giovedì 3 agosto 2023

L’Africa, non tutti si fanno indurre a emigrare. MOSCA-ALGERI-SAHEL, NO AL NEOCOLONIALISMO Il rischio di un conflitto continentale

 


VISIONE TV, Marco D’Agostino intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=kt-UkOMvnOc

https://youtu.be/kt-UkOMvnOc

 

L’unico paese del Sahel rimasto nell’orbita euro-atlantica è la Mauritania. Mali, Niger, Burkina Faso, Guinea sono in piena sollevazione anti-coloniale (Francia, USA, UE, Italia). Il Sudan, a cui le cospirazioni neocolonialiste hanno strappato il Sud Sudan, dove si trovano le risorse petrolifere, e dal quale si tenta da anni di separare le vaste regioni del Darfur, del Kordofan e della Nubia, è in preda a violenti rivolgimenti in cui si confrontano forze militari e sociali interne e attori esterni.

L’altro grande paese dell’area, la Nigeria, principale giacimento di idrocarburi del continente, formalmente in rapporti privilegiati con l’Occidente che lo governa attraverso le grandi compagnie petrolifere, è scosso da anni da una guerriglia feroce di segno jihadista, Boko Haram. Un terrorismo con ogni evidenza fomentato da interessi neocoloniali intesi a frantumare l’unità anche di questa grande potenza africana. Divide et impera. Per ribadire l’allineamento agli interessi dei suoi clienti, il regime nigeriano ha tagliato al Niger la corrente elettrica, il 70% del fabbisogno di quel paese.

Stanno per compiersi i sette giorni dell’ultimatum imposto al Niger, cuore strategico della regione, detentore dei due terzi delle riserve d’uranio che tengono in piedi il sistema energetico della Francia (e in parte dell’Italia che dalla Francia è approvvigionata). La minaccia dell’ECOWAS, organizzazione economica dei paesi dell’Africa Occidentale, di intervenire militarmente contro la rivoluzione nazionale, sociale e militare, in atto in Niger (dopo quelle vittoriose di Mali, Burkina Faso e Guinea Conacry), sta andando in collisione con un fronte composto non solo da rivoltosi del Sahel. Cosa che è servita a farla parzialmente rientrare.

E’ entrata in campo, clamorosamente, l’Algeria, terza grande potenza della regione, la storicamente più coerente sul piano dell’anticolonialismo (si ricordi il suo rifiuto di sostenere le aggressioni alla Libia e alla Siria e l’espulsione di Damasco dalla Lega Araba, ora rientrata grazie ai buoni uffici della Cina e dell’Egitto). E accanto all’Algeria c’è ora, vistosamente, la Russia. Apparentemente in divergenza dalla sua iniziale condanna del rivolgimento a Niamey. Sviluppi che sembrano aver fatto rientrare i propositi più bellicosi dello schieramento neocoloniale capeggiato da Francia, Usa e UE: La sua articolazione locale, l’ECOWAS, è addivenuta a più miti consigli: da ieri si trova a Niamey, per un negoziato con il governo militare uscito dalla sollevazione popolare.

Dopo lo sbattere di sciabole, poco gradito anche nel resto del Continente, a partire da Egitto e Sudafrica, si incomincia a parlare di mediazione. Forse gli armaioli d’Occidente, che già assaporavano l’emersione di nuovi mercati, dovranno ancora limitare le proprie aspettative di profitti all’ Ucraina. E il merito, qui, non è solo della compatta risposta alle minacce di restaurazione violenta da parte dei più significativi paesi della regione, Mali, Chad, Burkina Faso, ma anche della freddezza di molti altri. Lo è soprattutto dell’entrata in campo dell’Algeria, massima potenza militare del continente, e al distacco, rispetto alle minacce di intervento, di Egitto, Sudan, Sudafrica e di molti altri Stati africani.

Al vertice russo-africano di luglio a S. Pietroburgo, al quale, a dispetto dei tentativi euroatlantici di dissuasione, hanno partecipato 50 Stati africani su 54, ha partecipato il primo ministro algerino. Era stato preceduto a giugno dall’incontro con Putin del presidente, Abdelmadjid Tebboune, e al vertice è seguito in questi giorni un incontro con le massime autorità militari russe, compreso il ministro della Difesa Shoigu, del Capo di Stato Maggiore algerino. Sul tavolo, nuovi accordi di cooperazione militare.

L’Algeria, sopravvissuta alle aggressioni neocolonialiste tramite la guerra civile islamista degli anni ’90 e la rivoluzione colorata del 2019, vanta, grazie agli armamenti fornitile da Mosca, l’esercito più moderno e potente della regione. Per dissuadere l’ECOWAS e i suoi sponsor locali ed esterni dall’intervenire in Mali in favore del fantoccio francofilo spodestato e per ricostituire la base militare franco-italo-tedesco-statunitense, servirebbero altro che gli strumenti dell’ECOWAS. Dovrebbero entrare in campo il Marocco, storico e virulento rivale regionale di Algeri, la Nigeria, qualche altro “protettorato” africano e le bombe di Parigi. Entreranno?

 

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