Non fatevi fregare quando paternamente vi battono
sulla spalla e vi dicono che non ci sono nel mondo diseguaglianze gravi contro
le quali valga la pena battersi. Se gli credete, essi, nei loro palazzi di marmo
e nelle loro banche di granito, dai quali derubano i popoli del mondo
pretendendo di farne il bene, avranno un potere assoluto. State in guardia,
poichè appena gli sembrerà opportuno,per proteggere il loro oro, vi spediranno
in guerre le cui armi, subito sviluppate da scienziati servili, diventeranno
sempre più letali, fino a quando, con un cenno della mano, saranno capaci di
fare a pezzi milioni di voi. (Jean-Paul Marat,
martire della rivoluzione francese).
Pacifisti o antiguerra?
"Incidentalmente vorrei qui sottolineare come punto
nobile, minuto ma alto, sia stato, nella manifestazione anti-Monti del 27
ottobre, lo spezzone dei No War, che spesso ho criticato per quella loro buonista,
prudente e ambigua, invocazione alla tregua e al dialogo, indirizzata a entrambe le
parti, carnefice e vittima. Slogan e striscione di quelle brave persone
dicevano “Giù le mani dalla Siria” e anche “Con la Siria senza se e senza ma”.
Bene, piccoli pacifisti crescono".
Questo ho scritto nel precedente post “Ratti tra i piedi…”, in un paragrafo intitolato “In marcia o in sfilata?”.
Ma gli striscioni che hanno caratterizzato positivamente
e, per la prima volta, un corteo delle sinistre non erano stati fatti da
coloro, No War romani, per i quali,come scritto sopra, da tempo denuncio
l’inadeguatezza di un pacifismo che finisce col negare il suo scopo condannando
le “violenze da qualunque parte provengano”. Astrattamente non violenti, pur
denunciando le interferenze straniere nell’aggressione a Libia e Siria,
finiscono con l’essere reticenti sulle ragioni dell’aggredito, avallando
implicitamente (chi tace acconsente) le mostrificazioni che le centrali della
disinformazione compiono ai danni di governi e leader per giustificare le
guerre Nato. Pare che anche nell’occasione del corteo romano alcuni di questi,
in ossequio a un politically correct che
non li ponga fuori dagli spazi consentiti o tollerati, si siano espressi in tal
senso nelle interviste date ai media
.
.
Gli splendidi striscioni che invece, con assoluta
chiarezza e coerenza, denunciavano le esclusive responsabilità degli aggressori
sono stati portati dai compagni di Attivisti contro la guerra, Red Link, No
War e altri di Napoli. Ne vanno riconosciuti il coraggio e la lucidità
politica, il merito di aver inserito in una manifestazione, silente sulla
questione principale di questi tempi, la guerra, una chiave di lettura
complessiva dell’assalto della criminalità organizzata politico-economica ai
diritti e alla vita di popoli e classi da annientare.
Ora questi compagni prospettano un’assemblea nazionale
sul tema dei mattatoi mediorientali, allestiti dalle potenze occidentali in
combutta con le tiranniche e sanguinarie monarchie del Golfo, dei quali il regime Monti-Terzi-Di Paola e i
media di regime sono complici e quindi nostra controparte diretta. Ne dovrebbe
partire una mobilitazione per l’immediata cessazione dell’attacco alla Siria e,
in prospettiva, all’Iran. Una mobiltazione non inquinata da presenze spurie o
strumentali (come quelle dei gruppuscoli fascisti e di cerchiobottisti e
arrampicatori vari), che, con una consapevolezza che coniughi la guerra di decimazione
dei diritti e delle condizioni di vita in Italia e in Europa con la
complementare guerra alla Siria e ai popoli di cui sovranità, libertà,
autodeterminazione, dovrebbero essere date in pasto ai predatori Usa, Israele,
UE, Golfo. Ne risulterebbe restituita alla sua corretta sede ideologica e
politica una battaglia per la pace e la verità che da troppi è stata
indebitamente sequestrata, strumentalizzata, resa inerte.
Siria,
imbattibile da 19 mesi
In Siria la situazione, imposta dalla provata capacità
del popolo e del governo siriani di resistere all’importata soldataglia di salafiti, incapaci per il mero
soldo mercenario, come insegna Machiavelli, di reggere il confronto con un
esercito di popolo che si batte per patria e libertà, si è capovolta. Fallito
ogni tentativo di organizzare queste bande rastrellate tra briganti ceceni,
afghani, libici, sauditi, in qualcosa di efficace sul piano strategico, per
bocca di Hillary Clinton il regime Usa ha deciso di disfarsi del suo organismo
politico direttivo, il Consiglio Nazionale Siriano installato a Istanbul e fin
qui ricettore di commandos, decine di milioni di dollari e armi occidentali (è di
questi giorni l’ennesima prova, anticipata da numerosi reportages mediatici e
confermata addirittura in Turchia da comandanti militari Usa, della presenza di
forze statunitensi nella base turca di Incirlik, in Giordania e, in manovre
congiunte con Israele, sul Golan).
