la battuta, Moreno ha ragione: tocca essere rigorosi nel classificare opere e forme. Ma poi ho visto che anche in questi mesi nel Venezuela riconsegnato al popolo rivoluzionario dopo un ennesimo tentativo golpista rispedito alla Casa Bianca (ai precedenti avevo assistito e lo racconto nei docufilm “Americas Reaparecidas” e “L’Asse del Bene”) si rinnova la denuncia del fascismo di ritorno. E lo chiamano proprio fascismo e se c’è qualcuno che l’ha sperimentato e che da un quarto di secolo lo sente picchiare alla porta, chi meglio dei venezuelani?

Così a Caracas, ogni due per tre, organizzano convegni, conferenze, seminari, incontri intitolati all’ antifascismo. E quanto tutto questo sia tempestivo lo dimostrano le oltre 120 delegazioni internazionali interessate. Le conferenze più recenti sono delle settimane dopo il tentativo CIA e sodali interni di disconoscere la vittoria di Maduro alle elezioni. E non è che siano ripetitive e si parli solo di svastiche e Operazioni Condor. il fascismo ha modi e aspetti molteplici nei quali si manifesta e tanti livelli su cui opera tra Pentagono e Wall Street, accademia e tecnica: statale, sociale, economico, culturale, etico, tecnocratico, esoterico, finto spirituale….

Ecco, il filmato, di cui il link nel titolo, parte da questo insegnamento: se parli di fascismo e fascistizzazione ti capiscono subito coloro che ne sentono addosso la puzza, meglio che se sei precisino e parli di autocrazia. Fascismo sta nella memoria collettiva e nell’esperienza universale del grosso che pesta il piccolo. Che siano quelli in orbace, camicia bruna, o nella tenuta normalizzante di un qualche fantoccio con le zanne, messo su da CIA o NATO. Pensate a Volodymyr, “difensore della libertà e delle democrazia”.

In questo filmato ci si inoltra tra alcune, simboliche, delle tante ortiche fatte prosperare dal regime Meloni, ma anche da predecessori proclamati cultori di democrazia (del resto incompatibile con il capitalismo del Terzo Millennio), tra le margheritine a capo chino di quel gran prato che chiamavamo Belpaese modellato dalla Resistenza.

Si parla di pretoriani: picchiatori, assassini, torturatori, mentitori, depistatori e compiacenze di cui questa genìa di regime beneficia. Fino al punto da provare – l’iniziativa legislativa è di queste ore – ad avviarla a un’impunità di tipo IDF israeliano: lo scudo legale per cui non varrà più il principio, divenuto disinvolto meme, menzionato dal mio spettatore, che la legge è uguale per tutti e lo stato non sono quattro compari di merende arrampicatisi nei palazzi del Potere, ma il popolo.

Alle milizie messe in campo a difesa di quei palazzi, il liberi tutti della mancata obbligatorietà dell’azione penale, iniziativa semmai riservata al fidato Procuratore Generale della Corte d’Appello e non più al meno controllabile PM che vale per tutti gli altri. Ai servizi segreti, quelli delle stragi di Stato, la licenza e l’onere molto remunerativo di farsi operativi e perfino capi di gruppi mafio-terroristici. Agli accademici e esponenti di Enti Pubblici o partecipati, l’obbligo di farsi spie a sostegno di quei noti servizi.

Ai comuni mortali, dopo le città dei 15 minuti, zone rosse impenetrabili per non turbare ciò che potere e pretoriani stabiliscono essere i propri esclusivi campi di gioco e d’azione.

P.S. Si è appena saputo che la galleria degli orrori fascisti si è arricchita di un nuovo modus operandi. Ovviamente a difesa del genere che da troppo tempo attende di essere trattato al pari dei maschi. A Brescia hanno catturato giovani donne che manifestavano pacificamente contro le devastazioni ambientali, le hanno portate in guardina (forse con quei blindati dove, come da auspicio di Delmastro, non si respira), fatte spogliare nude, costrette ad accovacciarsi per vedere se nei loro organi della riproduzione ed evacuazione celassero armi proprie o improprie. Questi ci precedono sempre di una lunghezza.

sabato 11 gennaio 2025

Al teatrino dei pupi Joe e Volodymyr--- ----- L’ULTIMA SETTIMANA DEI MORTI VIVENTI

 


Formidabile agitazione nel Gran Finale allestito dai pupari prima della calata dell’ultimo sipario e prima che la folla dei bambini che fanno ooohhh si trasferisca all’ombra dell’altro teatrino che, invece, già proclama “Signore e signori, più gente entra e più bestie si vedono!”,

In effetti, il finalone dei pupari in chiusura del teatrino è stato fantasmagorico. Il membro del pubblico che vi sta scrivendo l’aveva ripetutamente – e facilmente - previsto quando, mesi fa, azzardò il pronostico che gli ultimi atti della tragicommedia, prima di arrivare agli effetti del calcio in culo rifilato dal pubblico statunitense ai burattini primattori (stavolta non annullato da brogli), sarebbero stato scoppiettanti.

