lunedì 3 dicembre 2012

PANTOMIME tra Italia e Palestina




«È motivo di sorpresa e di riflessione vedere persone che si danno da fare in tutti i modi per cercare di sopravvivere mentre sono tenute nella condizione di animali in gabbia, sottoposti ad un costante, casuale e sadico meccanismo punitivo che ha il solo scopo di umiliarle. Fondamentalmente Israele e gli Stati Uniti non fanno altro che tenerli in vita. Non vogliono affamarli a morte, ma hanno sistemato le cose in modo tale che i palestinesi non possano avere una vita dignitosa. Ed in effetti una delle parole che si sente pronunciare più spesso è dignità... Fondamentalmente Israele non vuole che i palestinesi tirino su la testa. È una pentola a pressione, pronta a scoppiare. Nessuno può vivere così, tanto a lungo. È una prigione a cielo aperto».(Noam Chomsky)
Siamo parte della sinistra radicale, non abbiamo guadagnato voti avvicinandoci al centro. Abbiamo lottato a mani nude contro la repressione più brutale d’Europa… Per noi socialismo e comunismo sono indivisibili con la democrazia, la partecipazione e la libertà. Siamo nati e cresciuti lottando contro la socialdemocrazia che ci ha portato in questa crisi. Syriza rappresenta la grande bellezza del socialismo e comunismo, della sinistra anticapitalista e rivoluzionaria, del comunismo libertario e dell’autonomia dei nuovi movimenti. (Alexis Tsipras).

Dicesi pantomima quando una o più persone dicono o fanno alcuna cosa simulatamente per ingannare altrui e celare la propria intenzione. Così Carlo Goldoni, che di pantomime (e pantomimi, coloro che la fanno), alla luce dei poteri corrotti e truffaldini dell’epoca, se ne intendeva e li metteva in scena perché i gonzi si trasformassero in avveduti. Il suo tempo vedeva fiorire un illuminismo che, poi con la rivoluzione francese, avrebbe scardinato e annichilito i regimi assolutisti e schiavisti  delle società cristiano-feudali. Età di lumi che, attenuatisi nel secolo successivo, sarebbero tornati a splendere per qualche tempo dopo il 1917, per poi spegnersi del tutto negli anni del nostro sconforto. Anni in cui il fare alcuna cosa simulatamente per ingannare altrui e celare la propria intenzione si è fatto regola di governo e di costume. E i gonzi si sono fatti maggioranza assoluta e, per esempio, applaudono a Premi Nobel per la pace come Obama, l’Unione Europea, Kissinger, Begin, Aung San Suu Kyi e Shirin Ebadi, o si fanno governare da organizzazioni criminali come Goldman Sachs, Bilderberg, mafia e loro surrogati locali. Nella schiera dei pochi avveduti sopravvissuti ci si ostina a spiegare che la pantomima è perlopiù la trasfigurazione di tragedie di cui non ci si rende conto  e sulle quali non ci resta che…ridere.


Pantomima alla palestinese
La pantomima può essere o sceneggiata, o farsa. Da noi, vista l’abbondanza di guitti tra gli attori, la tragedia viene di solito metamorfizzata in farsa. Altrove, dove prevalgono i cattivi seri e garantiti da totale impunità, si ha la sceneggiata, con tanto di sangue e lacrime. Incominciamo da qui.

In Palestina, visto che, d’intesa con gli affini despoti teocrati d’Egitto e del Qatar, Israele aveva fatto finta di concedere agli ex-terroristi di Hamas una piccola comparsata sulla scena geopolitica mediorientale, si trattava di ristabilire l’equilibrio tra i nominali avversari, offrendo un biscottino anche a Fatah e ANP. E di coprire con il ruolo del mediatore di pace il dittatore islamista, Mohamed Morsi, testè installatosi in Egitto, paladino di Camp David e socio di minoranza Usa. Così avvenne, solo pantomimicamente deprecato da USA e sodali, come dalla stessa banda nazisionista, il riconoscimento all’ONU della Palestina come Stato-Nonstato, però “osservatore”. Israele e gli Usa, sanno benissimo, nella temperie attuale con una stragrande maggioranza di governi e opinioni pubbliche stufi della protervia di Israele e della sua troppo evidente natura politically incorrect  e fuorilegge, che tirare ancora la corda attorno al collo dei palestinesi avrebbe suscitato troppe perplessità. Già non si sta mettendo molto bene in Siria, con quegli scalmanati di alleati petrotiranni e ascari islamisti tagliagole, che sempre meno riescono a proiettare al mondo l’indispensabile immagine di “giovani rivoluzionari e portatori di democrazia”. E poi, sbattere in faccia al quisling Abu Mazen - Mahmud Abbas – lo spioncino del portone dell’ONU, dopo aver massacrato quasi 200 civili e polverizzato un altro po’ di quartieri a Gaza, poteva colmare la misura al punto da costringere i reggicoda arabi ed europei di Israele a emettere qualche uggiolìo di disagio.