Con Qatar e sauditi, l’idra bifronte Usa-GB sta ora affannosamente
cercando di mettere in piedi in Qatar un nuovo organo-fantoccio di fuorusciti
siriani, magari con sul terreno una meno appariscente, imbarazzante e anche
preoccupante presenza di incontrollabili tagliagole alqaidisti. Subumani dal
blasfemo Allah u Akbar urlato durante
le quotidiane torture, mutilazioni e uccisioni di civili sequestrati e militari
prigionieri. Untermenschen scaturiti dalle viscere della guerra infinita
Usa-UE, l’enormità delle cui nefandezze
è riuscita a bucare perfino un sistema mediatico blindato dal leviatano
globalizzato e a tappare la bocca ai suoi acefali o prezzolati trombettieri
(pensate all’immondo sito Uruknet). L’impresa
fallirà al pari del CNS, spappolatosi tra branchi che si sbranano sull’osso, perché
i mercenari, rinnegati, vendipatria, predoni, che si vorrebbero riunire in un
nuovo “governo in esilio”, senza la base dei terroristi salafiti, in
maggioranza infiltrati nel paese, non hanno chi rappresentare in Siria. E se si
azzardassero a voler mettere le briglia a queste masnade, finirebbe come in
Libia, un paese in preda a tutti fuorchè agli assegnatari Nato. Non resta che l’intervento
diretto dei mandanti. Ma Russia e Cina tengono duro.
Esecuzione di prigionieri a Saraqeb
Nel frattempo, la scelta resta quella dell’apocalissedi
sangue, unica tattica ancora in grado di destabilizzare una nazione in
stragrande maggioranza schierata con i suoi dirigenti in resistenza: stragi terroristiche e assassini mirati, alla Mossad, di esponenti
della difesa, della politica, della scienza e della cultura siriane, ultimi
l’uccisione del capo dell’aeronautica e la spaventosa esecuzione a Saraqeb di
28 patrioti prigionieri, prima malmenati e seviziati e poi trucidati a
mitragliate ( correte a vedere il video prima che lo tolgano). Quella della
tortura ed esecuzione di prigionieri, mentre le truppe siriane osservano
diritto internazionale e leggi di guerra, è pratica corrente degli ascari Nato,
dalla Libia alla Siria. Media e cancellerie non se ne preoccupano, tanto più
che, incoraggiati dalla kill list di
Obama e dagli assassinii seriali del Mossad, i miliziani del Free Syrian Army hanno ora iniziato ad
addirittura rivendicare queste loro prodezze.
Permettetemi il solito riferimento al “quotidiano
comunista”. Dopo aver richiamato dalla Libia, su diktat di Rossanda, l’iniziale
inviato, l’onesto Matteuzzi, e dopo averlo sostituito con uno svergognato
paladino del mercenariato salafita e delle sue menzogne, “il manifesto” aveva
affidato il conflitto siriano a un’emula di questo propagandista Nato, tale
Miriam Giannantina che, secondo l’ambasciata siriana, faceva solo finta di
trasmettere da Damasco, ma che, ovunque si trovasse, si accaniva a
spappagallare la vulgata dei “giovani rivoluzionari”, vittime inermi e
pacifiche, spurgata da fiduciari Cia-MI6 a Londra. Ora se ne occupa Michele
Giorgio che, avendoci abituato a narrazioni corrette e coraggiose dalla Palestina,
già ci aveva colpito con l’ambiguità del suo antigheddafismo sulla Libia. Ora
si ripete sulla Siria. Un colpetto al cerchio di sangue e fuoco dei “ribelli”,
per lunga pezza definiti “disertori siriani” (che si potevano contare su due
mani, anche quando il Qatar offriva stipendi di 20mila dollari al mese), e una
mazzata alle “forze di Assad che bombardano i quartieri di Homs o Aleppo”. Il
tutto sempre attinto alle fonti, mille volte sbugiardate, dell’opposizione
siriana sotto tutela dei servizi Nato. L’ultrà democraticistico del “manifesto”
dovrebbe dirci se giudica altrettanto efferati i bombardamenti sovietici su
quartieri della città russa di Stalingrado occupata da Von Paulus, o se li
giudica ineluttabili obblighi della guerra di liberazione dai nazisti.
