domenica 4 novembre 2012

Il rosso e il nero. Libia, Siria, Palestina...





Non fatevi fregare quando paternamente vi battono sulla spalla e vi dicono che non ci sono nel mondo diseguaglianze gravi contro le quali valga la pena battersi. Se gli credete, essi, nei loro palazzi di marmo e nelle loro banche di granito, dai quali derubano i popoli del mondo pretendendo di farne il bene, avranno un potere assoluto. State in guardia, poichè appena gli sembrerà opportuno,per proteggere il loro oro, vi spediranno in guerre le cui armi, subito sviluppate da scienziati servili, diventeranno sempre più letali, fino a quando, con un cenno della mano, saranno capaci di fare a pezzi milioni di voi. (Jean-Paul Marat, martire della rivoluzione francese).

Pacifisti o antiguerra?
"Incidentalmente vorrei qui sottolineare come punto nobile, minuto ma alto, sia stato, nella manifestazione anti-Monti del 27 ottobre, lo spezzone dei No War, che spesso ho criticato per quella loro buonista, prudente e ambigua, invocazione alla tregua e al dialogo, indirizzata a entrambe le parti, carnefice e vittima. Slogan e striscione di quelle brave persone dicevano “Giù le mani dalla Siria” e anche “Con la Siria senza se e senza ma”. Bene, piccoli pacifisti crescono".

Questo ho scritto nel precedente post “Ratti tra i piedi…”, in un paragrafo intitolato “In marcia o in sfilata?”.
Ma gli striscioni che hanno caratterizzato positivamente e, per la prima volta, un corteo delle sinistre non erano stati fatti da coloro, No War romani, per i quali,come scritto sopra, da tempo denuncio l’inadeguatezza di un pacifismo che finisce col negare il suo scopo condannando le “violenze da qualunque parte provengano”. Astrattamente non violenti, pur denunciando le interferenze straniere nell’aggressione a Libia e Siria, finiscono con l’essere reticenti sulle ragioni dell’aggredito, avallando implicitamente (chi tace acconsente) le mostrificazioni che le centrali della disinformazione compiono ai danni di governi e leader per giustificare le guerre Nato. Pare che anche nell’occasione del corteo romano alcuni di questi, in ossequio a un politically correct che non li ponga fuori dagli spazi consentiti o tollerati, si siano espressi in tal senso nelle interviste date ai media
.

Gli splendidi striscioni che invece, con assoluta chiarezza e coerenza, denunciavano le esclusive responsabilità degli aggressori sono stati portati dai compagni di Attivisti contro la guerra, Red Link, No War  e altri di Napoli. Ne vanno  riconosciuti il coraggio e la lucidità politica, il merito di aver inserito in una manifestazione, silente sulla questione principale di questi tempi, la guerra, una chiave di lettura complessiva dell’assalto della criminalità organizzata politico-economica ai diritti e alla vita di popoli e classi da annientare.

Ora questi compagni prospettano un’assemblea nazionale sul tema dei mattatoi mediorientali, allestiti dalle potenze occidentali in combutta con le tiranniche e sanguinarie monarchie del Golfo,  dei quali il regime Monti-Terzi-Di Paola e i media di regime sono complici e quindi nostra controparte diretta. Ne dovrebbe partire una mobilitazione per l’immediata cessazione dell’attacco alla Siria e, in prospettiva, all’Iran. Una mobiltazione non inquinata da presenze spurie o strumentali (come quelle dei gruppuscoli fascisti e di cerchiobottisti e arrampicatori vari), che, con una consapevolezza che coniughi la guerra di decimazione dei diritti e delle condizioni di vita in Italia e in Europa con la complementare guerra alla Siria e ai popoli di cui sovranità, libertà, autodeterminazione, dovrebbero essere date in pasto ai predatori Usa, Israele, UE, Golfo. Ne risulterebbe restituita alla sua corretta sede ideologica e politica una battaglia per la pace e la verità che da troppi è stata indebitamente sequestrata, strumentalizzata, resa inerte.

Siria, imbattibile da 19 mesi
In Siria la situazione, imposta dalla provata capacità del popolo e del governo siriani di resistere all’importata  soldataglia di salafiti, incapaci per il mero soldo mercenario, come insegna Machiavelli, di reggere il confronto con un esercito di popolo che si batte per patria e libertà, si è capovolta. Fallito ogni tentativo di organizzare queste bande rastrellate tra briganti ceceni, afghani, libici, sauditi, in qualcosa di efficace sul piano strategico, per bocca di Hillary Clinton il regime Usa ha deciso di disfarsi del suo organismo politico direttivo, il Consiglio Nazionale Siriano installato a Istanbul e fin qui ricettore di commandos, decine di milioni di dollari e armi occidentali (è di questi giorni l’ennesima prova, anticipata da numerosi reportages mediatici e confermata addirittura in Turchia da comandanti militari Usa, della presenza di forze statunitensi nella base turca di Incirlik, in Giordania e, in manovre congiunte con Israele, sul Golan).

