“La fiducia dell’innocente è lo strumento più utile al bugiardo” (Stephen King)
https://www.youtube.com/watch?v=JTNC2hmR_BM
Disinformare evitando il contesto
Intervista fattami da Edoardo Gagliardi di
Byoblu (aprire con CTRL e clic sul link), a poche ore dalle due
esplosioni che il 4 agosto hanno distrutto il porto di Beirut, ucciso circa 150
persone, ferito altre 5000 e devastato gran parte della capitale libanese. Qui
si tratta di un primo giro d’orizzonte lungo le domande che, codificate un
tempo dalla stampa anglosassone, un qualsiasi cronista dovrebbe porsi. Le
risposte dovrebbero inserire il fatto con le sue coordinate nel suo contesto
ambientale, politico, geopolitico, temporale, storico. Un’abitudine da lungo
tempo persa, o piuttosto abbandonata, dalla stragrande maggioranza della stampa
nazionale e occidentale, che, in omaggio agli interessi dei suoi editori e
referenti politico-economici, preferisce fornire le risposte da costoro
richieste. Avendo attraversato più di mezzo secolo di pratica giornalista per
un notevole numero di testate stampa, radio e televisive, sono testimone di
questo trapasso.
Libano, la preda negata
E ho potuto anche essere testimone di ciò che è culminato
ora a Beirut: una storia dei popoli arabi che, liberatisi dal gioco coloniale
europeo, da quel momento subiscono la ritorsione, via via più feroce e letale,
degli ex-colonialisti, dei quali hanno preso la guida due nuove presenze
innestate in Medioriente, Usa e Israele. A Beirut sono arrivato la prima volta
venendo dalla Palestina della guerra dei Sei Giorni, trovando un paese florido,
culturalmente vivacissimo, risparmiato dall’aggressione israeliana, in cui
500mila profughi palestinesi, un’intellettualità progressista dalla ricca
pubblicistica, strati popolari resi coscienti dal contesto antimperialista,
tenevano testa a una cricca interconfessionale di corrotti speculatori e alle
bande terroristiche, sostenute da Francia, Usa e Israele, della comunità
cristiano-maronita.
Media dei gatekeeper: guardare
dall’altra parte
Poi ho percorso il paese tante volte. Nella guerra civile
1975-1990, come inviato di “The Middle East” alle varie invasioni israeliane,
insieme a Stefano Chiarini, il grande giornalista del “manifesto”, in perenne
conflitto con la linea ambigua di quel giornale, a testimoniare l’orrore di
Sabra e Shatila e raccontare la nuova resistenza di Hezbollah. Inviato di
guerra nel 2006, nella Beirut rasa al suolo dai missili e dalle bombe di
Israele e tra le file dei combattenti Hezbollah, quando per la seconda volta, l’invasore
fu battuto e dovette ritirarsi dal paese, sconfitto da una guerriglia di
contadini. Rievoco questo, per offrire al lettore una base di competenza.
Quella che nella superficialità, tendenziosità, manipolazione,
decontestualizzazione dei servizi su Beirut dei giornalisti italiani è
rigorosamente, ostinatamente assente e la si cercherebbe invano tra le
allusioni, accuse, accostamenti nei quali vengono fatte svolazzare riferimenti
a Hezbollah (organizzazione terroristica per gli USA), Siria, Iran e all’inetto,
e perciò correo, governo libanese che non avrebbe custodito adeguatamente il
deposito di nitrato d’ammonio al porto. Tutto, per non vedere l’impronta,
l’interesse e l’obiettivo dell’immancabile sospetto numero uno. Quello che
nasconde la mano, ma non il compiacimento. Quello di sempre.