I burattini, costretti a sgambettare vorticosamente da fili tirati all’impazzata perché quello rimanesse nei fatti e nella memoria il più grande, il più insuperabile spettacolo del mondo, sono in effetti riusciti a farne di tutti i colori. Al pupo Zelensky è stata affidata la missione di prospettare ai fanciulli dell’ooohhh, con lo sgambettamento dalle parti di Kursk, nientepopodimeno che la vittoria sulla Russia, sfuggita perfino a Hitler e Von Paulus. Per la quale ha trovato l’entusiastico incoraggiamento della pupa preferita, di nome Giorgia, che sulla scena si presentava con sullo sfondo l’immagine del fascio littorio. Scenografia che, oltre a prolungare gli ooohhh ha dato nuovo vigore alle stremate forze dei pupi Azov.

Al pupo con turbante e bandierina nera, Al Jolani, agitato dalle esperte mani dei pupari uniti israelo-turco-americani, il compito di tagliare a fette e in buona misura svuotare di scorie la scena dai precedenti allestimenti. Fenomenale successo, ooohhh sconfinati dal pubblico elettrizzato dallo strepitoso coup de theatre del diavolo mutato in angelo. Al pupazzone con turbante e bandierina nera un entusiasmo incontenibile lo ha dimostrato il bimbo Tajani. Nessuno è riuscito a fermarlo quando ha voluto avvicinarsi al proscenio per stringere la manina di legno al suo idolo.

In un successivo quadretto, con il telone di fondo che rappresentava una Beirut in macerie, sempre lo stesso trio di impresari ha messo in campo il burattino preferito, vestito da generale con sciabolone dall’impugnatura a stella di David e fodero a stelle e strisce, al cui i fili si accontentavano di fargli fare su e giù col capo. L’hanno chiamato Joseph Aoun, si presenta come cristiano e piace al papa,

Visto che siamo nell’era della tecnologia, lo spettacolo non poteva non chiudersi con l’eclatante innovazione di una proiezione laser sull’alto dei cieli. Vi si vedeva, calato dal puparo capo celato dalle nuvole, il pupazzetto Joe, anziano e rintronato, prossimo alla pensione, ma ricaricato a molle. Con la corona di re dei pupi che gli scivolava sull’orecchio, conferiva Oscar di latta a due protagonisti dell’epocale presentazione ”Il più grande bagno di sangue della Storia”.

A chi, dunque, la Presidential Medal of Freedom”, massima onorificenza della più grande compagnia di burattini del mondo, conferita ieri dall’ultimo puparo dell’era dei gonzi?

A Hillary Clinton e George Soros.

E qui gli OOOHHH si sono arrampicati fino alla stratosfera.

(Occhio che mancano ancora sette giorni)

mercoledì 8 gennaio 2025

A NOI!

 


L’onanistica pagliacciata di un migliaio di utili idioti ad Acca Larentia, in memoria di tre fascisti ottusamente trucidati in quella che fu la più ottusa forma di contrasto al fascismo praticata dalla sinistra rivoluzionaria, è risultata pienamente consentita, e quindi appoggiata, dalle Forze del cosiddetto Ordine su disposizione del governo rispetto ai propri archetipi.

Nei momenti di difficoltà, il regime cripto-neofascista, che si dica di destra o sinistra, manovalanza del terrorismo imperiale globale, ricorre allo strumento di repressione già risultato vincente contro la più grande sollevazione storica della società viva italiana dai tempi risorgimentali e della Resistenza: strategia della tensione. Strategia nella quale già mezzo secolo fa ha saputo coinvolgere una sinistra compromissoria, consociativa, autoevirata rispetto alle prospettive rivoluzionarie vantate, ridotta a una specie di ANP (con diversi Abu Mazen) della lotta di liberazione in Italia.