Con Qatar e sauditi, l’idra bifronte Usa-GB sta ora affannosamente cercando di mettere in piedi in Qatar un nuovo organo-fantoccio di fuorusciti siriani, magari con sul terreno una meno appariscente, imbarazzante e anche preoccupante presenza di incontrollabili tagliagole alqaidisti. Subumani dal blasfemo Allah u Akbar urlato durante le quotidiane torture, mutilazioni e uccisioni di civili sequestrati e militari prigionieri. Untermenschen  scaturiti dalle viscere della guerra infinita Usa-UE,  l’enormità delle cui nefandezze è riuscita a bucare perfino un sistema mediatico blindato dal leviatano globalizzato e a tappare la bocca ai suoi acefali o prezzolati trombettieri (pensate all’immondo sito Uruknet).  L’impresa fallirà al pari del CNS, spappolatosi tra branchi che si sbranano sull’osso, perché i mercenari, rinnegati, vendipatria, predoni, che si vorrebbero riunire in un nuovo “governo in esilio”, senza la base dei terroristi salafiti, in maggioranza infiltrati nel paese, non hanno chi rappresentare in Siria. E se si azzardassero a voler mettere le briglia a queste masnade, finirebbe come in Libia, un paese in preda a tutti fuorchè agli assegnatari Nato. Non resta che l’intervento diretto dei mandanti. Ma Russia e Cina tengono duro.

 Esecuzione di prigionieri a Saraqeb

Nel frattempo, la scelta resta quella dell’apocalissedi sangue, unica tattica ancora in grado di destabilizzare una nazione in stragrande maggioranza schierata con i suoi dirigenti in resistenza:  stragi terroristiche e  assassini mirati, alla Mossad, di esponenti della difesa, della politica, della scienza e della cultura siriane, ultimi l’uccisione del capo dell’aeronautica e la spaventosa esecuzione a Saraqeb di 28 patrioti prigionieri, prima malmenati e seviziati e poi trucidati a mitragliate ( correte a vedere il video prima che lo tolgano). Quella della tortura ed esecuzione di prigionieri, mentre le truppe siriane osservano diritto internazionale e leggi di guerra, è pratica corrente degli ascari Nato, dalla Libia alla Siria. Media e cancellerie non se ne preoccupano, tanto più che, incoraggiati dalla kill list di Obama e dagli assassinii seriali del Mossad, i miliziani del Free Syrian Army hanno ora iniziato ad addirittura rivendicare queste loro prodezze.

Permettetemi il solito riferimento al “quotidiano comunista”. Dopo aver richiamato dalla Libia, su diktat di Rossanda, l’iniziale inviato, l’onesto Matteuzzi, e dopo averlo sostituito con uno svergognato paladino del mercenariato salafita e delle sue menzogne, “il manifesto” aveva affidato il conflitto siriano a un’emula di questo propagandista Nato, tale Miriam Giannantina che, secondo l’ambasciata siriana, faceva solo finta di trasmettere da Damasco, ma che, ovunque si trovasse, si accaniva a spappagallare la vulgata dei “giovani rivoluzionari”, vittime inermi e pacifiche, spurgata da fiduciari Cia-MI6 a Londra. Ora se ne occupa Michele Giorgio che, avendoci abituato a narrazioni corrette e coraggiose dalla Palestina, già ci aveva colpito con l’ambiguità del suo antigheddafismo sulla Libia. Ora si ripete sulla Siria. Un colpetto al cerchio di sangue e fuoco dei “ribelli”, per lunga pezza definiti “disertori siriani” (che si potevano contare su due mani, anche quando il Qatar offriva stipendi di 20mila dollari al mese), e una mazzata alle “forze di Assad che bombardano i quartieri di Homs o Aleppo”. Il tutto sempre attinto alle fonti, mille volte sbugiardate, dell’opposizione siriana sotto tutela dei servizi Nato. L’ultrà democraticistico del “manifesto” dovrebbe dirci se giudica altrettanto efferati i bombardamenti sovietici su quartieri della città russa di Stalingrado occupata da Von Paulus, o se li giudica ineluttabili obblighi della guerra di liberazione dai nazisti.