Abbiamo saputo che l’ultimo cristiano di Homs è stato
ucciso. Non significa che Homs è in mano ai mercenari. Significa che i quartieri
cristiani in cui questi fanno incursioni sono stati svuotati da abitanti in
fuga da quell’orrore che, nella stessa Homs, mi fu illustrato, con immagini,
documenti, racconti, da decine di famiglie cristiane, laiche, alawite (vedi il
docufilm Armageddon sulla via di Damasco).
Chi non era scampato verso Damasco, o il Libano, è stato ammazzato. L’ultimo è
stato appunto colui di cui la stampa ha riferito. Lo sradicamento dei cristiani
(il 10% della popolazione), per sfuggire alla morte, alla tortura o anche solo
alla paura inflitti dagli alqaidisti Nato, non impedisce a tale Padre Paolo
Dall’Oglio, di ritorno in Italia, di disseminare, in totale divergenza dalle
comunità cristiane in Siria e alla faccia di queste vittime e a soddisfazione
dei loro persecutori, le balle sulla presunta dittatura e sulle presunte
atrocità di Assad. Lo copre lo stesso Ratzinger quando, nelle sue epifanie alla
finestra, urge il governo siriano a “mettere fine alle violenze.” Del resto, anche
Michele Giorgio accredita un famigerato “regime
alawita degli Assad”, non essendosi documentato sulla composizione dei
quadri delle forze armate e
dell’amministrazione siriane, in maggioranza sunniti. C’è da chiedere a lui,
come agli altri gazzettari sul posto, a
parte una nutrita schiera di inviati anglosassoni, tipo Guardian, Independent, Huffington Post e perfino il governativo Washington Post, come mai
sistematicamente non ritiene degni di attenzione versioni e comunicati del
governo e dei media siriani (quelli non oscurati dai satelliti sotto controllo
occidentale). Si prosegue alla maniera dei conquistadores:
avete mai sentito la versione di Montezuma su quanto succedeva agli aztechi? I
“selvaggi”, oggi i“non democratici”, non hanno diritto di parola.
Il ratto Bernard
Henry Levy, “filosofo” dei servizi francesi, capofila della democrazia da
esportazione, tra cacciatori di teste in Siria
La cosa che a
questo pur valido difensore delle ragioni palestinesi non va giù, poi, è che i
curdi siriani, nella loro organizzazione più rappresentativa, il Partito
dell’Unione Democratica, si sono assunti il compito di difendere, loro, i
territori del nord-est contro le incursioni dei miliziani infiltrati dalla
Turchia e agiscono di conserva con i fratelli curdi del PKK, la cui offensiva nel
Kurdistan turco mina la strategie offensiva di Ankara contro la Siria. Si
figura, M.G., l’esistenza di settori curdi in Siria, del tutto irrilevanti, che
si batterebbero contro una discriminazione etnica da tempo superata e
affiancherebbero i terroristi antisiriani. Curiosa contraddizione: sostenere la
causa del popolo palestinese in patria e nuotare nella palude dell’ambiguità
quando si tratta del conflitto che oppone
il governo più di tutti impegnato per la Palestina alle stesse forze,
Israele, Usa, regimi reazionari, che governano il genocidio dei palestinesi.
Eroi
siriani e il loro popolo
Dopo
un anno dal suo martirio, Gheddafi vive, a dispetto del moloch colonialista e
dei suoi media
In Libia il “caos creativo” perseguito da chi aveva
deciso che un paese libero, indipendente, prospero e giusto non fosse
compatibile con gli assetti della globalizzazione imperialista, sta
sconvolgendo i piani che gli erano stati assegnati: la riduzione in schiavitù
dei libici, la Libia come piattaforma per l’invasione dell’Africa, la
tranquilla crapula petrolifera. L’ectoplasma di regime installato a Tripoli
balla su un filo teso, sul baratro della dilagante resistenza patriottica, tra
l’ostilità della quasi totalità delle tribù, memori degli standard di
benessere, convivenza, solidarietà sotto Gheddafi, e la ribellione delle varie
bande armate di salafiti e alqaidisti che non riconoscono né autorità dello
Stato, né spazi delle brigate concorrenti.
Bani Walid come Massada
Dell’impotenza dello Stato è stata dimostrazione la
dichiarazione del “ministro della Difesa” del regime fantoccio secondo cui Bani
Walid non si trova sotto il controllo
delle forze governative e non sarebbe quindi responsabile dei crimini degli
assalitori. L’eroica città dei Warfalla, fedeli a Gheddafi e alla patria, dall’ottobre
2011 ha resistito a un assedio feroce e, nelle ultime settimane, ha subito un
autentico genocidio ad opera dei famigerati tagliagole di Misurata. Il mondo,
cultore dei diritti umani, si è voltato dall’altra parte mentre 100mila persone
venivano massacrate con missili, gas asfissianti, bombe a frammentazione. Da
Bani Walid giungevano le invocazioni dei medici, ormai privi di farmaci e
attrezzature e incapaci di curare i feriti. Il medico che con questa denuncia è
apparso su alcuni schermi è stato sgozzato all’arrivo dei “ribelli”. Su Youtube
scorrevano le immagini di persone che chiedevano soccorso perché non si
mangiava e beveva più, i bambini morivano come le mosche e le case gli
crollavano addosso sotto le bombe. Al Consiglio di Sicurezza gli Usa hanno bloccato
la proposta russa che voleva sostituire ai bombardamenti, massacri, stupri, una
tregua e una soluzione negoziata.