Subito un Pietro Valpreda
Trump ha immediatamente parlato di attentato per le due
esplosioni di Beirut. Il Pentagono, sostenuto da tutta la conventicola del Deep
State e, come è fisiologico nell’era del neoliberismo globalizzato, da
quasi tutta la stampa europea, ha insistito sull’incidente determinato dalla
trascuratezza dei governanti libanesi. Un video inconfutabile illustra la
presenza di un drone nei cieli sopra il porto prima degli scoppi. Tecnici degli
esplosivi, sulla base della forma a fungo della seconda, più potente,
esplosione, e della coloratura dei fumi sprigionatisi, parlano di ordigno
termonucleare, di mini-atomica, quanto meno di missile caricato a uranio
impoverito. L’ambasciata canadese fa circolare sui social questo messaggio, poi
rapidamente rimosso: “Si tratta di una bomba all’uranio impoverito (il rosso
dei fumi). Dite a tutti i vostri cari di allontanarsi e di non inalare.
Muovetevi in direzione opposta a quella del vento”.
Analogo l’invito sui social subito partito dal
Centro Medico dell’Università Americana di Beirut: “Tutti in Libano
rimangano in casa… Dall’aspetto delle fiamme, l’esplosione risulta da esplosivo
a base di acido. PER FAVORE RIMANETE CHIUSI IN CASA”.
Resta da chiedersi chi, nell’area, dispone di armi di tal
fatta e, magari, ne ha già fatto uso? Chi è il massimo specialista mondiale di
attentati terroristici, bombardamenti a piacere (suo), minacce di
obliterazione? Basta porla la domanda e la risposta scatta come la molla di una
trappola per topi.
A chi conviene
Quasi sempre il cui prodest indica la strada da percorrere per arrivare alle responsabilità. Come nel caso delle Torri Gemelle, della finta battaglia nel Golfo del Tonchino, dell’incendio nazista del Reichstag, di Piazza Fontana, o del capolavoro P2-Servizi a Bologna. Né il Libano, né le sue forze di difesa, popolari o governative, hanno mai attaccato nessun altro paese, tanto meno i suoi aggressori. Semmai si sono difesi, o hanno rivendicato propri territori. Discorso che vale per altri paesi martirizzati o demonizzati: Libia, Siria, Iran, Egitto, Algeria, i paesi del Sahel, Russia, Cina… Tutte le aggressioni dal dopoguerra ad oggi sono dell’Impero, delle sue succursali e dei suoi sicari. Terrorismo compreso.
40 anni di attacchi israeliani
Negli ultimi 40 anni Israele ha invaso il Libano nel 1980 (la strage di Sharon a Sabra e Shatila è del 1982), nel 1992 e di nuovo nel 2006. In tutti i casi lo Stato ebraico è stato sconfitto da Hezbollah, formazione patriottica a maggioranza scita appoggiata dall’Iran, non senza che prima avesse raso al suolo Beirut con bombardamenti a tappeto, disseminato il Sud Libano di mine che continuano a uccidere e a mutilare bambini e contadini, utilizzato armi proibite, chimiche, che lacerano e fanno incancrenire gli organi interni dei colpiti (lo evidenzia il mio documentario su quella guerra, “Delitto e Castigo”, terzo di quelli in cui ho unito i destini di Libano e Palestina, dopo “Patria Palestina” e “Fino all’ultima kefiah”). Tutto nell’assenza assoluta di reazioni da parte della “comunità internazionale” e dei suoi organi di garanzia e nella completa indifferenza della cosiddetta Missione di Protezione, Unifil, di cui tanto vanto si mena da noi e di cui non si capisce perché sia installata nel paese più volte aggredito e non in quello aggressore.
Beirut 2006, colpita dai bombardamenti
Il rinforzo dei “colorati” all’attentato
Hezbollah, la meglio organizzata e più numerosa
organizzazione civile e militare, è stata in tutti questi anni il presidio
della libertà, indipendenza e integrità libanesi, come lo è con i suoi
combattenti per quelle di Siria e Iraq. Per annientare questo semisecolare e
finora insuperabile scoglio sulla via del Nuovo Medioriente, intento perseguito
fin dagli anni 60 e mirante alla frammentazione dei maggiori Stati arabi lungo
linee etniche e confessionali, si è tentato di tutto. Rivoluzioni colorate
fomentate dalle élite maronite filo-francesi e sostenute da Israele, sia agli
inizi del millennio, sia recentemente e addirittura riprese adesso, in funzione
di depistaggio dal carnefice alla vittima, quando ancora i fumi delle
esplosioni non si erano dissipate Riappare, come in tutti i casi analoghi, il
pugno sorosiano di Otpor.