Le perplessità e alcune controindicazioni nel bugiardino di questo placebo prescritto dall’ONU ai palestinesi, espresse da competenze in loco (penso a Michele Giorgio del “manifesto” e a commentatori arabi), sono state  spazzate via dalle mille bandiere svettanti in una Palestina festante e dall’uragano di applausi levatosi indistintamente lungo tutto l’arco dei solidarismi palestinesi e dei regimi registi, protagonisti o figuranti, della rappresentazione. In prima fila a spellarsi le mani per la “vittoria epocale”, la “svolta”, il “primo passo verso il riscatto”, i predicatori della nonviolenza, i pacifisti ad oltranza, i dirittoumanisti, quelli del “fuori gli estremisti, dentro i moderati”. Insomma quelli alla “manifesto”, alla “Morgantini”, alle varie ONG che perorano il dialogo tra israeliani e palestinesi ”buoni” e che, con il quisling riscattato, finalmente potevano, senza vergogna, sostenere l’ANP. Indifferenti al dato che di  israeliani “buoni” in Israele ne trovi pochi più di quanti Diogene con la lampada ne trovava di uomini. E i palestinesi buoni sono tutti quelli che Abu Mazen intrattiene a tavola con le pietanze elargite dai suoi pupari in cambio della totale liquidazione dei “cattivi”.

La collera diventa incontenibile quando si pensa a questi gentlemen e gentlewomen che predicano ai palestinesi la nonviolenza e il dialogo, senza aver lontanamente vissuto l’enormità dei soprusi e dei crimini da loro subiti per sessant’anni. Fregoli che, quando passano per la porta girevole nelle vesti di laici dirittoumanisti, si sgolano a deplorare i veli in testa alle donne afghane o iraniane e, un attimo dopo, uscendone coperti dal burka, festeggiano il rinsavimento pacifista palestinese, assicurato dai sultani wahabiti che spediscono cacciatori di teste femminili in Libia e Siria. Amici del giaguaro che chiudono gli occhi sul fatto che, dalla frode di Oslo in qua, ogni fase di dialogo ha strappato ai palestinesi un altro pezzo di terra, di diritti e di vita, mentre i rovesci più gravi gli occupanti li hanno subiti al culmine della seconda Intifada, quando l’immigrazione ebraica si rovesciò in fuga, gli insediamenti si bloccarono, gli investimenti esteri si arenarono, o si sottraevano e l’entità sionista vacillò, subendo la prima recessione dagli anni della sua creazione. Quando nel mondo le strade riecheggiavano del grido Fe-Fe-Fedayin.