Abbiamo saputo che l’ultimo cristiano di Homs è stato ucciso. Non significa che Homs è in mano ai mercenari. Significa che i quartieri cristiani in cui questi fanno incursioni sono stati svuotati da abitanti in fuga da quell’orrore che, nella stessa Homs, mi fu illustrato, con immagini, documenti, racconti, da decine di famiglie cristiane, laiche, alawite (vedi il docufilm Armageddon sulla via di Damasco). Chi non era scampato verso Damasco, o il Libano, è stato ammazzato. L’ultimo è stato appunto colui di cui la stampa ha riferito. Lo sradicamento dei cristiani (il 10% della popolazione), per sfuggire alla morte, alla tortura o anche solo alla paura inflitti dagli alqaidisti Nato, non impedisce a tale Padre Paolo Dall’Oglio, di ritorno in Italia, di disseminare, in totale divergenza dalle comunità cristiane in Siria e alla faccia di queste vittime e a soddisfazione dei loro persecutori, le balle sulla presunta dittatura e sulle presunte atrocità di Assad. Lo copre lo stesso Ratzinger quando, nelle sue epifanie alla finestra, urge il governo siriano a “mettere fine alle violenze.” Del resto, anche Michele Giorgio accredita un famigerato “regime alawita degli Assad”, non essendosi documentato sulla composizione dei quadri delle forze armate  e dell’amministrazione siriane, in maggioranza sunniti. C’è da chiedere a lui, come  agli altri gazzettari sul posto, a parte una nutrita schiera di inviati anglosassoni, tipo Guardian, Independent, Huffington Post e perfino il governativo Washington Post, come mai sistematicamente non ritiene degni di attenzione versioni e comunicati del governo e dei media siriani (quelli non oscurati dai satelliti sotto controllo occidentale). Si prosegue alla maniera dei conquistadores: avete mai sentito la versione di Montezuma su quanto succedeva agli aztechi? I “selvaggi”, oggi i“non democratici”, non hanno diritto di parola.

Il ratto Bernard Henry Levy, “filosofo” dei servizi francesi, capofila della democrazia da esportazione, tra cacciatori di teste in Siria

 La cosa che a questo pur valido difensore delle ragioni palestinesi non va giù, poi, è che i curdi siriani, nella loro organizzazione più rappresentativa, il Partito dell’Unione Democratica, si sono assunti il compito di difendere, loro, i territori del nord-est contro le incursioni dei miliziani infiltrati dalla Turchia e agiscono di conserva con i fratelli curdi del PKK, la cui offensiva nel Kurdistan turco mina la strategie offensiva di Ankara contro la Siria. Si figura, M.G., l’esistenza di settori curdi in Siria, del tutto irrilevanti, che si batterebbero contro una discriminazione etnica da tempo superata e affiancherebbero i terroristi antisiriani. Curiosa contraddizione: sostenere la causa del popolo palestinese in patria e nuotare nella palude dell’ambiguità quando si tratta del conflitto che oppone  il governo più di tutti impegnato per la Palestina alle stesse forze, Israele, Usa, regimi reazionari, che governano il genocidio dei palestinesi.

Eroi siriani e il loro popolo



Dopo un anno dal suo martirio, Gheddafi vive, a dispetto del moloch colonialista e dei suoi media
In Libia il “caos creativo” perseguito da chi aveva deciso che un paese libero, indipendente, prospero e giusto non fosse compatibile con gli assetti della globalizzazione imperialista, sta sconvolgendo i piani che gli erano stati assegnati: la riduzione in schiavitù dei libici, la Libia come piattaforma per l’invasione dell’Africa, la tranquilla crapula petrolifera. L’ectoplasma di regime installato a Tripoli balla su un filo teso, sul baratro della dilagante resistenza patriottica, tra l’ostilità della quasi totalità delle tribù, memori degli standard di benessere, convivenza, solidarietà sotto Gheddafi, e la ribellione delle varie bande armate di salafiti e alqaidisti che non riconoscono né autorità dello Stato, né spazi delle brigate concorrenti.



Bani Walid come Massada

Dell’impotenza dello Stato è stata dimostrazione la dichiarazione del “ministro della Difesa” del regime fantoccio secondo cui Bani Walid non  si trova sotto il controllo delle forze governative e non sarebbe quindi responsabile dei crimini degli assalitori. L’eroica città dei Warfalla, fedeli a Gheddafi e alla patria, dall’ottobre 2011 ha resistito a un assedio feroce e, nelle ultime settimane, ha subito un autentico genocidio ad opera dei famigerati tagliagole di Misurata. Il mondo, cultore dei diritti umani, si è voltato dall’altra parte mentre 100mila persone venivano massacrate con missili, gas asfissianti, bombe a frammentazione. Da Bani Walid giungevano le invocazioni dei medici, ormai privi di farmaci e attrezzature e incapaci di curare i feriti. Il medico che con questa denuncia è apparso su alcuni schermi è stato sgozzato all’arrivo dei “ribelli”. Su Youtube scorrevano le immagini di persone che chiedevano soccorso perché non si mangiava e beveva più, i bambini morivano come le mosche e le case gli crollavano addosso sotto le bombe. Al Consiglio di Sicurezza gli Usa hanno bloccato la proposta russa che voleva sostituire ai bombardamenti, massacri, stupri, una tregua e una soluzione negoziata.