E’ bastato trovare qualche killer di Sistema, che si dicesse antisistema di destra (tipo il Fioravanti di Bologna e di Piersanti Mattarella, oggi ovviamente esonerato e ricuperato), e appendere dietro a Moro imprigionato dai propri apparati il logo BR, con pioggia di volantini dal grottesco eloquio para-rivoluzionario)

Acca Larentia, ha visto celebrare il fascismo alla matriciana sotto gli occhi dei gendarmi di Piantedosi, quelli delle teste spaccate ai filopalestinesi e del carcere a operai pichettisti e a  ragazzi che occupano aule, quelli della Bernini e di Valditara che deculturizzano e quindi decerebrano la società in divenire digitale..

Come già all’inaugurazione della Scala, dove all’esibizione del criptoneofascismo nella sua espressione Briatore-Montenapoleone-Dubai, si evitarono obiezioni di classe e antifasciste investigando e colpevolizzando chi aveva ricordato Costituzione e antifascismo, l’unico elemento di disturbo al tonfo sull’asfalto dello scarpone chiodato delle guerre rimpiante e di quelle da condurre, è stato la singola voce di un passante con il suo temerario e fuoritempo richiamo alla Resistenza. Voce doverosamente repressa e intimidita tramite identificazione e segnalazione alla Digos. La quale Digos assicura che con calma e meticolosità visionerà video e foto dei bracciatori tesi, da meticolosamente poi far sparire negli anfratti segreti dove ci si diverte un mondo a farsi le pippe sui misteri italiani.

Tutto questo è il regalo della Befana Fascista offerto ai schleinisti e al seguito obamian-zelinskista: avranno l’opportunità di indicare alle loro schiere liberali, intrise di campo larghissimo, che il fascismo sta lì, ad Acca Larentia, tra quattro smandrappati a braccio teso. Mica a palazzo Chigi e nella rete di complicità di gerarchetti e federaloni in cui l’amichettismo nero va avvolgendo poteri, affari, etica ed estetica del belpaese. Libertà inclusa.

Peccato che sui polpastrelli di una mano, tesa tra le altre mille, erano chiaramente distinguibili le impronte digitali di tale Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera.. Non è il caso di farci caso.

Come firma vi ripropongo la mia canzone, cantata da Leonardo Carli del Canzoniere Pisano

https://youtu.be/crH010CTo_4

martedì 7 gennaio 2025

La società dell’1% in Medioriente --- SIRIA, LA POSTA IN GIOCO: MORTE AL SOCIALE --- deregulation, privatizzazione, monetarismo

 


Per il RINGHIO DEL BASSOTTO Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=VTWJGhEETzE

https://youtu.be/VTWJGhEETzE

"E' tutto sbagliato, è tutto da rifare" (Gino Bartali), con Fulvio Grimaldi, Il ringhio del bassotto

Il video presenta una panoramica che va dal “no limits” delle atrocità israeliane a Gaza, dall’osceno collaborazionismo, in Cisgiordania, dell’ANP e dei suoi sgherri che, contro i propri concittadini, gareggiano in ferocia e necrofilia con la soldataglia di occupazione, all’evidenza di un paese progressista, laico, socialista squartato. Una nazione identificata dai colonialisti euro-atlantici come “liberata” e democratizzata” dal rigurgito subumano di mercenari al soldo di Turchia, Israele, Fratellanza Musulmana, USA e NATO. Ennesima balcanizzazione imperiale di una unità storica, culturale, multietnica, che onorava l’intera umanità, ma che si era resa colpevole della vittoria su colonialismo e neoliberismo e di perseguire un altro modello di organizzazione della società. Come in Libia, Iraq, Jugoslavia, Venezuela….

Tra privatizzazione draghiano-prodiano-montiana, dittatura Covid e regime Meloni, siamo stati talmente ridotti ad accettare per fatto compiuto la scomparsa dei nostri diritti politici, civili e sociali, un’iniqua distribuzione della ricchezza, la totale rimozione del pubblico a vantaggio del potere-profitto privato nel segno della “fine della Storia”. Tuttavia non pare che vi sia una piena consapevolezza dell’obiettivo perseguito, utilizzando l’ormai prediletto strumento terrorista, dalla rivoluzione reazionaria imperialcapitalista in Siria.

