lunedì 21 agosto 2023

BENE FARE, PAURA NON AVERE Dove c’’è l’idea non c’è paura Dove c’è paura non c’è l’idea



https://www.youtube.com/watch?v=-lgDzSiFaq0

https://youtu.be/-lgDzSiFaq0

 

Titolo un po’ criptico quello di questa presentazione, che poi è anche il titolo dell’articolo che ho pubblicato su questo numero di “Visione-Un altro sguardo sul mondo”.

Per paura intendo ciò che tutti intendiamo: una condizione psicofisica di fronte a un qualcosa che si percepisce minaccioso, pericoloso. Condizione  che può essere positiva, se ci mette in atteggiamento di difesa e reazione; o negativa, se ci paralizza e ci toglie le capacità di rispondere adeguatamente all’evento.

La mia esperienza, tratta e maturata grazie alla frequentazione di situazioni che possono produrre paura, guerre, conflitti, catastrofi naturali, fenomeni che incombono, mi ha portato a smentire molti sociologi, psicologi, pediatri, sapientoni vari. Coloro che, denunciando gravi ripercussioni sanitarie, specie psichiche, traumatiche, in particolare sui bambini, “poveri innocenti”, di eventi drammatici o tragici, in qualche modo favoriscono e potenziano gli effetti nefasti che i promotori e responsabili di tali eventi si erano ripromessi. Magari in perfetta buonafede.

E’ che generalizzano, non distinguono, fanno di ogni erba quel fascio che in qualche modo conviene alla loro visione delle cose e, del caso, anche alle loro tasche. Che si è uno psichiatra infantile a fare, se non si diagnosticano pesanti traumi inflitti ai bambini dai costanti bombardamenti israeliani su Gaza, dalla vista di un loro fratello colpito e mutilato, dalla propria casa ridotta in briciole.

E, invece, no. Io a Gaza ci sono stato, tra la gente degli infiniti bombardamenti, delle famiglie sminuzzate, dal ritorno allo stato di cavernicoli, a sopravvivere tra le macerie di quella che era una dignitosa abitazione. Vorrei che vedeste il mio docufilm “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza e ascoltaste quella ragazzina di 12 anni raccontarmi come la guerra israeliana detta “Piombo Fuso”, quella dei carri armati fin dentro le case, quella delle venti esplosioni al minuto, quella della decimazione di persone in fuga dalla piazza a forza di raffiche di mitraglia.

Quella ragazzina aveva la forza, la serenità, di una combattente. Aveva perso tutto, madre, fratello, zii, casa, infanzia. Aveva sofferto, soffriva, ma non era traumatizzata, resa inerme, disperata. Andava a scuola, che allora era diventata una tenda. Sapeva chi l’aveva colpita, e perché e sapeva ancora meglio che apparteneva a una gente, a una comunità, a un popolo che combatteva, intendeva restare in piedi. Sapeva che se non fosse andata a scuola, sarebbe stata sconfitta. Sapeva della Nakba, della terribile violenza degli invasori, di cosa avesse subito quel suo popolo e come era rimasto in piedi, lacero, sanguinante, ma con la luce dell’orizzonte, quello alle spalle e quello davanti,  negli occhi e nel cuore.

Aveva l’idea, non aveva paura. Se ne sarebbe vergognata, della paura, di fronte al suo popolo in resistenza. Stesso discorso per i ragazzi di Falls Roads, Belfast, Irlanda del Nord, generazione dopo generazione, per trent’anni. Stesso discorso per i siriani, massacrati e depredati da Obama, Trump, Biden, Israele, jihadisti. Stesso discorso, stessa “idea”, per i nostri partigiani, del Risorgimento e della Resistenza. Hanno l’idea, sanno chi gli è nemico e perché e che vita vuol dire resistenza. E viceversa. Altro che traumi. Resistere è anche felicità.

Quanto alla paura che c’è quando non c’è “l’idea”, basta pensare a chi correva alla disperata verso gli hub messi su dai mercanti e untori Pfizer o Moderna. Quelli che non avevano paura avevano un’idea. Si chiamava “No Vax”, o, quanto meno, “No Green Pass”.

 

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