La civiltà occidentale giudaico-cristiana non vedeva, udiva, parlava. Morivano dei reprobi. Oltrechè inutili. Oggi Bani Walid mi ricorda Massada, la città fortezza assediata dai romani durante la Seconda Guerra Giudaica. E’ un torrione di roccia su cui si era installata una comunità di zeloti resistenti a Roma. Mi ci sono inerpicato per l’unico accesso: un sentiero stretto e ripido scavato nella roccia, con passaggi mezzo metro di larghezza sullo strapiombo. In cima, nei 360° di panorama, sotto un cielo che il deserto abbaglia di azzurro, si volava da catene di monti arrugginiti dal sole alle sconfinate distese di quella che i romani chiamavano Giudea, alla depressione nera del Mar Morto. Ci volle un anno intero, dal 72 al 73 AD, perché i romani ce la facessero, ma entrando nella fortezza non trovarono segni di vita. 960 zeloti, così lo storico Flavio Giuseppe, si erano suicidati. A Bani Walid, quando gli scannatori di Misurata vi sono penetrati, non c’era più nessuno. Come a Massada. 100mila morti, scomparsi nel deserto, in altri centri della resistenza, chissà dove.  Morti civili. Non suicidi, vivi per la lotta. E c’è gente che tollera o favorisce che il destino di Massada, o di Bani Walid, come di Sirte, di Tawarga, di Fallujah, di My Lai in Vietnam, di Dresda, venga riservato anche a Damasco, Homs, Aleppo. Muoviamoci!  Come urgono i compagni di Napoli.


Non ci sono solo le bugie e le deformazioni mediatiche che trasformano ratti in aquile e gazzelle in coccodrilli. Ci sono i silenzi, gli occultamenti. Si osservano quando i crimini della “nostra” parte sono troppo evidenti e il ratto rischia di essere riconosciuto. Vale per Bani Walid, come per mille altre nefandezze. Silenzio adottato e imposto alla temutissima voce dell’altro. Quella che dai satelliti delle emittenti iraniane e siriane è stata cancellata. Vale in questi giorni per l’ennesimo atto di pirateria del regime che il becchino bancario del nostro paese ha testè visitato e circonfuso di servilismo, affettuosità ed elogi. Compiendo quella che, con ogni evidenza, vuole apparire come una minacciosa prova per l’assalto all’Iran, il regime nazisionista ha violato lo spazio aereo di  Egitto e Sudan e con i suoi F16, gli unici nella regione capaci di colpire a 2000 km di distanza sfuggendo ai radar, accecando le telecomunicazioni e lanciando missili a guida di precisione, è andato a radere al suolo, a Khartum, la più grande fabbrica di armamenti dell’Africa, “Yarmuk”.. Giganteschi crateri, decine di operai morti e feriti, il lavoro di centinaia polverizzato, una nazione disarmata. La scusa di Israele, falsa: produceva armi per l’Iran. Come se  l’Iran ne avesse bisogno.

Non è una primizia. Israele aveva già colpito due volte in Sudan, gennaio e febbraio 2009. Un convoglio che si voleva trasportasse armi a Gaza, 19 morti, e una nave a Port Sudan. Democratica licenza di uccidere, come quella da Obama assegnata a se stesso e ai suoi servizi, come quella affidata alle soldataglie mercenarie impiegate la dove si risparmiano vite occidentali, come quella, da decenni autoassegnatasi da Israele, nel consenso della “comunità internazionale” (come si definisce quella “atlantica”), quando manda in giro i suoi squadroni della morte Mossad, o specialisti surrogati, come i paramilitari colombiani e i Mujaheddin e-Khalk iraniani, ad assassinare oppositori, critici, resistenti a regimi complici, o scienziati, intellettuali, tecnici nei paesi da ridurre in ginocchio.