Manifestanti violenti, subito riattivati, che provano a
invadere il parlamento per proiettare al mondo l’immagine di una responsabilità
interna libanese, di governo e parlamento, nei quali si deve intravvedere la
figura prominente di Hezbollah. Ovviamente i media italioti, PR
dell’atlantosionismo, innescano la quarta, mentre la quinta è come sempre
appannaggio della mosca-cocchiera del “Deep State, “il manifesto”
Le motivazioni: la corruzione della classe politica
(effettivamente imputabile a tutti, ma non ai parlamentari e governanti
Hezbollah), lo sfascio economico, la crisi sociale. Espressione massima del
tasso criminale di quell’istituzione sovranazionale finanziaria che è il FMI,
era stato il ricatto allo Stato sovrano libanese per cui, o si sarebbe liberato
con tutti i mezzi (!) di Hezbollah, forza politica democraticamente eletta e da
decenni partecipe del governo, o gli 11 miliardi di dollari di prestito se li
sarebbe sognati. Sono i propositi di chi ha tagliato la giugulare alla Grecia.
Beirut, il colore dell'uranio impoverito
Un collasso nazionale perseguito da “fuori”
Tutto questo viene, dai “colorati”, imputato al governo,
insieme all’esplosione del deposito di nitrati d’ammonio, immagazzinati dal
2013, provenienti da una nave sequestrata e abbandonata dal suo armatore, un
russo di Cipro, sul quale imbastiscono ora miserevoli speculazioni i nostrani invasati
di Russiagate. La crisi libanese viene da lontano e, senza negare
responsabilità di una classe dirigente certamente inadeguata, ha ben altri
responsabili. 15 anni di sanguinosa guerra civile, innescata dall’alleanza in
fieri tra Israele e i satrapi del Golfo, tra destre maronite e sinistre
popolari patriottiche e palestinesi che ha minato alla base lo sviluppo e la
stabilità del paese. Poi, sotto il Primo Ministro Rafik Hariri, voluto dai
sauditi (come poi suo figlio e successore Saad), una ricostruzione all’insegna
della speculazione/devastazione immobiliare che ha cancellato il patrimonio
storico di Beirut, ha cementificato e inquinato, fatto di Hariri il quarto uomo
più ricco del mondo, indebitato il paese oltre ogni limite e impoverito
ulteriormente le masse popolari del Sud.
Come non bastasse, agitazioni sociali promosse dai ceti
privilegiati, l’invasione israeliana del 2006 e la distruzione del centro delle
maggiori città e di gran parte delle infrastrutture del paese a forza di
bombardamenti. A mantenere il paese sotto pressione, ricatto, terrore, come a
dimostrare il proprio rispetto per il diritto internazionale, aerei israeliani
penetrano quotidianamente nello spazio aereo libanese, minacciando di ripetere
le stragi del 2006 e quegli orrori che, con analoga frequenza, infliggono alle
popolazioni della Siria.