Per cui i pur sgargianti vestiti con cui il reuccio cisgiordano si è esibito dal palco delle Nazioni Unite, allo sguardo del bambino incontaminato non potevano nascondere le nudità oscene di un proconsole che da anni fa da palo ai rapinatori e assassini del suo popolo. Cosa mai ci si poteva aspettare da uno, e dalla sua cricca di grassatori agli ordini dell’Impero, che aveva, insieme  all’agente Cia Mohammed Dahlan, discusso con gli israeliani l’eliminazione di Arafat; che reprimeva nel sangue e nel carcere ogni resistenza all’occupazione e a dispotismo e corruzione; che da anni, e anche alla vigilia del voto ONU, a Israele ha concesso ogni cosa, compreso il silenzio-assenso sul crimine storico del ’47. Fino al raccapricciante tradimento del diritto al ritorno di 5 milioni di profughi e all’obbrobrio di giustificare “Piombo Fuso” con i razzetti di Hamas. Uno la cui debacle alle recenti elezioni in Cisgiordania, con Hamas, forza politica maggioritaria esclusa, aveva misurato il consenso di cui godeva e aveva preoccupato i suoi sponsor.Toccava rimpannucciarlo un po’. Anche perché i padrini Usa, sia di Israele che dei petroleotenientes del Golfo, preferiscono, ceteris paribus, un’ ANP con dietro nessuno a un Hamas con dietro una spalla miliardari sauditi e qatarioti e, dietro l’altra, potenze demografiche e militari islamiste come Egitto e Turchia, tutti quanti in fregola di egemonia regionale.

Ai fuochi d’artificio di Ramallah e Gaza corrispondevano poi, con meno attenuanti e meno sincerità, i peana sollevati dai plaudenti delle nostre parti. Un plauso alimentato, al meglio, da dabbenaggine, al medio da pacifismo, al peggio da collusione. Ma soprattutto dall’ipocrisia di chi si sentiva sollevato dall’incubo di dover sostenere una lotta di liberazione vera, sempre a rischio di qualche sassata o Molotov. Bisogna però anche capire gli ingenui e illusi in buona fede, soprattutto i disperati di Palestina, che hanno voluto vedere nell’emersione momentanea di uno Stato palestinese dalla sua esistenza di videogioco, pur fuori dalla famiglia delle nazioni “normali”, pur surrealisticamente configurato sul terreno come un lego su cui si sia schiantato un macigno, una novità positiva. Di Palestina, bene o male, s’è parlato alle Nazioni Unite, 150 paesi le hanno concesso di osservare cosa fanno gli Stati veri, i palestinesi potranno ricorrere al Tribunale Penale Internazionale (quello di Moreno Ocampo, quello che incrimina esclusivamente governanti del Sud del mondo sgraditi agli Usa), seppure non alla più attendibile Corte di Giustizia. Però tocca vedere fino a che punto questi boccaloni e speranzosi copriranno con la mimetica della loro fiducia la realtà che andrà sviluppandosi sul terreno. Sarà imbarazzante e penoso essere costretti a rinsavire, quando si vedrà come nella realtà nulla cambierà in meglio per il popolo palestinese, come la presunta primavera araba trapiantata in Palestina dal voto dell’ONU sia stata presto desertificata, allo stesso modo, con gli stessi pupari e con le stesse marionette, visti all’opera altrove.

Al momento il bilancio è il seguente. Come Stato Osservatore, al popolo palestinese è ora concesso di osservare che: l’emergente necessità storica e morale di uno Stato democratico e laico unico, di alloctoni e autoctoni, è stata rimpiazzata dall’illusione dei Due Stati, di cui il primo la reggia e l’altro la baracca della servitù; Israele continua ad ammazzare gente a Gaza e a incarcerarla e torturarla in Cisgiordania; l’Egitto, per quanto fratello musulmano di Hamas, non si sogna di infrangere il blocco di Gaza, aprendo il valico di Rafah; Netaniahu aggiunge altre 3000 abitazioni ai carcinomi urbani che hanno frantumato il residuo 17% della Palestina storica (che l’ONU, avendole già staccata la Transgiordania affidata a re Hussein, aveva diviso più o meno a metà); gli USA, per non sverniciare troppo il nero Obama, si sono limitati a alzare il sopracciglio sinistro, ma anche a minacciare di tagliare i viveri qualora emergessero elementi di disturbo; il reggente di Israele, Abu Mazen, di conserva con Hamas, ha affidato le sorti della sua gente alle dittature famigliari proprietarie dei popoli del Golfo, le stesse che hanno annientato, o stanno annientando, o promettono di annientare, gli ultimi autentici sostenitori della causa palestinese, dall’Iraq alla Libia, dalla Siria all’Iran; lo stesso rinnegato ha assicurato ai genocidi l’esilio, senza fine mai, di cinque milioni di fratelli profughi e ha svenduto il diritto dei palestinesi a denunciare Israele per un olocausto peggiore di quello attribuito ai nazisti, perché durato sessantacinque anni anziché tre. Chissà se ci saranno ancora palestinesi quando, alla fine di tutto, potrebbero osservare la cricca di Abu Mazen incastrata nel ghiaccio di Antenore, IX Cerchio, accanto a Gano di Maganza e Ugolino della Gherardesca.