Habemus Lieberniahum
Del resto, non avendo più quasi nulla da temere nelle terre da esso occupate e violentate ed essendo dotato di impunità democratica, Israele può agire ad ampio raggio. Tanto più che ora si vanno fondendo in un’ unico mostro necroforo i due partiti al potere, il Likud di Netaniahu e il partito di quell’altro psicopatico col pugnale nazista tra i denti, Yisrael Beitenu (Israele casa nostra), di Avidgor Lieberman. I 2.300 ammazzati e 7,700 feriti a Gaza dall’inizio del blocco promettono di diventare un laboratorio - come quello dei missili su Khartum in vista di altre nationes delendas - per la totale eliminazione del popolo autoctono della Palestina, da sempre nei piani dei due ultrà sionisti, come dei loro predecessori.

La demonizzazione dell’Iran illustra la tecnica di fabbricare nemici e minacce  per poi creare strategie militari “difensive” d’attacco. Una gola profonda delle Forze Armate israeliane ha fatto trapelare il piano di guerra contro l’Iran, poi diffuso da media statunitensi: un’azione coordinata preceduta da un attacco cibernetico che, annullando internet, telecomunicazioni, radio e tv, satelliti di comunicazione, fibre ottiche, paralizzerebbe il governo e la popolazione iraniani, rendendoli incapaci di sapere cosa stia succedendo nel paese. Poi una raffica di decine di missili balistici da Israele e dai suoi sottomarini diretta contro gli impianti di ricerca nucleare, quelli che arricchiscono uranio esclusivamente per produrre isotopi medici destinati annualmente a 850mila pazienti iraniani. Ne seguirebbe un’altra, di centinaia di missili Cruise, sui centri di commando e sistemi di controllo. Le vittime collaterali decapiterebbero per generazioni l’apparato professionale e di governo. A questo punto decollerebbero verso l’Iran, informati da satelliti sulla situazione, gli squadroni di cacciabombardieri destinati a compiere l’opera e resi invisibili ai radar da una ancora sconosciuta tecnologia fornita dagli Usa. Si è calcolato che attaccare quattro dei centri nucleari iraniani comporterebbe almeno 85mila morti.

Che si tratti di bluff per mantenere alta la tensione e intimidire le forze che nell’Iran hanno un alleato irrinunciabile; che si tratti di tirare la giacchetta agli Usa e alla “comunità internazionale” perché poi tirino un sospiro di sollievo quando Israele non lo farà e ci si potrà rallegrare che, per ora, sono solo la Siria e gli ultimi brandelli di Palestina a sparire dalla scena; o che si tratti di programma di prossima attuazione, lo vedremo. Intanto inquieta alquanto che da voci autorevoli negli Usa si sentano propositi simili a quelli che, nella conventicola dei neocon bushiani, auspicavano “una nuova Pearl Harbour per giustificare la guerra infinita”. E venne l’11 settembre. Recentemente  Patrick Clawson, sionista, vicedirettore dell’Istituto Washington di Politica Mediorientale (WINEP), braccio per la ricerca dell’AIPAC, l’organismo sionista Usa a cui si inchinano tutti i presidenti e candidati presidenti Usa, che già aveva approvato gli assassinii mirati di scienziati iraniani, è arrivato ad auspicare in tv un incidente tipo Pearl Harbour, o Golfo del Tonchino. “Se gli iraniani non si adattano, sarebbe bene che qualcun altro iniziasse la guerra. Potremmo fare molte cose per aumentare la pressione… Pensate, ogni tanto sommergibili si immergono. Poi, una volta, uno non riemerge. A chi attribuirne la colpa?… Dobbiamo usare operazioni coperte contro gli iraniani, creare motivi per attaccarli.” Più chiaro di così.

Bye bye Palestine
Tutto questo è reso tanto più facile dal fatto che agli israeliani qualcuno copre le spalle. Una delle vicende più tragiche e vergognose dei nostri sciagurati tempi è il tradimento delle forze politiche palestinesi e la conseguente passivizzazione di quel popolo perseguitato, seviziato, decimato, da parte degli stessi che ne avrebbero dovuto guidare la sacrosanta battaglia di liberazione. per il recupero delle proprie terre e dei propri diritti stuprati dall’invasore. Il fatto che al nemico genocida si siano venduti i gerarchi dell’ANP, capeggiati dal presidente Abu Mazen e dal solito banchiere FMI travestito da premier, Salam Fayyad, è noto fin da prima che venissero alla luce gli osceni Palestine Papers, che rivelarono al mondo il turpe scambio tra integrazione delle forze di sicurezza palestinese, addestrate da ufficiali Usa, nell’apparato repressivo israeliano, e benefici economici ai dirigenti palestinesi collaborazionisti. Rivelazione poi integrata dai documenti che attestavano un’intesa USraelo-palestinese per l’eliminazione di Yasser Arafat. Il quale, peraltro, avrebbe avuto poche ragioni per sorprendersi di tanta degenerazione, dato che il  grande leader della resistenza si era messo nelle mani dei “mediatori” Usa fin dal deprimente ritiro dal Libano e dalla successiva adesione alla truffa di Oslo.