Il precedente di Hariri, per eliminare il
protettore siriano
Episodio centrale di un nuovo tentativo di
destabilizzazione, nel 2005 Rafiq Hariri, uomo dei sauditi, salta per aria sul
lungomare di Beirut grazie a un attentato di alta tecnologia che lascia un
cratere di 10 metri x tre, fa a pezzi lui e altre 20 persone. Il postribolo mediatico
atlantico-sionista punta il dito sulla Siria. La pressione è tale, che Damasco
decide di abbandonare il paese, del quale fin lì era stato il garante militare
contro le aggressioni interne (Falange maronita) ed esterne (Israele). Cui
prodest? Svanita, per lampante inconsistenza, la pista siriana, ci si
accontenta di Hezbollah. Un Tribunale Speciale sul Libano viene prontamente
costituito all’Aja sul modello di quello, di esaltante integrità giuridica,
sulla Jugoslavia, dai verdetti preordinati da Washington, tutti contro i serbi
e che, trovatolo incolpevole, ha lasciato morire in carcere, per rifiuto di
cure, il presidente patriota serbo Slobodan Milosevic. Naturalmente nessuno
all’Aja, e neanche nei nostri media, prenderà in considerazione l’unico dato di
prova emerso: Il video registrato da Hezbollah che riprende i mezzi della sorveglianza
aerea israeliana sul luogo dell’attentato nel suo preciso attuarsi e una
registrazione audio israeliana che illustra il percorso del corteo di Hariri
prima che stesse per compiersi.
Le coincidenze funzionano sempre e, così, la nostra
premurosa stampa, riempite le testate di riferimenti a Siria, Iran e Hezbollah,
si accorge che, guarda un po’, l’esplosione su cui vien fatto aleggiare il
sospetto scita, accade proprio a pochi giorni (18 agosto) dalla sentenza che i
lealissimi giudici dell’Aja pronunceranno a carico di 4 ragazzi Hezbollah (in
absentia) accusati allo scopo.
Netaniahu annuncia l’operazione
Il premier incriminato per una serie di delitti e che ha un
evidente bisogno di riscattare la sua figura di corrotto maneggione, prepara il
grande diversivo? Trump lo sa quando pronuncia la parola “attentato”? Il
Pentagono e l’Intelligence lo occultano quando smentiscono?
Contro lo scoglio Hezbollah un classico: bombe
e fame
E’ davvero umiliante, alla luce abbagliante delle evidenze,
dover ribadire al cialtroname mediatico l’elementare logica per cui nessuno fa
saltare la poltrona su cui siede, né favorisce il nemico dichiarato,
collocandosi da solo alla colonna infame con sotto le chiappe una bomba fine
del mondo. Hezbollah trae la sua forza dalla difesa del paese, dalle vittorie
sull’aggressore e dalla vasta rete di assistenza sociale che, in assenza dello
Stato, fa sopravvivere nella crisi, anche da Covid, decine di migliaia di
poveri libanesi e profughi palestinesi e siriani. I rifornimenti dal porto,
unico vero sbocco verso l’esterno, di importazioni e aiuti alimentari
sostenevano questa rete e impedivano una carestia dalle proporzioni
inimmaginabili. Ora il porto non c’è più e, alle sue spalle, l’infrastruttura
logistica di magazzini, carico e scarico, percorsi e mezzi di distribuzione, è
polverizzata.
Mentre Pompeo, Macron, Johnson, versano lacrime e promesse
di “non vi lasceremo soli” (tipo Mattarella, Renzi, Gentiloni, Conte,
dopo il terremoto), qualcuno i libanesi, dopo gli attentati, le carneficine
belliche, i sabotaggi colorati, ma anche le sconfitte subite sul campo come “esercito
più potente e morale del mondo”, pensa di prenderli per fame. E’ dura con
la Siria, l’Iraq, la Libia, l’Egitto, l’Iran. Si riparta dall’anello più
debole. E da colui che conta sui suoi cittadini perché, preda del solito
delirio di guerra, fermino i giudici che lo vogliono sbattere in galera.
Tornando al “contesto”, concetto familiare ai nostri
amanuensi incaricati di vergare incunaboli da fregamondo quanto lo sono le
onoranze funebri a sciacalli e avvoltoi, sono tanti i fili che vanno tirati per
ricostruire la ragnatela. Come ci ha insegnato la più grande delle insegnanti
italiane, Maria Montessori: vedere i dettagli, scoprire le connessioni. Inevitabilmente si arriverà al centro, alla
Vedova Nera che tesse i fili. Delle guerre, delle depredazioni, dello
sradicamento e sballottamento di popoli, del globalismo, della depopolazione,
del terrorismo, perfino del Covid.
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