Pantomima all’Italiana
ROSSANA ROSSANDA SU “SBILANCIAMOCI”
Quello di Renzi è soprattutto un giovanilismo senza troppi interrogativi e senza complessi: spostatevi, vecchi e incapaci, e fateci posto. Non me la sento neanche di rimproverargli l’effetto che il giovanilismo fa a chi si ricorda “Giovinezza giovinezza” da piccolo, perché il fascismo aveva un carico di contenuti che Renzi non ha, salvo forse un certo disprezzo, ai limiti del turpiloquio anch’esso toscano. Per il resto il renzismo non vuol dire nulla, salvo una smania di cambiare il personale politico, resa dubbia dall’essere tutti e inevitabilmente circondati da giovani intelligenti e vecchi scemi o viceversa, praticamente in eguale misura.

Va citata, questa scientifica analisi della vacca sacra della sinistra italiota, per la solita ottusa sottovalutazione e spocchiosa banalizzazione del fenomeno, reazionario e restauratore, più che conservatore, Matteo Renzi, quale “giovanilista senza troppi interrogativi” e turpiloquente. Il personaggio è tanto un pirlotto burino, saltimbanco tattico, quanto l’astuto strumento strategico di una Vandea di ritorno che, da “sinistra”, agli ordini della Cupola, punta alla prosecuzione e alla radicalizzazione del sociocidio montiano. Scintillante aspirapolvere spedito a sottrarre al deleterio fenomeno Grillo il pulviscolo di masse insofferenti, con la promessa del ricambio generazionale. Che però sottintende il vero grande cambiamento a venire: la restaurazione di un’oligarchia assolutista di feudale memoria, che verrà però chiamata Terza Repubblica. Il maturetto fighetto, per sottrarre questo lavoro al detrito migliorista che qualcuno osa definire “socialdemocratico” (Rosa Luxemburg si rivolta nella tomba), protagonista di un’era di stragi liberiste, cementificatrici e guerrafondaie un tantino moderate, non ha ritenuto di opporre contenuti. Scontro tra vuoti con mascalzonate in cassetta di sicurezza. Giustizia sociale, ambiente, equità, uguaglianza, salute, istruzione, legalità, sovranità, pace, unité, egalité, fraternité, li lascia ai dibattiti tra i gentiluomini del Terzo Settore, ora Quarto Polo e Quinto Girotondo. Tanto meno ci si deve curare di arcaismi come la costituzione. Sarebbe stato fare “demagogia”, “antipolitica” e “populismo”.

Gli è bastato indicare nei peggiori criminali di guerra dei millenni cristiani i suoi mandanti e garanti: Obama, Blair, Clinton, i loro santoli a Wall Street e nelle Cayman, giù giù, fino a Fornero e Monti. Per la politica estera, il solco è tracciato dal Mossad: mentre i rivali bofonchiavano qualcosa sullo Stato della Palestina accanto a quello degli ebrei, lui accantonava come irrilevante la questione, individuando l’ombelico del male mondiale nell’Iran, “sul quale si dovrà pure intervenire”, quanto meno rilanciando (facendo rilanciare dalla Cia) quella “rivoluzione verde” le cui gnocche dalle unghie laccate tanto lo avevano affascinato. E se a sinistra qualcuno insiste a rimpiangere la democrazia ateniese, dove, pazienza, c’erano pure gli schiavi, anche lui, innovatore rivoluzionario,  si rifà a un modello greco: l’Atene dei Trenta Tiranni, sotto i quali schiavi divennero tutti (vedi Seneca). Del resto anche gli epigoni di Hitler e Mussolini si dicono nuovi e “fascisti del terzo millennio”.