Del resto, la nidiata di topi succedutagli alla testa dell’ANP, non era stata covata proprio da lui, in diretto scontro con la giovane generazione delle Intifade guidata da Marwan Barghuti? Ne sono stato testimone negli anni intorno al 2000, quando la lotta tra accoliti di un Arafat rinsenilito e i sostenitori della continuità della lotta di liberazione in tutte le sue forme necessarie, che stava infliggendo pesanti danni economici allo Stato sionista, aveva assunto forme visibili clamorose e percepibili anche dal visitatore straniero. Il grande combattente e abile propugnatore internazionale della causa palestinese si assicurò un illusorio lasso di vita nel palazzo della Muqata’a in cambio dell’imprigionamento del segretario del FPLP Saadat e della cattura di Barghuti, cioè di coloro che, rifiutando la “soluzione finale” dei “Due Stati” e rivendicando il diritto alla resistenza in ogni sua forma, davano più fastidio al regime nazisionista.

Vendutasi, senza eccessiva opposizione delle un tempo gloriose formazioni di sinistra, PFLP e DFLP, a Israele la componente laica, un tempo strategicamente panaraba e sostenuta dai paesi per vari gradi laici, antimperialisti, antisionisti e progressisti, Egitto, Iraq, Libia, Siria, Sudan, Yemen del Sud, Algeria, Libano, la bandiera della lotta di liberazione era passata nelle mani dei partiti confessionali, Hamas e Jihad Islamica. Bandiera gonfiata dal vento della solidarietà di chiunque nel mondo, anche se alieno alla dominante religiosa, continuava a sostenere i diritti dei palestinesi al loro Stato, dal Giordano al Mediterraneo. Stato unico di palestinesi e di quanti tra gli ebrei volessero convivervi in pace. Ora questa speranza, questo cammino, sono stati anch’essi disintegrati dalla altrettanto vergognoso abbandono di Hamas del suo protettore di mezzo secolo, di una Siria che in tre guerre per la Palestina aveva sacrificato decine di migliaia di vite e arti vitali del suo corpo territoriale, oltre ad aver ospitato, nutrito, insignito di dignità e futuro, mezzo milione di palestinesi. Ne risulta mutilato “l’asse della resistenza” Iran-Siria-Hezbollah-Hamas.

Haniyeh di Hamas e il dittatore del Qatar
Indifferenti al fatto che gli ascari islamisti della Nato e degli alleati arabi di Israele, i tiranni fondamentalisti del Golfo, a caccia dello scita, del cristiano (decine di migliaia fuggiti dalla carneficina Al Qaida a Homs) hanno sommato la caccia ai profughi palestinesi (lo stesso era successo con gli ascari Nato in Iraq); indifferenti alla persecuzione di profughi palestinesi e dei loro sostenitori nei paesi arabi dove la Fratellanza Musulmana è stata dall’Occidente agevolata al potere (in Tunisia l’eroe della resistenza palestinese, Samir Kuntar, 30 anni nelle carceri israeliane, è sfuggito per miracolo al linciaggio di 500 invasati salafiti); indifferenti a una storia che ha visto il Kuweit e altri principati del Golfo espellere i palestinesi al tempo della guerra all’Iraq, i capi di Hamas, Khaled Meshaal e Ismail Haniyeh, si sono consegnati ai despoti medievali del Golfo, mani e piedi legati da fascette di dollari.

La pugnalata alle spalle della Siria sotto attacco dei nemici degli arabi è particolarmente efferata, visto che, a Damasco,  Meshaal aveva potuto per anni, vivere, finanziarsi e sostenere la sua battaglia contro Israele e contro i rinnegati di Fatah. I satrapi più intrecciati al riordino reazionario-teocratico-colonialista del Medio Oriente, frequenti ospiti dei massacratori israeliani di “fratelli arabi”, custodi di multinazionali e armate d’assalto angloamericane, Hamad bin Khalifa Al-Thani, codistruttore qatariota di Libia e Siria, e Nasser bin Hamad al Khalifa, principe del Bahrein, massacratore dell’opposizione democratica in un paese che è proprietà esclusiva della sua dinastia e della V Flotta Usa, sono stati festeggiati giorni fa da Hamas, padroni di Gaza. In una Gaza che non cessa di sanguinare sotto i serial killer israeliani, alleati di questi “campioni della democrazia e della causa araba”. La storia dei 30 denari, da noi come liggiù, non finisce mai.


