domenica 5 gennaio 2025

Ragioni di una beatificazione SANTO DEMONIO Carter, o l’inizio della fine

 


Santificare Jimmy Carter, presidente degli USA dal 1977 al 1981, successore di Kennedy, Johnson, Nixon e Ford e predecessore di una serie di presidenti felloni, Reagan, Bush Sr, Clinton, Bush Jr, Obama, Trump con la catastrofe finale Biden, tutti sostanzialmente neocon, ai quali proprio il compianto “sostenitore dei diritti umani” ha dato l’abbrivio?

Con Gerald Ford, un quoziente d’intelligenza dalle misure anoressiche aveva impedito che la malvagità congenita e poi rampante dell’imperialismo dalla vocazione globale e assolutista facesse eccessivi danni al resto dell’umanità. E’ invece proprio con Carter che i soggetti e i meccanismi del vero potere producono esecutori dalle spiccate doti dissimulatorie, grazie alle quali l’intrinseca e necessaria nequizia e spietatezza del Sistema di dominio e predazione si rappresenta in veste persuasiva.

Vi sono figure che sembrerebbero fare eccezione alla regola delle “spiccate doti”, poiché con ogni evidenza cretini. Il pensiero corre al Bush minore, o al tardo Biden. Ma, nel primo caso, chi andrebbe preso in considerazione come operativo e suonatore è piuttosto il vice, Dick Cheney, sostenuto da una specie di presidenza collettiva della conventicola neocon; nel secondo, a confermare la regola c’è un attivissimo sacerdote del culto della morte praticato ai vertici USA, offuscato solo da una precoce senilità nella parte finale del suo mandato.

Di Carter c’è un prima criminoso e criminogeno, come da prassi istituzionale di mandato, e un dopo che prova a flautare note da crociata morale nel segno di un catechistico penitenzialismo.

E’ in questa fase, del terzo millennio, che Carter si dà il coraggio di parlare dell’abominevole oppressione, persecuzione e segregazione dei palestinesi, senza, peraltro mai, come è buon costume delle sedicenti sinistre, passare dal compianto per le vittime alla condivisione della lotta per la liberazione. Bene Abu Mazen, malissimo Sinwar.

Mentre il Sistema fa poco caso alle sue novene sui diritti umani (peraltro riservate ai dissidenti antisovietici in Europa Orientale) e alle sue filippiche contro oligarchie e “corruzione politica illimitata” negli USA, Carter si guadagna un certo consenso negli ambienti antimperialisti quando ha la temerarietà, con la sua organizzazione di osservatori di processi elettorali, di rivendicare la correttezza di risultati sgraditi al Sistema, come quelli che confermano Chavez, Maduro o Assad.

Quanto a interventi concreti sul piano di diritti civili e umani nel corso della sua presidenza, molto, se non tutto, lo dobbiamo a Patricia Derian, sua assistente Segretaria di Stato per  le questioni umanitarie, tipo il blocco di prestiti e di rifornimenti militari alla giunta argentina al tempo della “sporca guerra” delle Maldive.

Il meglio ai suoi mandanti e il peggio all’umanità, Carter lo ha offerto negli anni alla Casa Bianca, quando un certo margine di scelta se lo poteva permettere, entro i limiti stabiliti dall’assassinio dei Kennedy.

Per il resto, quelli della presidenza sono stati anni di sciagurate guerre per procura, il tradimento della causa palestinese, il consolidamento di punitive politiche neoliberiste e la sua assoluta sottomissione al Big Business, da lui in poi in travolgente espansione.

La politica sociale del New Deal smantellata con deregolamentazioni e privatizzazioni (un modello per Draghi) delle maggiori industrie: banche, compagnie aeree, trasporti, telecomunicazioni, gas naturale e ferrovie. Il tutto condito da un assalto alle tasche dell’americano comune attraverso l’uso della Federal Reserve di Paul Volker e dei sui abnormi tassi d’interesse che ridussero sul lastrico decine di milioni di persone e provocarono la più grave recessione dai tempi della Grande Depressione.