La civiltà occidentale giudaico-cristiana non vedeva,
udiva, parlava. Morivano dei reprobi. Oltrechè inutili. Oggi Bani Walid mi
ricorda Massada, la città fortezza assediata dai romani durante la Seconda
Guerra Giudaica. E’ un torrione di roccia su cui si era installata una comunità
di zeloti resistenti a Roma. Mi ci sono inerpicato per l’unico accesso: un
sentiero stretto e ripido scavato nella roccia, con passaggi mezzo metro di
larghezza sullo strapiombo. In cima, nei 360° di panorama, sotto un cielo che
il deserto abbaglia di azzurro, si volava da catene di monti arrugginiti dal
sole alle sconfinate distese di quella che i romani chiamavano Giudea, alla depressione
nera del Mar Morto. Ci volle un anno intero, dal 72 al 73 AD, perché i romani
ce la facessero, ma entrando nella fortezza non trovarono segni di vita. 960
zeloti, così lo storico Flavio Giuseppe, si erano suicidati. A Bani Walid,
quando gli scannatori di Misurata vi sono penetrati, non c’era più nessuno. Come
a Massada. 100mila morti, scomparsi nel deserto, in altri centri della
resistenza, chissà dove. Morti civili.
Non suicidi, vivi per la lotta. E c’è gente che tollera o favorisce che il
destino di Massada, o di Bani Walid, come di Sirte, di Tawarga, di Fallujah, di
My Lai in Vietnam, di Dresda, venga riservato anche a Damasco, Homs, Aleppo.
Muoviamoci! Come urgono i compagni di
Napoli.
Non ci sono solo le bugie e le deformazioni mediatiche
che trasformano ratti in aquile e gazzelle in coccodrilli. Ci sono i silenzi,
gli occultamenti. Si osservano quando i crimini della “nostra” parte sono
troppo evidenti e il ratto rischia di essere riconosciuto. Vale per Bani Walid,
come per mille altre nefandezze. Silenzio adottato e imposto alla temutissima
voce dell’altro. Quella che dai satelliti delle emittenti iraniane e siriane è
stata cancellata. Vale in questi giorni per l’ennesimo atto di pirateria del
regime che il becchino bancario del nostro paese ha testè visitato e circonfuso
di servilismo, affettuosità ed elogi. Compiendo quella che, con ogni evidenza,
vuole apparire come una minacciosa prova per l’assalto all’Iran, il regime
nazisionista ha violato lo spazio aereo di
Egitto e Sudan e con i suoi F16, gli unici nella regione capaci di
colpire a 2000 km di distanza sfuggendo ai radar, accecando le
telecomunicazioni e lanciando missili a guida di precisione, è andato a radere
al suolo, a Khartum, la più grande fabbrica di armamenti dell’Africa, “Yarmuk”..
Giganteschi crateri, decine di operai morti e feriti, il lavoro di centinaia
polverizzato, una nazione disarmata. La scusa di Israele, falsa: produceva armi
per l’Iran. Come se l’Iran ne avesse
bisogno.
Non è una primizia. Israele aveva già colpito due volte
in Sudan, gennaio e febbraio 2009. Un convoglio che si voleva trasportasse armi
a Gaza, 19 morti, e una nave a Port Sudan. Democratica licenza di uccidere,
come quella da Obama assegnata a se stesso e ai suoi servizi, come quella
affidata alle soldataglie mercenarie impiegate la dove si risparmiano vite
occidentali, come quella, da decenni autoassegnatasi da Israele, nel consenso
della “comunità internazionale” (come si definisce quella “atlantica”), quando
manda in giro i suoi squadroni della morte Mossad, o specialisti surrogati,
come i paramilitari colombiani e i Mujaheddin e-Khalk iraniani, ad assassinare
oppositori, critici, resistenti a regimi complici, o scienziati, intellettuali,
tecnici nei paesi da ridurre in ginocchio.