Della Sira (come del resto di molti paesi-canaglia, tipo Venezuela, Nicaragua, Nordcorea, Bielorussia, Algeria, Jugoslavia, Cuba…) l’intollerabile era la funzione di esempio, il rischio del contagio, la potenzialità di punto di riferimento politico, economico, sociale. Certo, il clamore era tutto sulla dittatura che le risorse della democrazia, coltivate e vigorosamente rigogliose in Occidente, dovevano eliminare. Siccome il fine giustifica i mezzi, per tale nobilissima missione era perfettamente tollerabile che i mezzi fossero il più raccapricciante mercenariato terrorista mai allevato al mondo, insieme alle più abiette forme di mistificazione della realtà come praticata con la diffamazione-criminalizzazione del soggetto governativo da abbattere.

Meccanismi ottimamente serviti alla causa in sei sui sette stati la cui disintegrazione dai neocon era stata programmaTA a partire dalla “guerra al terrorismo” alla quale il loro supergesto terroristico dell’11 settembre, aveva fornito il pretesto. Ha funzionato in Afghanistan, Libia, Siria, Iraq, Somalia, in Yemen ci stanno riprovando e all’ Iran ci stanno arrivando (anche a forza di provocazioni di ogni tipo, comprese, come si sta vedendo, quelle mediatico-spionistiche, ispirate al modello Giulio Regeni).

In questa lista di proscrizione sarebbero dovute entrare, a completare la resa dei conti con gli arabi iniziata mille anni fa, anche Egitto, Tunisia e Algeria. Ma nel primo la popolazione si è mostrata insofferente al modello israelo-turco-qatariota di Al Jolani, qui impersonato dal Fratello Musulmano Mohamed Morsi. Nella seconda, tradizioni laiche consolidate, violenze, arbitri e incompetenze, con conseguente disastro economico e sociale, hanno svuotato il tentativo integralista di Ennahda (della stessa setta anglodeterminata). E nella terza, una tradizione anticolonialista, costantemente rivitalizzata dai tentativi “colorati” dei revanchisti parigini, ha goduto anche del sostegno del vicino Sahel, dal Senegal al Chad vittorioso sul vecchio padrone coloniale francese, reinsediatosi via minaccia ISIS.

Tornando a bomba, ciò che l’oligarchia monopolista delle dittature finanzcapitaliste teme di più, è tutto fuorchè una più o meno presunta – secondo schemi eurocentrici – dittatura, o autocrazia. Che nel caso della Siria era asseribile sulla base di “evidenze” costruite ex-post, come quelle delle migliaia di carcerati “scoperti” sepolti nel carcere di Sednaya. “Evidenze” che avevano tutta l’aria di essere state suggerite da modelli interni, come Guantanamo e Abu Ghraib, o dal centro di detenzione israeliano di civili gazawi a Sdè Teiman, le cui torture e soppressioni sono state riferite da medici USA in visita, da testimoni israeliani e da prigionieri rilasciati. Centro che ora ha inghiottito perfino il dottor Abu Safiya, eroico direttore dell’ultimo ospedale parzialmente attivo a Gaza Nord, dopo i bombardamenti, la cacciata dei pazienti, l’arresto e l’uccisione dei sanitari.

Con le dittature si convive agevolmente e in comunità d’intenti. Purchè concedano controllo ideologico e sfruttamento delle risorse gli si permette di farsi parassite dei propri popoli per quanto dai potenti è tralasciato. Non siamo messi così perfino noialtri, impoveriti all’osso per sostenere, a forza di armi, sorveglianza e guerre altrui, coloro che chiamiamo nostri alleati (che sarebbe come dichiarare santo un papa che, in combutta con demoni a stelle e strisce, si era impegnato a sovvertire e distruggere, con costi di sangue inenarrabili, popoli e nazioni. E, di passaggio, anche qualche fanciulla).

In Siria la priorità assoluta era, ancora una volta, di cancellare dall’orizzonte, perfino dell’immaginario e della memoria, il modello sociale consolidato e sostituirlo con l’economia di mercato. Che sappiamo bene cosa significhi in tempi di neoliberismo capitalfinanziario, dei Bezos, Fink, Soros, Musk (e mettiamoci anche nel nostro non tanto piccolo, gli Agnelli con i loro miliardi in opere d’arte, spettanti allo Stato, ma imboscate in Svizzera). Significa deregolamentazione, privatizzazione, esproprio di quanto del popolo è e dal popolo è prodotto. Come da Verbo dettato da Goldman Sachs a Mario Draghi da recitare sul panfilo Britannia a George Soros e soci.