Insegue trafelato un po’ lo Stenterello fiorentino, un po’ il Balanzone bolognese, l’umiliato e deriso Vendola, cui per emergere dal vuoto politico, non sono bastati i crediti scolastici accumulati con la corruzione della sanità pugliese,il consociativismo con Marcegaglia e Don Verzè, la privatizzazione dell’acqua, la compiacenza verso l’Ilva, l’altarino bifronte eretto al cardinal Martini e a Israele, l’invocazione di D’Alema ministro degli esteri (condivisa anche da quella bandiera della sinistra che è Haidi Giuliani), magari perché dica qualcosa di sinistra come al tempo delle sue bombe su Belgrado (oltreché sulle spendibili teste mia e del bassotto Nando) e degli omaggi a Berlusconi e all’Opus Dei. A uno così c’è chi affida la mission impossible di tirare dal lato sinistro la giacchetta di Bersani, quella fatta di pelle di comunisti. Lato sinistro che non c’è.

Speculare all’indulgente sottovalutazione dell’infiltrato Renzi (di quella Rossanda che aveva ben valutato gli eventi in Libia, invocando brigate internazionali a sostenere la “rivoluzione democratica” di Nato-Al Qaida), è la sopravalutazione della presunta “riscoperta della politica”, “voglia di partecipazione”, espressa dai tre milioncini delle primarie PD. A guardar meglio, si tratta di un fritto misto di disperati tra padella e brace che si arrabattano  per salire su una qualche zattera e di furbetti che montano su questo carretto perché li porti nel paese della cuccagna (dove non ricordano che, poi, in capo spuntano orecchie di somaro). C'è più riscoperta della politica e voglia di partecipazione non fasulla, come lo è questa americanata tra bonzi prezzolati da lobby, cosche, logge e chiese, in uno spezzone di corteo studentesco, in una battaglia No Tav, in una frase di Ingroia, che nella sceneggiata tra un detrito PCI e un logoro bisnonno che si fa passare per giovinetto, manco fosse Dorian Gray. Del resto, finchè c’è lo stesso capocomico a scrivere il copione e a dirigere la commedia, che sia quella di Renzi, Bersani, Abu Mazen o Khaled Mashaal (Hamas), simul stabunt simul cadent.

Rossanda si sbilancia
Finisco con una citazione da Giulio Marcon, patron di “Sbilanciamoci”, Terzo Settore alternativo al neoliberismo, di cui pochi ricordano i fasti all’epoca in cui era alternativo alla Serbia libera e sovrana, dove manovrava, a capo dell’International Solidarity Consortium, i collaterali pacifisti cripto-Nato a sostegno di altri “giovani democratici”  del tipo libico o siriano, quelli di Otpor e dell’UCK. E’ sul suo bollettino che Rossana Rossanda, con coerente scelta ideologica e morale, ha eletto di scrivere quelle sue osservazioni su Matteo Renzi.

Si è visto sin qui come le guerre in ex Jugoslavia siano state il risultato di molteplici cause:storiche ed economiche, internazionali e interne…. È però riduttivo ricondurre l'intera origine della guerra soltanto alle cattive influenze dei paesi occidentali (nella vicenda dei riconoscimenti delle repubbliche secessioniste), al ruolo degli Stati Uniti e della NATO, alla ricerca di un progetto di dominazione politica e militare o alla lotta delle grandi potenze per le risorse economiche e le rotte commerciali dei Balcani sud-orientali. Questa interpretazione (basata sul peso degli interessi strategici ed economici occidentali), se ridotta a unica chiave di lettura è ideologica ed economicistica e non tiene conto della complessità dei conflitto jugoslavo. Così è fuorviante l'assunto dell'esistenza di un disegno imperialista - rispolverato in occasione dell'attacco della NATO alla Serbia - volto alla distruzione dell'ultimo baluardo socialista nell'Europa orientale. Il regime di Milosevic non ha niente di socialista: è semplicemente l'espressione di un sistema autoritario e populista, violento e nazionalista, che si è affermato proprio grazie al tradimento dei valori, della pratica e dell'ispirazione universalistica del socialismo titoista, che certo non era democratico e liberale ma almeno era avverso nei principi al nazionalismo.
Giulio Marcon, ICS.