Habemus
Lieberniahum
Del resto, non avendo più quasi nulla da temere nelle
terre da esso occupate e violentate ed essendo dotato di impunità democratica,
Israele può agire ad ampio raggio. Tanto più che ora si vanno fondendo in un’
unico mostro necroforo i due partiti al potere, il Likud di Netaniahu e il
partito di quell’altro psicopatico col pugnale nazista tra i denti, Yisrael
Beitenu (Israele casa nostra), di Avidgor Lieberman. I 2.300 ammazzati e 7,700
feriti a Gaza dall’inizio del blocco promettono di diventare un laboratorio -
come quello dei missili su Khartum in vista di altre nationes delendas - per la totale eliminazione del popolo autoctono
della Palestina, da sempre nei piani dei due ultrà sionisti, come dei loro
predecessori.
La demonizzazione dell’Iran illustra la tecnica di
fabbricare nemici e minacce per poi
creare strategie militari “difensive” d’attacco. Una gola profonda delle Forze
Armate israeliane ha fatto trapelare il piano di guerra contro l’Iran, poi
diffuso da media statunitensi: un’azione coordinata preceduta da un attacco
cibernetico che, annullando internet, telecomunicazioni, radio e tv, satelliti
di comunicazione, fibre ottiche, paralizzerebbe il governo e la popolazione
iraniani, rendendoli incapaci di sapere cosa stia succedendo nel paese. Poi una
raffica di decine di missili balistici da Israele e dai suoi sottomarini diretta
contro gli impianti di ricerca nucleare, quelli che arricchiscono uranio
esclusivamente per produrre isotopi medici destinati annualmente a 850mila
pazienti iraniani. Ne seguirebbe un’altra, di centinaia di missili Cruise, sui
centri di commando e sistemi di controllo. Le vittime collaterali
decapiterebbero per generazioni l’apparato professionale e di governo. A questo
punto decollerebbero verso l’Iran, informati da satelliti sulla situazione, gli
squadroni di cacciabombardieri destinati a compiere l’opera e resi invisibili
ai radar da una ancora sconosciuta tecnologia fornita dagli Usa. Si è calcolato
che attaccare quattro dei centri nucleari iraniani comporterebbe almeno 85mila
morti.
Che si tratti di bluff per mantenere alta la tensione e
intimidire le forze che nell’Iran hanno un alleato irrinunciabile; che si
tratti di tirare la giacchetta agli Usa e alla “comunità internazionale” perché
poi tirino un sospiro di sollievo quando Israele non lo farà e ci si potrà
rallegrare che, per ora, sono solo la Siria e gli ultimi brandelli di Palestina
a sparire dalla scena; o che si tratti di programma di prossima attuazione, lo
vedremo. Intanto inquieta alquanto che da voci autorevoli negli Usa si sentano
propositi simili a quelli che, nella conventicola dei neocon bushiani, auspicavano “una nuova Pearl Harbour per
giustificare la guerra infinita”. E venne l’11 settembre. Recentemente Patrick Clawson, sionista, vicedirettore
dell’Istituto Washington di Politica Mediorientale (WINEP), braccio per la ricerca
dell’AIPAC, l’organismo sionista Usa a cui si inchinano tutti i presidenti e
candidati presidenti Usa, che già aveva approvato gli assassinii mirati di
scienziati iraniani, è arrivato ad auspicare in tv un incidente tipo Pearl
Harbour, o Golfo del Tonchino. “Se gli
iraniani non si adattano, sarebbe bene che qualcun altro iniziasse la guerra.
Potremmo fare molte cose per aumentare la pressione… Pensate, ogni tanto
sommergibili si immergono. Poi, una volta, uno non riemerge. A chi attribuirne
la colpa?… Dobbiamo usare operazioni coperte contro gli iraniani, creare motivi
per attaccarli.” Più chiaro di così.
Bye
bye Palestine
Tutto questo è reso tanto più facile dal fatto che agli
israeliani qualcuno copre le spalle. Una delle vicende più tragiche e
vergognose dei nostri sciagurati tempi è il tradimento delle forze politiche
palestinesi e la conseguente passivizzazione di quel popolo perseguitato, seviziato,
decimato, da parte degli stessi che ne avrebbero dovuto guidare la sacrosanta
battaglia di liberazione. per il recupero delle proprie terre e dei propri
diritti stuprati dall’invasore. Il fatto che al nemico genocida si siano
venduti i gerarchi dell’ANP, capeggiati dal presidente Abu Mazen e dal solito
banchiere FMI travestito da premier, Salam Fayyad, è noto fin da prima che
venissero alla luce gli osceni Palestine
Papers, che rivelarono al mondo il turpe scambio tra integrazione delle
forze di sicurezza palestinese, addestrate da ufficiali Usa, nell’apparato
repressivo israeliano, e benefici economici ai dirigenti palestinesi
collaborazionisti. Rivelazione poi integrata dai documenti che attestavano
un’intesa USraelo-palestinese per l’eliminazione di Yasser Arafat. Il quale,
peraltro, avrebbe avuto poche ragioni per sorprendersi di tanta degenerazione,
dato che il grande leader della
resistenza si era messo nelle mani dei “mediatori” Usa fin dal deprimente
ritiro dal Libano e dalla successiva adesione alla truffa di Oslo.