In Siria l’economia era mista, con preminenza e potere d’indirizzo dello Stato che aveva provveduto a fornirsi di una base produttiva che gli garantiva un inaccettabile grado di autonomia e autodeterminazione rispetto ai rapinatori designati dalle dittature capitaliste all’indebitamento, alla predazione e alla sottomissione di paesi e popoli: FMI, OMC, Banca Mondiale, OMS. Enti detti transnazionali e dall’apparenza pubblica, magari ONU, ma tutti manovrati da interessi privati dalla capacità di condizionamento e ricatto irresistibile.

In Siria ci si era conquistati l’autosufficienza, a partire da quella alimentare, decisiva (ora sotto scacco di curdi e americani che ne trasferiscono la componente energetica in Turchia e Israele). Nessun prestito FMI dagli anni ’80. Nessun intervento “salvifico” di ONG o agenzie ONU.  La Siria stava in piedi da sola. E permetteva, talvolta tragicamente disconosciuta, ai palestinesi di contare su una simile prospettiva. Non è soltanto Abu Mazen a dover essere chiamato a certe responsabilità.

In Siria l’istruzione di ogni grado era gratuita e libera a tutti. Il paese era il più alfabetizzato del Sud del mondo, insieme a Cuba e Iraq. In Siria non esistevano liste d’attesa per cure e interventi, la qualità della sanità richiamava pazienti perfino dai paesi del Golfo, i trattamenti, i ricoveri, le terapie erano gratuiti. E della loro efficienza ho tratto beneficio io stesso, in Siria come in Iraq ed Egitto. Non mi è mai stato chiesto neppure il ticket.

Assetto sociale incompatibile con la democrazia contrassegnata Al Qaida, ora Hayat Tahrir al-Sham, poi sempre quella degli operativi giordani, turchi, uiguri, kazaki, marocchini, colombiani, ucraini, messi in campo contro i renitenti alla Sharìa e all’imperialismo. Per questa renitenza sbudellati, scuoiati, arsi vivi e stuprati (vedi il mio documentario “Armageddon sulla via di Damasco”). Sempre quelli anche del Bataclan, degli attentati a Bruxelles, Berlino, Mosca, Londra, ovunque.

Democrazia apprezzata istantaneamente dalla nostra, nelle sue dichiarate forme di destra e di sinistra, e che si è subito dichiarata disponibile all’introduzione del modello del liberissimo mercato e ne ha informato i grandi operatori mondiali del settore.

Pensate che sarebbe andata a finire così in assenza di queste assicurazioni, dettagliatamente discusse, fin dai tempi dell’addestramento con i Marines in Giordania, Turchia, Golfo, tra il capo-brigante Al Jolani, il suo predecessore ISIS Al Baghdadi, l’attuale premier Al Bashir? Pensate che Abu Mohammed Al Jolani avrebbe potuto mettere il naso, o un mitra, fuori dalla ridotta di Idlib, senza averne avuto licenza dai rappresentanti dell’imperialismo economico a Tel Aviv, Londra, Washington, Golfo e Ankara?

Un’innovazione del resto collaudata, in presenza di revisori atlantici, nei lunghi anni in cui Erdogan aveva garantito ad Al Qaida-Al Nusra-ISIS l’amministrazione della provincia siriana di Idlib, diventata una specie di banco di prova di quanto nuovi reggitori avrebbero potuto fare a Damasco. Economia privatista di rapina di risorse naturali, commercio, manifattura, imposta da 30.000 terroristi con famiglia su 3 milioni di cittadini siriani controllati a vista.

Ora il sistema Idlib verrà esteso a tutta la Siria e messo a disposizione degli interessi dei vincitori. La Turchia avrà modo di prendersi quanto dovrà alleviare la sua pesantissima crisi economico-sociale. Crisi che il califfo cerca di offuscare abbagliando i suoi cittadini con la più fetida delle ipocrisie: la finta solidarietà con Gaza. Gli israeliani, già distrutto a forza di bombe il potenziale produttivo siriano, si avvarranno del prodotto agricolo delle zone occupate (annesse) nel Sud e, per grazia dei curdi, del petrolio del nordest. Il Qatar e il Big Oil avranno finalmente il gasdotto attraverso la Siria e verso l’Europa che Assad gli aveva negato.Ai tagliagole il ruolo dei parassiti di terza o quarta istanza, per quanto cadrà dal tavolo del banchetto multinazionale.

C’era una volta la Siria.