Maruan Barghuti sui muri di Palestina

Quello che deprime, su questo sfondo, è l’insistenza con cui i sostenitori della Palestina, ormai ridotti a caritatevoli solidaristi di vittime inoffensive, continuano a relazionarsi con una realtà radicalmente mutata. Attivisti, per terra e per mare, in scritti e collette, di una strategia che, forse rasserenata dal fatto che non si tratta più di combattenti, di “violenti”, si riduce ai lamenti e al conforto verbale. Non si rendono conto che,  passando sopra la natura mutata dei loro referenti e non denunciando al mondo il passaggio di questi dalla parte dei nemici della libertà del popolo palestinese, della sconfitta di questo popolo si rendono involontari complici. Parrebbe di una chiarezza abbagliante il compito di chi sta dalla parte di questa gente di non avallare lo sventurato e infame assetto della Palestina occupata, di denunciarne gli svenditori, di relazionarsi con chi geme sotto la persecuzione e non rinuncia alla lotta, con tutti fuorchè con ANP e Hamas e con chi vi si accoda. Un primo, essenziale, apporto dovrebbe essere una campagna di portata mondiale per la liberazione di compagni come Marwan Barghuti e Ahmed Saadat, combattenti della cui neutralizzazione profitta Israele quanto i signorotti della satrapìa dell’ANP. Altro che inconsistenti operazioni Caritas, altro che controproducenti inseguimenti dei Due Stati, uno vero e uno finto, altro che le morgantiniane kermesse, sotto l’egida di Abu Mazen, delle sfilate pacifiste di rassegnati palestinesi mescolati a qualche decina di benevoli israeliani. Quando entrano in conflitto, si deve stare con la rivoluzione del popolo, o con il potere dei governanti? Chiediamocelo. Anche per la Cina, il Vietnam, il Sudafrica, forse Cuba, e tante altre occasioni perdute.

9 commenti:

Francesco ha detto...

Caro Fulvio, come al solito il tuo articolo è sempre illuminate. Nel corteo di sabato 27 ottobre ero presente,( sono io quello della terza foto)e ci sono dei segnali che mi fanno presupporre che non tutto è perduto per fortuna. Posso testimoniare che tanti compagni di ogni età, del Pdci, Prc, di altre realtà, volevano informarsi senza pregiudiziali di sorta su quello che sta succedendo in Siria ed hanno gradito molto la presenza delle bandiere della Repubblica araba siriana con quelle del Che, di Cuba del Venezuela. Chissà..no. Un abbraccio compagno

andrea ha detto...

Oggi Mohamed Rafea, un noto attore di soap opera siriano è stato ucciso per il suo sostegno al governo ed al popolo siriano. sui nostri media già gira la versione dei bastardi nato che dice che Rafea era uno shabiha ed era armato. questi maiali uccidono senza pierà sacerdoti, attori, impiegati statali, semplici sostenitori del bath, alawiti e cristiani.

fortunatamente in soli due giorni avrò visto almeno 100 ribelli morti nei video, chissà quanti nella realtà. I soldati siriani sono furiosi ed hanno cominciato a comportarsi come i nativi americani con i loro nemici (ve li ricordate gli scalpi?).
non vi posto i video perchè so che molti pacifici ne sarebbero scandalizzati, io che ho il sangue dei barbari nelle mie vene sono invece fiero dei combattenti siriani.

i nostri media non parlano della soluzione proposta dalla cina per la pacificazione del conflitto.

per quanto riguarda quel tale padre dall'oglio.... non ha vergogna di parlare nel nome di quei cristiani martirizzati ogni giorno dai cani salafiti e dei sacerdoti uccisi dal cosiddetto fsa? meriterebbe di fare la stessa fine quel ratto rognoso.

ciao fulvio e grazie per portare avanti la bandiera dell'antimperialismo

andrea ha detto...

ciao fulvio,
dai un'occhiata a questo video.
Pensa che è stato postato da un deficente che sta dalla parte dei ribelli.

Mostra un vecchio residente che se la prende con i ribelli per aver portato la guerra nel suo quartiere.....e senti le risposte dell'escremento

http://www.youtube.com/watch?v=1Zxa8QwOB1E

saluti comunisti
Andrea

alex1 ha detto...