6 commenti:

theyogi ha detto...

che poi, sbaglierò, ma sta farsa del riconoscimento del tutto scontato della palestina, finisce per legittimare definitivamente uno stato invece del tutto artificioso come israele.

ps. ci siamo incrociati al no-monti day...

Anonimo ha detto...

egregio fulvio,

scardinare i luoghi comuni della politica estera e nazionale non è cosa da poco; esige impegno, sapere, cultura e intelligenza; anzi, benianamente parlando si può esprimere questo concetto: rigorosità.
dunque, cosa è rigorosità?
l'essere rigoroso è appunto spaccare il capello in quattro, in questo caso significa conoscere a fondo le cose e le questioni che riguardano direttamente i fatti oggettivi, quelli che la massa eterodiretta non può per definizione conoscere a fondo; e non può conoscere a fondo perché il tempo della conoscenza e della virtù è stato sussunto dall'informazione consumistica oggettivamente orientata a contestualizzare la società nell'ambito della società aperta di mercato.

tutta la nostra società è organizzata in relazione al livello di capacità di consumo pro-capite e l'informazione non solo non ne è da meno, ma è il perno su cui si fonda tutta l'architrave di questo sistema, financo le istituzioni dei vari stati; la libertà di consumo è l'indicatore ideologico di massa che contraddistingue una società di distribuzione dei redditi ad uno di distruzione dei redditi.
se si metaforizza il contesto israelo-palestinese si evince che non è differente dal conflitto tra capitale-lavoro; tutta l'informazione, tutto lo sforzo mediatico è stato ferreamente applicato affinché il conflitto capitale-lavoro sia messo nelle condizione di non nuocere; rinfocolare il conflitto significa permettere alle masse il ritorno alla ragione e alla fine dell'era consumistica, cioè la fine del capitalismo in se stesso.
se le masse questo non lo intendono, lo hanno intese per bene i dirigenti delle oligarchie oggi al potere e lo manifestano in tutta la loro crudeltà privando ai popoli la libertà, privando il reddito ai cittadini e lavoratori e imponendo modelli di consumo inappropriati a un moderato e razionale uso delle risorse planetarie.
perché in realtà ogni rivoluzionario è estremista nelle rivendicazioni politiche, ma moderato nel consumo; ciò che è esattamente il contrario nei cervelli fritti dei nostri governanti a qualsiasi livello.

saluti fulvio

alberto

alex1 ha detto...

Ciao Fulvio,

volevo chiedere solo una precisazione riguardo al riconoscimento della Palestina come stato "osservatore" all'ONU.
Non era gia' stato riconosciuto nel 1988 come ultimo atto della gestione Reagan, cosa che fece infuriare Israele all'epoca? Quindi o questa rappresentanza e' stata cancellata oppure non sarebbe nient'a;tro che una minestra riscaldata, con la perniciosa aggiunta dei "confini al 1967, che gia' penalizzerebbero un ipotetico mini Stato senza continuita' e con limitate risorse idriche, ed alla rinuncia dell'opzione di rientro dei profughi. Di fatto un contentino per ridare credibilita' ad una dirigenza palestinese screditata e tenere buone le masse oppresse per un altro po'. Mica si possono fare affari con un partner democratico ma in perenne conflitto e con spese militari fuori controllo no?

Fulvio ha detto...

Alex ciao.
Non ricordo quel primo riconoscimento, ma ricordo la proclamazione dello Stato palestinese fatta da Arafat a Tunisi, nel '90 o '91 e riconosciuta da molti Stati. Comunque concordo.

giorgio ha detto...

Sulla pagina facebook di bersani,per chi vuole vomitare,il racconto del suo viaggio in libia,compresa foto delle parlamentari libiche che hanno il destino della libia nelle loro mani.Ripeto,ci vuole stomaco forte.

Anonimo ha detto...

Compagno, non ti è passata ancora l'infatuazione per lo Tsipras?
Nel frattempo che ti passa, saresti così gentile da spiegarci cos'è che ha fatto di bello, lui e i suoi amici, con tutti i voti che hanno preso?
No perché sembra che continuino a fare più cose quei brutti cattivi settari stalinisti del KKE... con molti meno voti ma, soprattutto, con molte meno chiacchiere vuote al vento.
Con stima come sempre