Del resto, la nidiata di topi succedutagli alla testa
dell’ANP, non era stata covata proprio da lui, in diretto scontro con la
giovane generazione delle Intifade guidata da Marwan Barghuti? Ne sono stato
testimone negli anni intorno al 2000, quando la lotta tra accoliti di un Arafat
rinsenilito e i sostenitori della continuità della lotta di liberazione in
tutte le sue forme necessarie, che stava infliggendo pesanti danni economici
allo Stato sionista, aveva assunto forme visibili clamorose e percepibili anche
dal visitatore straniero. Il grande combattente e abile propugnatore
internazionale della causa palestinese si assicurò un illusorio lasso di vita
nel palazzo della Muqata’a in cambio dell’imprigionamento del segretario del FPLP
Saadat e della cattura di Barghuti, cioè di coloro che, rifiutando la
“soluzione finale” dei “Due Stati” e rivendicando il diritto alla resistenza in
ogni sua forma, davano più fastidio al regime nazisionista.
Vendutasi, senza eccessiva opposizione delle un tempo
gloriose formazioni di sinistra, PFLP e DFLP, a Israele la componente laica, un
tempo strategicamente panaraba e sostenuta dai paesi per vari gradi laici,
antimperialisti, antisionisti e progressisti, Egitto, Iraq, Libia, Siria,
Sudan, Yemen del Sud, Algeria, Libano, la bandiera della lotta di liberazione
era passata nelle mani dei partiti confessionali, Hamas e Jihad Islamica.
Bandiera gonfiata dal vento della solidarietà di chiunque nel mondo, anche se
alieno alla dominante religiosa, continuava a sostenere i diritti dei
palestinesi al loro Stato, dal Giordano al Mediterraneo. Stato unico di
palestinesi e di quanti tra gli ebrei volessero convivervi in pace. Ora questa
speranza, questo cammino, sono stati anch’essi disintegrati dalla altrettanto
vergognoso abbandono di Hamas del suo protettore di mezzo secolo, di una Siria
che in tre guerre per la Palestina aveva sacrificato decine di migliaia di vite
e arti vitali del suo corpo territoriale, oltre ad aver ospitato, nutrito,
insignito di dignità e futuro, mezzo milione di palestinesi. Ne risulta
mutilato “l’asse della resistenza” Iran-Siria-Hezbollah-Hamas.
Haniyeh
di Hamas e il dittatore del Qatar
Indifferenti al fatto che gli ascari islamisti della Nato
e degli alleati arabi di Israele, i tiranni fondamentalisti del Golfo, a caccia
dello scita, del cristiano (decine di migliaia fuggiti dalla carneficina Al
Qaida a Homs) hanno sommato la caccia ai profughi palestinesi (lo stesso era
successo con gli ascari Nato in Iraq); indifferenti alla persecuzione di
profughi palestinesi e dei loro sostenitori nei paesi arabi dove la Fratellanza
Musulmana è stata dall’Occidente agevolata al potere (in Tunisia l’eroe della
resistenza palestinese, Samir Kuntar, 30 anni nelle carceri israeliane, è
sfuggito per miracolo al linciaggio di 500 invasati salafiti); indifferenti a
una storia che ha visto il Kuweit e altri principati del Golfo espellere i
palestinesi al tempo della guerra all’Iraq, i capi di Hamas, Khaled Meshaal e
Ismail Haniyeh, si sono consegnati ai despoti medievali del Golfo, mani e piedi
legati da fascette di dollari.
La pugnalata alle spalle della Siria sotto attacco dei
nemici degli arabi è particolarmente efferata, visto che, a Damasco, Meshaal aveva potuto per anni, vivere,
finanziarsi e sostenere la sua battaglia contro Israele e contro i rinnegati di
Fatah. I satrapi più intrecciati al riordino
reazionario-teocratico-colonialista del Medio Oriente, frequenti ospiti dei
massacratori israeliani di “fratelli arabi”, custodi di multinazionali e armate
d’assalto angloamericane, Hamad bin Khalifa Al-Thani, codistruttore qatariota
di Libia e Siria, e Nasser bin Hamad al Khalifa, principe del Bahrein,
massacratore dell’opposizione democratica in un paese che è proprietà esclusiva
della sua dinastia e della V Flotta Usa, sono stati festeggiati giorni fa da
Hamas, padroni di Gaza. In una Gaza che non cessa di sanguinare sotto i serial
killer israeliani, alleati di questi “campioni della democrazia e della causa
araba”. La storia dei 30 denari, da noi come liggiù, non finisce mai.