Con grande rammarico leggo la notizia della caduta di Bani Walid, ignorata dalla stampa, se non un cenno di Correggia sul Manifesto, testata che un anno e mezzo fa dava ampio risalto a quelli che si strappavano i capelli per i ratti misuratini, quando il bilancio era da weekend di traffico intenso. L'articolo e' stato subito commentato dai blogghisti professionisti, quasi a compiacersi del massacro con missili e gas di chi osa resistere sulla propria terra.
Spero almeno che abbiano lasciato ai ratti solo terra bruciata, come fecero i russi in ritirata sia durante la rivoluzione, sia durante l'invasione nazista. E come in parte fecero in un atto di dignita' anche i serbi di Saraievo, subito arrestati dalle forze "di pace". E che possa essere solo una ritirata per il contrattacco.
L'altro giorno ho visto su LA7 una trasmissione sulla Fiat di Pomigliano D'Arco. Mi ha colpito non solo che i lavoratori Fiom erano attaccati dai militanti dei sindacati "gialli" (CISL, UGL e compagnia) che li accusavano violentemente di "rovinare l'accordo", ma sopratutto di molti ospiti che "a sinistra" parlavano di "guerra fra poveri". Penso anche chi resiste in fabbrica debba essere sostenuto.

Anonimo ha detto...

Chiamarli "ribelli" è già un complimento. Anche "ratti" ormai lo è. Chiamiamoli "scarafaggi" mi sembra più consono.

Fulvio ha detto...

Andrea@
Non ho i tuoi video, ma ne vedo tantissimi direttamente dalla Siria. NOn mi risulta affatto che i soldati lealisti si comportino come i ratti e, scusami, ma trovo inopportuno diffondere simili notizie.
A proposito del video col vecchio, dov'è che trovi questi video?

Alex1
Ovvio che sostiene la resistenza dei popoli non può non sostenere anche la lotta degli sfruttati, operai, studenti, contadini, tutti. E' lo stesso nemicvo, è la stessa guerra. Come mi sforzo continuamente di ribadire in articoli, libri e film.

Anonimo@
Non è mica importante come li chiamiamo, i mercenari. "Ratti" è l'espressione usata dai patrioti libici. Uso anch'io quel termine. Ma più appropriato e tecnico sono "mercenari", "Ascari", "Alqaidisti", "salafiti".

Anonimo ha detto...

Caro Fulvio, oggi leggo che sono in corso combattimenti a Damasco. Riusciamo a fare un quadro della situazione effettiva sul campo? Sulla base delle notizie che raccimolo di qua e di la non sono in grado, per esempio, di fare un quadro di quali aree (se ci sono) sono controllate dai lanzichenecchi (a me piace chiamarli cosí, a proposito). Come riflessione, vorrei aggiungere che per far cadere l'Iraq libero ci sono voluti almeno 15 anni e due guerre con l'esercito americano, che poi ha perso migliaia di soldati in una delle guerriglie più fiere che io ricordi. Sono certo che la Siria non sarà da meno. Stiano attenti coloro che sottovalutano la grandezza di quel popolo.
Stefano

alex1 ha detto...

Ciao Fulvio, so bene che nei tuoi documentari articoli e film unisci sempre molti aspetti, le lotte di liberazione, quelle sociali e le questioni ambientali. Mi riferivo ai vari No War, movimenti per la Palestina ed alla stessa Fiom, che spesso irretiti dal senso comune democraticista e filoccidentale esitano ad unire le varie tematiche, restano nella loro nicchia. Ne è stata prova anche la manifestazione dell'anno scorso promossa da emergency e parte della CGIL "contro" l'intervento NATO, che aveva come premessa "Gheddafi ha dichiarato guerra al proprio popolo"...a cui parteciparono anche sinceri sindacalisti come Maurizio Landini.
Alessandro

andrea ha detto...

ciao fulvio,

i video che trovo li puoi trovare iscrivendoti ai vari canali dei compagni e fratelli siriani che li postano sulla rete. se vuoi visitare il mio canale you tube "infoibatore rosso" guarda la mie playlist "ratti morti" e "heroes" oltre a trovare un sacco di video puoi iscriverti ai canali che ti dicevo sopra!

Caro fulvio,
non volevo certo paragonare gli eroici soldati siriani io li ho infatti paragonati ai gloriosi "indiani d'america". ma ti assicuro che quello che ho visto nel video ti farebbe rizzare i capelli! La guerra è guerra Fulvio e chi ha visto le proprie città saccheggiate, le proprie chiese e moschee usate come urinatoi da queli selvaggi del fsa, i propri fratelli decapitati HA IL DIRITTO DI VENDICARSI sul nemico come vuole.

chi sceglie di tradire il proprio paese per servire l'imperialismo e israele non merita certo processi e comprensione merita solo una giusta esecuzione. i soldati siriani sono secondo me fin troppo disciplinati. sui nostri media si continua a parlare di bombardamenti a tappeto ed è una spudorata menzogna. con la potenza di fuoco dell'esercito siriano adesso non esisterebbero più case, se questo fosse l'obietivo.

occhio invece ai rattoni di fogna che si stanno concentrando sulle basi della difesa antiaerea siriana, per scardinarne il sistema....

saluti barbari e comunisti