Saccheggio di un capitalismo sanguinario che da allora è conosciuto come neoliberismo e cui il compagno di partito, Bill Clinton, avrebbe poi impresso la sua turboaccelerazione.

Fattosi plagiare dal suo simil-Svengali consigliere della Sicurezza Nazionale,.Zbigniew Brzezinski, tagliò corto con la strategia della distensione inaugurata dai predecessori Nixon-Kissinger. Così spianò la strada a quel bellicisimo da guerra fredda con cui Reagan avrebbe iniziato a fare dell’industria militare il motore e primattore dell’economia e della geopolitica e del cui proliferare tumorale viene fatto pagare oggi il costo al resto, cioè ai 90 centesimi, dell’umanità.

Per Brzezinsky la priorità delle priorità era un mondo in bianco e nero nel quale il nero era concentrato nell’Unione Sovietica, con tracimazioni in tutti i paesi o governi che ne fossero alleati o ideologicamente affini. Fu la fine del SALT II (Trattato per la Limitazione delle Armi Strategiche), che poneva limiti allo sviluppo di armi atomiche e scatentò un grande riarmo a spese di tutte le autentiche priorità.

Degli interventi specifici ai danni di popolazioni da sterminare per un motivo o per l’altro, si ricordano quelli a sostegno del golpista fascista Suharto, in Indonesia, con conseguente genocidio a East Timor, di incondizionato supporto all’apartheid nel Sudafrica e a gruppi controrivoluzionari pre-ISIS, ma feroci quanto questo, in Angola, Congo, nel Nicaragua sandinista, in lotta di liberazione anticoloniale.



In America Latina, monroeniano convinto, ignorò i disperati appelli dell’assassinando vescovo Oscar Romero e rimpannucciò di armi la dittatura genocida del Salvador. Nell’Iran sotto la più orrenda dittatura che il secolo passato abbia conosciuto, sostenne fino all’ultimo giorno lo Shah Reza Pahlevi, ne assicurò le cure mediche a New York, sanzionò il nuovo governo di Khomeini, ne congelò i fondi, espulse 183 diplomatici. innescando quella presa di ostaggi all’ambasciata USA che durò 444 giorni e ne decretò la fine politica.

Al dittatore e stragista filippino Ferdinando Marcos, assicurò miliardi di aiuti militari, armò la controrivoluzione integralista afghana contro il governo laico e socialista di Najibullah e i suoi sostenitori sovietici, cosa che costò 3 miliardi al contribuente statunitense, provocò 1,5 milioni di vittime afghane e inaugurò una guerra lunga oltre vent’anni.

Alla luce di quanto ne è venuto in questi anni e giorni, il crimine supremo lo ha compiuto ai danni della Palestina, con quella pace separata di Camp David nel 1979, tra Sadat, Egitto, e Begin, Israele, che intendeva pronunciare la sentenza di morte sulle sacrosante aspirazioni di un popolo espropriato dall’invasore, occupante senza titoli e illegittimo da tutti punti di vista fino ad oggi. Sentenza da allora eseguita con metodo strisciante, grazie al concorso decisivo USA, senza soluzione di continuità, fino all’apogeo di oggi.

Cosa mettiamo come ciliegina in cima quest’opera di un presidente consegnato alla nostra memoria come quanto di meglio la madre di tutte le democrazie ci ha elargito? Alla luce di ciò che di quella sua iniziativa “di pace” è disceso, direi che nulla supera, quanto a conseguenze infami e tragiche, non solo per la vittima direttamente coinvolta, ma nelle onde maligne che se ne sono diffuse e che hanno infettato l’umanità intera, il combinato di Camp David. Ha prodotto l’esclusione dall’esistenza di un popolo, la passivizzazione di uno stato fratello di quel popolo grazie al tradimento di un servo, mano libera incondizionata e supportata ad eternum a un costrutto coloniale mostruoso, genocida, pervertitore delle regole che all’umanità assicurano giustizia e sopravvivenza.