Maruan
Barghuti sui muri di Palestina
Quello che deprime, su questo sfondo, è l’insistenza con
cui i sostenitori della Palestina, ormai ridotti a caritatevoli solidaristi di
vittime inoffensive, continuano a relazionarsi con una realtà radicalmente
mutata. Attivisti, per terra e per mare, in scritti e collette, di una
strategia che, forse rasserenata dal fatto che non si tratta più di
combattenti, di “violenti”, si riduce ai lamenti e al conforto verbale. Non si
rendono conto che, passando sopra la
natura mutata dei loro referenti e non denunciando al mondo il passaggio di
questi dalla parte dei nemici della libertà del popolo palestinese, della
sconfitta di questo popolo si rendono involontari complici. Parrebbe di una
chiarezza abbagliante il compito di chi sta dalla parte di questa gente di non
avallare lo sventurato e infame assetto della Palestina occupata, di
denunciarne gli svenditori, di relazionarsi con chi geme sotto la persecuzione
e non rinuncia alla lotta, con tutti fuorchè con ANP e Hamas e con chi vi si
accoda. Un primo, essenziale, apporto dovrebbe essere una campagna di portata
mondiale per la liberazione di compagni come Marwan Barghuti e Ahmed Saadat,
combattenti della cui neutralizzazione profitta Israele quanto i signorotti
della satrapìa dell’ANP. Altro che inconsistenti operazioni Caritas, altro che
controproducenti inseguimenti dei Due Stati, uno vero e uno finto, altro che le
morgantiniane kermesse, sotto l’egida di Abu Mazen, delle sfilate pacifiste di
rassegnati palestinesi mescolati a qualche decina di benevoli israeliani. Quando
entrano in conflitto, si deve stare con la rivoluzione del popolo, o con il
potere dei governanti? Chiediamocelo. Anche per la Cina, il Vietnam, il
Sudafrica, forse Cuba, e tante altre occasioni perdute.
9 commenti:
Caro Fulvio, come al solito il tuo articolo è sempre illuminate. Nel corteo di sabato 27 ottobre ero presente,( sono io quello della terza foto)e ci sono dei segnali che mi fanno presupporre che non tutto è perduto per fortuna. Posso testimoniare che tanti compagni di ogni età, del Pdci, Prc, di altre realtà, volevano informarsi senza pregiudiziali di sorta su quello che sta succedendo in Siria ed hanno gradito molto la presenza delle bandiere della Repubblica araba siriana con quelle del Che, di Cuba del Venezuela. Chissà..no. Un abbraccio compagno
Oggi Mohamed Rafea, un noto attore di soap opera siriano è stato ucciso per il suo sostegno al governo ed al popolo siriano. sui nostri media già gira la versione dei bastardi nato che dice che Rafea era uno shabiha ed era armato. questi maiali uccidono senza pierà sacerdoti, attori, impiegati statali, semplici sostenitori del bath, alawiti e cristiani.
fortunatamente in soli due giorni avrò visto almeno 100 ribelli morti nei video, chissà quanti nella realtà. I soldati siriani sono furiosi ed hanno cominciato a comportarsi come i nativi americani con i loro nemici (ve li ricordate gli scalpi?).
non vi posto i video perchè so che molti pacifici ne sarebbero scandalizzati, io che ho il sangue dei barbari nelle mie vene sono invece fiero dei combattenti siriani.
i nostri media non parlano della soluzione proposta dalla cina per la pacificazione del conflitto.
per quanto riguarda quel tale padre dall'oglio.... non ha vergogna di parlare nel nome di quei cristiani martirizzati ogni giorno dai cani salafiti e dei sacerdoti uccisi dal cosiddetto fsa? meriterebbe di fare la stessa fine quel ratto rognoso.
ciao fulvio e grazie per portare avanti la bandiera dell'antimperialismo
ciao fulvio,
dai un'occhiata a questo video.
Pensa che è stato postato da un deficente che sta dalla parte dei ribelli.
Mostra un vecchio residente che se la prende con i ribelli per aver portato la guerra nel suo quartiere.....e senti le risposte dell'escremento
http://www.youtube.com/watch?v=1Zxa8QwOB1E
saluti comunisti
Andrea
Con grande rammarico leggo la notizia della caduta di Bani Walid, ignorata dalla stampa, se non un cenno di Correggia sul Manifesto, testata che un anno e mezzo fa dava ampio risalto a quelli che si strappavano i capelli per i ratti misuratini, quando il bilancio era da weekend di traffico intenso. L'articolo e' stato subito commentato dai blogghisti professionisti, quasi a compiacersi del massacro con missili e gas di chi osa resistere sulla propria terra.
Spero almeno che abbiano lasciato ai ratti solo terra bruciata, come fecero i russi in ritirata sia durante la rivoluzione, sia durante l'invasione nazista. E come in parte fecero in un atto di dignita' anche i serbi di Saraievo, subito arrestati dalle forze "di pace". E che possa essere solo una ritirata per il contrattacco.
L'altro giorno ho visto su LA7 una trasmissione sulla Fiat di Pomigliano D'Arco. Mi ha colpito non solo che i lavoratori Fiom erano attaccati dai militanti dei sindacati "gialli" (CISL, UGL e compagnia) che li accusavano violentemente di "rovinare l'accordo", ma sopratutto di molti ospiti che "a sinistra" parlavano di "guerra fra poveri". Penso anche chi resiste in fabbrica debba essere sostenuto.
Chiamarli "ribelli" è già un complimento. Anche "ratti" ormai lo è. Chiamiamoli "scarafaggi" mi sembra più consono.
Andrea@
Non ho i tuoi video, ma ne vedo tantissimi direttamente dalla Siria. NOn mi risulta affatto che i soldati lealisti si comportino come i ratti e, scusami, ma trovo inopportuno diffondere simili notizie.
A proposito del video col vecchio, dov'è che trovi questi video?
Alex1
Ovvio che sostiene la resistenza dei popoli non può non sostenere anche la lotta degli sfruttati, operai, studenti, contadini, tutti. E' lo stesso nemicvo, è la stessa guerra. Come mi sforzo continuamente di ribadire in articoli, libri e film.
Anonimo@
Non è mica importante come li chiamiamo, i mercenari. "Ratti" è l'espressione usata dai patrioti libici. Uso anch'io quel termine. Ma più appropriato e tecnico sono "mercenari", "Ascari", "Alqaidisti", "salafiti".
Caro Fulvio, oggi leggo che sono in corso combattimenti a Damasco. Riusciamo a fare un quadro della situazione effettiva sul campo? Sulla base delle notizie che raccimolo di qua e di la non sono in grado, per esempio, di fare un quadro di quali aree (se ci sono) sono controllate dai lanzichenecchi (a me piace chiamarli cosí, a proposito). Come riflessione, vorrei aggiungere che per far cadere l'Iraq libero ci sono voluti almeno 15 anni e due guerre con l'esercito americano, che poi ha perso migliaia di soldati in una delle guerriglie più fiere che io ricordi. Sono certo che la Siria non sarà da meno. Stiano attenti coloro che sottovalutano la grandezza di quel popolo.
Stefano
Ciao Fulvio, so bene che nei tuoi documentari articoli e film unisci sempre molti aspetti, le lotte di liberazione, quelle sociali e le questioni ambientali. Mi riferivo ai vari No War, movimenti per la Palestina ed alla stessa Fiom, che spesso irretiti dal senso comune democraticista e filoccidentale esitano ad unire le varie tematiche, restano nella loro nicchia. Ne è stata prova anche la manifestazione dell'anno scorso promossa da emergency e parte della CGIL "contro" l'intervento NATO, che aveva come premessa "Gheddafi ha dichiarato guerra al proprio popolo"...a cui parteciparono anche sinceri sindacalisti come Maurizio Landini.
Alessandro
ciao fulvio,
i video che trovo li puoi trovare iscrivendoti ai vari canali dei compagni e fratelli siriani che li postano sulla rete. se vuoi visitare il mio canale you tube "infoibatore rosso" guarda la mie playlist "ratti morti" e "heroes" oltre a trovare un sacco di video puoi iscriverti ai canali che ti dicevo sopra!
Caro fulvio,
non volevo certo paragonare gli eroici soldati siriani io li ho infatti paragonati ai gloriosi "indiani d'america". ma ti assicuro che quello che ho visto nel video ti farebbe rizzare i capelli! La guerra è guerra Fulvio e chi ha visto le proprie città saccheggiate, le proprie chiese e moschee usate come urinatoi da queli selvaggi del fsa, i propri fratelli decapitati HA IL DIRITTO DI VENDICARSI sul nemico come vuole.
chi sceglie di tradire il proprio paese per servire l'imperialismo e israele non merita certo processi e comprensione merita solo una giusta esecuzione. i soldati siriani sono secondo me fin troppo disciplinati. sui nostri media si continua a parlare di bombardamenti a tappeto ed è una spudorata menzogna. con la potenza di fuoco dell'esercito siriano adesso non esisterebbero più case, se questo fosse l'obietivo.
occhio invece ai rattoni di fogna che si stanno concentrando sulle basi della difesa antiaerea siriana, per scardinarne il sistema....
saluti barbari e comunisti
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